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20/11/13

(Dieci grandi anime) - 3. Clive Staples Lewis (4)



(Dieci grandi anime) - 3Clive Staples Lewis (4)    

Ma è proprio quel papista e quel filologo -  Tolkien - a spalancare a Lewis le porte di una nuova comprensione di quel Cristianesimo rifiutato nell’adolescenza, proprio a partire dai vecchi miti pagani, i quali  tutti indistintamente parlano di morte e resurrezione.

Per Lewis è una vera e propria illuminazione.   E’ la nascita dell’esclusiva compagnia degli Inklinks (in italiano  gli Imbrattacarte ), molto più che un salotto letterario,  un sodalizio di artisti che segnerà la vita culturale britannica dagli anni ’30 agli anni ’50.

Nel settembre del 1931 l’occasione è fornita da una lunga conversazione notturna con Tolkien Charles Williams, autore del celebre The Place of the Lion, e Hugo Dyson.  Tolkien  suggerisce all’amico  che il Cristianesimo si presenta come l’unica verità nella quale è possibile riassumere, comprendere e sciogliere i miti pagani e le credenze degli antichi. Il Cristianesimo, alla luce di quelle considerazioni, comincia ad apparire agli occhi di Lewis non solo e soltanto come religione o filosofia in senso stretto – lo scrive in Surprised by joy – ma come “riassunto e attualizzazione” di ogni mito e cultura preesistente.
      Sono appena passato dal credere in Dio al credere definitivamente in Cristo [...]. La mia lunga chiacchierata con Dyson e Tolkien ha certamente a che fare con questo, scrive in una lettera all’amico di infanzia Arthur Greeves.

 Dopo una settimana Lewis comunica agli amici la sua conversione al Cristianesimo, tre mesi dopo, il natale dello stesso anno, riceve la comunione.
Anche se Lewis ha smesso di cercare Dio, Dio è tornato a farsi presente.  E il modo in cui è tornato a farsi presente, sotto forma di quelle nuove suggestive amicizie culminate in interminabili conversazioni notturne, lo scrittore lo spiega nelle ultime pagine di un altro suo libro, Prima che faccia notte (9):
     Quanto a Dio, dobbiamo ricordare che l'anima è solo una cavità che egli riempie. Non è forse vero - domanda Lewis - che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che aveva almeno qualche sentore di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita e che cercate sempre di trovare, sotto il flusso di altri desideri e in tutti i temporanei silenzi tra le altre passioni più forti, notte e giorno, anno dopo anno, fino alla vecchiaia?... Se questa cosa dovesse finalmente manifestarsi - se mai dovesse sentirsi un'eco che non si spegnesse subito ma si espandesse nel suono stesso - voi lo sapreste. Al di là di ogni dubbio possibile direste: "Ecco finalmente quella cosa per cui sono stato creato". Non possiamo parlarne gli uni agli altri.  E’ la firma segreta di ogni anima, l'incomunicabile e implacabile bisogno”.  Quello che voi agognate vi invita a uscire da voi stessi. Questa è la legge suprema - il seme muore per vivere . L'"io" esiste perché possa abdicare; e, con questa abdicazione, esso diventa più veramente "io". (10)     
     
Questo aprirsi agli altri, questa abdicazione dell’io – con tutte le sue fatiche e resistenze -  è testimoniata come forse meglio non si potrebbe dalla vita stessa di Clive Staples Lewis. In fondo egli non cercò altro che il riflesso negli altri di quel qualcosa che desideriamo fin dalla nascita e cerchiamo sempre di trovare.  Un fine ultimo che non è possibile sperare di raggiungere senza passare dall’altro che è fuori di me, da quello che evangelicamente è il prossimo.
Lewis lo spiega in modo paradigmatico in una splendida pagina de Il cristianesimo così com’è:

     Posso ripetere “fa’ agli altri ciò che vuoi sia fatto a te” fino a rompermi le corde vocali, ma non riuscirò ad agire così finché non amerò il mio prossimo come me stesso; e non posso imparare ad amare il prossimo come me stesso se non imparo ad amare Dio; e non posso imparare ad amare Dio se non imparo ad obbedirGli.  Sicché, come vi avevo avvertito, siamo sospinti verso qualcosa di più intimo – dalle questioni sociali alle questioni religiose.  Perché la via più lunga è la più breve per arrivare in porto. (11) 


(segue -4./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

       
9.     Prima che faccia notte, che raccoglie scritti inediti di C. S. Lewis, a cura di E.Rialti, con prefazione di T.Howard,  è pubblicato in Italia da BUR, Milano, 2005.
10.     Prima che faccia notte, op.cit. pag. 127
11.      Il Cristianesimo così com’è, op. cit. pag. 118.

