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14/01/23

"The Fabelmans" di Steven Spielberg, il fascino di un film non riuscito


The Fabelmans
nonostante tutti i premi che ovviamente ha vinto e vincerà, non è un film riuscito.

Parlar male di Steven Spielberg è come parlar male del papà o della mamma, per chi ama il cinema. E' qualcuno che ci ha regalato in 40 anni di carriera, talmente tanto, che non si può che essere eternamente grati.

Ma qui non si tratta, ovviamente, di parlar male. Perché The Fabelmans è un film che può essere amato anche per i suoi difetti.

Ciò non toglie che espressivamente, artisticamente, sia non riuscito.

Forse troppo emotivamente coinvolto dal contenuto del film - la ricostruzione di una dolorosa vicenda biografica - Spielberg ha realizzato un'opera troppo drasticamente divisa in due livelli (di contenuto, di tono, di scelta stilistica) : quello della storia familiare - il più convincente e riuscito; e quello della propria vocazione personale artistica, che trasformò un bambino sognatore in un grande e acclamato regista internazionale - enfatico, superficiale.

Il primo livello è materia dolorosa e compatta. I personaggi si avvertono come veri, si soffre, si empatizza, si condivide: il film raggiunge pienezza. Soprattutto nella lunga e bellissima scena nella quale il ragazzo, Sam, scopre, del tutto casualmente, il segreto inconfessabile della famiglia.

Il secondo livello, quello della scoperta e della realizzazione della vocazione artistica è invece sfrangiato, di tono quasi sempre farsesco, i personaggi sono appiattiti, bidimensionali, figurine inconsistenti, che sembrano uscite da un film disney degli anni '60.

In questo secondo binario tutto è convenzionale e già visto e non aiutano gli attori che - compreso anche il protagonista, cioè Spielberg ragazzo - hanno facce e pose banali, in situazioni più da soap che da film d'autore.

Paul Dano è il migliore nella prova d'attore, perché interiorizza il suo personaggio e lo rende vero. Michelle Williams è invece sempre un po' sopra i toni, e nello stile si apparenta più a una Doris Day che a una Meryl Streep.

E' ovvio che comunque si tratta di un film che è un vero e proprio atto d'amore nei confronti del cinema.

E che vale la pena di essere visto anche solo per i 10 minuti finali in cui un grande e scarnificato David Lynch presta la sua faccia e la sua barba ispida al grande John Ford, con tanto di benda sull'occhio.

Fabrizio Falconi - 2023 

09/07/22

L'incredibile vicenda delle foto perdute dei Beatles in India, in un documentario da non perdere


 "I Beatles in India" è un documentario realizzato nel 2021, vincitore di molti premi, realizzato in stile quasi naif, eppure assai godibile, visibile su Amazon Prime Video a costo di noleggio di 1,99 euro.

Il documentario è particolarmente interessante perché racconta sostanzialmente la vicenda di un canadese, Paul Saltzman, che nel 1968 aveva 23 anni e che per circostanze veramente incredibili capitò nell'ashram di Maharishi Mahesh Yogi, esattamente nella settimana in cui soggiornarono lì i Beatles. Trascorrendo con loro una settimana intera e scattando una quantità di foto di smisurato valore che, altrettando incredibilmente, Paul tenne per 30 anni chiuse nel suo garage, dimenticandone quasi l'esistenza.
Come si sa, nel febbraio del 1968, spronati da George Harrison, i Beatles arrivarono a Rishikesh, nel nord dell'India, per apprendere l'arte della meditazione trascendentale dal filosofo indiano Maharishi Mahesh Yogi, incontrato per la prima volta l'estate precedente. Per quel viaggio, in cui la musica ebbe un ruolo cruciale, ai Fab Four si unirono amici come Mia Farrow, Donovan e Mike Love dei Beach Boys.
Saltzman che all'epoca era in India per lavorare come fonico di ripresa in una piccola produzione che girava un film sull'India, andò a Rishikesh sulla spinta di una delusione d'amore e con la motivazione di imparare la Meditazione Trascendentale, che Maharishi stava facendo conoscere in occidente.
Paul non aveva previsto però, e non poteva sapere, che in quei luoghi estremi lungo la riva del Gange nei boschi popolati di scimmie e di uccelli esotici avrebbe condiviso pranzi, cene, passeggiate, chiacchierate e sedute di meditazione con John, Paul, George e Ringo accompagnati dalle rispettive mogli e compagne.
Il film vede anche la partecipazione straordinaria dello storico dei Beatles Mark Lewisohn, che ripercorre col regista i momenti salienti di quel viaggio, del compositore nominato all'Oscar Laurence Rosenthal, di Pattie Boyd (modella e fotografa che fu moglie di Harrison e di Eric Clapton) e di sua sorella e Jenny, oltre che di David Lynch, che è anche tra i produttori esecutivi del film.
Fu un momento formidabile anche per la carriera del quartetto di Liverpool. Racconta infatti Paul Saltzman: "Nel 1968, i Beatles si recarono in India per trovare qualcosa che la fama e la fortuna non potevano dare loro. Cercavano la pace interiore. Fu un momento di enorme creatività e di cambiamento. In 7 brevi settimane trascorse nell'ashram scrissero 48 canzoni. Senza sapere che si trovassero lì, io ero arrivato a Rishikesh per imparare la meditazione, nel disperato tentativo di guarire il mio cuore spezzato. Siamo stati insieme per una settimana. La meditazione mi ha cambiato la vita, così come l'incontro con loro. È stata un'esperienza profondamente privata tanto che, tornato a casa, ho riposto in una scatola le 54 foto che avevo scattato. E me ne sono dimenticato per 32 anni".
Altamente consigliabile, specie agli appassionati di musica, degli annoi '60 e dei Fab Four.

