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09/08/18

Il Fascismo secondo Ennio Flaiano.


Credo che nessuno meglio di Ennio Flaiano abbia descritto in così poche lapidarie parole, il senso del Fascismo, indipendentemente dalla ideologia che porta questo nome: non quindi come insieme di idee e dogmi politici, quanto invece come mentalità, come modo di pensiero e di comportamento (che prescinde e precede ogni ideologia canonizzata, racchiusa in una teoria e messa in modo in una pratica).  Sono parole che sono utili da rileggere oggi:


Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il Fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui. Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre.

Ennio Flaiano
tratto da: Don't forget (1967-1972), pubblicato nel 1976, attualmente introvabile in commercio. 


03/02/14

Il linguaggio italiano dell'inciviltà - di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere di oggi.





Abito a Roma nei pressi di una scuola (medie e liceo), e all’inizio e alla fine delle lezioni la mia via si riempie di ragazzi. 

Mi capita così di ascoltare assai spesso le loro chiacchiere, gli scambi di battute. Ebbene, quello che mi arriva alle orecchie è una continua raffica di parolacce e di bestemmie, un oceano di turpiloquio. 

Praticamente, qualunque sia l’argomento, in una sorta di coazione irrefrenabile dalle loro bocche viene fuori ogni tre parole un’oscenità o una parola blasfema. 

Le ragazze - parlo anche di quattordicenni, di quindicenni - appaiono le più corrive e quasi le più compiaciute nel praticare un linguaggio scurrile e violento che un tempo sarebbe stato di casa solo nelle caserme o nelle bettole più malfamate. 

A dispetto dunque di quanto vorrebbero far credere molti dei suoi scandalizzati censori, il lessico indecente e la volgarità aggressiva mostrati da Grillo e dai suoi parlamentari nei giorni scorsi non sono affatto un’eccezione nell’Italia di oggi. Sono più o meno la regola. 

Sostanzialmente, in tutti gli ambienti il linguaggio colloquiale è ormai infarcito di parolacce e di volgarità, come testimoniano quei brandelli di parlato spontaneo che si ascoltano ogni tanto in qualche fuori onda televisivo o tra i concorrenti del Grande Fratello . 

Siamo, a mia conoscenza, l’unico Paese in cui i quotidiani non esitano, all’occasione, a usare termini osceni nei propri titoli. 

Non dico tutto questo come un’attenuante, tanto meno come una giustificazione. Lo dico solo come richiamo a un dato di fatto. 

È l’ennesimo sintomo dell’abbandono delle forme, della trasandatezza espressiva, della durezza nelle relazioni personali e tra i sessi, di un certo clima spicciativo fino alla brutalità che sempre più caratterizzano il nostro tessuto sociale. 

In una parola di un sottile ma progressivo imbarbarimento. Il declino italiano è anche questo. Il degrado dei comportamenti, dei modi e del linguaggio ha molte origini, ma un suo fulcro è di certo il grave indebolimento che da noi hanno conosciuto tutte quelle istituzioni come la famiglia, la scuola, la Chiesa, i partiti, i sindacati, a cui fino a due-tre decenni fa erano affidati la strutturazione culturale e al tempo stesso il disciplinamento sociale degli individui. 

Era in quegli ambiti, infatti, che non solo si sviluppava e insieme si misurava con la realtà esterna e le sue asperità il carattere, ma veniva altresì modellata la disposizione a stare nella sfera pubblica e il come starci. 

Tutto ciò che per l’appunto è stato battuto in breccia in nome di ciò che è «spontaneo», «autentico», «disinibito», secondo una concezione della modernità declinata troppo spesso nelle forme del più sgangherato individualismo. 


25/06/08

"Fare sesso" - Lucetta Scaraffia.



Come proclamò il famoso mantra di Nanni Moretti anni fa, le parole sono importanti. Anche quando non ce ne accorgiamo.

Così è importante questa riflessione pubblicata ieri da Lucetta Scaraffia sul Calendario del Corriere della Sera che induce a soffermarsi su un (ormai) vieto modo di dire:

"Mai però si era sentita una espressione volgare come "fare sesso", scrive Aldo Cazzullo su Io Donna di sabato scorso, e non si può non dichiararsi d'accordo.

Dal momento che le cose sono anche il loro nome, questo modo di dire ormai universalmente diffuso (naturalmente noi italiani l'abbiamo importato dagli americani 'make sex', nota mia) - che fa il paio con l'altra definizione "sessualmente attivo" - costituisce la dimostrazione più evidente del fallimento della rivoluzione sessuale, della grande utopia che ha attraversato il Novecento e che prometteva a tutti una felicità a portata di mano.

