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14/11/23

"Belfast": il film perfetto di Kenneth Branagh


Con "Belfast"[2021], Kenneth Branagh ha realizzato il suo film perfetto.

Tornando alle radici della sua infanzia, Branagh - che ha scritto, da solo, la sceneggiatura - canta il dolore di una terra martoriata, la terra nella quale è nato e cresciuto (Belfast, l'Irlanda del Nord) e che, insieme alla sua famiglia, protestante, è stato costretto ad abbandonare.
Pur di culto protestante, infatti, i genitori e i nonni paterni del piccolo Buddy (la sua famiglia, insieme a un fratello di poco più grande), sono del tutto moderati, convivono e vorrebbero continuare a convivere normalmente con le altre famiglie cattoliche del quartiere, non nutrono verso di esse alcuna animosità, e anzi non capiscono nulla dell'odio feroce che altri manifestano, e che richiederebbero anche a loro di dimostrare.
Il padre di Buddy, per lo più, lavora come operaio in Inghilterra. La madre è quasi sempre sola con i due figli, e con gli anziani suoceri.
Tutto qui. Non è nemmeno un vero Bildungsroman, "Belfast", perché l'azione raccontata si svolge in pochi mesi, dall'agosto al natale 1969, il termine entro il quale, mentre la violenza monta ogni giorno, la famiglia deve prendere una decisione: partire o restare.
Il film è pura poesia ma è anche racconto crudo. I caratteri sono appena accennati, quello che basta, quello che serve a capire tutto. La prospettiva della storia è interamente vista dagli occhi del decenne Buddy (un piccolo attore veramente straordinario, di talento recitativo superbo, Jude Hill), che impersona il bambino che fu Branagh, sulla scia di personaggi simili, protagonisti di film che ricordano questo, "La mia vita a quattro zampe" di Lasse Hallstrom, "Kolya", di Zdenek Zverak, "Papà è in viaggio d'affari", il capolavoro con cui Kusturica vinse la Palma d'Oro a Cannes nel 1985.
Il bambino Buddy è anche qui, come i suoi predecessori, davanti all'incomprensibile. Deve, come dice Mallarmé, "abdicare alla sua estasi", per qualcosa che è più grande di lui e che sfuggendo alla logica (anche di adulti come i suoi genitori), rischia di travolgerlo.
Buddy è chiamato a elaborare in fretta un doloroso, lacerante distacco, da un mondo che ama e che non ha alcuna voglia di abbandonare.
Il grande "pregio" di "Belfast" è di dire questo con disarmante semplicità e perfetto equilibrio, senza nessuna concessione, compiacimento, giro in tondo, eccessive lungaggini.
In poco meno di 2 stringate ore, si racconta tutto quel che si deve, accompagnati dalla voce del grande cantore di quella terra, Van Morrison e dal magnifico bianco e nero di Harris Zambarloukos, che restituisce la luce e le ombre della città, circondata dal mare gelido, col suo pulsante cuore industriale.
"Belfast" è il prodigio di un racconto e al tempo stesso, il compendio delle emozioni percepite da un cuore umano messo alla prova dell'abbandono.
Completano il cast Jamie Dornan, Ciaràn Hinds, Caìtriona Balfe (che per questo film ha vinto molti premi), tutti attori di reali origini nordirlandesi, e Judi Dench, per la quale è difficile trovare ormai aggettivi, una gigantesca attrice capace di recitare anche soltanto muovendo impercettibilmente un labbro o lasciando che il velo della malinconia cali con estrema dolcezza sui suoi occhi di vecchia.

Fabrizio Falconi - 2023

06/09/23

Perché Oppenheimer è un grandissimo film, anzi, un "capolavoro"?


Perché Oppenheimer di Christopher Nolan è un grandissimo film per il quale si può scomodare l'abusatissimo termine "capolavoro"?