Fabrizio Falconi - 2022

12/08/15

Torna Twin Peaks, David Lynch e Mark Frost al lavoro !



Per qualcuno, e io sono tra questi, Twin Peaks è davvero l'inizio di tutta l'epopea della moderna serialità tv di alta qualità che rappresenta la vera novità nel linguaggio culturale dei primi anni 2000.

Farà dunque piacere ai molti appassionati di allora - e agli appassionati alle serie di oggi - questa notizia: 

Partiranno a settembre le riprese del sequel di Twin Peaks, thriller cult della Abc del 1990-91, che andrà in onda su Showtime

In pista entrambi i co-creatori della serie, David Lynch e Mark Frost, dopo il momentaneo addio al progetto da parte del regista, annunciato ad aprile via twitter con grande sconforto dei fan. 

Lo ha spiegato il presidente del gruppo Showtime, David Nevins. 

Lynch e Frost stanno scrivendo la nuova stagione, la terza, e lo stesso Lynch dirigerà tutti gli episodi.

"Non ho mai avuto dubbi sul fatto che gli avremmo fatto cambiare idea", ha commentato Nevins parlando del momentaneo forfait del regista. Superato l'intoppo relativo al numero degli episodi - "saranno piu' di nove", ha spiegato Nevins, senza specificare quanti - nel cast "ci saranno molti dei personaggi che il pubblico aspetta, ma anche sorprese"

Resta ancora un mistero la messa in onda, attesa comunque nel 2016.

16/03/15

David Lynch parla di Dio e della creatività. (intervista di Antonio Monda).


Brano dell'intervista a David Lynch realizzata da Antonio Monda per il suo libro: Tu credi ? Conversazioni su Dio e la religione, Fazi editore, 2006, pagg. 95 e seguenti. 


A.M.: Vorrei chiederti come mai le tue storie privilegiano il mistero, il paranormale e l'assurdo.

D.L. : Potrei limitarmi a dire che sono affascinato da tutti questi elementi, ma anche che ritengo che nessuno possa arrogarsi il diritto di dire cosa sia assurdo e cosa logico, cosa sia normale e cosa paranormale.
E sul concetto di mistero potremmo parlare a lungo: la mente umana lavora di intuizione, e quindi è in grado di intuire anche l'astrazione. 
Il cinema è il linguaggio delle immagini in movimento, e quindi costringe l'autore ad esprimere queste astrazioni con gesti e azioni. Come artista sono affascinato da ogni creazione che nasce da questo contrasto. 

A.M. : Una domanda diretta: credi in Dio ?

D.L. : Credo che esista un essere divino, onnipotente ed eterno. 

A.M. : Come te lo immagini ?

D.L. : Non me lo immagino, se non per le caratteristiche che ti ho appena detto.

A.M.: Nei tuoi film il male è assoluto, e il bene è segno di una purezza infinita che sconfina nella santità. Non ti sembra una impostazione manichea ?

D.L. : La prima risposta che mi viene da darti è che si tratta unicamente di un modo di esprimermi artisticamente. Ma voglio aggiungere che non credo esista qualcosa che sia in sé cattivo o buono: è il nostro modo di vederlo che lo rende tale.

