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22/01/23

La forza di un racconto: "Open" di Andre Agassi

 


Ci è voluto "Open" il libro autobiografico di Andre Agassi, che ho letto soltanto ora, per sentirmi per una volta del tutto d'accordo con una affermazione di Baricco.

Il quale scrive a proposito di questo libro: "Se parti, non scendi più fino all'ultima pagina."

Ha pienamente ragione. "Open" è più avvincente di un romanzo, specie di una gran parte di quelli che oggi vengono sfornati.

Il merito è della vicenda personale di Agassi, certo, della sua vita piena di cose curiose e memorabili da raccontare, ma soprattutto delle capacità di scrittore di J.R. Moehringer (di famiglia italiana, nonostante il suo cognome), che ha materialmente scritto il libro, "montando" letterariamente ore e ore di registrazione.

Moerhinger del resto, dopo aver vinto il Pulitzer per il giornalismo, ha scritto un romanzo, Il Bar delle Grandi Speranze, che ha vinto molti premi importanti e che è stato ottimamente portato sullo schermo da George Clooney con il titolo di The Tender Bar (2021), protagonista Ben Affleck.

La forza di Open - che può essere tranquillamente letto anche da chi non capisce un'acca di tennis - è nella descrizione di un "processo di individuazione", come direbbe Jung. Quel percorso, cioè, attraverso il quale ciascuno conosce (dovrebbe cercare di conoscere) se stesso, che è poi lo scopo per cui si sta al mondo.

Agassi a cinque anni si ritrova con una racchetta da tennis in mano, ferocemente in mano a un padre pazzo, esule armeno trapiantato nel deserto di Las Vegas. Il padre pazzo ha deciso per lui il suo destino. Sarà, costi quel che costi, un tennista. Ma non uno qualsiasi, un campione.

La "vocazione" di Agassi non è la "sua" vocazione dunque, ma la vocazione che qualcun altro gli ha messo indosso e che lui, per molti motivi che sono l'ossatura del libro, non può fare a meno di non indossare.

Ciò gli provoca un costante sentimento di scissione: amore-odio per il tennis, amore-odio per (quel)la vita, che durerà fino al giorno in cui - dopo aver conquistato ben otto titoli slam - deciderà di smettere.

E' quindi una vicenda che parla a tutti. Perché tutti, più o meno, nella incertezza del nostro destino, ci siamo trovati a dover scegliere tra quello che gli altri o un altro pensavano fosse il giusto per noi e quello che noi, confusamente o no, sentivamo invece che fosse "più" giusto.

La confessione di Agassi è bella, dolorosa e sa di autentico (è questa la bravura di Moeringher). Quando un libro autobiografico di 500 pagine, scritto tutto in prima persona, senza pause, e al tempo presente, ti tiene inchiodato - anche se tu sai già tutto di cosa accadrà perché quel tennista lo hai visto decine e centinaia di volte in televisione per tutti gli anni '90 e anche dopo) - vuol dire che il libro è più che ottimo.

La trasformazione del "Kid di Las Vegas", ranocchio che si veste con orrende tute fucsia e ha al posto dei capelli un parrucchino biondo leopardato (un boro, lo si sarebbe definito a Roma), in un principe della racchetta, gentleman, marito romantico e benefattore con una evolutissima scuola di formazione per bambini disagiati, è oggettivamente ben scritta e soprattutto credibile.

Agassi, dopo aver tanto sofferto, si è anche trovato. Ed è questa la cosa più bella. Ha avuto la capacità di aiutarsi e di farsi aiutare. Ha capito che non sapeva chi era perché non gli era stato permesso né di conoscere le cose del mondo, né di conseguenza, se stesso.

E' una bella parabola di vita, un inno al sacrificio (parola che oggi suscita allergia), un racconto vero, come devono essere i racconti. 

Fabrizio Falconi - 2023

26/09/19

Il carattere proprio dell'amore: il Simbolo di Platone.



Il simbolo come azione che compone i distanti

Nel Simposio di Platone ritroviamo la parola Simbolo per designare il carattere proprio dell'amore: che è, appunto, Simbolo di quell'unità che lega gli uomini in quanto provenienti da una stessa origine e in quanto alla ricerca, con il consenso pietoso degli dèi, di quell'unità che, proprio a causa degli dèi, è stata spezzata.
Per questo ogni uomo è simbolo, tessera dell'uomo totale: Hékastos oun emon anthropou symbolon.

Simbolo è dunque espressione che dice unità da remote distanze, tensione verso una totalità assente richiamata dall'incompiutezza di senso della situazione presente.
In termini junghiani: se l'Io è l'espressione della "situazione" presente, il Sè è quella "totalità" assente verso cui il simbolo de-situa. Il Sè dell'uomo (das Selbst) è infinitamente più comprensivo del suo Io (das Ich), così come i confini del possibile sono infinitamente più ampi della realtà determinata e consaputa.
Nella dialettica Io-Sé, Jung dà forse una delle migliori descrizioni della coscienza simbolica, che poi non è altro che la conoscenza umana salvata da quell'irrigidimento nella dimensione razionale, in cui la cultura occidentale l'ha costretta, quando ha ideato quel reticolato di segni per la de-signazione delle cose. Tra "segno" e "simbolo" corre infatti quella differenza che i Greci avevano intuito tra "dia-bàllein" e "sym-bàllein", tra disgiunzione e composizione.

05/06/19

Libro del Giorno: Roberts Avens: "Heidegger, Hillman e gli Angeli - Per una nuova gnosi" .


E' un libro importantissimo, questo pubblicato dalle splendide Edizioni Atlantide, e speriamo che qualcuno - nel distratto mondo della cultura italiano, o di quel che ne resta - se ne accorga.

E' stato pubblicato nel 2003 negli Stati Uniti ed era finora inedito in Italia.

