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12/04/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 11. "Quarto Potere" ("Citizen Kane") di Orson Welles (1941)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 11. "Quarto Potere" (Citizen Kane) di Orson Welles (1941)

Quarto potere (Citizen Kane) non è soltanto un capolavoro assoluto della storia del cinema, ma anche una formulazione esaustiva del puro talento artistico: basti pensare che fu scritto, diretto, prodotto e interpretato, nel 1941 da Orson Welles, che all'epoca aveva solo 25 anni ed era alla sua opera prima, al suo primo lungometraggio, una cosa che lascia allibiti e che specie oggi è difficilmente immaginabile. 

La cosa che lascia sbigottiti ancora oggi non sono soltanto il talento visionario e la straordinaria padronanza tecnica del giovane Welles, ma anche le formidabili implicazioni di un'opera che ancora oggi affascina, inquieta, suscita domande senza risposta, e che rappresenta una delle più profonde meditazioni sulla natura umana, sul rapporto tra potere e informazione, sulla politica e sulla incapacità d'amare. 

Per realizzarlo, Welles si ispirò alla biografia del magnate dell'industria del legno e dell'editoria William Randolph Hearst, che il regista ribattezzò Charles Foster Kane (interpretato dallo stesso Welles).

Attraverso una incredibile - per l'epoca, e primo esempio assoluto - struttura narrativa che analizza la figura di Kane attraverso cinque racconti e cinque prospettive diverse, con continui flashback e inserti, Welles ricostruisce la vita del magnate, la sua solitudine nella  gigantesca residenza dove abita (Xanadu, nella versione italiana Candalù), incapace di amare veramente  qualcuno o qualcosa che non sia il potere, e dove muore abbandonato da tutti.

Jorge Luis Borges definì il maestoso affresco come un "giallo metafisico", e tale in realtà è, perché Citizen Kane, alla stregua di un moderno biopic, mostra e approfondisce la figura e la vita di Kane, senza mai arrivare a conclusioni definitive, anche perché il nucleo fondativo della sua personalità - si scopre lungo la narrazione - è rappresentato da un enigmatico trauma infantile: l'allontanamento dai suoi genitori, fortemente voluto dalla madre allo scopo di affidarlo alla tutela di un uomo d'affari, incaricato di amministrare la sua smisurata eredità. 

Lo spettatore scopre così che Kane, giovanissimo erede di una colossale fortuna, è stato letteralmente strappato al suo mondo d'infanzia, elaborando nel suo mondo interiore una concezione dell'amore come possesso, come proprietà, come merce. 

Ribelle, direttore straordinario, megalomane, marito arido di sentimenti, padrone ferocemente eccentrico, pazzo: Kane è tutto questo, ma il suo mistero, collegato al vaneggiamento che ruota intorno ad una parola ("Rosebud" in inglese, "Rosabella" in italiano), verrà svelato solo molto parzialmente in una memorabile scena finale. 

Quella parola che Kane aveva pronunciato al termine di una terribile scena in cui il magnate distrugge la camera da letto della moglie Susan sotto gli occhi di lei, fermandosi solo quando il suo sguardo si fissa su una boule à neige, una palla di vetro con la neve.

Geniale decostruzione del Sogno Americano, Quarto Potere, il film fu un clamoroso fiasco al botteghino, e fortemente boicottato dai media e dai giornali che erano in mano al vero Hearst, e vinse incredibilmente una sola statuetta nella corsa agli Oscar (nonostante 9 candidature): quella minore per la sceneggiatura.

Il film, però, a partire dal dopoguerra, si prese una grande rivincita, lanciata soprattutto dalla critica europea, divenendo in breve tempo un punto di riferimento assoluto, essendo considerato uno dei migliori film in assoluto della storia del cinema.

Fabrizio Falconi