A.M. : Intendi dire che non esiste il bene o il male ?

D.L. ; Quello che intendo è che sono dentro di noi, e da lì provengono.

A.M. : Negli ultimi anni hai dedicato molta energia e passione alla meditazione trascendentale. Cosa c'è di diverso dal Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homini habitat veritas di Sant'Agostino?

D.L. : La meditazione trascendentale è una tecnica mentale - che io pratico due volte al giorno - che consente ad ogni essere umano di tuffarsi nel proprio io e raggiungere la pura coscienza e la pura felicità. In Sant'Agostino è invece tutto strettamente legato alla rivelazione cristiana. Detto questo, ritengo che ogni essere umano sia destinato alla felicità, che ogni forma di negatività sia come il buio, che scompare appena accendi la luce della pace, della pietà e dell'unità. 


Brano dell'intervista a David Lynch realizzata da Antonio Monda per il suo libro: Tu credi ? Conversazioni su Dio e la religione, Fazi editore, 2006, pagg. 95 e seguenti.

11/07/14

2004-2014: LOST compie 10 anni. Una riflessione.







Si avvicina il decennale: il 22 settembre del 2004, la rete televisiva Abc trasmetteva la prima puntata di una serie televisiva intitolata Lost. 

Come era avvenuto molti anni prima (nel 1991) per Twin Peaks di David Lynch, il mondo della creazione narrativa televisiva non è più stato lo stesso.

All'epoca non amavo molto la fiction televisiva, e prima di Lost ero assai refrattario a seguire telefilm, series americane.  

La scoperta di Lost mi aprì invece una esperienza del tutto nuova.       

Con Lost il genere televisivo puro si emancipò definitivamente dal genere sottocultura (anche perché bisognerebbe capire cosa è la cultura, quella vera),  e dopo qualche anno, in un decennio, la serialità televisiva è assurta al ruolo di prodotto culturale alto, in molti si sono accorti che la narrazione esperita dalle serie televisive di alta qualità rappresenta  un linguaggio di contenuti e forme (e struttura tecnica) di livello molto più interessante di tanta letteratura e di tanto cinema che oggi esprime il mercato della cultura internazionale. 

In particolare una seria come Lost - e questa fu la radice del suo planetario successo - fu la capacità di intercettare le domande che si fa l’uomo oggi, l’uomo che vive in questa epoca bella e terribile, in questi anni, in questo occidente che ormai include anche molta parte d'oriente. 

Cosa ha nel cuore, cosa vuole, cosa desidera, cosa crede, quali sono le sue paure, cosa spera. Ecco a queste poche e fondamentali domande rispondeva  Lost.
  
LOST per chi non lo sapesse, racconta l’odissea di un gruppo di superstiti che si ritrovano su un’isola sconosciuta in mezzo all’oceano dopo un disastro aereo. Da subito, l’isola si rivela ben strana: abitata da misteriosi e pericolosi ‘Altri’ che hanno colonizzato l’isola molti anni prima, per realizzarvi un altrettanto misterioso e inquietante esperimento. Gli ‘Altri’ sono in agguato, non si sa bene cosa vogliono, vogliono impadronirsi delle vite, del futuro e del passato dei sopravvissuti. Non sono per niente ospitali.

Loro, i sopravvissuti, hanno TUTTI delle imponenti croci personali da portarsi appresso. Queste croci – le loro storie personali – vengono mostrate attraverso flash-back che si mischiano alla narrazione di quel che avviene sull’isola. Queste croci hanno a che fare con la famiglia, prima di tutto. Ciascuno dei sopravvissuti ha un fallimento, un conto in sospeso, un rancore, un disprezzo, uno sbaglio che gli ha compromesso la vita: Jack, il medico, il leader: un padre alcolizzato e competitivo, professore come lui. Un fallimento matrimoniale; Kate, la ribelle, la coraggiosa: una madre vessata da un marito violento, che lei, Kate ha ucciso; Sawyer, il ‘cattivo-buono’, il rude, l’antipatico:  un padre violento, che ha distrutto la sua vita e di cui lui, Sawyer, si è vendicato; Locke, il ‘saggio’, il filosofo, il veggente: un padre truffatore e subdolo, sadico; Charlie, il ‘buon ragazzo’, il divertente, il compagnone:  un fratello eroinomane; Jin, la coreana, l’ingenua, la materna:  un padre-padrino, mafioso; Sayid:  l’iracheno: un passato da soldato-torturatore al servizio di Saddam; e cosi via…