Roberts Avens (1923-2006) è stato uno dei più importanti filosofi e storico delle religioni. I suoi studi su Henry Corbin (il grande orientalista francese) in relazione al pensiero e alla teologia occidentali sono considerati seminali.

Di origini lettoni e per molti anni Professore Emerito di Studi Religiosi alla IONA di New York, Avens era anche poeta sotto lo pseudonimo di Roberts Mūks.

Credo che proprio questa sua propensione poetica spieghi la qualità del linguaggio filosofico di Avens, il suo essere sempre pienamente in bilico tra immagine e pensiero.

Studioso di Jung, Hillman, Barfield, Cassirer e tanti altri, Avens ha realizzato con "Heidegger, Hillman e gli angeli - per una nuova gnosi"  un'opera di incredibile fascino, che propone un approccio completamente diverso, originale, alla conoscenza della realtà, con la sua concezione di mundus imaginalis, nel quale schiere di angeli (intesi qui non come messaggeri divini, né come spiriti eterei, ma come immagini, attraverso la quale la realtà nascosta e più autentica si manifesta) forniscono il fondamento cosmologico della realtà.

Tra “credo” e “ragione”, tra "fede" e "pensiero", Avens dunque sceglie una terza via, la gnosi.

Attraverso la geniale (e inedita) comparazione tra Heidegger e Hillman (e con il costante riferimento di sottofondo al pensiero di Corbin), Avens ci conduce in un regno misterioso infuso d’anima, di una conoscenza salvifica che passa per le immagini archetipiche. 

Un mundus imaginalis che ha luogo non nel mondo esterno dei fatti storici, ma nel sotterraneo monde dell'anima. Il misticismo di Avens (che si riferisce a quello dell'ultimo Heidegger) è essenzialmente uno stile di coscienza politeistico (non nella accezione pagana, ovviamente), che vede l'anima in ogni cosa, o, come preferirebbe dire Heidegger, "che lascia le cose coseggiare e quindi le ri-lascia nel proprio essere". 

Sono evidenti le correlazioni con il pensiero orientale, e a quello eckhartiano, dove una nozione dell'Essere quasi mistica si manifesta, nell'uomo, attraverso la policentricità della psiche, che come aveva scoperto Jung, e esplicitato il suo allievo James Hillman, si esplica in un campo di multiple particelle luminose, come barlumi o scintille, che corrispondono ai più piccoli fenomeni della coscienza. 

E' soltanto l'Ego che crea un simulacro di unità, l'Ego: un mostro che ingoia ogni molteplicità e ogni differenza. 

Questo libro è una avventura straordinaria attraverso la complessità misteriosa della nostra psiche, della coscienza, del suo collegamento con il mondo fertile e pullulante delle immagini, che come una rete neuronale ci collegano all'anima stessa del mondo, e in definitiva a quella divina, di cui questo nostro pulsare è immagine. 

“Conosciamo il mondo perché la nostra anima personale è, fin dall’inizio, collegata all’anima del mondo” , scrive Avens. 

Un libro difficile, ma enormemente gratificante, quindi imperdibile, nella bella e chiara traduzione di Matteo Trevisani.

Fabrizio Falconi


12/12/18

Sul perfezionismo e la smania di perfezione. Una breve riflessione di C.G.Jung.




In effetti, ancor oggi l'uomo sopporta meglio e più a lungo una perfezione relativa la quale, invece, per la donna che, come regola generale vi si adatta poco bene, può addirittura divenire pericolosa.
Quando la donna aspira alla perfezione dimentica questo suo ruolo complementare, cioè quello della completezza, di per sé imperfetto ma che proprio per questa ragione rappresenta l'elemento di riscontro tanto indispensabile alla perfezione. 

Infatti come la completezza è sempre imperfetta, così la perfezione è sempre incompleta e rappresenta perciò uno stato disperatamente sterile.
'Ex perfecto nihil fit', dicono gli antichi maestri, mentre invece l' "Imperfectum" porta in sé i germi di futuri miglioramenti. Il perfezionismo termina sempre in un vicolo cieco, mentre la completezza da sola manca dei valori selettivi.

Carl G. Jung, Risposta a Giobbe, 1950, pag. 57.



19/11/18

Libro del Giorno: "L'io e l'inconscio" di Carl Gustav Jung.




L'Io e l'inconscio, pubblicato nel 1928 da Carl Gustav Jung è uno dei suoi lavori più celebri e importanti.  

Si tratta del primo tentativo di esporre in modo sistematico l'insieme di ipotesi sulla natura, struttura e dinamica della vita cui aveva dato il nome di "psicologia analitica".

Vengono definiti per la prima volta da Jung i concetti di inconscio "personale" e "collettivo" oltre ai concetti - chiave per le teorie di Jung - di "Animus" e di "Anima", insieme a quelli, già emersi, di "Archetipo" e di "Ombra".

Con questo libro Jung avvia il lungo dibattimento speculativo sul processo di individuazione del Sé, vero obiettivo di ogni cammino di consapevolezza e di "psicologia analitica".  Il Sè è infatti il centro della persona, quella entità che rispecchia e contiene i caratteri del trascendente, dell'oltre (del divino, se si vuole) e che 'galleggia' tra la coscienza e l'inconscio (sia quello personale che quello collettivo).  L'emersione dei contenuti inconsci nel e attraverso il Sé e la sua integrazione con i contenuti consci è l'obiettivo della individuazione e quindi anche della vita psicologica.

Una lettura straordinariamente affascinante, con pagine memorabili che parlano ancora ad ognuno di noi, in quanto esseri umani, in quanto individui.



22/05/17

Jung e la Perdita del proprio Spirito (o anima). Un profondo articolo di Daniela Abravenel.




