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12/04/21

Libro del Giorno: "La società senza dolore" di Byung-Chul Han

 


Come scrive Davide Sisto, Byung-Chul Han, " “Il filosofo tedesco più letto nel mondo” (El Pais), “La punta di diamante di una nuova, accessibile filosofia tedesca” (The Guardian), “Uno dei più importanti filosofi contemporanei” (Avvenire), è, senza dubbio, uno dei pensatori attualmente più apprezzati a livello internazionale. 

I suoi libri sono letti e studiati non solo dagli addetti ai lavori nel campo della filosofia, ma in ogni settore disciplinare intento a decifrare con lucidità le caratteristiche del presente. Addirittura, Der Spiegel usa il termine “gratitudine” per l’audacia con cui il filosofo sudcoreano cerca di interpretare quella complessità del reale che, quotidianamente, rischia di sopraffarci e di soffocarci. Il segreto dell’universale entusiasmo nei confronti di Han è riconducibile, soprattutto, alla sua capacità di vestire plausibilmente i panni di un Günther Anders del XXI secolo, quindi di un critico radicale, pessimista e apocalittico delle principali tendenze politiche, sociali, culturali e tecnologiche odierne, adottando però uno stile di scrittura tanto cristallino quanto fascinoso e attraente. "

La conferma arriva dal suo ultimo saggio, La società senza dolore, pubblicato in Italia da Einaudi.

Il mondo contemporaneo, sostiene Byung-Chul Han, nato in Sud Corea e docente di Filosofia a Berlino, è terrorizzato dalla sofferenza. La paura del dolore è cosí pervasiva e diffusa da spingerci a rinunciare persino alla libertà pur di non doverlo affrontare. Il rischio, secondo Han, è chiuderci in una rassicurante finta sicurezza che si trasforma in una gabbia, perché è solo attraverso il dolore che ci si apre al mondo.

E l’attuale pandemia, argomenta il filosofo tedesco-coreano, con la cautela di cui ha ammantato le nostre vite, è sintomo di una condizione che la precede: il rifiuto collettivo della nostra fragilità. 

Una rimozione che dobbiamo imparare a superare. Attingendo ai grandi del pensiero del Novecento, Han ci costringe, con questo saggio cristallino e tagliente come una scheggia di vetro, a mettere in discussione le nostre certezze. 

E nel farlo ci consegna nuovi e piú efficaci strumenti per leggere la realtà e la società che ci circondano.

12/01/21

Libro del Giorno: "La società della stanchezza" di Byung-Chul Han

 


Uno dei saggi più conosciuti di Byung-Chul Han, nato a Seul, e considerato uno dei piú interessanti filosofi contemporanei, docente di Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino, che ha pubblicato con Nottetempo amche Eros in agonia (2013, 2019), La società della trasparenza (2014), Nello sciame (2015), Psicopolitica (2016), L’espulsione dell’Altro (2017), Filosofia del buddhismo zen (2018), La salvezza del bello (2019) e Che cos’è il potere? (2019).

In questo suo testo, di grande lucidità, Byung-Chul Han analizza il disagio dell’individuo tardo-moderno nelle odierne società della prestazione e della competizione. 

Rivisitando alcune categorie classiche del pensiero novecentesco, l’autore osserva come l’ossessione dell’iperattività e del multitasking produca disturbi di natura depressiva e nevrotica, e interpreta questo malessere come un’incapacità a gestire la negatività dell’esperienza, in un mondo caratterizzato dall’eccesso produttivo e dalla disponibilità universale di merci e persone. 

Una denuncia dell’odierna “società della stanchezza”, in cui ogni reazione al modello sociale dominante rischia di essere inibita da un senso d’impotenza.

Riporto qui di seguito, l'affascinante incipit del testo (che risulta anche quanto mai attuale. Han ha scritto nel 2013,    quando era ancora difficile immaginare lo sviluppo di una pandemia come quella attuale):

La violenza neuronale 

Ogni epoca ha le sue malattie. Cosí, c’è stata un’epoca batterica, finita poi con l’invenzione degli antibiotici. Nonostante l’immensa paura di una pandemia influenzale, oggi non viviamo in un’epoca virale. L’abbiamo superata grazie alla tecnica immunologica. Sul piano delle possibili patologie, il XXI secolo appena cominciato non è caratterizzabile in senso batterico o virale, quanto piuttosto in senso neuronale. Malattie neuronali come la depressione, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD)2, il disturbo borderline di personalità (BPD) o la sindrome da burnout (BD) connotano il panorama delle patologie tipiche di questo secolo. Non si tratta di infezioni, piuttosto di infarti che non sono causati dalla negatività di ciò che è immunologicamente altro, ma sono determinati da un eccesso di positività. Queste sindromi si sottraggono a qualsiasi tecnica immunologica che miri a respingere la negatività dell’Estraneo.

