Visualizzazione post con etichetta buchi neri. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta buchi neri. Mostra tutti i post

10/04/19

Scattata la foto del secolo: Prova diretta dei buchi neri.


Per la prima volta e' stato fotografato un buco nero. Dopo che nel 2016 le onde gravitazionali hanno dimostrato l'esistenza di questi misteriosi oggetti cosmici, arriva la prima prova diretta e l'immagine che lo testimonia e' quella del buco nero Messier 87, al centro della galassia Virgo A (o M87), distante circa 55 milioni di anni luce. 

Al risultato, del progetto internazionale Event Horizon Telescope (Eht), l'Italia ha partecipato con Istituto Nazionale di Astrofisica(Inaf) e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).

Come si vede nella foto che pubblichiamo, l'enorme Buco Nero è stato rivelato dalla sua ombra, che appare come una sorta di anello rossastro, il buco nero al centro della galassia M87 con la massa di sei miliardi e mezzo quella del nostro Sole. 

"Quella che abbiamo visto e' l'ombra di un buco nero", ha detto all'ANSA Luciano Rezzolla, direttore dell'Istituto di Fisica Teorica di Francoforte e membro del comitato scientifico della collaborazione Eht (Event Horizon Telescope).

La grande novita' della prima fotografia di un buco nero è che oggetti cosmici invisibili per definizione per la prima volta possono essere visti e studiati direttamente. "Adesso possiamo finalmente osservarli", ha detto all'ANSA Luciano Rezzolla, direttore dell'INFN di Francoforte e membro del comitato scientifico della collaborazione Eht. Oggi si apre la "prima pagina di un libro nel quale e' possibile fare osservazioni sempre piu' accurate di questi oggetti, previsti un secolo fa da Albert Einstein". 

26/02/15

Il Buco Nero dei misteri che può riscrivere la storia dell'Universo - Una scoperta fantastica.



Pubblico a beneficio dei lettori questo meraviglioso articolo scritto da Emanuele Perugini per Il Messaggero, 26 febbraio 2015.


La storia dell’Universo, almeno così come la conosciamo, deve essere riscritta.

Se non del tutto, almeno per la parte che riguarda la formazione e il funzionamento dei buchi neri.

Un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Arizona ha infatti scoperto un buco nero così grande e luminoso da scombinare tutti i calcoli finora effettuati e le teorie che su quei numeri trovano solide conferme.

Del resto, da un buco nero, dall’oggetto cioè più misterioso e affascinante dell’Universo non potevamo aspettarci altro. Mentre però di solito sono i fisici e gli astronomi a fare le pulci quando capita che un film o un libro prendano in considerazione questi corpi celesti, come di recente il film Interstellar di Christopher Nolan, stavolta è stato un buco nero a fare le pulci agli scienziati, costringendoli a mettere in dubbio le loro solide certezze. I numeri, come si dice in questi casi, proprio non tornano.

I dati rilevati dagli astrofisici dell’Università dell’Arizona guidati da Xue-Bing Wu e pubblicati su Nature, sono impressionanti.

Il buco nero SDSS J0100+2802 (questa la sua sigla) o meglio il quasar che lo circonda ha una massa pari a 12 miliardi di stelle come il nostro Sole. Un decimo di tutta la Via Lattea. La sua luminosità, è un altro record assoluto perché è pari a 420 trilioni di volte di quella del nostro Sole.

Si tratta di numeri impressionanti e mai rilevati fino ad oggi, ma non sono questi i dati che hanno fatto saltare sulla sedia gli astrofisici di tutto il mondo.

Quello che più colpisce ed è veramente fuori da ogni teoria fin qui messa in tavola è la sua lontananza. Questo buco nero si trova infatti a una distanza di circa 12,8 miliardi di anni luce dalla Terra. E siccome la distanza, nello spazio, equivale al tempo, significa che la luce emessa da questo enorme corpo celeste è stata generata quando l’Universo aveva appena 900 milioni di anni.

Troppo poco tempo per arrivare a generare un buco nero di tali proporzioni. «Questo quasar è davvero unico» dice Xue-Bing Wu. «Scoprire che questo Quasar ha emesso la radiazione che abbiamo studiato appena 900 milioni di anni dopo il Big Bang ci ha letteralmente galvanizzato. Proprio come un faro, il più brillante tra quelli ai confini del cosmo, la sua intensa luce ci aiuterà a sondare meglio l’universo primordiale».

Xue-Bing-Wu

 La scoperta è stata realizzata combinando i dati raccolti dal telescopio da 2,4 metri di diametro Lijiang nello Yunnan (Cina), il Multiple Mirror Telescope da 6,5 metri, il Large Binocular Telescope in Arizona, il Magellan Telescope dell’Osservatorio di Las Campanas in Cile e, infine, il telescopio Gemini North da 8,2 metri sul Mauna Kea, Hawaii.

«La formazione di un buco nero così grande e così precocemente – ha spiegato Fuyan Bian, dell’Università Nazionale Australiana e che ha partecipato al lavoro – è difficile da interpretare sulla base delle teorie attuali».

BULIMIA

Si tratta di un oggetto formatosi nelle prime fasi di formazione dell’Universo e risulta ad oggi il più brillante oggetto antico mai conosciuto. Il mistero da risolvere è infatti capire come possa essere cresciuto così rapidamente.

Per arrivare a quei numeri «dovrebbe aver divorato – ha spiegato Adriano Fontana, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf)l’equivalente della Grande Nube di Magellano, una galassia nana compagna della Via Lattea, in appena qualche centinaio di milioni di anni!».