Pubblico qui di seguito un interessantissimo articolo della filosofa Daniela Abravenel pubblicato sul blog Moked.it e che qui si può leggere nella sua interezza



L’ansia esistenziale descritta ovunque nella Bibbia ma soprattutto nei Salmi di David ha un ruolo centrale nella psicologia di Carl Jung, il quale descrive (con sorprendente profondità e cognizione dei testi sacri ebraici) la depressione e i vari sintomi associati al fenomeno generale di “soul loss” (perdita del proprio spirito) come una fase importantissima del processo di guarigione.
Ed è a Jung e alla psicologia del profondo che farò riferimento per ridare attualità alle parole di Geremia, di Maimonide e dei maestri della Tradizione Orale che oggi forse dichiarerebbero guerra a una medicina che consciamente o inconsciamente finisce per estinguere l’aspirazione alla completezza del Sé superiore nella sua lotta per la guarigione della psiche e del corpo.

Jung afferma che l’uomo occidentale si ammala perché investe nevroticamente la sua libido all’esterno (sulla ricchezza, il successo, le vacanze, le macchine, il “look” ecc.) a detrimento del Sé

Oggi la maggioranza della gente non sa più intrattenere un rapporto con la propria anima, né con Dio (meno che nei brevi spazi di qualche preghiera al tempio o in chiesa). Di conseguenza lo spirito (la Forza che anima il corpo) vive in stato di esilio (proprio come la Shehinah, ovvero la divina presenza incarnata nel mondo fisico): il nostro mondo diventa vuoto, spento, così come diminuisce anche la vitalità del nostro corpo.

Il verso di David “La mia anima è assetata di Te, Dio della Vita” (Zama nafshì le El Hai) secondo Jung, descrive proprio questa dinamica di soul-loss nella quale la persona ha perso contatto con l’animada cui proviene la vera gioia di vivere. 

Noi tutti possiamo vivere in uno stato di soul-loss, quando abbiamo reso una parte della nostra vita (una relazione, una meta professionale o sociale da raggiungere, ecc.) l’unico recipiente della nostra libido: non ci si entusiasma più di fronte a un tramonto, ad un’opera d’arte o a un brano di musica, a un evento emozionante…

La nostra anima è intrappolata in ciò che il grande psicologo chiama soul-loss, a volte addirittura soul-possession. La teoria cabalistica delle clipot (ovvero i ‘gusci’ dell’impurità che avvolgono l’anima e la separano dalla Luce) si riferisce al medesimo fenomeno. Peraltro Jung ammise di essere stato profondamente ispirato, nella creazione della sua psicologia, dalla Kabbalah. In un’intervista realizzata nel giorno del suo ottantesimo compleanno affermò: “Il Rabbi Beer di Mesiritz anticipò, nel diciottesimo secolo, l’intera mia psicologia”!


18/06/16

Il Libro del giorno: "Jung Parla (interviste e incontri)".




Volume preziosissimo che raccoglie quasi tutte le interviste pubbliche e i resoconti degli incontri di Carl Gustav Jung dal 1912 al 1960. 

Ripetizioni a parte - che potevano forse essere evitate nella cura del libro - il volume offre pagine assolutamente straordinarie che testimoniano il genio immenso di Jung e anche i suoi limiti, le sue umane debolezze. 

Grandi le pagine sullo studio dei dittatori, quelle sulla "eternità" della psiche, sulla sua atemporalità, commovente il suo tentativo di offrirsi, "uomo che pensa" alla comprensione e al sapere del "non umano". 

Un libro da leggere e da rileggere, da tenere tra i preferiti di sempre. 








12/11/15

Oltre la Mente - La vita a scartamento ridotto.





Due cose realizzano la vita: la consapevolezza e la pienezza. 

Si possono vivere grandi emozioni, grandi sensazioni (ancora più epidermiche), ma se non si è consapevoli di ciò che (si) vive, tutto scorre senza lasciare traccia, tutt'al più pallidi ricordi. 

Ciò avviene perfino per le sofferenze.  Nella nostra vita ce ne sono di molte inautentiche. Crediamo di star male per quel motivo, molto spesso banale. Invece l'origine del malessere è di tutt'altra natura.  Le sofferenze inautentiche infatti, sono definite da Carl Gustav Jung, come nevrosi. 

Anche discernere una vera sofferenza, dunque, si può fare soltanto se si è consapevoli di essa.  Di cosa è che la fa scaturire, di cosa e perché (ci) provoca quella reazione. 

Allo stesso modo avviene con la pienezza.  Sono molti gli stati d'animo della vita, che rimangono tali. Sono stati dell'animo, appunto.  Che vanno e vengono, che piegano a sinistra e a destra la bandierina della nostra anima, come fa la rosa dei venti. 

Ma noi non siamo (solo) stati d'animo.  L'essere umano è fatto di ben altra profondità, che lo rende grave nella sua condizione terrestre, ovvero pesante, radicato al suolo, bisognoso di trovare (e di rendere consapevoli) le sue radici. 

In questo senso, la pienezza è qualcosa che trascende la vita, rendendola degna di essere vissuta, e non soltanto attraversata. Più leggo i pessimisti, più amo la vita, scriveva Cioran (in Lacrime e santi). E se c'è uno che si intende di pessimismo, questo è lui. 

Questo amore per la vita, per la follia della vita, per la imprevedibilità della vita, per la sua forza trascinante è appunto la pienezza.   Anche la sofferenza contribuisce a questo.  La sofferenza, scrive anzi Dostoevskij, è la causa unica e sola della coscienza. 

Ed è molto velleitario pensare di poter raggiungere la pienezza della vita, senza conoscere la (vera) sofferenza.  La sofferenza, anzi, è la stessa misura della pienezza. Come una cartina di tornasole, infatti, la sofferenza rende vero, per contrasto, il piacere, rende vero, per contrasto, lo stare bene, il sentirsi in sintonia con l'onda della vita. 