Perché è un film difficilissimo (trama, dialoghi intricatissimi) e allo stesso tempo perfettamente apprezzabile anche da chi non sa o capisce un acca di fisica, di quanti di luce, di fissione nucleare.
Eppure il film, ossessivamente dialogato per 180 continui minuti, potrebbe essere assai ostico: non ci sono effettacci di sceneggiatura o politically correct, che piacciono tanto al cinema contemporaneo; non ci sono eccentricità buttate a caso, c'è pochissimo sesso, la grande parte del film si svolge in asfittiche aule di oscure commissioni governative e non; si parla molto di scienza e di fatti accaduti 80 anni fa; c'è al centro un fisico vagamente antisociale, poco conosciuto, fino a ieri, dalla gente che di solito guarda fiction; c'è una colonna pervasiva, che come una creatura vivente segue lo sviluppo del film, di ogni suo passaggio, nessuno escluso, anche qui con piglio ossessivo; non ci sono toni consolatori o retorici, il mood generale è invece un tono dolente, disarmato, sconfitto.
Eppure..
Eppure è un film rapidamente diventato fenomeno di massa. Com'è possibile?
E' possibile perché è grande cinema. E il cinema, quando è grande, travalica ogni gusto personale, ogni pregiudizio, ogni linguaggio specifico, come la grande musica.
In un certo senso, poi, Oppenheimer, è il trionfo del cinema britannico, che oggi e da parecchi anni, è ormai la Superpotenza del cinema mondiale.
Britannico è il regista Christopher Nolan (di cui ho amato grandemente Interstellar, soprattutto), britannico è in gran parte l'incredibile cast allestito per questo film, dove anche il più umile dei partecipanti (anche con una o due scene in tutto), è un grande, grande attore, proveniente dalla infinita scuola di talenti britannica. Così, per un cinefilo, il godimento è doppio, perché si gode vedendo sfilare questa galleria di attori straordinari:
- Cillian Murphy è il protagonista, da Oscar (sarebbe meritato): un talento irlandese ormai globale, definitivamente affermatosi con Peaky Blinders, che regala al fisico Oppenheimer credibilità, sguardo allucinato, toni di tormento e sconfitta, fallimento, persecuzione.
- Florence Pugh è l'attrice inglese rivelatasi ormai da anni, che interpreta la tormentata, carnale, psichiatra comunista Jean Tatlock, ex amante di O.
- Emily Blunt è l'attrice britannica che impersona la moglie di Oppenheimer, Kitty
- il grande Robert Downey Jr. interpreta il cattivo Lewis Strauss, membro della commissione per l'energia atomica americana, nemico di O. La sua prova è straordinaria. Mi auguro vivamente che l'Oscar 2023 gli venga assegnato, perché lo stramerita, come attore non protagonista.
- Kenneth Branagh è un altro mostro sacro del teatro e del cinema britannico che qui interpreta il grande fisico Niels Bohr.
- il grande Matthew Modine, quasi irriconoscibile, invecchiato, il glorioso protagonista di Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, è un alto burocrate, dalla parte di O.
- L'ormai indefinibile (sono finiti gli aggettivi) britannico, Gary Oldman (forse il più grande attore maschile vivente) con una sola scena, dà corpo e anima al 33mo presidente americano Harry Truman.
- lo scozzese Tom Conti (vincitore di ogni possibile premio teatrale tra cui il Tony Award e il Laurence Olivier Award) è Albert Einstein.
- Dane De Haan uno degli attori migliori delle nuove generazioni, già visto in moltissime serie e film, è l'infido generale Nichols, uno dei persecutori di O.
- Rami Malek, il Freddy Mercury di "Bohemian Rhapsody" è David Hill, colui che riuscirà a incastrare Strauss.
- Casey Affleck (fratello di Ben e straordinario talento) è Boris Pash, capo dei servizi segreti dell'esercito
- Matt Damon è come sempre perfetto nel ruolo del generale Leslie Groves, il costruttore e fondatore del centro di ricerche di Los Alamos, dove verrà costruita la prima bomba atomica della storia.
Insomma, il catalogo è questo.

Sì, il film dura 3 ore, ma per una volta non ci si annoia neanche per un istante.
Si esce anzi dalla sala piuttosto grati: sentirsi raccontare una storia, oggi, e una grande storia, e raccontata con stile sobrio, classe e profondità, è un regalo di cui essere grati.
(consiglio, se si vuol leggere poi il parere di un vero addetto ai lavori, di recuperare la recensione di Roberto Escobar, forse il miglior critico in giro in Italia attualmente, sul Domenicale del Sole 24 ore, uscito il 2 settembre, che dà al film 5 stelle, sulle cinque disponibili - e non è un punteggio che Escobar conferisce frequentemente).

