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27/09/14

Castel Sant’Angelo e la spada delle esecuzioni.


Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, durante i lavori di scavo eseguiti per l’incanalamento del fiume, uno strano reperto fu quasi miracolosamente rinvenuto nel greto del Tevere. 

Si trattava di una spada risalente al XVI secolo, in bronzo, con la lama lunga ben centouno centimetri, larga cinque sulla sommità e sette alla base e con l’impugnatura in legno lunga trentanove centimetri.

la spada delle esecuzioni conservata nel Museo Criminologico di Roma

Gli studiosi non tardarono ad identificarla come la spada di giustizia (oggi è conservata nelle sale del Museo Criminologico di Via del Gonfalone), uno dei macabri arnesi del boia che non lontano dal punto di ritrovamento del reperto esercitava il suo mestiere nella Roma del Cinquecento e fino a tutto l’Ottocento. 

Ai piedi di Castel Sant’Angelo sorgeva infatti il palco delle esecuzioni capitali - sul quale esibiva le sue terribili capacità il leggendario Mastro Titta, il boia più famoso di Roma – e nei cui locali sottostanti era sistemato il magazzino con tutti gli accessori che servivano per quelle necessità.


La ricostruzione di una delle esecuzioni di Mastro Titta a Castel Sant'Angelo


Non è perciò fantasioso immaginare che proprio quella spada, ritrovata tre secoli dopo del tutto casualmente, sia stata quella con cui furono decapitate, fra le altre, Beatrice Cenci e Lucrezia Petroni.

Castel Sant’Angelo, infatti, nella sua lunga millenaria storia, oltre a servire come monumento funebre e sepolcro dell’imperatore Adriano, residenza di Papi, rifugio, fortezza difensiva, fu utilizzato per molto tempo come prigione. 

uno scorcio delle prigioni storiche di Castel Sant'Angelo

E nelle sue segrete celle furono rinchiuse diverse illustri personalità: dal Cardinal Vitelleschi a Pomponio Leto, da Alessandro Farnese (diventato poi Papa col nome di Paolo III) a Giordano Bruno, al Conte di Cagliostro e a Benvenuto Cellini (il quale fu protagonista di una celebre fuga e rinchiuso poi nei terribili sotterranei), fino ai patrioti che durante il Risorgimento si batterono per detronizzare il Papa dal suo potere temporale.

Ma certamente il caso più famoso di reclusione e di esecuzione capitale a Castel Sant’Angelo fu quello che riguardò Beatrice Cenci che a ventidue anni fu giustiziata l’11 settembre del 1599 insieme al fratello Giacomo (per squartamento) e alla matrigna Lucrezia Pietroni.

Come tramandano le cronache dell’epoca, quello fu un vero e proprio caso giudiziario, tra i più scandalosi e dibattuti della intera storia della Capitale: del processo infatti parlò tutta Roma, e per ancora per i secoli a venire la fama della sinistra vicenda influenzò grandi scrittori come Stendhal, Percy B. Shelley e Alexandre Dumas.

E c’era tutta Roma quel giorno ad assistere, nella Piazza di Castel Sant’Angelo, alla esecuzione della bella Beatrice – accusata di parricidio – e dei suoi complici. Una folla enorme nel caldo afoso d’agosto: in tanti svennero per la calca, altri addirittura finirono spintonati nel fiume.

Nella piazza, tra la gente, c’era anche il giudice Ulisse Moscato che aveva proclamato la sentenza di morte e i più grandi avvocati dell’epoca – Molella e Farinacci – che si erano divisi i ruoli della difesa e dell’accusa; c’erano turisti e curiosi, frati confessori e tutti i rampolli delle famiglie nobili dell’epoca; c’erano soldati e artisti, perfino Michelangelo Merisi da Caravaggio e Artemisia Gentileschi, i più grandi dell’epoca. 

Caravaggio-Giuditta che taglia la testa a Oloferne (1598-1599)

E non è difficile immaginare quale suggestione dovette suscitare nei due pittori – anche in riferimento ai famosi quadri che realizzarono - l’esecuzione dei condannati: prima madama Lucrezia, la matrigna di Beatrice e poi la stessa Beatrice furono decapitate a fil di spada.


Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne, Muse Capodimonte, Napoli, 1612-13


Molto probabilmente quella stessa spada che – quasi tre secoli dopo – le sabbie del Tevere hanno restituito, praticamente intatta.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di RomaNewton Compton Editore