Senza sofferenza, senza autenticità, e quindi senza consapevolezza e senza pienezza, si vivono vite a scartamento ridotto.  Si vive funzionando, come una macchina, un puro corpo biologico. 

Su questo binario a scartamento ridotto, il panorama è monotono, è sempre uguale: quel che vediamo scorrere dal finestrino, non ci appassiona e non ci scuote. Ci lascia indifferenti. 

Per questo bisogna avere il coraggio di scegliere il binario più veloce, quello che rischia di scaraventarti fuori e di perderti, ma che scuote e incoraggia, dispone prove e concede la forza per superarle. 


Fabrizio Falconi
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01/10/15

Folgoranti citazioni da 'Tipi psicologici' di Carl Gustav Jung






Nulla turba tanto il sentimento quanto il pensiero.
(pag.390)
*
Quanto più i sentimenti sono rimossi, tanto maggiore è l'influenza dannosa che essi esercitano segretamente sul pensiero, il quale altrimenti funzionerebbe perfettamente.
(pag.382)
*
La tendenza monistica appartiene all'atteggiamento introverso, quella pluralistica all'atteggiamento estroverso.
(p.345)
*
Il gran parlare che si fa del progresso umano è infatti divenuto sospetto e non ispira fiducia.
(p.308)
*
Ogni eccessiva "purezza" manca di vita. Ogni rinnovamento della vita passa attraverso zone torbide per procedere verso la chiarezza.
(p.265)
*
Normalmente l'uomo, oltre a uno suo stato deve avere anche lo stato opposto, per trovarsi necessariamente nel mezzo. In omaggio alla sola ragione egli non potrà mai rinunciare alla pienezza di vita e alla ricchezza di sensazioni offertegli direttamente dal suo stato momentaneo.  E' necessario che contro la potenza e il piacere di ciò che è temporale vi sia in lui la gioia dell'eterno, e contro la passione della realtà sensibile vi sia l'estasi del soprasensibile. Come l'uno è per lui innegabilmente reale, così occorre che anche l'altro sia per lui coercitivamente imperante.
(p.246)
*
L'optimum di vita non è rappresentato dal crudo egoismo; né l'uomo raggiungerà mai il suo optimum di vita attenendosi all'egoismo, giacché in fondo egli è fatto in modo che la gioia del prossimo, della quale egli è causa, costituisca per lui qualcosa di indispensabile.
(p.231)
*
Il mondo ha sempre da soffrire a causa delle coppie di opposti. E' quindi un dovere etico di essenziale importanza non lasciarsi influenzare dagli opposti (nirdvanda= libero, non tocco dagli opposti), ma elevarsi al di sopra di essi, giacché la liberazione dagli opposti conduce alla redenzione.
(p.212)
*
"Pensare è così difficile che la maggior parte degli uomini emette giudizi". Riflettere richiede innanzitutto tempo, perciò chi riflette non può continuamente esprimere giudizi.
(p.171)
*
Vi sono non solo verità razionali, ma anche verità irrazionali e le cose umane che sembrano impossibili mediante il ricorso all'intelletto, si sono spesso realizzate mediante il ricorso alle facoltà irrazionali. E infatti i più grandi mutamenti intervenuti nell'umanità non sono accaduti grazie ad un calcolo dell'intelletto , ma per vie che sfuggirono agli occhi dei contemporanei o che essi rigettarono come assurde e di cui l'intima necessità fu compresa solo molto più tardi.
Ma ancor più spesso esse non vengono affatto comprese, giacché per noi le leggi più importanti dell'evoluzione spirituale dell'umanità sono ancora un libro chiuso con sette sigilli.
(p.98)
*
Non l'artista soltanto, ma ogni uomo creativo deve alla fantasia tutto ciò che di più grande gli accade di compiere nella sua vita.
(p.70)
*
La verità non è eterna, è un programma. Quanto più una verità è "eterna", tanto più è priva di vita e di valore in quanto che, essendo divenuta intelligibile da sè, non ci dice più nulla.
(p.67)
*
non bisogna dimenticare che la scienza non è la "summa" della vita, ma soltanto uno degli atteggiamenti psichici, o meglio una forma del pensiero umano.
(p.47)

citazioni tratte da:

Carl Gustav Jung, Tipi psicologici. 2011, XX-584 p., brossuraTraduttore Musatti C. L.; Aurigemma L.Editore Bollati Boringhieri (collana I grandi pensatori).



30/09/15

I "Tipi psicologici" di Carl Gustav Jung - Un'opera fondamentale.



I Tipi psicologici scritto da Jung nel 1921 e più volte rivisto nel corso della sua lunga vita è un testo capitale. 

Appena terminata la monumentale edizione di Bollati Boringhieri (integrale), si ha la sensazione di aver scalato un'erta montagna e di aver potuto ammirare, dalla sua cima, un paesaggio nuovo, aperto, totale, inesplorato. 

A distanza di molti anni infatti, Tipi psicologici mantiene una chiarezza illuminante e dispensa una luce esatta su una materia considerata da sempre inafferrabile. 

E' a tal punto innovativa, questa grande opera, che si deve proprio a C.G.Jung e a questo studio, la nascita dei due termini "introverso" ed "estroverso" entrate stabilmente nel linguaggio comune e che ancora oggi usiamo per descrivere il carattere di una persona, anche se la maggior parte ignora la loro origine e al fatto che si debbano all'intuizione di uno dei grandi padri della psicologia, frutto di vent'anni di ricerche sulle specificità che compongono il carattere individuale. 