Byung-Chul Han 

La società della stanchezza 

traduzione: Federica Buongiorno 

pagine: 130 Euro 14 

Data Pubblicazione: 01/02/2012 

16/12/20

Libro del Giorno: "La salvezza del bello" di Byung-Chul Han

 



Meritevole l'editore Nottetempo che sta da diversi anni stampando l'opera di Byung-Chul Han, nato a Seul 60 anni fa, filosofo tedesco-sud coreano con un passato nella metallurgia e brutale critico della Rete e del globo interconnesso, considerato uno dei piú interessanti filosofi contemporanei, docente di Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino. 

Ne La salvezza del bello, edito nel 2015 in Germania (2019 in Italia), Byung-Chul Han si interroga sulla trasformazione dell'idea della bellezza nella società dei consumi digitale, sul cambiamento di percezione e sul significato stesso del bello. 

Nel mondo di oggi, scrive Byung-Chul Han, "nulla ha consistenza e durata.  Di fronte alla radicale contingenza (del mondo digitale, dove tutto è qui e ora ndr.) si risveglia la nostalgia di ciò che vincola a un impegno e che trascende la quotidianità. Oggi ci troviamo in una crisi del bello proprio perché il bello è stato levigato divenendo oggetto del piacere, del like, del piacevole e confortevole.  La salvezza del bello significa la salvezza di ciò che vincola e impegna a una responsabilità." 

Per quanto quindi il titolo possa essere equivocato, Byung-Chul Han non parla della "bellezza che salva", intesa in senso dostoevskijano, ma della responsabilità, oggi fondamentale per tutti, di "salvare il bello", di preservarlo dalla prosaicità dittatoriale della vita per come essa è diventata. 

Dostoevskij infatti aveva detto che solo la bellezza ci salverà. Ma oggi è il bello stesso a dover essere messo in salvo, recuperando l’integralità della sua esperienza che l’epoca digitale fa svanire di giorno in giorno. 

Questo è l’intento del saggio di Byung-Chul Han, che ripercorre momenti essenziali del pensiero europeo sul bello, da Platone a Nietzsche e Adorno, per mostrare con vigorosa persuasività la deriva estrema della nostra esperienza estetica

L’estetizzazione diffusa, la veloce proliferazione di immagini levigate e consegnate al consumo, dove conta solo il mero presente della piú piatta percezione, conducono a una fondamentale anestetizzazione. 

Nulla piú accade e ci riguarda nel profondo, e cosí l’arte stessa diventa, come già aveva avvertito Nietzsche, solo occasione di una momentanea eccitazione. 

Ma l’originaria esperienza del bello è invece una scossa estatica che ci trasforma e si prolunga anche nella vita etica e politica. 

La bellezza non rimanda al sentimento di piacere, ma a un’esperienza di verità

“Tu devi cambiare la tua vita”: il monito che promana dal Torso arcaico di Apollo nell’omonima poesia di Rilke è la parola che il bello ci rivolge attraverso questo libro.


Byung-Chul Han 

05/12/20

Byung-Chul Han: "Per poter pensare ci vogliono silenzio e vuoto"


Byung-Chul Han è uno dei più interessanti filosofi contemporanei. Questo è un brano dell'intervista rilasciata al Suddeutsche Zeitung nel dicembre del 2012 e che oggi appare quanto mai attuale. 

E' nato in Corea del Sud nel 1959 e ora è professore di filosofia e studi culturali all'Università delle Arti di Berlino. È diventato noto grazie al suo bestseller »Die Müdigkeitsgesellschaft« (2010) sulla crescente cultura dell'autosfruttamento. Nel suo libro “The Transparency Society” (2012) descrive come ci stiamo sviluppando in una società di controllo totalitario con il pretesto della democrazia e della libertà di informazione.

Credi che il networking digitale avrà effetti negativi sulla psiche delle persone a lungo termine? 

