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19/02/18

L'immensità della Cupola di San Pietro - i suoi numeri impressionanti.



Tutto è grandioso nella Cupola di San Pietro, creata dal genio di Michelangelo che per essa si ispirò alla Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze, derivandone una struttura a doppio guscio. 

Come si sa, Michelangelo diresse la costruzione di tutta la parte inferiore della Cupola fino al tamburo, che era quasi terminato, al momento della sua morte (1564). La cupola, dopo la morte del maestro rivestita di lastre di piombo, con l'interno a nervature, fu eretta in 22 mesi da Giacomo della Porta assistito da Domenico Fontana.  In altri 7 mesi infine fu completata la lanterna cuspidata. 

Diamo qualche cifra per intendere la maestosità dell'opera: la penna che tiene in mano S. Marco, in uno dei tondi di mosaico nei pennacchi della Cupola, è lunga circa 1 metro e mezzo.  La lanterna è alta più di 17 metri. 

Il diametro dei tondi con i 4 evangelisti è di 8 metri l'uno. 

Un'iscrizione latina, in mosaico su fondo dorato,  si svolge nel fregio della imponente trabeazione che gira tutto intorno alla chiesa; nel fregio della trabeazione all'imposta della cupola sono scritte le parole con le quali Gesù istituì la chiesa: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et tibi dabo claves regni caelorum.   

Da questo livello si eleva il tamburo con 16 finestre fra coppie di lesene che sorreggono il cornicione terminale, sopra cui si incurva la calotta. 

Questa è divisa da 16 costoloni fra i quali la decorazione a mosaico si svolge su 6 ordini. 

In cima, sopra i papi santificati e i dottori della Chiesa, seguono le figure sedute del Redentore, della Vergine, di San Giuseppe, del Battista e degli Apostoli, e infine ancora più in alto una teoria di angeli con vari simboli e i tondi con serafini. Nella Lanterna, sigilla l'immane costruzione, l'Eterno Padre benedicente. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata




06/02/18

Quando il Colosseo era un Chiesa. Una straordinaria foto dell'Ottocento.




In rarissime foto d'epoca, il Colosseo, il monumento di Roma più  celebrato, appare davvero in una veste insolita. 

Si tratta di scatti compiuti prima del 1874, quando il comune di Roma dispose la rimozione della Croce al centro dell'arena (ricoperta di terra chiara) e delle dodici edicole marmoree della Via Crucis disposte in tondo.

L'arena dei Gladiatori era dunque divenuta anch'essa un tempio cristiano, una chiesa ? Sì, e lo era da più di un secolo. 

Era stato infatti Papa Benedetto XIV, nel 1749, a disporre la Croce e le edicole, in memoria dei martiri cristiani trucidati nell'Arena eretta dall'imperatore Flavio Vespasiano. 

Bisogna ricordare che all'epoca l'enorme monumento non era protetto da alcuna cancellata e i viaggiatori del Grand Tour, ma anche i romani potevano accedervi sia di giorno che di notte. 

Perlopiù, intorno al Colosseo c'erano campi aperti, colmi di rovine, che ospitavano greggi e bestiame di passaggio. 

Questa foto fu realizzata nell'arena deserta, in pieno giorno, presumibilmente nel 1871, quando i giardinieri del comune avevano ripulito il Colosseo dalle erbacce, dai cespugli e dagli arbusti cresciuti selvaggiamente tra le antiche mura. 

Tre anni dopo, la croce e le edicole sarebbero state per sempre rimosse. E sarebbe finito il periodo della trasformazione dell'Arena in tempio cristiano: una delle tante fasi vissute da questo nobile monumento che ha attraversato i secoli come un'Arca del Tempo. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata

31/01/17

Esce "Siamo tutti diversi!" di Teresa Forcades, una radicale riflessione sulla diversità umana.






E' davvero un pensiero profondo e originale quello di Teresa Forcades, esposto in questo volume appena pubblicato da Castelvecchi. 