Fabrizio Falconi - 2023

26/02/23

"Atonement" ("Espiazione") - Un film da vedere o rivedere, per le vostre serate.


Atonement ("Espiazione"
)
attualmente visibile su Amazon Prime Video senza costi aggiuntivi, è un film che merita di essere visto o rivisto per tanti motivi.

E' tratto dall'omonimo romanzo di Ian Mc Ewan, sicuramente quello di maggiore successo (ma a mio avviso non il migliore: per me McEwan ha espresso il meglio con i romanzi precedenti a Bambini nel Tempo, quest'ultimo compreso, che resta il suo capolavoro).
La vicenda nasce alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale: per via della fantasia morbosa di una adolescente - Briony - che ha velleità di scrittrice, il figlio di una vedova che lavora alle dipendenze di una famiglia aristocratica con magione in campagna, viene ingiustamente accusato di aver violentato una ragazzina.
Dopo la prigione, la sua Espiazione si concretizza nella partenza per il fronte dove Robbie - questo il nome del ragazzo - si trova, come migliaia di altri soldati inglesi, imprigionato nell'inferno di Dunkirk (o Dunkerque).
L'accusa infamante ha interrotto sul nascere la storia d'amore con Cecilia - la bellissima sorella maggiore di Briony - che rompe con tutta la famiglia (e con la sorella of course) e aspetta il ritorno dell'amato.
Il film è spettacolare ed è la miglior prova di Joe Wright, talentuoso regista inglese che dopo la terna di film con Keira Knightley protagonista (oltre a questo, "Orgoglio e pregiudizio" e "Anna Karenina"), si è perso per strada, con film brutti o non riusciti.
Atonement è però straordinario per impegno produttivo, per le scene girate, e per gli attori che vi partecipano.
Da ricordare - ed è già materia di insegnamento nelle scuole di cinema - l'incredibile piano sequenza di ben 5 minuti, sulla spiaggia di Dunkirk con centinaia e centinaia di comparse, cavalli, rovine, carri armati e la macchina da presa che serpeggia tra di loro sinuosamente, senza mai fermarsi: un vero e proprio prodigio.
Keira Knitghley è al massimo del suo splendore, e nella prima parte del film emana potente fascino erotico e sentimento.
Il cast è completato dal meglio del cinema inglese: James Mc Avoy è Robbie, la qui giovanissima Saoirse Ronan è Briony, Brenda Blethyn è la madre di Robbie, Benedict Cumberbatch è l'infame Marshall.
Standing ovation infine, per la mitologica Vanessa Redgrave, che regala un monologo finale di una decina di minuti, da portare sull'isola deserta.

Fabrizio Falconi - 2023

08/07/22

L'incredibile morte di Natasha Richardson, figlia di Vanessa Redgrave e moglie di Liam Neeson


Fu veramente incredibile la morte di Natasha Richardson, figlia dell’attrice Vanessa Redgrave e del regista Tony Richardson e moglie molto amata di Liam Neeson.