 In realtà non è così e i buchi neri, per quanto dotati di supermassa non possono essere bulimici. A un certo punto anche per loro c’è il rischio indigestione. Nel caso in cui dovessero assorbire una quantità davvero enorme di materia, l’energia che verrebbe rilasciata sarebbe così potente da annullare la forza d’attrazione gravitazionale del buco nero.

«Fino ad oggi – ha spiegato Fontana, che è anche il responsabile italiano dei dati del Large Binocular Teleschope, uno degli strumenti che sono stati utilizzati per studiare il buco nero – pensavamo che si trattasse di una stella alquanto vicina a noi. Ora però che sappiamo quale sia veramente, quanto smisurata sia la sua massa e la sua distanza, la sfida che abbiamo di fronte è spiegare come sia possibile trovare un oggetto tanto massiccio in un’epoca così remota».

Le ipotesi sul tavolo degli scienziati sono tre.

 «La prima – spiega Fontana – è che non abbiamo ancora ben compreso come funzionano i buchi neri. La seconda è che forse, all’inizio, nella prima fase di espansione dell’Universo fossero più grandi di quelli che osserviamo in fasi più vicine a noi. La terza, che è anche la più affascinante sotto il profilo teorico, ma anche la meno probabile, è che in realtà questa scoperta potrebbe portare indietro il momento in cui c’è stato il Big Bang.

 Le prossime indagini già in programma, che coinvolgeranno anche i telescopi spaziali Hubble e Chandra, potranno aiutarci a capire meglio la natura e la storia di questo mostro cosmico».

Emanuele Perugini, Il Messaggero, 26 febbraio 2015

14/02/15

Carlo Rovelli: Sette brevi lezioni di fisica. Un caso editoriale.





Consola sapere che un libro come Sette brevi lezioni di fisica edito da Adelphi è diventato in Italia un best-seller.   Oltre 70.000 copie infatti sono state vendute di questo libricino di appena 85 pagine che mette in scena - è il caso di dire - le moderne acquisizioni scientifiche in materia di teoria generale della relatività, meccanica quantistica, astrofisica e fisica delle particelle elementari. 

Un territorio apparentemente ostico, che Rovelli attraversa con passo british, cioè leggero ed essenziale. 

La divulgazione scientifica nel nostro paese fa sempre fatica. Ma Rovelli, che da molti anni lavora all'estero e attualmente al Centro di Gravità Quantica di Marsiglia, sembra aver trovato la formula giusta.

7 semplici lezioni, di poche pagine ciascuna, che affrontano temi vertiginosi, come i buchi neri, l'illusione spazio-temporale, la probabilità, il calore, l'architettura incredibile del cosmo e delle particelle di cui esso - e anche noi stessi - è costituito. 

Il segreto forse è tutto qui.  Se si sono approfonditi altrove questi temi, il libro potrà risultare anche troppo leggero. Ma se si vuole invece cominciare, se si vuole entrare nel rovescio di prospettiva che rende ardua da pensare la nostra condizione di esseri gettati  (come diceva Heidegger)  nella esistenza, consapevole, in questo incredibile, meraviglioso mistero, questo forse è proprio il testo ideale.

Vi si trovano piccole perle come questa: Abbiamo cento miliardi di neuroni nel nostro cervello, tante quante le stelle di una galassia, e un numero ancora più astronomico di legami e combinazioni in cui questi possono trovarsi. Di tutto questo non siamo coscienti. "Noi" siamo il processo formato da questa complessità, non quel poco di cui siamo coscienti.

Fabrizio Falconi

Carlo Rovelli

18/11/14

Interstellar - Una domanda sulla morte.




Anche Interstellar - come ogni altro film di Christopher Nolan - ha attirato critiche da parte della comunità scientifica per le inesattezze contenute (Qui si può leggere anche la risposta del regista). 

Ma è fin troppo ovvio che ad un artista non si chiede di fare divulgazione scientifica (con lo stesso metro quale scienza approverebbe il Bambino delle Stelle finale di Kubrick nella Space Odissey?) ma di raccontare una storia e possibilmente aiutare a riflettere sulla contemporaneità. 

Nolan lo fa. 

Interstellar è un film prezioso, perché costringe a riflettere sul tema della morte e della distanza. L'astronauta Cooper perso nei meandri di un buco nero (lo scienziato di cui sopra boccia l'ipotesi che si possa sopravvivere ad una caduta in un buco nero, ma ad essere esatti nemmeno si è guardato con attenzione il film, perché qui si parla tecnicamente di uno wormhole e non di un buco nero, sono due cose diverse e a quanto pare ancora nessun umano c'è mai finito dentro), si ritrova - come morto - in una dimensione quantistica separata dal piano terrestre reale, ma non del tutto. 

Cooper può vedere (?) davanti a sé squadernati tutti i tempi di vita, della sua vita terrestre, quelli di sua figlia, come se fossero disposti sullo scaffale di una libreria. 

La morte è dunque forse proprio questo essere fuori, questo essere oltre, questo essere prigionieri ?

La morte di Cooper non è - per esigenze di copione, come scopriremo alla fine - una morte.  Ciò che è morto però è il tempo, che non riusciamo mai ad immaginare per quello che esso effettivamente è: una convenzione, soltanto una delle dimensioni possibili. 

Non ho paura della morte, ho paura del tempo, dice in una memorabile battuta il professor Brand, alias Michael Caine, teorico della Nasa nel film.

Sembrano la stessa cosa, ma non lo sono. 

Fabrizio Falconi