Teresa Forcades si racconta e, mentre la sua biografia si dipana nella narrazione, emergono in modo dirompente i temi della sua riflessione: dall’originale interpretazione teologica del concetto queer e della radicale differenza di ciascun essere umano al pensiero femminista, dalla mercificazione del corpo all’omosessualità. 

Uno sguardo acuto sul percorso che ogni essere umano compie per diventare adulto e trovare la propria unica e irriducibile identità. E poi ancora: unioni civili, utero in affitto, medicalizzazione della società, fede e Vangeli, cattolicesimo e ruolo della donna nella Chiesa, amore e libertà, clericalismo e patriarcato, religione, psicanalisi e lotta politica. 

In filigrana, attraverso il flusso di una vita d’eccezione, una domanda spiazzante: cosa significa essere una teologa femminista nel XXI secolo?



Teresa Forcades 
Monaca benedettina di origine catalana, medico, teologa femminista e attivista politica, si è specializzata in Medicina Interna a Buffalo (Stato di New York), ottenendo poi un Master of Divinity a Harvard

Ha conseguito un dottorato in Salute pubblica e un dottorato in Teologia Fondamentale a Barcellona; successivamente, un post-dottorato presso la Humboldt-Universität di Berlino, dove ha poi insegnato Teologia della Trinità e Teologia queer. 

Nel 2012 ha fondato il movimento politico Procés Constituent per l’indipendenza della Catalogna. 

La sua popolarità si è imposta all’attenzione internazionale per la sua ferma critica alle industrie farmaceutiche e le sue coraggiose posizioni sia all’interno della Chiesa sia nel dibattito politico contemporaneo.

Teresa Forcades 
Siamo tutti diversi! 
Per una teologia queer 
a cura di Cristina Guarnieri e Roberta Trucco
pagine 192 prezzo € 16.50
Castelvecchi, 2017

18/09/16

E' morto padre Gabriele Amorth. Il ricordo di un sacerdote che lo ha conosciuto.




E' morto ieri all'età di 91 padre Gabriele Amorth. Questo è il ricordo di un sacerdote, Don Alessio (nome convenzionale), che lo ha conosciuto. 


Lei ha avuto occasione di conoscerlo bene. Che ricordo ha di lui ?

L'ho frequentato quando celebrava esorcismi nella sua chiesa vicino a via Manzoni. Un individuo serafico anche davanti a casi che erano impressionanti pure per chi aveva i nervi saldi. Aveva una teoria eccellente sul male: l'essere umano non ha bisogno del demonio per farlo, ci riusciamo anche da soli, ma quando il male travalica una certa soglia e diventa troppo disumano è ragionevole pensare che intervenga il maligno. Dopo le sue benedizioni i suoi pazienti restavano anche mezz'ora in stato di incoscienza ed erano incapaci di camminare o di parlare. Mai visto cose del genere. E questo solo con semplici preghiere in latino.

Padre Amorth prima di essere ordinato prete nel 1954 fu anche partigiano, rifiutandosi di rispondere alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò. In lui c'era anche impegno civico ?

In gioventù scampò una condanna a morte. Il suo impegno civile era quello di un sacerdote che desidera contribuire a migliorare il mondo con la preghiera e aiutando gli altri a stare meglio con sé stessi e con Dio. Poi a quanto ne so, ha aiutato moltissimo i bisognosi con fondi personali. Arrivava perfino a pagare degli affitti a persone vessate dal maligno che non erano in grado di mantenersi.

Con il tempo, Amorth, grazie alle sue pratiche esorciste, è diventato quasi un personaggio leggendario. Perché intorno a questa pratica esiste un alone così oscuro, gotico?

Perché il genere horror vende bene (sorride). Abbiamo una tradizione di film più o meno riusciti che parlano del demonio (L'Esorcista, L'esorcismo di Emily Rose etc) quindi il pubblico conosce gli esorcisti tramite il genere hollywoodiano ma in realtà l'esorcismo è innanzi tutto una attività di consolazione. Gesù dice "se scaccio il demonio col dito di Dio è giunto tra voi il regno dei Cieli". Si capisce quindi che l esorcismo e anzitutto un evento di gioia, una vittoria del bene sul male anche se ha risvolti talora drammaticissimi.