Aveva solo quarantacinque anni, ed era una delle più brave della sua generazione, quando il suo cuore si fermò per un incidente assurdo.
Natasha era nata l’11 maggio del 1963 e aveva già interpretato molti film quando sposò l'attore britannico nel 1994 e dalla loro unione nacquero Micheál e Daniel.
Le circostanze dell'incidente che le tolse la vita sono difficili da credere.
Il 16 marzo del 2009, mentre era in vacanza in Canada a Mont-Tremblant, Natasha Richardson ebbe un banalissimo incidente sugli sci. In realtà Natasha era una principiante, era accompagnata nella circostanza da un istruttore e scivolò praticamente da ferma.
Rialzatasi, le sue condizioni apparvero buone, senza nessuna ferita alla testa, tant’è che l’attrice scherzava sul capitombolo. Evidentemente però, nella caduta, sbatté la testa su un sasso affiorante o nascosto dalla neve.
Rientrata in albergo, cominciò ad avvertire fortissime emicranie. Fu dapprima accompagnata in un ospedale locale e a seguito dell’aggravarsi delle sue condizioni, al Sacre-Coeur Hospital di Montreal insieme al marito Liam che l’aveva raggiunta essendo impegnato proprio a Montreal sul set del thriller Chloe.
Purtroppo la situazione non accennò a migliorare e quando venne dichiarata la morte cerebrale per un’emorragia cerebrale dovuta alla caduta, Liam decise di farla trasportare al Lennox Hill Hospital di New York su un volo privato, perché la sua famiglia potesse salutarla. Due giorni dopo l’incidente sugli sci, Liam fu costretto a prendere la difficile decisione di staccarla dal supporto artificiale che la teneva in vita e i suoi organi furono donati.
"Il dottore mi ha mostrato la sua radiografia," raccontò Neeson in seguito, "Non c’era bisogno di essere uno scienziato per capire cosa stava succedendo. Il cervello era schiacciato contro il lato del cranio, mentre il sangue si disperdeva. Mi avevano detto che era cerebralmente morta. Era attaccata ad un supporto vitale. Sono andato da lei e le ho detto che l’amavo. Le dissi: ‘Tesoro, non ti riprenderai da questo. Hai battuto la testa. Non so se puoi sentirmi, ma questo è…questo è quello che è successo. E ti riporteremo a New York. Tutta la tua famiglia e i tuoi amici verranno"
Neeson ha rivelato, nel corso degli anni, che gli era capitato di affrontare con sua moglie il discorso di quale decisione prendere nel caso ad uno dei due si fosse ritrovato in uno stato vegetativo.
"Quando l’ho vista con tutti quei tubi, è stato il mio pensiero immediato. Mi sono detto ‘Ok, questi tubi devono essere tolti. Se n’è andata’. Ma ha donato tre dei suoi organi, il suo cuore, i suoi reni e il suo fegato, quindi sta tenendo in vita tre persone."

Fabrizio Falconi - 2022

18/02/22

Dopo 50 anni l'enorme attualità di "Arancia Meccanica" - Le questioni etiche, la violenza, il libero arbitrio

 


Di un capolavoro assoluto del cinema, come Arancia Meccanica (A Clockwork Orange), girato nel 1971 da Stanley Kubrick, non si finisce mai di parlare. 

Pochi altri film posseggono un alone leggendario come questo, e contengono implicazioni etiche sulla violenza e il libero arbitrio che lo rendono eternamente contemporaneo. 

In una recente intervista di Mariolina Venezia per Io-Donna/Corriere della Sera, è tornato a parlare l'indimenticabile protagonista Malcolm Mc Dowell, oggi ottantenne, che vive a Ojai in California, con i suoi 3 figli adolescenti (ne ha 5 in totale), che è tornato a raccontare curiosità riguardo le mitiche riprese di quel film che lo vide, a 25 anni, protagonista.

Fra l'altro Arancia Meccanica fu di gran lunga il film girato più rapidamente da Kubrick che, come è noto, trasformava i suoi set in estenuanti prove di resistenza (con l'apice toccato per Eyes Wide Shut, la cui produzione si è protratta praticamente per un intero decennio). 

Quel film fu invece realizzato in pochi mesi e Kubrick andò dritto all'obiettivo di trasformare il romanzo da cui film era stato tratto, scritto da Anthony Burgess in un apologo sulla libertà e sul libero arbitrio trascinato fino alle sue estreme conseguenze.

A parte le diatribe personali avute dopo l'uscita del film da Mc Dowell con Kubrick - l'attore ancora in questa ultima intervista sostiene di essere stato "truffato" da Kubrick che non gli riconobbe la percentuale sui diritti d'autore che gli aveva promesso prima di iniziare a girare (ragione per cui McDowell riesce nel corso dell'intervista ad avere parole più entusiaste per Lindsay Anderson, di cui fu protagonista del celebre If, piuttosto che per Kubrick)  - Malcolm - sullo schermo il fantastico e terribile Alex, capo dei drughi, ha ricordato l'ossessione di Kubrick per il tema del film che culminò nella maniacale cura con cui furono girate le scene della famosa "Cura Ludovico". Mc Dowell racconta che a causa di quei divaricatori oculari e del numero altissimo di ciak, rischiò anche dei seri danni all'occhio. 

Dal punto di vista dei contenuti, uno degli obiettivi del film che stava a cuore a Kubrick è il comportamentismo (psicologia comportamentale) sostenuto dagli psicologi John B. Watson e BF Skinner. Burgess disapprovava il comportamentismo, definendo uno dei libri più famosi sull'argomento scritto da uno dei più noti comportamentisti BF Skinner, Beyond Freedom and Dignity, pubblicato nel 1971, "uno dei più pericolosi mai scritti".