19/11/13

(Dieci grandi anime) - 3. Clive Staples Lewis (3)





(Dieci grandi anime) - 3Clive Staples Lewis (3)    

In effetti anche la ricerca di Clive Lewis riguardo la fede sembra oscillare, umanamente tra gli opposti di una fede radicalmente – e razionalmente – vissuta come vera, e i dolori di una ‘assenza’ di Dio che viene avvertita nelle notti buie del dolore.
Quel vestibolo, descritto prima, può sembrare anche un luogo molto molto oscuro.
Anni fa -  scrive in Diario di un dolore - dopo la morte di un amico, la certezza che la sua vita continuava, che anzi continuava su un piano più alto, fu per qualche tempo una sensazione nettissima.   Ho supplicato che mi venga data anche solo la centesima parte di quella assicurazione per H. (è Joy, la moglie scomparsa ndA) . Non c’è risposta.  Solo la porta sbarrata, la cortina di ferro, il vuoto, lo zero assoluto.  “Chi chiede non ottiene.” Sono stato uno sciocco a chiedere. Perché ora, anche se quella assicurazione venisse, ne diffiderei. La crederei un’autoipnosi indotta dalle mie preghiere. (6)

Ma più avanti, nello stesso testo, nel vestibolo compare una parvenza di luce, e la porta non è più così sbarrata.
Quando pongo queste domande davanti a Dio, non ricevo nessuna risposta. Ma è un “nessuna risposta” di tipo speciale.  Non è la porta sprangata.  Assomiglia piuttosto a un lungo sguardo silenzioso, e tutt’altro che indifferente. Come se Lui scuotesse il capo non in segno di rifiuto, ma per accantonare la domanda.  Come a dire “ Zitto, bimbo; tu non capisci. “ (7)

Il problema è sempre nella risposta, come si vede. Nell’elaborazione dei pensieri  anche contraddittori – è facile per ognuno che abbia vissuto il lutto di una persona cara, riconoscersi – nel flusso di sentimenti contrastanti, c’è anche spazio per una sintesi di grandiosa efficacia.
Una risposta, fin troppo facile, è che Dio sembra assente nel momento del nostro maggior bisogno appunto perché non esiste. Ma allora perché sembra così presente quando noi, per dirla con franchezza, non Lo cerchiamo? (8)
Parole che parlano – a cuore aperto – della vita vissuta da Clive Staples Lewis.

Probabilmente, a quel che egli stesso racconta nella sua autobiografia, anche Lewis era giunto ad archiviare la ‘pratica Dio’ quando, dopo aver abbandonato la fede cristiana, inizia ad insegnare Lingua e Letteratura Inglese alla prestigiosa università di Oxford (dove eserciterà per ben ventinove anni) . L’impegno accademico lo assorbe completamente.  C’è meno tempo adesso, per pensare alle questioni ultime, e forse è un bene così.  Si dedica invece con dedizione allo studio dei miti, compone poemi in versi ispirati alle leggende arcaiche e alle tradizioni nordiche.


Ma ecco che la questione ritorna. E ritorna sotto forma di una amicizia. John Ronald Reuel Tolkien, il futuro autore de Il Signore degli anelli e di Silmarillion  ha sei anni più di Lewis.  Anche Tolkien ha perso prematuramente la madre, a soli dodici anni.  Anche la famiglia di Tolkien ha radici cristiane, anche se cattoliche. Anche Tolkien ha combattuto nella Grande Guerra, in prima linea sul fronte occidentale.  E come lui, condivide un profondo interesse per la mitologia e insegna ad Oxford.  Una specie di gemello, o di fratello maggiore, per Lewis. Ed è forse proprio questa somiglianza a suscitargli una certa diffidenza. Scrive ironicamente  in Surprised of joy:  Alla mia venuta in questo mondo mi avevano (tacitamente) avvertito di non fidarmi mai di un papista, e (apertamente) al mio arrivo nella facoltà di inglese di non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era l'uno e l'altro.

(segue -3./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

       
6.     Diario di un dolore, op.cit. pag.14.
7.     Diario di un dolore, op.cit. pag.78.
8.     Diario di un dolore, op.cit. pag. 13.

17/11/13

Dieci grandi anime - 3. C.S.Lewis (1)



     
 (Dieci grandi anime) - 3Clive Staples Lewis (1)    


     3Clive Staples Lewis


Credo sia difficile trovare una vita più esemplare di quella di Clive Staples Lewis, come appare dal resoconto che egli stesso ne ha fatto e dal racconto dei molti biografi - tutta giocata sulla drammatica dicotomia gioia-dolore.  In effetti la vicenda umana del grande scrittore irlandese si può riassumere semplicemente in questi due estremi e in un confine poco ampio  tra queste due parole. 