 Anche lei ha esercitato pratiche esorcistiche ? In quali casi esse possono essere messe in atto ?

Sono stato esorcista per qualche anno dopo aver seguito le sedute di don Amorth. Vanno messe in atto quando si ha la ragionevole certezza che dati disturbi abbiano origine malefica (malefici, fatture messe nere etc.). Quindi occorre prima una adeguata anamnesi del soggetto affinché si possa ricostruire la sua storia. Talora sono proprio gli psichiatri che richiedono l aiuto di un esorcista perché dati sinonimi non hanno riscontro nella letteratura scientifica!

E' una tradizione molto antica ?

Il primo esorcista fu proprio Gesù. E si badi che non curava malattie con l'esorcismo ma proprio cacciava i demoni perché nel Vangelo si dice "alcuni li guarì altri li esorcizzò". Anche la Madonna lo è. Di lei si dice che col calcagno schiaccia il capo del serpente che è simbolo del male. Un giorno chiesi a don Gabriele "ha mai avuto paura in un esorcismo?" Rispose "paura io? È il demonio che deve averne..."

Fabrizio Falconi - riproduzione riservata. 

03/04/14

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (1./)



  

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (1./)

Raimon Panikkar, che ha peregrinato tanto, propone il pellegrinaggio come simbolo della vita ma non come la vita stessa, perché il pellegrinaggio deve essere non solo esteriore, ma anche interiore.
Sono le parole che furono pronunciate nel 1977  per il conferimento della laurea honoris causa dell’Università di Girona, nella Catalogna, al grande filosofo e teologo spagnolo. (1)

E in effetti, se si potesse riassumere in una sola parola la vicenda umana di Raimon Panikkar, si potrebbe usare il termine: pellegrinaggio.  Un continuo, utile errare per un uomo che ha fatto dello studio, dell’approfondimento, della conoscenza, lo scopo della sua vita, fino a renderlo – come egli è considerato oggi –  “una delle più grandi figure spirituali del nostro tempo, vero punto di incontro fra Oriente e Occidente”. (2)  

Il pellegrinaggio era inscritto già nel dna di Panikkar, visto che egli è nato il 3 novembre del 1918 a Sarrià, un quartiere di Barcellona, da padre indiano - Ramuni Panikkar, nato a Malibar, di orgine aristocratica e con passaporto britannico - di religione hindù, e da madre catalana -  Carme Alemany, morta nel 1975 -  appartenente ad una famiglia borghese cattolica.  Il padre di Panikkar, alla ricerca di un paese neutrale nel conflitto mondiale appena iniziato,  si era trasferito in Spagna nel 1916.  Dal matrimonio con Carme erano nati quattro figli cresciuti in un clima di armonia, seppure nella differenza evidente delle due tradizioni familiari.  

Educato dai gesuiti di Barcellona, Panikkar si dedicò sin da giovane allo studio delle scienze, della filosofia e della teologia, spostandosi in diverse università europee.  Poi,  allo scoppio della guerra civile spagnola -  per il pericolo che incombeva sulla sua famiglia -  si trasferì con i genitori e i fratelli  in Germania, per fare poi ritorno in Spagna nel 1939, all’inizio della seconda guerra mondiale.

Questo fece di Panikkar, sin dai primissimi anni dell’infanzia, un viaggiatore, un pellegrino senza dimora fissa, con frequentazioni di città e ambienti universitari che gli resero famigliari tradizioni e culture diverse, preparando il terreno per la sua teologia – sviluppata nella maturità -  che Panikkar definì cosmoteoandrica, indicando con questo termine la interrelazione di tre dimensioni, la realtà materiale (cosmos), il divino (theos) e l'umano (anthropos): i tre mondi  - umano, divino e cosmico -  pur distinguibili e gerarchicamente ordinabili, per Panikkar, non erano e non sono cioè separabili;  così come non si può parlare di un uomo che non abbia un corpo materiale, allo stesso modo non ha senso parlare di un Dio auto-sussistente, privo di qualsiasi corporeità e di qualsiasi rapporto con il mondo. 