E' importante sottolineare che nella dottrina di Jung i termini “estroverso” e “introverso” non sono usati per esprimere un giudizio, ma per distinguere due diversi modi di rapportarsi al mondo esterno, quello che Jung chiama l'oggetto

E scorrendo le intense pagine del suo studio si scopre quanto le attuali semplificazioni abbiano del tutto snaturato l'originale teoria junghiana, che al contrario di Freud non  concepisce la psicologia come scienza esatta, ma come espressione di fattori soggettivi. 

Jung definisce e descrive  otto tipi psicologici principali, a partire dai due caratteri fondamentali, apollineo e dionisiaco, che hanno dominato lo spirito nella filosofia e nelle arti da Platone e Aristotele fino a Goethe e Nietzsche. 

Semplificando un pensiero estremamente complesso come quello junghiano, l'estroverso ha un rapporto positivo con l'oggetto: lo osserva, studia tutte le circostanze e cerca di adattarsi ad esse il più possibile. La persona estroversa cerca l'approvazione altrui e tende a esprimere giudizi non troppo difformi da quelli del gruppo. 

L'introverso invece tende a rimanere distante dall'oggetto, perché è più attratto dal suo mondo interiore. A differenza dell'estroverso, le sue energie non sono rivolte all'esterno ma si concentrano sulla dimensione individuale. Più che con fatti e parole – la dimensione preferita dall'estroverso – si sente a suo agio con emozioni e pensieri. Ama la solitudine, ha un atteggiamento schivo e tende a essere diffidente e pessimista. 

Ma oltre alla dicotomia Estroversione-Introversione Jung individua quattro funzioni psichiche principali: Sentimento, Pensiero, Sensazione e Intuizione. Ognuna di queste indica un diverso modo di rapportarsi al mondo. 

Dall'interazione di attitudine e funzione psichica dominante si possono definire almeno otto tipi psicologici principali, come riportato dagli attuali manuali di psicologia: 

1. Sentimentale Estroverso: diplomatico, espansivo e molto socievole, si inserisce con estrema facilità in ogni tipo di gruppo. 2. Sentimentale Introverso: taciturno, riservato, spesso malinconico, vive i sentimenti in modo esclusivo senza esprimerli all'esterno. 3. Pensatore Estroverso: riformatore, moralizzatore, per lui contano solo i fatti concreti e poco o nulla le teorie. 4. Pensatore Introverso: riflessivo, chiuso al mondo esterno, insegue pensieri astratti ed è del tutto indifferente all'oggetto. 5. Sensoriale Estroverso: esteta, alla ricerca dei piaceri della vita, realista e gaudente, crede solo nei fatti concreti e tangibili. 6. Sensoriale Introverso: animo da artista, per lui conta solo la sua soggettività, attraverso la quale interpreta e si relaziona al mondo circostante. 7. Intuitivo Estroverso: opportunista, dinamico, guidato da uno spiccato senso degli affari e da una notevole carica di entusiasmo. 8. Intuitivo Introverso: sognatore, è colui che più di ogni altro crede nel potere dell'immaginazione. 

Una lettura comunque fondamentale, per capire qualcosa di più dell'oceano psichico dal quale siamo abitati e che abitiamo.


Fabrizio Falconi


29/09/15

Oltre la Mente. La vita è chiaroscuro.


La mente non è un corpo rigido.  Nemmeno la visione lo è.  Nemmeno i suoni che percepiamo, o le sensazioni tattili delle nostre mani.   La mente elabora i tracciati vibrati dei sensi, ma è già a sua volta elaborata per essere duttile o elastica. 

Un pianto si risolve in riso, un riso in pianto. L'evoluzione della mente umana, basata su esperienza e conoscenza, è come una pianta che si solleva dal terreno e cresce sovrapponendo cellula a cellula, con il passare degli istanti. 

Come la pianta formata di tessuto cellulare, anche la mente è elastica, mutevole, si adatta all'ambiente circostante, seguendo la propria natura. 

La sperimentazione del vuoto della mente avviene in alcuni stati, come l'incoscienza o la meditazione profonda.  Ma anche in quei momenti, la mente non è mai vuota. 

Come insegnano le moderne conoscenze scientifiche, il vuoto non esiste.  

Nella fisica moderna il vuoto è ben lungi dall'essere vuoto, scrive Fritjof Capra  Al contrario, esso contiene un numero illimitato di particelle che vengono generate e scompaiono in un processo senza fine.  Il "vuoto fisico" non è uno stato di semplice "non-essere", ma contiene la potenzialità di tutte le forme del mondo delle particelle.

Il vuoto è dunque potenzialità.  Quel che noi chiamiamo 'vuoto' è una zona grigia, dove il bianco non è del tutto bianco (e non può esserlo) e il nero non è del tutto nero (né può esserlo). Il grigio, in ogni sua possibile gradazione, è possibilità, infinite possibilità.

Alla Mente dunque, se è concesso di individuarsi solo per contrasto, cioè differenziandosi, è consentito di fare esperienza e quindi di crescere, soltanto per gradazioni, per variazioni: il sole se è pieno uccide, il buio se è pieno uccide. 

La vita può prosperare solo nello spazio intermedio, la vita della mente può prosperare solo nello spazio intermedio. 

Come scrive C.G.Jung, purtroppo, come tutto ciò che è sano e durevole, la verità si tiene più sulla via di mezzo che noi a torto detestiamo. 


E quel purtroppo è molto eloquente (specialmente detto da Jung): tutti vorremmo infatti un bel piatto caldo, già pronto da mangiare.  Tutti vorremmo non interrogarci troppo.  Tutti vorremo come l'aspirante pittrice de Lo stato delle cose (Wenders,1982) non dover diventare matti con il chiaroscuro, che rende irriproducibile quello che vediamo, impossibile da catturare. 

Una mia cara amica ha detto: Io sento in me istinti che devo combattere e contrastare. Tutta la mia tensione interiore è generata da una lotta continua tra ciò che sento giusto e buono e ciò che in realtà faccio quotidianamente.