Sebbene i limiti del comportamentismo siano stati dichiarati dal suo principale fondatore JB Watson, Skinner affermava che la modifica del comportamento, in particolare il condizionamento operante (condizionamento che viene effettuato tramite tecniche alternate di ricompensa/punizione), più del "classico" condizionamento Watsoniano , è la chiave per un società ideale

Una tesi quantomeno inquietante. 

La Cura Ludovico nel film è ampiamente vista come una parodia della terapia dell'avversione più del classico, normale condizionamento

Mostrando il "riabilitato" Alex che rifiuta sia il sesso che la violenza, il film suggerisce che privandolo delle sue capacità di badare a se stesso, il condizionamento mentale di Alex attraverso la Tecnica Ludovico sta disumanizzando i suoi autori, proprio come gli atti di violenza di Alex nella prima parte del film avevano finito per disumanizzare lui.  

Fra l'altro, la tecnica che tende a condizionare Alex ad avere reazioni di sofferenza fisica di fronte alla violenza è simile al progetto MKUltra che era stato sviluppato dalla CIA negli anni '50

Secondo alcuni, la tecnica Ludovico può essere paragonata alle tecniche esistenti e moderne di castrazione chimica, rendendo la materia del film strettamente contemporanea.

Inoltre, il film permette di “porre lo spettatore di fronte alle sue pulsioni tabù” e quindi di considerare il cervello come un “covo di follia”. 

La società ritratta nel film, caratterizzata da crisi sociale e deriva totalitaria, fu accomunata secondo alcuni a un tipo di struttura comunista, per le evocazioni della cultura russa, come lo slang adolescenziale, creato da Burgess traendo ispirazione dal vocabolario russo, o affreschi di operai in stile Propaganda realista socialista sovietica , deturpata da disegni osceni, che si trovano sia nel film che nel romanzo. 

Tuttavia, nella lunga e storica intervista rilasciata a Michel Ciment, Kubrick rispose, alla domanda sull'esatta natura della società descritta, che essa rimane volutamente ambigua. Kubrick riconosce di fare paragoni nel film tra la destra e la sinistra e sente che c'è poca differenza tra i due: "Il ministro, interpretato da Anthony Sharp , è chiaramente una figura di destra. Lo scrittore, interpretato da Patrick Magee, è un pazzo di sinistra. Differiscono solo nei loro dogmi. Il loro modo di fare e gli obiettivi finali sono quasi gli stessi."  

Una metafora potentissima del potere di ogni tipo e grado e ideale, che ancora oggi turba e affascina. E che esprime il pessimismo di Kubrick e la potenza filosofica dei film che ci ha lasciato.

Fabrizio Falconi - 2022  

02/09/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 71. "Il servo" ("The Servant") di Joseph Losey, 1963




Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 


100 film da salvare alla fine del mondo: 71. "Il servo" ("The Servant") di Joseph Losey, 1963 


The Servant è considerato a ragione il capolavoro che il grande Joseph Losey ha diretto nel 1963. Il film porta la prestigiosa firma di Harold Pinter, che adattò il romanzo di Robin Maugham del 1948. 

Il servo fu presentato per la prima volta al Warner Theatre di Londra il 14 novembre 1963 ed è la prima delle tre collaborazioni cinematografiche di Pinter con Losey, che includono anche Accident (1967) e The Go-Between (1971).

Il film mette in scena le relazioni tra quattro personaggi centrali alle prese con questioni relative alla classe sociale, servitù e noia delle classi superiori. 

Tony (James Fox) è un giovane londinese ricco che sta lavorando alla costruzione di nuove città in Brasile e si trasferisce nella sua nuova casa, assumendo Hugo Barrett (Dirk Bogarde) come suo servitore. 

Inizialmente, Barrett sembra accettare facilmente il suo nuovo lavoro, e lui e Tony formano un legame tranquillo, mantenendo i loro ruoli sociali. 

Le relazioni iniziano a cambiare, tuttavia, e cambiano con l'arrivo di Susan (Wendy Craig), la ragazza di Tony, che è sospettosa di Barrett e odia tutto ciò che rappresenta. Vuole che Tony licenzi Barrett, ma lui rifiuta.  