Questa visione del mondo, e di Dio, oggi paradigma del pensiero filosofico di Panikkar, si spiega con un percorso di vita lungo e complesso, che una volta egli stesso ha riassunto in questi termini: “Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddhista senza aver smesso di essere cristiano.”

Il che potrebbe renderlo, agli occhi del mondo - che oggi appare sempre più insofferente alle contaminazioni culturali e sempre più alla ricerca di forti identità nazionali o locali (magari anche soltanto apparenti, di facciata) -  un incomprensibile coacervo vivente, un simbolo di sincretismo religioso.  

Niente di più lontano da quello che Panikkar si riconosceva, visto che è stato ordinato sacerdote cattolico nel 1946, e che nel mondo cattolico – nonostante (o forse proprio in virtù di questo) la sua forte apertura nei confronti delle grandi religioni orientali – è diventato un autorevole punto di riferimento.  

Il suo avvicinamento alla Chiesa cattolica è stato graduale e coerente: già al ritorno dal viaggio in Germania, infatti, nel 1940, Panikkar si era unito ad un gruppo di secolari - i quali aspiravano ad una pienezza di vita cristiana nello svolgimento dei loro compiti professionali – che avrebbe fatto parlare molto di sé e che si sarebbe poi chiamato Opus Dei.  E proprio dal fondatore di quella organizzazione religiosa -  Escrivà de Balaguer -  con il quale Panikkar intrattenne una lunga relazione di amicizia,  gli venne la proposta di ricevere il sacerdozio.   Una scelta, quella di aderire all’Opus dei, che se oggi appare a qualcuno contraddittoria con lo sviluppo della sua teologia, pure non è stata mai rinnegata dal diretto interessato.   Non sono pentito di quella scelta della mia vita… ha scritto nel testo di rievocazione della sua vita che compare nel sito ufficiale del centro studi che porta il suo nome,  la linea della vita non è retta, né spezzata.    

A testimonianza che la linea “non sia spezzata” è il fatto che pur nella continuità delle peregrinazioni, Panikkar non ha mai interrotto, nel corso di una vita molto movimentata, lo stretto legame con la Chiesa Cattolica e con Roma in particolare.  A Roma arrivò infatti la prima volta nel 1953, fermandosi per un anno per terminare gli studi di teologia, presso l’Università Lateranense, per poi farvi ritorno nel 1961,  quando cominciò a tenere i corsi come libero docente di Filosofia della Religione all’Università di Roma.  Ma a Roma partecipò anche al Sinodo e alle attività preparatorie per il Concilio. 

Le cronache raccontano che quando Paolo VI,  nel corso dei lavori per il Vaticano II,  lo ricevette  in udienza chiedendogli su che cosa stesse riflettendo, Panikkar rispose con questa frase eloquente: Sto pensando a come essere cristiani in India senza essere culturalmente greci e spiritualmente semiti. L’imperativo, era dunque, già all’epoca, per il filosofo catalano, quello, di spogliare il cristianesimo del suo manto mediterraneo.

Eppure un aspetto piuttosto curioso di questa scoperta della centralità del mondo induista è che Panikkar – nonostante i molti viaggi già compiuti da studente e con la famiglia – si recò per la prima volta in India, soltanto nel 1954, quando già aveva compiuto trentasei anni.  Era una “missione apostolica”, ma era anche la prima volta che metteva piede nella terra dei suoi padri, e sicuramente, l’impatto emotivo con quella terra  - fortissimo – era stato preparato da anni di studi e di conoscenza del mondo nel quale affondavano le sue radici famigliari paterne.  In quella occasione dovette realizzare con precisione ciò che già stava meditando nel suo cuore, e cioè – come scrisse  in seguito -  che stiamo assistendo alla crisi del mito che ha prevalso in Occidente: il mito che una sola cultura sia sufficiente per abbracciare l’intera gamma dell’esperienza umana: in base a tale  mito re, imperatori, papi, presidenti, governi ed eserciti in buona fede, hanno fomentato il progetto di unificazione politica, religiosa o economica del mondo.  Ora il mito è in crisi, se non in procinto di crollare.  