Invece, dopo aver liberato il sesso prima dalla procreazione, poi dal matrimonio, e infine dall'amore, lo si è ridotto ad una attività ludica simile a tante altre: un po' come si dice 'fare jogging', ' fare shopping', o 'fare un week end'.

E quello che è andato perso non è soltanto l'impegno procreativo, o l'impegno amoroso: in questa dissacrante leggerezza si è forse perso il senso dell'umano, dell'incontro tra due esseri che, come bene dice un antico testo di una qualche notorietà, unendosi ' si conoscono."



22/04/08

Mi diverto ergo Sono - Il senso del sacro oggi.


Mi sorprende a volte che non si ragioni abbastanza sul fatto di come la mutazione antropologica avvenuta negli uomini - nella razza umana - negli ultimi 100 anni, abbia radicalmente cambiato l'approccio e la relazione con il Sacro, prima che con Dio.

Gli uomini e le donne di oggi, almeno in Occidente, hanno altre cose da fare, piuttosto che pensare a Dio.

La parola d'ordine oggi è: divertire - e divertirsi. O più semplicemente distrarsi.

Una vita noiosa è la cosa più da aborrire. L'importante è intrattenersi. E la civiltà moderna non fa altro che offrirci nuove diavolerie - tante nuove al giorno - per intrattenerci piacevolmente.

E' divertente guardare la TV (almeno per molti). Ma anche guardare la propria mail elettronica o la chat, o il proprio account Facebook tutto il giorno, è divertente.

E poi anche telefonare con il cellulare è divertente. Anche mandare sms. Anche allenarsi con le macchine e fare fitness è divertente.

L'obiettivo finale è divertirsi sempre, anche lavorando: e infatti i lavori più ambiti sono quelli nei quali ci si diverte (lo show business, la televisione, ecc...)

Riflettiamo che divertimento deriva etimologicamente dal latino devèrtere il cui participio passato è diversus o deversus che indica 'allontanamento', o volgere, cioè far prendere altra direzione, quindi distogliere, ricreare, distrarre l'animo da pensieri molesti (dizionario Etimologico Ottorino Pianigiani).

Allora divertirsi e distrarsi sono - lo ripetiamo - le nuove parole d'ordine.

E' appena il caso di notare come per un uomo o una donna che vivevano 100 anni fa, in una qualsiasi parte del mondo occidentale, distrarsi o divertirsi erano attività assai più difficili di oggi.

L'esistenza era ben più pesante. Il lavoro, era pesante. E i divertimenti o le distrazioni, assai poche, e circostanziate.

E' allora ovvio che "non potendo distrarsi", cioè non potendo distrarre l'attenzione con mezzi tecnologicamente sofisticati, le generazioni precedenti erano 'costrette' a mantenere l'attenzione sui temi dell'esistenza: la vita, la morte, il senso della vita, l'esistenza (o la non esistenza) di Dio.

Erano queste le questioni importanti.

Anche oggi lo sono, soltanto che oggi c'è tutto il tempo per 'distrarsi'. E' come se il modello imperante dicesse: "distraiti, tanto per pensare a quello ci sarà tempo."

E difatti io non faccio altro che incontrare persone che vivono semplicemente come se il 'sacro', o le questioni ultime ad esse legate, semplicemente non esistessero.

Vivono totalmente immersi nel loro hic et nunc: qui ed ora.

C'è questa cosa da fare. Questo lavoro, questa compagnia, questa conquista, questo giochino, questo messaggio, questa mail. Al resto ci si penserà dopo.

E difatti assistiamo quasi sempre - in questo modo schizofrenico di vivere - a improvvise scoperte del sacro da parte di persone insospettabili, che hanno sempre vissuto di-vertendosi, quando le cose si mettono male. Quando arriva un lutto grave, quando arriva una malattia. Quando sta per giungere la morte.

Allora si va disperatamente alla ricerca di qualcosa dalla quale abbiamo fatto di tutto per distrarre la nostra attenzione.

Insomma, una parola, qualsiasi parola, e tantopiù la parola divina (se esiste) non può che essere ascoltata nel silenzio, nell'attenzione.

Nella confusione e nella distrazione non si ascolta nulla.

Se un Dio c'è e se Lui è in relazione con noi, noi dobbiamo fargli un minimo di posto, come esige ogni relazione.

Scriveva Angelus Silesius, nel Seicento:

Mistero insondabile ! Dio ha perduto se stesso:
Per questo vuole essere in me rigenerato.

Ma come fa a rigenerarsi in noi, se noi siamo distratti, eternamente occupati a fare altro ?
( Foto in testa all'articolo di Barbara Renzi )