Sembra essere lo stato permanente in cui si muove la nostra mente. Che è come un mare inquieto, liquido, in movimento. Il che stabilisce anche la nostra incompletezza, perché qualcosa in noi aspira o aspirerebbe ad un porto sicuro, ad un confine certo.  Ad un bianco o nero.

Ma questa imperfezione o incompletezza E' la vita.

Che non è data da altro se non da questo.   Una volta appresa, con profonda consapevolezza, questa lezione, si può o si potrebbe dire, insieme a Simone Weil:

Io desidero, io supplico che la mia imperfezione si manifesti ai miei occhi, interamente, totalmente, per quanto ne è capace lo sguardo del pensiero umano. Non perché esso guarisca, ma perché, anche se non dovesse guarire, io sia nella verità.


Fabrizio Falconi (C) - 2015 riproduzione riservata.




23/07/15

La remora è un pesce (ma nessuno lo sa). Jung e l'Echeneis.






Echeneis è il nome latino di un pesce molto particolare.

Di esso racconta Plinio nella sua Historia Naturalis, in un passo ripreso da Jung, in Aion

“La remora “ scrive Jung, “piccola per statura e grande per la potenza costringe le superbe fregate del mare a fermarsi: avventura che come ci racconta Plinio in modo interessante e ameno tocco ‘ ai nostri tempi’ alla quinquereme dell’imperatore Caligola

Mentre questi ritornava dall’Astura ad Anzio, il pesciolino, lungo mezzo piede, si attaccò succhiando al timone della nave, provocandone l'arresto

Tornato a Roma, dopo questo viaggio, Caligola venne assassinato dai suoi soldati. 

L’ Echeneis“ continua Jung, “agì dunque come praesagium, come piscis auspicalis, rileva Plinio. Un tiro analogo esso lo giocò a Marc’Antonio, prima della battaglia navale contro Augusto, in cui dovette soccombere

Plinio non finisce mai di stupirsi del potere dell’ Echeneis. La sua meraviglia impressionò evidentemente gli alchimisti al punto di indurli a identificare il ‘pesce rotondo del nostro mare’ con la Remora. 

La Remora divenne così il simbolo dell’estremamente piccolo nella vastità dell’inconscio. Che ha un significato tanto fatale: esso è infatti il Sé, l’Atman, quello di cui si dice che è IL PIU’ PICCOLO DEL PICCOLO, PIU’ GRANDE DEL GRANDE."



28/06/15

Gli orrori dei nostri tempi. Una pagina di Jung.



La moralità non è un malinteso escogitato da un ambizioso Mosè sul Monte Sinai, ma appartiene alle leggi della vita e risulta dal normale decorso della vita, come una casa o una nave o un altro strumento della civiltà. 

La normale corrente della libido, cioè appunto questo sentiero intermedio, significa una completa obbedienza alle leggi fondamentali della natura umana, e non si può stabilire alcun principio morale più alto della concordanza con le leggi naturali, dalla cui armonia deriva la direzione della libido nella quale consiste l'optimum della vita. 

L'optimum di vita non è rappresentato dal cupo egoismo; né l'uomo raggiungerà mai il suo optimum di vita attenendosi all'egoismo, giacché in fondo egli è fatto in modo che la gioia del prossimo, della quale egli è causa, costituisca per lui qualcosa di indispensabile.

E tanto meno l'optimum di vita può essere raggiunto per mezzo di uno sbrigliato impulso individualistico verso una superiorità di livello, giacché l'elemento collettivo è così forte nell'uomo che il suo anelito verso la società gli guasterebbe ogni gioia fondata sul puro egoismo.

L'optimum di vita può essere raggiunto solo obbedendo alle leggi che regolano il flusso della libido, le quali determinano il succedersi di sistole e diastole, che danno la gioia e la necessaria limitazione; le quali ordinano anche i compiti della vita, di natura individuale, senza il cui adempimento l'optimum di vita non potrà mai essere raggiunto. 

Ora, se il raggiungimento di questa via consistesse unicamente in un lasciarsi sospingere, appunto secondo un deprecato "naturalismo", la più profonda speculazione filosofica che la storia del pensiero conosca non avrebbe alcuna ragione d'essere.

Anche considerando di sfuggita la filosofia delle Upanisad si ha l'impressione che il raggiungimento del sentiero non sia un compito dei più facili.

Il tono di superiorità di noi occidentali di fronte alle concezioni indiane è frutto della nostra natura barbarica, ancora assai lontana dall'avere un'idea della loro straordinaria profondità e della loro sorprendente esattezza psicologica.

Noi siamo ancora così immaturi che abbiamo bisogno di leggi dall'esterno e di chi ci tenga a freno con la ferula (ossia di un padre) per poter sapere cosa è bene e pote agire correttamente.

Ed è perché siamo ancora così barbari che crediamo che la fiducia nelle leggi della natura umana e della via umana sia una specie di naturalismo pericoloso e immorale.  Perché ?

Perché nel barbaro sotto la scorza sottile dell'uomo civile spunta subito la bestia, e di questa bestia il barbaro ha giustamente paura. Ma non si domina la bestia limitandosi a chiuderla in una gabbia.

Non vi è moralità senza libertà. 

Se un barbaro lascia libera la bestia che è in lui, questo non è libertà ma esattamente l'opposto. Per poter essere liberi è necessario che prima la barbarie sia domata.

Ciò accade in linea di massima se il fondamento e la forza determinante della moralità sono avvertiti e sentiti dall'individuo come elementi costitutivi della sua stessa natura e non come limitazioni esteriori.  Ma come può l'uomo giungere a una tale sensibilità e perspicacia se non attraverso il conflitto degli opposti ?