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      La Laudatio in onore di Raimon Panikkar fu pronunciata dal professor Josep-Maria Terricabras della Università di Girona.

2.     La definizione è di Julien Ries (Arlon, Belgio, 1920), quello che oggi è riconosciuto il più grande storico delle religioni vivente.

14/02/13

Zygmunt Bauman sulle dimissioni di Benedetto XVI.




Bauman: «Ha portato il papato a un livello umano»
intervista a Zygmunt Bauman
a cura di Alberto Guarnieri e Massimo Pedretti
in “Il Messaggero” del 13 febbraio 2013

Un Papa che getta la spugna, come dice lui stesso «per il bene della Chiesa», è un gesto totalmente nuovo che si pone l’ambizioso obiettivo di restituire dignità morale a una Chiesa in crisi. Così pensa Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco che dal 1971 vive e insegna in Inghilterra. Bauman è divenuto celebre per la teoria della “società liquida”, con cui spiega una “postmodernità” diventata sempre più preda del consumismo e di una vita frenetica quasi priva di valori che le istituzioni in crisi non sanno più tenere vivi.

Professore, le dimissioni di Benedetto XVI sono state lette anche come il sacrificio di un pontefice intellettuale probabilmente sconfitto, oltre che dall’età e dagli acciacchi, dalla crisi di identità della Chiesa-istituzione. È d’accordo?

«Quella della Chiesa è una realtà istituzionale molto importante, che si differenzia da tutte quelle laiche, in quanto funge da mediatrice tra Dio e uomo. Benedetto XVI con la scelta di dimettersi ha portato il papato a un livello umano, confessandosi pubblicamente e ammettendo che ogni essere umano, anche se Papa, ha dei limiti».

Ma recuperando individualmente questa umanità, Joseph Ratzinger non mette a rischio la sacralità della Chiesa e della figura del vicario di Cristo?

«La grandezza del gesto di Benedetto XVI si può anche spiegare così: l’uomo che è erede di San Pietro ha deciso di spogliarsi della sacralità del suo essere riconoscendo il conflitto, in questo caso specifico tra il ruolo e l’uomo (anziano, debole, forse malato). Papa Wojtyla scelse il ruolo, Papa Ratzinger, a conclusione di una lunga riflessione, ha scelto l’uomo».

Molte delle sue teorie richiamano l’insegnamento della Chiesa. Parlando di crisi della speranza lei mette in risalto l’eccessiva fiducia nel progresso tecnologico e i danni che provoca l’economia capitalistica priva di regole.

«Esatto. Spesso ci si chiede se l’umanesimo, categoria in cui rientra l’insegnamento della Chiesa, abbia un futuro. Io domando: il futuro ha un umanesimo?».

Se quella del Papa è una resa, non teme che la crisi che lei denuncia si aggravi?

«Essere umani vuol dire avere speranza. Gli animali avvertono la fine prima di noi, ma solo per istinto. Se legassimo la cultura alla mortalità non avrebbe avuto senso creare la cultura. La scelta del Papa è socratica? Anche fosse, non significherebbe certo la fine dei valori della Chiesa».

Lei rifiuta di definire pessimistiche le sue analisi. Dove sta la possibilità di un cambiamento? 

«Sperare significa coltivare la solidarietà umana. Istituzioni e individuo sono in crisi, è vero. Va riaperto un dialogo che passo dopo passo rinforzi la cooperazione sociale, un gioco dove non ci sono vincitori e vinti ma vantaggi per tutti».