Proprio come il biblico Abramo fece due volte con sua moglie Sarah ( Genesi 12: 10-20 e Genesi 20: 1-18), Barrett porta allora la sua amante Vera (Sarah Miles), che presenta come sua sorella, nella casa di Tony come serva. 

Barrett convince Vera a sedurre Tony, così può controllarlo. 

Attraverso le manipolazioni di Barrett e Vera, le coppie invertono i ruoli; Tony diventa sempre più dissipato, sprofondando ulteriormente in quello che percepisce come il livello di Barrett e Vera; mentre Barrett diventa più arrogante e dominante; il padrone e il servo insomma si scambiano i ruoli. 

Nella scena finale, Tony è diventato completamente dipendente da Barrett, e Susan viene esiliata definitivamente dalla casa dal servo che voleva licenziare.

Un film elegante e ambiguo, perfetto ancora dopo quasi sessant'anni.

25/11/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 47. "Brazil" di Terry Gilliam (1985)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 47.  "Brazil" di Terry Gilliam (1985) 

Brazil è un film distopico di fantascienza del 1985 diretto dal grande Terry Gilliam e scritto dallo stesso Gilliam insieme a Charles McKeown e Tom Stoppard . 

Il film, interpretato da Jonathan Pryce, Robert De Niro, Kim Greist, Michael Palin, Katherine Helmond, Bob Hoskins e Ian Holm, è incentrato sulle vicende di Sam Lowry, un uomo che cerca di trovare una donna che appare nei suoi sogni mentre è dedito ad un lavoro alienante e vive in un piccolo appartamento, ambientato in un mondo fantastico in cui c'è una parossistica dipendenza da macchine mal mantenute (e piuttosto stravaganti). 

La satira del regime burocratico e totalitario in cui Lowry vive, ricorda il 1984 di George Orwell ed è stato chiamato Kafkaesque o assurdista  e solo un genio visionario come quello dell'ex Monty Phyton  Terry Gilliam, avrebbe potuto realizzarlo in questo modo. 

Il film prende il nome dal tema musicale ricorrente, "Aquarela do Brasil" di Ary Barroso, interpretato qui da Geoff Muldaur.  Sebbene abbia avuto successo in Europa, il film non ha avuto successo nella sua prima uscita in Nord America. Ma, con il passare degli anni, è diventato a tutti gli effetti un  film cult, trasformandolo nelle valutazioni della critica, uno dei migliori film britannici di sempre. 

La trama del film è quantomai stravagante e ipnotizza lo spettatore in una rutilante giostra di visioni e incubi: Sam Lowry è un impiegato governativo di basso livello che sogna spesso se stesso come un guerriero alato che salva una damigella in pericolo . Una mosca viene inceppata in una stampante e crea un errore tipografico, con conseguente incarcerazione e morte accidentale durante l'interrogatorio del calzolaio Archibald Buttle, scambiato per errore con il sospetto terrorista Archibald Tuttle. A Sam viene assegnato il compito di correggere l'errore. 

Visitando la vedova di Buttle, Sam incontra il loro vicino Jill Layton, e si stupisce di scoprire che assomiglia alla donna dei suoi sogni ricorrenti. Jill ha cercato di aiutare la signora Buttle a stabilire cosa è successo a suo marito, ma i suoi sforzi sono stati ostacolati dalla burocrazia.  Ora è considerata complice terrorista di Tuttle per aver tentato di denunciare l'errore dell'arresto di Buttle. 

E così fino alla fine di questo film prodigioso e anche spettacolare, che conduce fino al finto "lieto fine" che si rivela in realtà un delirio: in realtà, Lowry è legato a una sedia ed è implicito che sia stato lobotomizzato con Sam che sorride, canticchiando " Aquarela do Brasil ".

Una cruda, dura metafora (che assume i tratti di una profezia) sul potere e sulla coercizione della tecnologia e della burocrazia, che riducono gli esseri umani in larve senza dignità e condannate alla solitudine. 

Un film che negli anni non ha perso nulla della sua forza dirompente e della sua pura qualità cinematografica.