Non puoi dirlo oggi. Ma quello che colpisce è che comunichiamo così tanto che non ci sono più pause, non ci sono più silenzioUna lacuna in mezzo a questa marea di informazioni ci sembra insopportabile perché le interruzioni non hanno più un ruolo nella nostra società dell'informazioneLa rottura è la morte. Ed è per questo che spettegoliamo e disimpariamo a distinguere ciò che è importante da ciò che non è importante. Omettere e dimenticare può essere molto produttivo, per non parlare dell'intuizione, che perdiamo nella quantità di informazioni. Per poter pensare ci vogliono silenzio e vuoto.

E non ce ne sono quasi più

Sì, stiamo attualmente vivendo un'enorme accelerazione nel ciclo di segni, informazioni e capitaliPer questa accelerazione, tutti i segreti, le ritirate, le unicità, gli angoli e gli spigoli devono essere eliminatiSolo nella società della trasparenza il flusso permanente di informazioni e beni non incontra più resistenza. Nella società della trasparenza tutto è rivolto all'esterno, rivelato, spogliato ed esposto. Ci esponiamo all'attenzione.

Qual è la conseguenza?


Sosteniamo il turbo-capitalismo e la società della performance neoliberale rendendoci tutti una merceL'unico valore che ancora esiste è il valore espositivo. Questa è una drastica riduzione della vita e dell'esistenza.

Ma continuiamo a inviare messaggi per mostrare quanto siamo unici. 

Un errore. Facebook è un luogo in cui tutti sono uguali perché vogliono essere diversi. Ognuno ha la forma di una merce in modo che possa adattarsi al sistema. Nessuno può essere diverso su FacebookE il centro dell'uguaglianza è il pulsante "Mi piace". Perché non c'è il pulsante "Non mi piace"? Una guida per gli appuntamenti su Internet dice: Milioni di donne ti stanno aspettando. E cosa fanno gli uomini? Confronta. Separare la parola:
Confronta, che significa: fai tutto allo stesso modo. Viviamo nell'inferno dello stesso,
in cui le esperienze erotiche non sono più possibili.

È perché siamo troppo narcisisti? 

Sì, il mio nuovo libro parla di questo. Si chiama Agony of Eros e descrive che diventiamo depressi perché ci incontriamo solo ovunque. Siamo esausti di noi stessi, l'Eros, invece, è un'esperienza che l'uno viene strappato da sé dall'altroÈ un segno distintivo di una società sempre più narcisistica che l'altro scompaiaE con esso l'eros, cioè la possibilità dell'amore.

Dove vedi il limite per questo sviluppo? 

Penso che stiamo andando verso il disastro.

Ma l'anticapitalismo è di nuovo chic e la consapevolezza ecologica ancora di più. Non è possibile rompere la logica della trasparenza e della crescita e riformare il sistema prima che imploda?


Non importa quanto lontano si pensi, gli umani imparano solo attraverso i disastri, mai attraverso l'intuizioneNon ci sarebbe pace in Europa oggi senza la seconda guerra mondiale. Arthur Schnitzler una volta disse: “Le persone si comportano come i bacilli. Crescono e distruggono lo spazio in cui vivono, per cui alla fine periscono loro stessi. ”Questo confronto ha senso per me. Moriamo perché non siamo consapevoli dell'ordine superiorePoiché siamo in costante crescita, moriremo da quella crescita.

Quale potrebbe essere questo ordine superiore?


Solo un essere saprebbe che sarebbe più intelligente di noi.

Lo Spiegel una volta ti ha definito il "filosofo del cattivo umore". Adesso sappiamo perché.


Preferirei essere un filosofo di cattivo umore piuttosto che un filosofo di buon umore. Ad essere onesti, non sono affatto dell'umore. A volte sono triste, ma è diverso. Il pensiero è sempre una forma di resistenza. E sì, penso di sfuggire alla morte e servire la vita.


29/11/19

"Solo l'amore può salvare il pianeta" - intervista a Peter Trawney da "L'Espresso"



SOLO L'AMORE PUO' SALVARE IL PIANETA - Intervista di Stefano Vastano a Peter Trawney, da L'Espresso

«L’inizio di un amore è l’esperienza più entusiasmante che si possa vivere e, per un filosofo, la più bella su cui riflettere». Risponde così Peter Trawny, accogliendoci nel suo appartamento a Düsseldorf, alla domanda su cosa l’abbia spinto a scrivere un libro dedicato alla “Filosofia dell’amore” (in uscita in Germania per le edizioni Fischer). Fondatore e direttore del prestigioso Martin-Heidegger-Institut all’ateneo di Wuppertal, Trawny ha dedicato la carriera allo studio di Heidegger, curando l’edizione dei tristemente famosi “Quaderni neri”, da cui è emerso il feroce antisemitismo del filosofo di “Essere e Tempo”. 