Quindi è ottimista?

«Conosco bene il vostro Gramsci: l’ottimismo della volontà contro il pessimismo dell’intelligenza».

28/01/13

Pietro Citati - Elogio delle Chiese silenziose e vuote.



La fede solitaria al posto di quella solenne, il vero cristianesimo Qualche tempo fa — il giorno di Santo Stefano — sono andato in una chiesa del mio quartiere. Tutte le porte erano chiuse a chiave o con robusti catenacci. La chiesa era impraticabile, come certe chiese protestanti olandesi, che aprono un'ora al giorno o meno, solo durante le striminzite funzioni che il pastore accorda ai suoi fedeli.

È così bello entrare nelle chiese vuote, dove non soffia nemmeno un respiro umano; e sedersi su un banco o una seggiola, pensando, ricordando, fantasticando, rimuginando. La mente sembra più libera, più vasta, più oggettiva, più sicura di sé; e vaga dovunque attraverso i cieli oppure si concentra in un punto fisso del cielo.

Vive di pura contemplazione, nello spazio pieno di silenzio e di echi. Essere soli nella chiesa vuota dà all'anima una quiete e una profondità, che altrimenti non conosce. La fede solitaria, da solo a solo con il Figlio o il Padre: non c'è nulla di così intimamente cristiano. Tutto il resto del mondo è dimenticato. Non ci sono più i sentimenti, le passioni, la coscienza dell'io, l'orgoglio, il desiderio di potere, il desiderio di scrivere.

L'Islam conosce un'altra esperienza dello spazio religioso. Quando si entra in una moschea egiziana o persiana, centinaia di persone stanno sedute a terra, su un tappeto o con le spalle contro il muro.

Qualche volta parlano con Dio: più spesso parlano, chiacchierano, cinguettano tra loro. Tanti sono gli argomenti possibili: gli amori, gli odi, la politica, gli affari del giorno o della settimana. Si compra, si vende. 

Qualche ragazzo studia, a mezza voce, su un libro di testo gualcito. Un europeo ha l'impressione che nella moschea piena una sola figura manchi: quella di Dio.

Non è vero. Sotto la cupola della moschea, Dio esiste, ma confuso con tutti gli esseri umani, con tutta l'immensa e colorata realtà, della quale è Signore unico e nella quale sembra perdersi. Se le nostre chiese sono vuote, la ragione è semplice e tutti la conosciamo. Come deplora il Pontefice, il cristianesimo, almeno in apparenza, è stanco: i cristiani, che frequentano le chiese occidentali, diminuiscono ogni giorno. La nostra religione si sta dunque estinguendo?

Non lo credo affatto. In questi ultimi sessant'anni, il cristianesimo ha perduto i fedeli che veneravano il Cristo perché così volevano il potere e la società: dunque, mai o quasi mai per un impulso religioso. Ora, dopo tante perdite, sono rimasti i cristiani puri: quelli che siedono o pregano nelle chiese vuote, che leggono i Vangeli e le migliaia di libri, che la fede e la tradizione hanno ispirato durante quasi venti secoli.

Labbra silenziose discorrono con il loro nascosto ispiratore. C'è una prova. Oggi, quando il loro numero è diminuito, i cristiani dell'Occidente leggono molti più libri di ispirazione cristiana o religiosa, di quanti non ne leggevano sessant'anni prima.


Elogio delle chiese silenziose e vuote Fonte: PIETRO CITATI - Corriere della Sera Lunedì 28 Gennaio 

30/01/12

Hans Kung: "La Chiesa è stata troppo debole con Berlusconi."


"Molti italiani si sarebbero aspettati che papa Benedetto XVI condannasse gli abusi fatti durante il governo Berlusconi, e io oggi sarei lieto se la Chiesa adesso fosse molto chiara nel suo sostegno a Monti".

Lo ha detto a Udine il teologo 'critico' e pensatore di fama internazionale Hans Kung, giunto in Friuli per ricevere il Premio Nonino 2012 nell'omonima distilleria di Percoto (Udine). 