Fabrizio Falconi

Brazil
di Terry Gilliam 
GBR-USA, 1985 
con Robert De Niro, Jonathan Pryce, Katherine Helmond, Bob Hoskins, Jim Broadbent. 
Durata 131 minuti. 




17/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 29. "The Hours" di Stephen Daldry (2002)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 29. "The Hours" di Stephen Daldry (2002) 


E' uno dei film migliori degli ultimi due decenni, The Hours diretto nel 2002 dall'inglese Stephen Daldry, basato sul romanzo omonimo di Michael Cunningham, che vinse il premio Pulitzer.

Nel film - come anche nel libro - si intrecciano le vicende di tre donne, in tre diversi momenti della nostra storia. 

Quella della scrittrice Virginia Woolf - il film inizia nel 1941, nel Sussex quando, dopo avere lasciato una lettera al marito Leonard in cui dice di non potere più combattere contro la depressione, ringraziandolo per la felicità che le ha dato, si suicida annegandosi nel fiume Ouse; quella di Laura Brown, una casalinga infelice che aspetta un bambino, nel 1951; quella di una editor bisessuale, Clarissa Vaughan, che sta preparando una festa per il suo ex-amante Richard che sta per morire di AIDS, nel 2001.

Le tre donne sono interpretate rispettivamente da Nicole Kidman, Julianne Moore e Meryl Streep. 

Il film dunque racconta una giornata vissuta da tre donne, nel 1923, nel 1951 e nel 2001.

In quel giorno del 1923 Virginia si è stabilita a Richmond, sperando che l'aria di campagna le faccia passare gli esaurimenti nervosi e il profondissimo disagio psichico con cui convive e quella mattina comincia a scrivere quello che diventerà uno dei suoi romanzi più famosi: La signora Dalloway. Virginia riceve la visita di sua sorella Vanessa e dei due figli maschi di lei, Quentin e Julian. Il disagio aumenta, Virginia tenta una fuga da casa e va alla stazione dei treni, ma viene raggiunta da Leonard, al quale spiega in un drammatico colloquio che non può più restare lì con lui e che  vorrebbe tornare a Londra. 

In quel giorno del 1951, a  Los Angeles invece, Laura Brown è una donna che vive col marito Dan e il figlio Richie. Laura è una donna infelice, e non vuole nemmeno avere il bambino che aspetta. Il marito la ama tanto, ma lei in fondo sa di non ricambiare il sentimento. L'unica cosa che la conforta è la lettura del romanzo La signora Dalloway. E proprio in quel giorno, che è il compleanno di Dan, e in cui perfino la torta che ha preparato non riesce bene, riceve la visita di Kitty, una vicina di casa che le rivela di dover essere operata per la rimozione di un tumore all'utero. E' il campanello d'allarme per  Laura che non riesce più a sopportare la sua vita e decide di suicidarsi nella camera di un albergo, senza riuscire a portare a termine il suo proposito. 

In quel giorno del 2001 a New York, infine, Clarissa saluta la sua fidanzata Sally e va a comprare i fiori per Richard, che la chiama ostinatamente "Signora Dalloway", suo ex amante ora malato di AIDS, che proprio quella sera riceverà un'onorificenza per il suo lavoro nel campo della letteratura. Richard, un premio che lui non ritiene di meritare. Nel pomeriggio Clarissa va da Richard, che confessa alla donna l'amore che ha sempre provato per lei, citando le parole che Virginia Woolf aveva scritto nella lettera d'addio per il marito, e finisce per gettarsi dalla finestra sotto gli occhi di lei.

Il film finisce come è iniziato, ovvero con il suicidio di Virginia nel 1941. Mentre si immerge si sente la voce di Virginia pronunciare le frasi finali del film, rivolte a Leonard: «Caro Leonard, guardare la vita in faccia, sempre; guardare la vita, sempre, riconoscerla per quello che è; alla fine, conoscerla, amarla per quello che è, e poi metterla da parte. Leonard, per sempre gli anni che abbiamo trascorso; per sempre gli anni; per sempre, l'amore; per sempre, le ore.»

E' un film meravigliosamente riuscito, scandito dalle superbe musiche di Philip Glass, che rappresentano un capolavoro nel capolavoro, impreziosito dalla interpretazione delle tre straordinarie attrici e dai loro comprimari. 