Carl Gustav Jung, da Tipi psicologici, Edizione integrale di riferimento, Traduzione di Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2001, pag. 230-2. 

26/06/15

La mia vita è un mistero. Una riflessione.


La mia vita – come quella di ogni naufrago occidentale in questo inizio millennio – si basa su due presupposti errati.

Il primo è quello che la mia vita psichica, cioè quello che succede dentro la mia mente, attimo per attimo, mentre sono vivo, sia completamente SEPARATO dalla vita fisica, da quello cioè che succede intorno a me nel mondo. 

Penso che ognuno di noi, se ci riflette per un istante, sa che esiste una connessione molto stretta tra quello che pensa e quello che accade intorno a lui. Ne abbiamo molte prove. 

E ormai abbiamo dato nomi stabili a fenomeni, come la psico-somatica, l’omeopatia, la medicina ayurvedica, che ci dimostrano ad esempio che esiste una stretta correlazione tra il nostro stato psichico e la salute del nostro corpo. 

Io ho avuto molte dimostrazioni di questo nella mia vita, osservando me e gli altri. Un solo esempio: mia madre, che ha goduto di una salute perfetta per tutta la vita – mai un giorno al letto, nemmeno per un’influenza – si ammalò in un periodo di profonda depressione psichica. Lamentava un forte dolore all’orecchio. 

I medici si arrovellarono a lungo per capire quale era il suo problema, finché non scoprirono che aveva contratto un rarissimo batterio che – ci dissero – si può contrarre soltanto nelle sale operatorie con ferri non sterilizzati. 

Ovvio che mia madre non avesse mai messo piede in una sala operatoria (se si escludono i parti, decine di anni prima). La scienza ancora non sa nulla di come funziona il rapporto tra psiche e corpo. La medicina usa la parola stress – come si definisce scientificamente ? – quando non sa trovare un motivo valido perché una persona si ammali. 

Ma cos’è lo stress ? Cos’è la depressione ? E perché quando siamo di buon umore le cose sembrano andare meglio,  gli altri si accorgono di noi, abbiamo ‘fortuna’, e quando siamo stanchi sfiduciati e depressi, tutto va male, e il destino sembra accanirsi ? Mistero. 

Quel che il pensiero filosofico – e ultimamente anche quello della fisica moderna – sospetta è che la nostra percezione del mondo esterno sia molto strettamente legata all’essenza del mondo stesso. 

Senza arrivare all’eccesso di George Berkeley, il quale arrivò ad escludere l'esistenza assoluta delle cose: secondo il teologo irlandese infatti tutto ciò che esiste è o idea o spirito, quindi le cose non sono altro che le idee. Ma siamo sicuri che si sbagliasse ? Che prove ne abbiamo ?

Eppure, nonostante questo io – come tutti noi – mi continuo a comportare, nella mia vita di tutti i giorni, come se la mia mente fosse qualcosa di separato dal mondo.

Il secondo presupposto errato, sul quale si basa la mia vita, è che tutto quanto accade nella vita, si basa su un principio di stretta CAUSALITA’

Tutta la mia vita di uomo occidentale è governata dalla convinzione che ogni azione (della mia vita) causa una reazione, e ogni stimolo una risposta. Siamo talmente pervasi da questa mentalità, che qualsiasi cosa accade nella nostra vita, l’unica domanda che ci interessa è : “perché è successa ? da cosa dipende ? cosa ho fatto io ? O cosa non ho fatto ? “ 

Ci piace molto ragionare così perché in questo modo abbiamo la sensazione – che ci sembra confortante – di essere sempre in grado di controllare la situazione, di staccarci dal mondo esterno e di poter influire su di esso. 

Senonché questa convinzione viene continuamente minata, nella nostra vita, da eventi e cose che non possiamo controllare e che semplicemente ‘accadono’.

Il nostro atteggiamento allora è quello di assorbire questi eventi e cercare di sistemarli – se ci riusciamo – in un ordine di senso. Ma questo è molto limitato. 

Nella mia vita – come, immagino nella vita di tutti, se soltanto ci riflettete un attimo – sono capitati eventi ‘casuali’ che noi chiamiamo ‘coincidenze’, che hanno profondamente segnato il nostro cammino. Avvenimenti che NON HANNO UNA CAUSA. Dovevo andare al mare. Ma era brutto tempo. Ho cambiato strada, sono entrata in un negozio e lì ho trovato casualmente l’uomo della mia vita. Mi sono messa a parlare ‘casualmente’ con lui e … Chi è che ha ‘causato’ questo evento ? Nessuno. Eppure è successo. 

Sono quelle che Carl Gustav Jung chiamò con il termine – successivamente divenuto molto popolare – di ‘sincronicità’: eventi a-causali, senza una causa specifica, che si accompagnano a profonde esperienze emotive, e – di solito – a cambiamenti di vita importanti. 

Perché accadono queste ‘sincronicità’ ? Cosa vogliono da me ? Cosa mi raccontano ? E perché quello che accade nella mia mente è così importante, rispetto al mondo ? Mistero. Decisamente, la mia vita è un mistero. Soltanto che, troppo spesso, me ne dimentico. E vivo, come un naufrago di inizio millennio, come se tutto fosse scontato e tristemente chiaro. 


 Fabrizio Falconi - riproduzione riservata (C)(Foto in testa tratta da 'Solaris' di Andrej Tarkovskij).

15/04/15

Carl Gustav Jung: Il Tema Astrale.




A partire dal Timeo ( di Platone, ndr) è stato ripetutamente affermato che l'anima è il "rotondo".

In quanto anima mundi essa gira con la ruota dell'universo, il cui fulcro è il polo. Per questo lì si trova il cuore del Mercurio: perché il Mercurio è l'anima mundi. 

