Visualizzazione post con etichetta correzioni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta correzioni. Mostra tutti i post

03/12/21

Libro del Giorno: "Crossroads" di Jonathan Franzen

 


Appena terminata l'ultima pagina, con un finale così sospeso che non trova altra giustificazione che nel  fatto dell'essere Crossroads, la prima parte di una trilogia, un fiume narrativo che continuerà nei prossimi due romanzi, ci si scopre ammirati e sollevati: Franzen è tornato. E' tornato, cioè, dopo il gran brutto inciampo di Purity, quello che conoscevamo e che aveva incantato con Correzioni, e con Libertà

Ed è tornato ancora meglio, al punto che Crossroads, il suo sesto romanzo può forse essere considerato il suo migliore. 

Pubblicato due mesi fa in America, Crossroads è una saga familiare ambientata negli anni '70 e incentrata sulla famiglia Hildebrandt nella piccola città immaginaria di New Prospect, nell'Illinois.  Come detto, il romanzo è il primo volume di una trilogia progettata intitolata A Key to All Mythologies, che Franzen intende come l'abbraccio di tre generazioni e che ripercorre la vita interiore della nostra cultura fino ai giorni nostri". 

Crossroads segue le vicende di Russ e Marion Hildebrandt, il cui matrimonio è vicino al collasso, e i loro quattro figli, Clem, Becky, Perry e Judson

Ogni capitolo è raccontato dal punto di vista di uno degli Hildebrandt, e la maggior parte è ambientata nella fittizia New Prospect Township della periferia di Chicago. 

La prima sezione, intitolata Avvento, si svolge nell'inverno del 1971. Russ, ministro associato della First Reformed Church, flirta con una giovane vedova, Frances Cottrell, odiando il carismatico Rick Ambrose. Russ è stato infatti costretto a lasciare Crossroads, il popolare gruppo giovanile che ha fondato nella sua Chiesa, a favore dello stile di leadership più popolare – e meno liturgico – di Rick. 

I due figli di Russ, Perry e Becky si sono recentemente uniti a Crossroads, con molti problemi: . Perry ha deciso di smettere di spacciare erba e diventare una persona migliore. Becky, una popolare cheerleader, diffida di Perry, anche se è vicina a suo fratello maggiore, Clem. Si è anche scontrata con i suoi genitori per un'eredità di 13.000 dollari da sua zia Shirley. 

Nel frattempo, Marion sta frequentando di nascosto sessioni di terapia, in cui racconta episodi traumatici del suo passato, tra cui una relazione con un uomo sposato di nome Bradley e un crollo psichiatrico. Questi episodi sono avvenuti a Los Angeles poco prima che incontrasse Russ, e lei li ha nascosti alla sua famiglia, nonostante la sua preoccupazione per la stabilità mentale di Perry.

La seconda sezione, Pasqua, inizia nella primavera del 1972. Crossroads compie il suo viaggio di servizio annuale in Arizona , dove Russ ha legami con la comunità Navajo che risalgono al suo servizio alternativo in Arizona come obiettore di coscienza durante la seconda guerra mondiale.

Da qui si dipaneranno una serie di conseguenze impreviste e anche drammatiche. 

Il libro termina nel marzo 1974, quando Clem torna a New Prospect per riunirsi con Becky

Franzen ha iniziato a scrivere Crossroads all'inizio del 2018, e ha finito di scriverlo durante i primi quattro mesi della pandemia di COVID-19 nel 2020, dichiarando che durante la stesura di Crossroads ha deciso di abbracciare pienamente il suo ruolo di "romanziere di caratteri e di psicologia", limitandosi cioè "una rigorosa narrativa realista", e in questo senso il progetto differisce dai suoi romanzi precedenti. 

Il progetto nasce dalla concezione di Franzen di un singolo personaggio, ispirato da una nuova conoscenza che – come Russ in Crossroads – aveva un background mennonita

Il romanzo è anche molto autobiografico: da adolescente, Franzen apparteneva a un gruppo di giovani della chiesa chiamato Fellowship, che è l'oggetto del suo saggio "The Joy Breaks Through" contenuto in "Zona disagio" e che ricorda Crossroads. 