Ciascuno di questi personaggi fu indagato con inconsueta complessità, inanellando rimandi, citazioni, connessioni e interconnessioni da lasciare stupefatti (soprattutto per la difficoltà tecnica di chi dovette redigere i copioni)

Lost riuscì perfino ad imbastire alcune precise risposte alle domande del secolo, di cui sopra (cosa ha nel cuore, cosa vuole, cosa desidera, cosa crede, quali sono le sue paure, cosa spera l’uomo del mondo nel XXI secolo ?):  La serie ha suggerito che l’uomo del mondo, nel XXI secolo ha dentro il cuore una grande confusione, che rischia di portarlo al manicomio . Lost risponde che l’uomo del mondo nel XXI secolo è come un sopravvissuto dopo un incidente aereo:  ha perso tutto e non ha più riferimenti, è solo e perso.  Lost dice che quest’uomo ha perso i suoi riferimenti, che non sa più da che parte andare, che vaga in una terra senza punti cardinali, affidandosi – come unica traccia – a quello che gli tramanda il cuore.  A quello che ha dietro.   Che però è – a sua volta – molto confuso.  Perché quello che l’uomo del mondo nel XXI secolo si porta dietro, ha a che fare con i suoi padri. Ovvero, con le generazioni che ci hanno preceduto, con quello che abbiamo alle spalle, e che ci ha lasciato morte, dolore e distruzione (avete presente il XX. Secolo ?) Il passato è dunque ancora presente e minaccioso, esattamente come il futuro.

E l’uomo del mondo nel XXI secolo è a metà del guado: i suoi padri lo hanno tradito, confuso, umiliato e tradito, uccidendo quel senso del sacro, antico e nobile che fa parte della storia dell’uomo, del suo dna; e allo stesso tempo il futuro che si presenta di fronte appare ancora più incerto, spaventoso, temibile.

L’eredità più grande che l’uomo del mondo nel XXI secolo ha ricevuto in dono è la domanda irrisolta sul SENSO DELLA SUA VITA su QUESTA TERRA:   Che ci sto a fare io qui ? Chi o cosa mi ha voluto qui ? Da chi dipende il mio futuro ? Cosa è il destino ? Ne sono io partecipe o tutto avviene per caso ?

A questa domanda LOST ha la presunzione di offrire una risposta precisa: il futuro e quindi il destino non avvengono per caso.  Esiste un disegno.   Anche se questo disegno è del tutto misterioso. Può essere avvicinato, ma non svelato del tutto.

Il DESTINO si presenta anzi in LOST come una specie di RIPETIZIONE (o di Karma, direbbero gli orientali) in cui siamo destinati a rivivere quei nodi che nella nostra vita personale non abbiamo sciolto, che non abbiamo affrontato, finché – attraverso questo doloroso passaggio – non possa avvenire una LIBERAZIONE, una consapevolezza, o una REDENZIONE. 

Ma la Redenzione che offre LOST è sempre parziale: c’è sempre un confine ulteriore che non è dato superare perché il CONFINE dell’isola NON E’ CHIARO (è un confine geografico, o reale ? E’ un sogno?  C’è il sospetto spesso, durante le puntate del serial che tutto quello che vediamo sia solo una illusione, qualcosa di sognato, oppure di appartenente ad un’altra dimensione).

I superstiti NON SANNO dove finisce l’ISOLA e non sanno COSA C’E’ FUORI che li aspetta, dall’altra parte, e non sanno se ritorneranno mai…

Ma allora in questo quadro così confuso, in cosa crede questo uomo del XXI secolo ?

LOST risponde che l’uomo crede ancora alle stesse cose che credeva agli albori dell’umanità:   alla prevalenza del BENE, all’amicizia, alla solidarietà tra persone, all’aiuto, al partorire un figlio e a cercare di difenderlo da ogni avversità, alla costruzione di qualcosa da condividere, da vivere insieme.

E’ molto, è poco ?? 

E’ molto.


LOST è stato qualcosa di importante, un'opera originale capace di offrire risposte non banali, e a offrire un vero palcoscenico (spettacolare, fantasticamente congegnato) alle nostre domande, che ritroviamo sempre uguali, dagli albori ad oggi, avvertendo come in esse si incarni tutta la nostra dannazione e la nostra possibile salvezza.