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03/02/18

Ma come (e cosa) mangiavano gli antichi romani ? Un libro lo svela.



Cosa e come mangiavano i nostri progenitori romani ?  Si è molto fantasticato in passato sui gusti e sulle abitudini alimentari nell'Antica Roma.  Un libro edito da Mursia, Nutrire l'Impero romano. La filiera alimentare nell'Antica Roma, gli approvvigionamenti, le ricette (a cura del Gruppo archeologico ambrosiano) lo chiarisce ora con la proposta di 50 piatti tipici di Roma Antica, scientificamente accertate con un minuzioso lavoro di ricerca nelle fonti di autori latini . 

Perlopiù le ricette antiche sono state anche comparate con ingredienti attuali, alla portata di tutti, per renderne possibile la realizzazione anche nelle cucine moderne.

Gli alimenti principali erano il farro, l'aglio, la cipolla, il miele.  E molto diverse erano le diete a seconda delle classi di appartenenza: legionari, senatori, schiavi o contadini. 

I legionari, la parte più impegnata della popolazione, continuamente in guerra, privilegiava cereali, accompagnati da una bevanda a base di acqua e aceto chiamata posca.

Si mangiava anche tanto pesce: uno dei piatti preferiti era la cosiddetta Iscia de Loggigene, un piatto a base di polpette di calamari. C'era poi la salsa di pesce, il Garum e la Ius in murena elixa (Murena bollita in salsa).  Prelibata e ricercata era anche la Locusta, ovvero l'Aragosta, che veniva cotta con tutto il guscio, cosparsa di pepe e coriandolo. 

Altre ricette enormemente popolari erano il Cuminatum (la salsa di cumino), il Libum (l'antesignana della nostra focaccia), l'Epityrum (pasta di olive), la Puls (la polenta con farina di farro),  il Porcellus ex malis (maiale con le mele), il Sayillum, (torta al formaggio) e i Dulcia domestica (datteri ripieni). 

Naturalmente su questi piatti scorrevano fiumi di vino, la bevanda preferita dei Romani: secondo fonti antiche, risalenti a Plinio il Vecchio,  a quell'epoca esistevano già 185 varietà di vitigni diversi, tra i quali il Volturno, l'Albano, il Sabino, il Vino di Verona, quello di Aquileia (rinomato già all'epoca e quello preferito dallo stesso Plinio), il Falerno, il Cecubo nel Lazio.

Fabrizio Falconi 
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