"Oggi si vede che tutto questo sistema berlusconiano era amorale e ha condotto l'Italia alla miseria - ha proseguito Kung - ma prima il premier e' stato ricevuto con molti onori in Vaticano". 

"Dunque la Chiesa deve riflettere su cio' che ha fatto in quel periodo - ha aggiunto - sostenendo troppo Berlusconi e quindi rendendosi complice di quel sistema". 

"Dal Papa e dalla Chiesa - ha detto ancora Kung - dovrebbero ora arrivare parole incoraggianti nei confronti di Mario Monti, un uomo onesto che ha un compito difficilissimo, spero che sia coraggioso anche sulle banche e sui loro poteri". 

Il teologo Hans Kung e' il vincitore del 37/a edizione del Premio Nonino. Nel suo intervento, dopo aver ricevuto il riconoscimento dalle mani di Antonio Damasio, ha esortato nazioni e popoli a individuare "nell'epoca della globalizzazione un ethos globale"; il teologo ha anche auspicato un nuovo risorgimento per l'Italia, con "un presidente del Consiglio serio, competente, onesto con un governo non certamente di santi ma di esperti e con un parlamento dove gli onorevoli tornino ad essere onorabili". 

Kung ha parlato della necessita' di onesta' "della chiesa, di Montecitorio, del Vaticano e dell'economia". 

Secondo il pensatore l'economia ha bisogno di una "etica mondiale e, ripetendo le parole pronunciate all'Onu all'indomani dell'11 settembre, ha detto che ogni uomo va trattato umanamente e che nell'ambito del comandamento "quello che non vuoi che venga fatto a te non farlo ad altri" ha auspicato che "ogni nazione si impegni per diffondere una cultura della non violenza, della solidarieta', della tolleranza e della sincerita"'

Di fronte al monito dei politologi che prevedono per questo secolo uno scontro di civilta' bisogna contrapporre "non l'ideale utopico, ma una realistica visione della speranza - ha detto Kung -. Non c'e' pace fra nazioni se non c'e' pace fra le religioni e non c'e' pace fra religioni se no c'e' dialogo e non c'e' dialogo se non un c'e' un modello etico globale". 

Oltre a Kung sono stati conferiti il premio internazionale Nonino 2012, al poeta cinese Yang Lian, e il premio "ad un maestro del nostro tempo" allo storico inglese Michael Burleigh. Il premio Nonino Risit d'Aur 2012 e' andato invece ai contadini degli 'Orti di Gorizia' per il radicchio rosa di Gorizia.

25/08/11

La crisi che viviamo e la chiamata politica e spirituale. "Segnare una svolta" - di Alberto Melloni.


E' un testo breve, ma veramente illuminante questo che vi riporto, di Alberto Melloni, sul Corriere della Sera di pochi giorni fa.  Il momento di crisi per tutto l'Occidente - e il mondo - è un ripensamento globale della nostra vita. Come ogni 'crisi' è anche una 'occasione', un punto di svolta e di scelte, dalle quali dipenderà il nostro futuro.  Un momento cruciale che impone agli spiriti intelligenti, di muoversi, di non starsene più fermi nei propri freschi o angusti cortili. Ecco l'articolo.


La svolta storica che ci sovrasta è di proporzioni superiori al panico che produce. Lo stile di vita tenuto dall' Occidente, nel quale il debito aveva sostituito altri sistemi di dominio, è finito. Per sempre. Come il colonialismo in India, come il bolscevismo in Russia. È una «krisis» nel senso del Vangelo: un «giudizio». Non è la fine del mondo: è la fine di un mondo. Dunque solletica le paure, incoraggia i minimizzatori, svela la statura dei sovrani, denuncia la sordità di chi ha fatto spallucce per anni, chiama intelligenze politiche e spirituali dal domani.