Perché, ora, nell’era dell’amore digitale e degli incubi ambientali, occuparsi di Eros?

«Perché è da una lettura di Eros che è iniziata la filosofia, con Platone», spiega il 54enne Trawny: «Oggi ci tocca ritornare lì, al primo amore. Cosa, del resto, ci colpisce più a fondo dell’inizio di quell’esperienza? La nascita di un figlio, il nostro primo incontro d’amore...Momenti indimenticabili, iniziatici. Tanto più che l’amore ha la forza di stupirci sino alla fine dei nostri giorni con nuovi, imprevedibili inizi. Ogni filosofia dell’amore parte dalla radicalità di Eros sin dall’inizio».

Platone coglieva in ogni amore il desiderio di crescere. E la speranza è che con Eros - si legge nel “Simposio” - ci vengano incontro il Bello e il Bene. 

«Platone vede questi aspetti nell’Eros perché la sua filosofia prova ad addomesticare nel Logos la tragicità con cui l’amore si presenta ad Euripide e Sofocle. Per i tragici Eros è un tiranno. Nei suoi testi Platone ricorre a tutti i mezzi, poetici e mitici, pur di instillare l’idea dell’“amore filosofico“, l’interscambiabilità fra l’amore e la virtù. È da questo scambio che inizia la storia della filosofia occidentale».

Oggi sono le soap opera, o le star di Hollywood, a dirci cos’è Amore. Non si sente smarrito in mezzo a tanto kitsch?

«Persino nelle sue forme più banali o commerciali si intuisce la carica esistenziale, e filosofica, dell’amore nella vita. Una love story al cinema commuove perché ci ricorda una passione reale. E ogni amore è uno shock, qualcosa che ci rapisce ed espone nudi a un altro. In tv o al cinema le storie d’amore saranno kitsch e a lieto fine, ma ci attraggono perché rimettono il dito in una profonda ferita».

In “Frammenti di un discorso amoroso” Roland Barthes definisce “mostruosa” la pretesa dei filosofi di spiegarci l’amore...

«E ha ragione: ogni “ars amatoria” renderebbe oggi ridicolo il suo autore. Io restituirei la parola ai poeti: nei versi di Rilke o nelle pagine di Tolstoj apprendiamo di più sull’amore. E questo perché nell’Eros il filosofo si confronta con l’assoluta contingenza di ogni amore. Persino nell’era globale e digitale, l’arrivo di Eros abbatte il nostro Io e ne straccia le difese narcisistiche. Questo ha poco a che fare con la chiarezza gnoseologica a cui la filosofia aspira».

Tutti i filosofi del postmoderno decretano, per citare Byung-Chul Han, “L’agonia dell’amore”, annegato in Internet e nella pornografia.

«Il 21° secolo ci affoga in un surplus di autonomia, di pretese abnormi della soggettività. Da Alain Badiou a Byung-Chul Han, i filosofi diagnosticano l’agonia di Eros per sovraesposizione mediatica. Nell’era neoliberale ci crediamo ultra-autonomi, soggetti ipermobili e superconnessi a reti digitali. E, al tempo di Tinder, si scambia l’amore con la “fuckability” dell’altro».

Cosa accade quando Eros ci afferra? Lei parla di perdita di autonomia e di libertà, i due pilastri su cui si basa la moderna soggettività, da Cartesio a Kant ed Hegel.

«È la schizofrenia della soggettività occidentale. In ognuno di noi, insieme ad autonomia e libertà opera l’impulso opposto, la forza del desiderio e la capacità di perdersi in un Altro. Mai come oggi questa schizofrenia esplode sulle piattaforme digitali che offrono in cambio dell’amore, impegno troppo grave, la volatilità di contatti on line».

Il Werther di Goethe è il kamikaze che si uccide per l’amata. La frase shock di ogni amore è quella rivolta a Lotte: «Ich kann nicht ohne dich leben», non posso vivere senza di te. 

«L’amante è pazzo d’amore. Eros è sempre un’offesa al nostro Io, una ferita e rischio mortale per la nostra autonomia. Ma è anche un Dio alato, capace di donarci il massimo dell’entusiasmo liberando energie represse. L’estasi amorosa è in questa dirompente ambiguità con cui Eros ci sconvolge».