Tuttavia, in Crossroads , Franzen ha affrontato la religione principalmente come "un'esperienza emotiva": Non era mia intenzione cosciente, ma penso di aver prodotto un libro che essenzialmente non contiene teologia... Penso che le domande per me siano: sono una brava persona? Cosa posso fare per essere una persona migliore? Non credo che le persone, in generale, dicano: "Voglio essere buono secondo uno standard esterno". Penso che stiano lottando con esso in un modo più personale e specifico. 

Alla domanda sul motivo per cui ha scelto di ambientare Crossroads nei primi anni '70, Franzen ha sottolineato lo stretto legame tra religione e movimenti progressisti negli Stati Uniti in quel momento - un tempo, cioè, prima che il cristianesimo fosse decisamente associato alla politica di destra. Era anche interessato alle conseguenze dei diritti civili e dei movimenti contro la guerra e al fatto che "si iniziarono a vedere i primi giovani che erano in realtà più conservatori dei loro genitori". 

Franzen ha anche affermato di aver trovato interessante scrivere sul passato, piuttosto che sul presente, durante gli anni dell'amministrazione Trump, a cui sentiva di "non riuscire a dare un senso in tempo reale". 

Le mie impressioni di lettura del romanzo, sono confortate dal supplemento letterario del Times, secondo il quale Crossroads è largamente esente dai vizi da cui è stato dedito il lavoro precedente di Franzen: l'attualità consapevole; la raffinatezza dell'esibizione; la pesantezza formale. Conserva molte delle sue virtù familiari: la robusta caratterizzazione; l'escalation della commedia; la padronanza virtuosistica del ritmo narrativo. 

I critici hanno particolarmente elogiato il personaggio di Marion, che è stato definito "uno dei gloriosi personaggi della recente narrativa americana". 

 Quel che è certo è che Crossroads tocca in profondità con le descrizioni di vite che sono (anche) le nostre e tempi che sono (stati) anche i nostri, con un artifizio da Lanterna Magica che li rende ancora più reali del vero. 

Fabrizio Falconi 

Jonathan Franzen

Crossroads 

Traduzione di Silvia Pareschi 

Einaudi Supercoralli 2021 

Pagine: 600 p.,  Euro 22

16/04/16

"Purity" di Jonathan Franzen (RECENSIONE).




Premetto: il nuovo Franzen mi ha deluso consistentemente. 

E qui spiego perché.  Non si tratta di discutere dello straripante talento di Franzen, della sua abilità e complessità stilistica, che gli hanno dato fortuna e celebrità (con tutto quel che ne consegue al punto che oggi è difficile parlare di lui, perché come ogni fenomeno troppo popolare, ci si distingue aprioristicamente in partiti a favore e contro).  Da questo punto di vista credo che Franzen superata la soglia dei 55,  non debba dimostrare nient'altro.

E il suo romanzo è come sempre un meccanismo di altissima precisione, perfettamente oliato, dove tutto funziona o sembra funzionare a dovere. 

Nell'arco di 642 pagine - Franzen ha dichiarato recentemente di non riuscire a scrivere romanzi brevi, che il lungo è il suo formato naturale - Purity mette in scena di tutto: almeno quattro personaggi protagonisti (la prima, la ragazza chiamata Purity o Pip, in esplicito omaggio dickensiano), una ventina di personaggi secondari, trame e sottotrame che si rincorrono, racconti in prima persona, diari, messaggi, mail, flashbacks a profusione, ganci  per lasciare il lettore in sospeso alla fine di ogni capitolo, sei parti, ciascuna funzionante come una novella autonoma, colpi di scena efficacissimi, come quello di pag. 265, che scoperchia il romanzo. 

La storia è stata descritta ampiamente sui giornali, sugli inserti, sui siti: si comincia con la giovane Purity, ragazza neolaureata che vive in una sorta di casa-comune, in povertà, con i debiti accumulati per studiare che non sa come pagare.  Della madre sappiamo che ama smisuratamente sua figlia ma per qualche motivo misterioso le nasconde l'identità del padre - e anche del resto della sua famiglia. Anche lei vive ai margini, con un lavoro di commessa, psicologicamente fragilissima. 