L'anima mundi è propriamente il motore del cielo. Alla ruota dell'universo stellato corrisponde l'oroscopo, il Thema Tes Geneseos, ossia quella suddivisione del cielo in dodici case che al momento della nascita viene regolata in modo che la prima casa coincida con l'ascendente.

Il firmamento così suddiviso sembra una ruota che gira, e fu a causa della similitudine fra la ruota e il tornio che l'astronomo Nigidio venne soprannominato Figulus, cioè Vasaio. 

Il Thema (propriamente ciò che viene posto o imposto) è in realtà un Trochos, una ruota.

Il senso fondamentale dell'oroscopo consiste nel fatto che, determinando le posizioni dei pianeti nonché le loro relazioni (aspetti) e assegnando i segni zodiacali ai punti cardinali, esso dà un quadro della costituzione prima psichica e poi fisica dell'individuo.

L'oroscopo dunque rappresenta in sostanza un sistema delle qualità originarie e fondamentali del carattere d'una persona e può essere considerato un equivalente della psiche individuale.


31/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 8. Il numero 137, Pauli e Jung (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014).

8.  IL NUMERO 137, PAULI E JUNG


E terminiamo questo excursus con ultimo numero, il 137.
Sul quale si potrà sapere tutto leggendo un bellissimo saggio di Arthur J. Miller, professore  di storia e filosofia della scienza presso l'University  College di Londra: L'equazione dell'anima, pubblicato da Rizzoli nel 2009, che racconta l'ossessione per un numero nella vita di due geni, Carl Gustav Jung e il fisico Wolfgang Pauli.
Negli anni '30, ad appena trent'anni, Pauli è uno dei teorici più brillanti della nascente fisica quantistica.  Eppure ogni notte si ritrova a vagare nei quartieri a luci rosse in preda all'alcol e alla depressione.




Ed è proprio la sua doppia vita ad indurlo a rivolgersi a Carl Gustav Jung, il discepolo eretico di Freud, divenuto in quegli anni un punto di riferimento della ricerca psichica mondiale.
L'incontro tra questi due geni, tra ragione e misticismo, diviene una potente alleanza tra due giovani scienze, la psicoanalisi e la meccanica quantistica, all'insegna di quello che appare come un numero magico: il 137. 

Un numero che da un lato descrive con grande precisione il dna della luce e dall'altro è la somma dei valori numerici dei caratteri ebraici che compongono la parola Kabbalah (Cabala). 


Perché il Dna della luce ? Perché – detto con parole semplici – 137, o meglio 1/137 è la cosiddetta COSTANTE DI STRUTTURA FINE, cioè uno di quei numeri che stanno alla base stessa dell’universo e di tutta la materia.



Le righe spettrali infatti, rappresentano una sorta di impronta digitale di un atomo e si rivelano quando la luce colpisce un atomo.

C’era qualcosa in questo numero primo (il 33.mo per l’esattezza) e primordiale, che stuzzicava la curiosità e l’immaginazione di tutti, fisici e scienziati, nel secondo dopoguerra.

I fisici – Planck fu preceduto in questa ossessione da Arthur Eddington – si convinsero che la costante di struttura fine non può avere quel valore per caso. Esiste là fuori, indipendentemente dalla struttura della nostra mente.

Ma Pauli rimase esterrefatto quando, dopo aver stretto amicizia con Gershom Sholem, uno dei massimi esperti di misticismo ebraico, scoprì che la parola Cabala in ebraico si scrive con quattro lettere, la cui somma dà proprio 137.
Ma altrettanto, gli disse Scholem, fanno altre parole contenute nella Bibbia, come “il dio fedele”, “circondato da splendore” e la parola ebraica che significa “crocefisso”, tutte danno come risultato 137.


Pauli cominciò a parlare di questo a Jung, durante le sedute e nei loro incontri di lavoro,  e anche Jung, ovviamente ne restò enormemente affascinato,  diventando anche un terreno di indagine parallela per Jung e per le sue ricerche sulla essenza e sul Sè.



L’ossessione per il numero 137, come simbolo accompagnò  Pauli fino al letto di morte. In modo veramente incredibile.  Il 5 dicembre del 1958, durante una lezione pomeridiana, Pauli fu colto da dolori lancinanti allo stomaco. Fino ad allora aveva sempre goduto di ottima salute, nonostante la sua vita non certamente morigerata.  Fu portato in tutta fretta all’ospedale della Croce Rossa di Zurigo.
Un amico, Charles Enz andò a trovarlo. Pauli era visibilmente agitato.  Aveva notato il numero della stanza ? Chiese ad Enz. ‘No’, rispose il suo assistente.  “E’ il 137!” gemette Pauli, “Non uscirò mai vivo da qui.”   Quando lo operarono i medici scoprirono un grosso carcinoma al pancreas. Pauli morì nella camera 137 il 15 dicembre. La sua ultima richiesta era stata di parlare con Jung.



Insomma, abbiamo chiuso con questo che è molto più di un aneddoto, questo piccolo viaggio nel mondo dei numeri archetipici.


La suggestione, come abbiamo visto, era ed  è ancora  quella di trovare un numero alla base dell'universo, un numero primordiale, un numero da cui tutto dipende e dà conto di tutto. Anche in questo momento in cui parliamo qui, in diverse parti del mondo matematici e fisici sono al lavoro per trovare le tracce di quel raccordo finale che speriamo un giorno di intravvedere dentro all’enorme, spaventoso mistero in cui la nostra vita biologica e spirituale sembra calato.

E' un vecchio sogno umano, inseguito da astronomi, scienziati, alchimisti, mistici, filosofi, matematici che prosegue e che probabilmente accompagnerà l’evoluzione dell’intelligenza umana ancora per molto.

La Galassia dell'Aquila, fotografata dal telescopio spaziale Hubble della Nasa


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (8- fine)