Continua a leggere qui:

SOLO L'AMORE PUO' SALVARE IL PIANETA - Intervista di Stefano Vastano a Peter Trawney, da L'Espresso


10/03/18

Byung-Chul Han: "Lo smartphone ci promette la libertà, ma è diventato un campo di lavoro, un confessionale e uno strumento di sorveglianza".



Byung-Chul Han è uno dei più brillanti pensatori contemporanei:  insegna Kulturwissenschaft presso la Universität der Künste di Berlino, in Germania, ed è uno scrittore e teorico della cultura, di origine coreane (è nato, infatti, a Seoul nel 1959). Dopo gli studi iniziali di metallurgia in Corea del Sud, ha conseguito il dottorato in Filosofia (1994) all’Università di Friburgo in Brisgovia con una tesi su Martin Heidegger e ha insegnato dapprima a Basilea e, fino al 2012, a Karlsruhe – dove è stato collega di un altro influente pensatore contemporaneo, Peter Sloterdijk. A partire dagli anni 2000, con La società della stanchezza (tr. it. di F. Buongiorno, nottetempo, Roma 2012), Han ha costruito un percorso intellettuale di critica dell’odierna società capitalistica e neo-liberale, indagando i (dis)funzionamenti e le conseguenze antropologiche e sociali dei processi di globalizzazione, ricorrendo a categorie tratte dalla letteratura (come la stanchezza, ripresa dall’opera di Handke) e dalla filosofia sociale (come la trasparenza, cfr. La società della trasparenza, tr. it. di F. Buongiorno, nottetempo 2014), per decostruire le strutture dell’odierno neoliberalismo mercatista. Personalità dal profilo eclettico e sfuggente, Han rifiuta generalmente di rilasciare interviste ed evita di divulgare dettagli riguardanti la sua biografia.
Questo brano è tratto dalla bellissima intervista rilasciata a Federica Buongiorno per Doppiozero:


Oggi viviamo nell’illusione di essere liberi, ma non lo siamo affatto: vediamo infatti come la comunicazione, che si presenta come libertà, si rovescia in controllo. Comunicazione e trasparenza producono anche una costrizione al conformismo: oggi crediamo di non essere soggetti sottomessi ma liberi, crediamo di essere un progetto che si delinea in maniera sempre nuova, che si reinventa e si ottimizza. Il problema è che questo progetto, nel quale il soggetto sottomesso si libera, si rivela esso stesso una figura della costrizione. 

L’io come progetto sviluppa delle costrizioni interiori, per esempio nella forma della prestazione e dell’ottimizzazione sempre maggiori. Oggi viviamo in una fase storica particolare, nella quale la stessa libertà implica costrizioni. Per Karl Marx il lavoro conduce all’alienazione: il Sé viene distrutto dal lavoro. Attraverso il lavoro si viene alienati dal mondo e da se stessi: per questo ho sostenuto che il lavoro è una de-realizzazione del Sé. 

Oggi il lavoro assume la forma della libertà e dell’auto-realizzazione. Sfrutto me stesso nella convinzione di realizzarmi. Il sentimento dell’alienazione, qui, non sorge; così, questo è anche il primo stadio dell’euforia da burnout. Mi butto entusiasticamente nel lavoro, fino a esserne annientato: mi realizzo morendo. Mi ottimizzo nella morte. Mi sfrutto volontariamente, fino a distruggermi. Questo auto-sfruttamento è più efficace dello sfruttamento estraneo di Marx, proprio perché procede insieme al sentimento della libertà

Il dominio neoliberale si nasconde dietro la libertà percepita: si dà, anzi, esso stesso come libertà. Il dominio raggiunge la forma più stabile laddove coincide con la libertà. L’odierna società non è la società della repressione, anche se la fine della repressione non implica la libertà. Oggigiorno, piuttosto, noi siamo depressi: la società della repressione cede il passo alla società della depressione.

Prima di tutto, c’è lo smartphone: ho sostenuto che lo smartphone è una forma di campo di lavoro. Con lo smartphone noi ci portiamo dietro un campo di lavoro.

Esso ci promette la libertà, ma di fatto è diventato un campo di lavoro, un confessionale e uno strumento di sorveglianza. Il tratto peculiare del contemporaneo campo di lavoro è che siamo al tempo stesso detenuti e sorveglianti. Non siamo servi, soggetti allo sfruttamento di un padrone. Piuttosto, siamo insieme servi e padroni.

I servi, infatti, devono accettare ogni lavoro: non sono liberi. Il neoliberalismo produce l’obbligo ad accettare ogni lavoro, perché non conosce il concetto della dignità umana. L’ha interamente sostituito con il prezzo