Un film sul dolore del vivere, sulla inquietudine interiore, sulla impossibilità di essere felici e di dimenticare il peso della morte, sulla forza invisibile della vita e degli affetti veri, dell'amore che cura e dell'amore che fallisce. 

The Hours è un film che non si dimentica e si rivede con le stesse emozioni della prima volta, lasciandosi avvolgere dall'intenso profumo di vita e di morte che vi si respira.

Moltissimi premi ricevuti in tutto il mondo, compresa la statuetta per la migliore attrice a Nicole Kidman, autrice di una prova al limite delle capacità interpretative, sotto un pesante trucco che le ha dato le sembianze della grande Virginia Woolf. 

Fabrizio Falconi





06/05/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 18. "Segreti e Bugie" ("Secret and Lies") di Mike Leigh



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 18. "Segreti e Bugie" ("Secret and Lies") di Mike Leigh 

E' uno straordinario dramma psicologico, quello messo in scena da Mike Leigh nel 1996 che gli è valso innumerevoli premi, tra cui la Palma d'Oro al Festival di Cannes.

Ed è uno di quei film che restano, che sono già classici, perché incarnano il senso più profondo dei sentimenti umani, ad ogni latitudine, con la freddezza formale di una tela di Vermeer e il calor bianco di un racconto di Maupassant. 

La vicenda raccontata è quella di Hortense, trentenne borghese, di colore,  di mestiere ottica, che alla morte dei genitori adottivi decide di scoprire chi sia la sua madre biologica. 

Scopriamo così che alla periferia di Londra vivono due fratelli, Cynthia e Maurice (fotografo, sposato ma  senza figli), che non si vedono da parecchio tempo. 

Cynthia ha con sé la figlia Roxanne e non ha simpatia per Monica, moglie di Maurice. 

Finalmente questi, che fa il fotografo, rompe gli indugi, va a trovare la sorella e la invita a casa sua per festeggiare tutti insieme il ventunesimo compleanno di Roxanne. 

E' in questo frangente che Cynthia viene contattata da Hortense, scoprendo così che è lei la figlia che ha dato in adozione subito dopo averla partorita a quindici anni. 

Le due donne si incontrano e, dopo i primi attimi di smarrimento (grande è la sorpresa di Hortense nel trovarsi di fronte questa donna bianca, sfiorita, sfiancata dalla vita), cominciano ad uscire insieme ed a ricreare le condizioni per costruire un rapporto affettuoso. 

Cynthia, felice per questo affetto ritrovato, chiede al fratello di poter portare una persona alla festa di compleanno, facendola passare per collega di lavoro. 

Arriva il giorno stabilito, e tutti si ritrovano a casa di Maurice e Monica. Dietro l'apparente allegria, si cela il nervosismo: Cynthia rivela che Hortense è sua figlia e, subito dopo, altre rivelazioni seguono tra i parenti presenti intorno al tavolo. 

Finalmente dalle tante bugie si passa alla verità, e Cynthia può tornare a casa propria, circondata da due figlie che cominciano a conoscersi e a stare insieme.  

Un dramma di grande tensione e di perfetto sviluppo che coinvolge totalmente lo spettatore chiedendogli di muoversi tra i rigidi, durissimi muri che molto spesso avvelenano le relazioni umane e i rapporti famigliari generando sofferenze psicologiche insostenibili. 

In realtà, ci dice Leigh, liberarsi di questi muri, esercitare il perdono, la comprensione, la compassione, l'empatia è ciò che di più difficile è richiesto oggi, e sicuramente però, ciò che ci rende davvero umani.

Arricchisce il film una straordinaria performance del cast, con una meravigliosa Brenda Blethyn su tutti (vincitrice di numerosi film), stimolati da Leigh, il quale ricorse all'espediente, durante la lavorazione, di rivelare a poco a poco agli attori, lo sviluppo delle vicende dei personaggi da loro interpretati, enfatizzando così ancor di più, sui loro volti, l'effetto sorpresa, che si dipana pienamente nella grandiosa scena finale. 

Fabrizio Falconi


Segreti e Bugie
Secrets & Lies
Regia Mike Leigh
Regno Unito 1996
Durata 142 min
con Brenda Blethyn, Timothy Spall, Phyllis Logan, Claire Rushbrook, Marianne Jean-Baptiste