Sorpreso dalla gioia si chiama l’autobiografia scritta e pubblicata da Lewis nel 1955. (1)  Il titolo non è casuale. Da molti anni, prima di quella data, lo scrittore ha usato quella parola – joy – per descrivere il fine della ricerca con l’assoluto, con Dio.   Joy è quel sentimento indescrivibile  indistinto intorno a cui tutta l’opera di Lewis sembra ruotare, che comincia ad affascinare lo scrittore quando egli è poco più di un ragazzo. All’inizio è semplicemente il piacere fisico che deriva dalla lettura delle grandi saghe, dei miti del nord,  delle opere di John Donne e di Milton.  Poi si trasforma in un misto di amore per la natura, fascino per il mistero e l’insondabile, propensione a conoscere e svelare gli arcani che si celano dietro un destino, respiro di un disegno divino dietro l’apparenza delle cose.   Questa gioia prenderà, durante la vita di Lewis strade diverse e apparentemente contraddittorie: a soli 15 anni abbandona la fede cristiana con motivazioni molto dettagliate, espresse proprio nella autobiografia.  E’ un distacco dalle stesse radici famigliari:  il padre, Albert James Lewis era un avvocato con ascendenze gallesi, cattolico; la madre, Flora Augusta Hamilton veniva da una famiglia molto religiosa, suo padre era un pastore protestante. Sembrerebbe un distacco definitivo.

Ma nel 1931 Lewis fa ritorno al cristianesimo con una profonda conversione (nelle pagine autobiografiche di quel periodo c’è la descrizione ancora più circostanziata di quello spirito di gioia) e l’adesione alla chiesa anglicana, alla vigilia della esplosione di un successo letterario enorme, che farà di lui uno degli autori più popolari di lingua inglese nel periodo a cavallo della seconda guerra mondiale.

Quella parola – joy – ha però in serbo altre sorprese per lui: si presenta infatti, molti anni più tardi, quando ormai è uno scrittore celebre, sotto forma di un nome proprio, di una persona che sconvolgerà la vita di Lewis.  Un incontro fatale maturato dapprima attraverso una corrispondenza: comincia a scrivergli, alla fine del 1950, una donna americana, poetessa dilettante, che si dichiara appassionata lettrice delle sue opere. Si chiama Helen Joy Davidman-Greshman, ha trentasette anni, un marito con il quale non va più d’accordo, e due figli.  Si è convertita da poco al cristianesimo grazie anche alla profonda impressione che le ha suscitato la lettura dei libri di Lewis. Forse anche nella speranza di incontrare e conoscere lo scrittore, si trasferisce nel 1953 In Inghilterra, a Londra, insieme ai figli, dopo aver concordato un periodo di separazione dal marito, che si concluderà con la concessione del divorzio, nello stesso anno.    Joy e Lewis cominciano a scriversi lettere dapprima formali, e che riguardano soprattutto i romanzi dello scrittore. Poi, entrano sempre più in confidenza, decidono di incontrarsi. Scoppia, imprevedibilmente  (Clive ha all’epoca cinquantacinque anni) l’amore.  I due si sposano dapprima civilmente – per permettere alla donna il rinnovo del permesso di soggiorno che le è stato negato dalle autorità inglesi - nel 1956, e l’anno seguente anche con rito religioso.

Clive Lewis scriverà nella sua autobiografia che questa singolare circostanza di chiamarsi Joy – proprio come la qualità spirituale che aveva cercato per tutta la vita -   avrà un peso particolare,  nel racconto di questa storia.

Una favola ?  
Non proprio, perché – come dicevamo all’inizio – la vita di Clive Staples Lewis è un continuo ondeggiare tra gioia e dolore.  Il dolore, anzi, sembra seguire quest’uomo, questo scrittore affermato, come un’ombra fedele durante tutta la sua vita.   Al dolore – anzi – finirà per dedicare un testo capitale (2).


Il dolore gli si presenta subito, il 23 agosto del 1908 – il piccolo Clive ha dieci anni -  quando muore la madre. E’ una perdita disperante, per un bambino dalla straripante immaginazione. E’ stata proprio l’adorata madre, Flora, ad iniziarlo all’amore per i romanzi e la letteratura. Il resto l’ha fatto il trasloco, al seguito del padre, nella nuova casa, un nuovo elegante ed enorme cottage immerso nella campagna – chiamato nel libro di memorie, Little Lea -  e la lettura dei libri di Beatrix Potter (l’inventrice di Peter Coniglio), di Mark Twain e di Edith Nesbit. La morte della madre cambia completamente il quadro di una infanzia felice e fantasiosa. Clive, insieme al fratello Warner (Warnie) più grande di tre anni, finisce al seguito di diversi tutori, scelti dal padre per proseguire lo studio delle lingue classiche, poi nel campo di concentramento -   così le definisce Lewis nella sua autobiografia – di severe scuole inglesi, infine al fronte, in guerra, dove gli capita anche, nel 1918,  di veder morire il suo migliore amico, Paddy Moore, e di essere a propria volta ferito, prima di essere ricoverato a lungo in ospedale e ammalarsi di depressione.

(segue -1./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 


1.      Surprised by Joy: The Shape of my Early Life è edito in Italia da Jaca Book, Milano, 1981, con il titolo Sorpreso dalla Gioia.

2.     A Grief Observed, pubblicato da Clive Staples Lewis con lo pseudonimo di N.W.Clerk nel 1961, è edito in Italia da Adelphi con il titolo Diario di un dolore, Milano 1990, traduzione di Anna Ravano.