In questo rimestarsi della storia (per ora incruento, come nel ' 29 e nell' 89), la Chiesa è parca nel dire le parole che pur possiede. Questi non sono i tempi di Gregorio Magno, che davanti alla fine di un' era, raduna il popolo in basilica per spiegare il profeta Ezechiele. Non sono i tempi di papa Giovanni, che nel montare del fatalismo atomico, scardina i parametri dottrinali della guerra giusta. Sono i tempi nostri, nei quali la generazione del benessere più prepotente sente di lasciare ai propri figli le macerie di un disastro politico e morale.


 E in questo tempo la Chiesa, nel senso più ampio del termine, è come ritratta: articola lentamente le consunte condanne degli «ismi», sussurra cose ovvie o interessate, quasi che anche per lei fosse così poco leggibile una realtà che urla da ogni orizzonte, Nel Medio Oriente sunnita esplode una jihad nella quale il nome di Dio non viene usato per aggredire, ma per sopportare, senza che chi ne ha giustamente criticato le perversioni violente ne sappia dare una lettura. Un assassino psicotico norvegese trascina fuori dall' oscurità il fondamentalismo di antisemiti classici, omofobici aggressivi, tradizionalisti paranoidi, monoculturalisti fascisti, che il diritto penale e canonico hanno ignorato, prima e dopo quel crimine. Il genio di personaggi come Pacelli, Adenauer, De Gasperi e Schuman che - parlando in tedesco e pensando in cattolico - hanno dato all' Europa un orizzonte politico di pace, viene irriso per mesi dall' egoismo tedesco senza che il discorso cattolico sappia uscire dal vittimismo delle radici, dall' euforia dei crocifissi e dall' ossessione dei diritti dei gay.


La guerra di Libia suscita proteste periodiche del Papa che cadono nel vuoto di una Chiesa più sensibile allo spiritualismo che alla realtà. E quel pezzo di Africa che annega fra la Sirte e Lampedusa estorce qualche senso di colpa alle anime colte, ma alla fine viene trattato come una fatalità che non deve essere capita, ma accettata. La forza che ha avuto la Chiesa in transizioni di magnitudo comparabile a questa - nel VI secolo si diceva, ma anche nell' XI e nel XVI con le riforme, nel XX con il Concilio - è stata quella di saper leggere i processi storici nella loro globalità: trovarne quella chiave supremamente sintetica che, a partire dall' atto di fede in Gesù Cristo morto e risorto, sa indicare le vie di un nuovo tempo e preparare quel che è già tutto scritto nelle premesse presenti.


 Oggi questo atto - reso più urgente dal tragico nanismo delle leadership politiche - tarda a farsi sentire. Eppure solo l' intuito spirituale di una comunità globale come quella cattolica può dire con autorevolezza che, se crolla un' Europa poco amata, non finisce l' euro, ma la pace. Può spiegare alla luce del proprio tesoro di insegnamenti sulla sobrietà e la condivisione che il crollo di uno stile di vita è un' opportunità di giustizia o l' anticamera del cannibalismo economico. Ma la Chiesa sa anche che per ogni profezia c' è un tempo opportuno, un «kairós», perduto il quale resta solo il peso silenzioso della penitenza: anche questa testimoniata dalle lunghe epoche buie della sua storia. Sarebbe stupido e irriverente pensare che il dire tocchi al Papa o che l' afasia di questi mesi sia la sua. Certo Benedetto XVI ha modo di farsi sentire: in questi giorni a Madrid davanti a milioni di ragazzi, soprattutto a Berlino nel discorso al Bundestag di settembre, a ottobre alla preghiera interreligiosa di Assisi. E quel che dice resterà.


Ma è dalla Chiesa come communio che il mondo attende una lettura del tempo che mostri la capacità di rompere quella omologazione ai riti del potere e dei media. È la communio che permette di leggere un tempo che deve essere trattenuto dalla tendenza a diventare prebellico proprio da una forza spirituale che lo lega, se sa di essere una forza e se sa di essere spirituale.

Alberto Melloni, Il Corriere della Sera, 20,8,2011.