La caratteristica di Purity, come già accadeva in Correzioni e in Libertà, è quella di lasciare ad un certo punto quello che si presume essere il protagonista, e andarsene apparentemente altrove (non è così ovviamente).  Ecco dunque che a metà del libro, a pag. 352- ma era successo già precedentemente nella parte La repubblica del cattivo gusto - Purity viene abbandonata al suo destino, dopo che ne abbiamo seguito le tracce prima a Denver, come stagista per il quotidiano locale indipendente locali, e poi in Bolivia, adepta del Sunlight Project, una sorta di Wikileaks creata dallo spregiudicato Andreas Wolf (una sorta di via di mezzo tra Julian Assange e Snowden). 

Nella seconda parte del romanzo Pip scompare. E tutta l'attenzione di concentra su Wolf (di cui abbiamo già conosciuto le radici, nella parte ambientata nella DDR dove abbiamo scoperto che è anche un assassino, anche se apparentemente per amore della giovane Anngret) e su Tom Aberant (due cognomi molto espliciti, il primo il Lupo, il secondo un Aber(r)ant), il direttore del Denver Indipendent, che ha conosciuto Wolf anni prima in Germania, e di cui custodisce l'inconfessabile segreto. 

E' proprio questa la parte debole del romanzo.  Franzen è superficiale, indugia con cinismo su Wolf e sulla sua lucidissima follia, e su Tom e le sue vergognose ipocrisie, tra la ex moglie psicotica, Anabel,  e la nuova compagna, la giornalista in carriera Leila. Gira sostanzialmente a vuoto, con l'obiettivo fin troppo dichiarato di dimostrare che la purezza non esiste, i segreti fanno parte della identità costituiva di tutti, il web è un mondo sporco forse anche più del mondo che pretende di ripulire, le amicizie non esistono, tutti tradiscono tutti. 

Il Gioco è esplicito, l'architetto del pregevole meccanismo (Franzen) è sempre al centro, esibendo le qualità della narrazione e compiacendosi di esse, mentre manca del tutto l'ironia (che in Libertà era felicemente dispensata) che rende pietoso il racconto, e possibile l'empatia del lettore. 

Alla fine della lettura si ha un senso di vuoto: la storia non ci ha dato niente, c'è l'impressione che Franzen sia rimasto vittima del suo stesso meccanismo e che la preoccupazione di dire qualcosa (molto di quello che già si sa sulla solitudine, sul mondo di internet, sulle anime sempre più connesse e sempre più disorientate) abbia prodotto il risultato di non dire nulla (o almeno nulla di nuovo). 

Gli amanti di Franzen ritrovano tutte le sue ossessioni (la mancanza e il dolore familiare, l'ornitologia, il sesso); in compenso i personaggi maschili sono terrificanti e il romanzo in molte pagine esprime una concezione totalmente maschilista del presente (le donne sono quasi tutte geishe devote in adorazione del maschio scopatore, o psicolabili irrecuperabili). 

Insomma alla fine l'unica cosa che si ammira veramente è la struttura narrativa insieme alla brillantezza dei dialoghi, alla acutezza e alla genialità delle sentenze.  Ma Purity è un romanzo che si avvicina di più a Donna Tart (e alla sua superficialità ben commerciale) piuttosto che ai grandi maestri del Romanzo Americano ai quali Franzen esplicitamente tenta e dice di ispirarsi (primo fra tutti l'inarrivabile Saul Bellow che in Purity viene continuamente evocato con uno dei suoi romanzi più grandi, Le avventure di Augie March): in effetti la differenza tra un Bellow e un Franzen è tutta qui. Bellow ha scritto una ventina di romanzi, tutti allo stesso livello di eccellenza e senza che il suo io (pure piuttosto consistente) divenisse mai l'esplicito referente della tecnica narrativa; Franzen, giunto alla terza prova della maturità scivola nell'ovvio e commette la presunzione di salire sulla ribalta più di quanto la sua nuova storia riesca mai a fare. 


Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata