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30/08/21

Il Libro del Giorno: "Grande Sertao" di Joao Guimaraes Rosa

 


Da tempo giravo intorno a quello che viene unanimemente considerato il capolavoro probabilmente massimo della letteratura sudamericana, un po' intimorito. 

Il paragone con l'Ulisse di Joyce - di cui Grande Sertao  viene considerato a maglie larghe l'equivalente latino - comportava il misurarsi con una lettura impegnativa. 

Lo è stato. 

Grande Sertao è un libro mirabile ma difficile, nel quale bisogna entrare gradatamente, lasciandosi coinvolgere dal suo flusso narrativo ininterrotto, che si sviluppa nel corso di 500 densissime pagine, nelle quali manca del tutto un qualsiasi riferimento a paragrafi, capitoli o parti.  In cui perfino i capoversi sono assai rari. In cui anche i dialoghi sono quasi sempre inseriti direttamente dentro il  magma del racconto, il quale ha una unica voce recitante in un tempo sospeso e non definito storicamente: quella dell'avventuriero Riobaldo, conosciuto anche come Tataranà nella prima parte del libro e come Urutù Bianco nella seconda parte, il quale si rivolge ad una non definita 'vossignoria', la cui identità fino all'ultima pagina, non verrà mai svelata. 

João Guimarães Rosa, nato nello stato brasiliano del Minas Gerais, nel 1908 e morto a  Rio de Janeiro, nel 1967, lavorò incessantemente a Grande Sertao per un decennio, che costituisce una opera-mondo:  narra la storia di due personaggi Riobaldo, appunto, il narratore, e Reinaldo detto Diadorim.

Diadorim amico d'infanzia di Riobaldo è il figlio di Joca Ramiro, un capobanda di jagunços, avventurieri che si spostano continuamente lungo le immensità del territorio brasiliano, guerreggiando contro bande nemiche, innamorandosi, tra continue avventure e sparatorie. 

Riobaldo tesse la storia della sua vita in un discorso di scoperta e autoconoscenza, scoprendo il mondo del sertão; si rivela come se dicesse il sertão sono io per identificarsi. In queste pericolose traversie, Riobaldo confronta le forze del bene e del male, incorporando nel flusso della memoria il filo della sua vita che non segue un racconto lineare. 

Il rapporto con Diadorim, alter-ego conturbante del protagonista, con i capi sotto i quali gli tocca combattere, quello con Otacilia, una lontana innamorata, con i fazenderos, esasperati dalle tirannie dei capibanda locali, ma soprattutto con il Sertao, vera anima vivente del racconto. Il Sertao, con la sua natura selvaggia e senza freni, con i suoi animali, i silenzi, le imboscate, le piogge torrenziali, il sole che spacca le pietre, è il grande teatro sul quale si agita la vita convulsa e scellerata di Riobaldo, all'insegna della ricerca della propria vera identità.

Un'opera magna e stupefacente che stordisce e lega il lettore pagina dopo pagina, trasportandolo in un mondo surreale e lontano, senza tempo.

Più che a Joyce, in realtà, si pensa spesso a Cervantes. 

Un grande libro, che resta. 

Fabrizio Falconi 


João Guimarães Rosa 

Grande Sertao

Traduttore: Edoardo Bizzarri 

Feltrinelli Universale economica Edizione: 14 Anno edizione: 2017 

Pagine: 499 p., Euro 2017 


13/12/20

Paolo Rossi e il mistero di "Eupalla" che si incarnò in lui il giorno di Italia-Brasile


La parabola epica di Paolo Rossi racconta meglio di sempre il fascino del gioco del calcio dovuto alla sua illogicità, alla sua imprevedibilità e ai capricci di quella che Gianni Brera chiamava Eupalla, la inesistente divinità del Pallone che lui aveva inserito nel pantheon greco.

Paolo Rossi, che fino ad allora era stato un giocatore normale, in quella partita - Italia-Brasile, mondiali 1982 - fu pervaso dalla divinità che scelse di incarnarsi in lui, per motivi imperscrutabili.

Io mi ricordo bene quei tempi. L'Italia di Bearzot arrivò a quel mondiale circondata dalla disistima di tutti gli italiani, che giudicavano il tecnico friulano più o meno un totale incapace e i giocatori che vestivano l'azzurro, brocchi. Il girone di qualificazione dell'Italia fu pessimo, e la nazionale rischiò di essere eliminata passando come seconda con miseri 3 punti (3 pareggi, 2 soli gol fatti e 2 subiti) contro avversari che erano Polonia, Camerun, Perù. Polemiche durissime ogni giorno piovevano sul ritiro azzurro in Spagna. L'Italia fu inserita, essendo giunta seconda, in un girone spaventoso, contro i fuoriclasse brasiliani e argentini, spacciati per tutti, anche per Monsieur de Lapalisse.

Poi arrivò quella partita. In cui Eupalla scelse il piccolo, magrolino e fiero Paolo Rossi. Si incarnò dentro di lui e gli concesse di trasformarsi in una furia divina.

In quella partita irripetibile, gli italiani all'ultima spiaggia divennero i maestri brasiliani e i brasiliani fuoriclasse arrancarono increduli di fronte a questa improvvisa e inspiegabile metamorfosi.

Come ha detto efficacemente oggi Junior (nella foto qui insieme a Paolino): "Se noi (cioè il Brasile) avessimo segnato anche il pareggio del 3 a 3 in quella partita, Paolo Rossi avrebbe poi segnato il 4 a 3".

Efficace sintesi. Destino, premonizione, carattere, fato, talento: chiamatelo come volete.

Il mistero descritto da J. Hillman ne "Il codice dell'anima" trovò quel giorno la sua più eclatante dimostrazione.

Ci sono cose più grandi di noi. E il destino di una palla che rotola - checché ne pensino sapienti e scriba - è uno di questi.

Cosa che fa impazzire e dannare chiunque si sia mai appassionato a una partita di calcio, uno dei giochi più crudeli mai inventati dall'uomo.

Fabrizio Falconi - dicembre 2020

09/11/20

In atto la criminale deforestazione dell'Amazzonia, un dramma mondiale - i dati


L'Amazzonia brasiliana ha registrato a ottobre 2020 più del doppio di incendi rispetto allo stesso mese dello scorso anno e il Pantanal, santuario della biodiversita', ha conosciuto il mese scorso il suo record di roghi.

Lo ha annunciato l'Istituto nazionale di indagini spaziali. 

L'Amazzonia brasiliana e' stata colpita da 17.326 incendi contro i 7.855 di ottobre 2019 e nei primi 10 mesi del 2020 i roghi sono stati 93.356, contro il totale del 2019 che e' stato pari a 89.176.

Il Pantanal, la piu' grande zona umida della Terra, ha registrato 2.856 incendi, un record mensile dall'inizio delle osservazioni nel 1998

Le fiamme hanno divorato piu' del 23% della zona brasiliana della riserva e la stessa percentuale della Bolivia e del Paraguay

Da gennaio a ottobre i roghi in questa zona sono stati 21.115, contro i 10.025 dello scorso anno.

Gli ambientalisti e le ong accusano il governo di Jair Bolsonaro noto scettico dei cambiamenti climatici che ha piu' volte sostenuto le attivita' di estrazione nelle aree protette dell'Amazzonia, incoraggiando la deforestazione.

29/09/20

L'Autunno del Patriarca. L'ultimo grande amore di Ungaretti, la giovane Bruna Bianco.

 


L'Autunno del Patriarca. L'ultimo grande amore di Ungaretti, la giovane Bruna Bianco.

Giuseppe Ungaretti incontrò l'attraente e intelligente "signorina" nel settembre del 1966 a San Paolo del Brasile, al termine di una lezione all'Università. La ragazza si era avvicinata, consegnando al professore/poeta un fascio di sue poesie
E un inaspettato amore si instaura e si declina in tutte le sue forme nonostante l'inaudita differenza d'età: Ungaretti aveva infatti 78 anni, Bruna soltanto ventisei.
Le 377 lettere scritte dal poeta a Bruna sono state fra l'altro di recente raccolte e composte in un volume ( G. Ungaretti, Lettere a Bruna, a cura di Silvio Ramat, Mondadori).
Bruna Bianco era una ragazza tutt'altro che eccentrica. Aveva vissuto a Canelli, in Piemonte, per poi trasferirsi con la famiglia a San Paolo del Brasile, dove si occupava della piccola azienda di famiglia.
Tra i due, il sentimento scoppia naturalmente e senza filtri. Bruna non ascolta le amiche che vogliono dissuaderla. Non calcola né prevede nulla per sé.
Ungaretti è felicemente scosso, si sente tornato fanciullo: "Sono un vecchio uomo che ha ancora un cuore caldo come quello di un fanciullo", scrive, " non ho mai provato una felicità tanto profonda, mai."
Le lettere che scrive a Bruna sono meravigliose, piene di incanto poetico, di essenziali descrizioni, di gioia quasi metafisica.
"Ho mutato la mia notte in prima mattina ai tuoi occhi", le scrive.
"Bruna Bianco, che oggi ha 80 anni e vive in Brasile, dove è diventata un importante avvocato, ha dato il consenso per la pubblicazione delle lettere, raccontando in una intervista:
"L'amore con Ungaretti è stato luce illuminante, fulminante e così ardente fisicamente che porto ancora oggi la fiamma di una passione vera, costante, che da allora ad oggi dà impulso a tutto quello che faccio, con gioia immensa di vita e sicurezza di raggiungere gli obbiettivi proposti."
Ungaretti definì Bianca, in una delle sue lettere: "mio vivente amore di Poesia".
La loro storia d'amore durò fino alla morte del poeta, tre anni dopo.
Ungaretti morì a Milano, nella notte tra il 1º e il 2 giugno del 1970, per una broncopolmonite. Il 4 giugno si svolse il suo funerale a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, ma non vi partecipò alcuna rappresentanza ufficiale del Governo italiano.

notizie tratte in parte da: G.Ficara, "L' ''Antico" Ugaretti tra vita e poesia, in Domenica Sole 24 Ore, 26 novembre 2017, p. 27

08/09/20

Caetano Veloso: "I diritti e la libertà sono sotto minaccia"



"Ho sempre avuto una memoria micidiale, alla mia testa piace molto ricordare, figuriamoci quei giorni li', ma quando ho avuto tra le mani quei fogli, il verbale del mio interrogatorio e gli appunti della mia detenzione, di cui ignoravo l'esistenza, non nascondo di essermi emozionato molto", e anche se con il filtro freddo del collegamento zoom da Rio de Janeiro l'emozione prosegue a distanza per Caetano Veloso quando racconta il film che lo vede protagonista. 

Si tratta di Narciso Em Ferias, Narciso in vacanza, evento speciale fuori concorso a Venezia 77.

Diretto da Renato Terra e Ricardo Calil, fa leva sui ricordi e sulle riflessioni di Veloso su quei 54 giorni di carcere sotto la dittatura militare brasiliana, nel 1969, con il pretesto di aver cambiato le parole di una canzone

Raccontando nel dettaglio quei giorni scolpiti nella sua memoria, il musicista, tra i fondatori del Tropicalismo che e' stato un movimento non solo musicale ma anche culturale d'avanguardia, ricorda e interpreta le canzoni di quegli anni e le storie molto spesso simili di altri artisti, tra cui Gilberto Gil, che fu arrestato lo stesso giorno.

"Fare memoria per me e' stato catartico, sono uscito di casa pensando di fare un'intervista e invece mi sono ritrovato indietro di 50 anni con un racconto rimasto per tanto tempo segreto e sono stato sopraffatto dall'emozione".

Erano anni, quelli della dittatura militare di Humberto de Alencar Castelo Branco, meno nota dei vicini Cile e Argentina ma certo non meno traumatica, in cui anche una canzone poteva portare in carcere. 

E oggi? Gli intellettuali incidono ancora nella societa' rappresentando un pericolo per il potere? "Dietro una parvenza di democrazia c'e' una minaccia piu' subdola, meno chiara, all'epoca c'era una struttura autoritaria, ora invece c'e' quasi una contaminazione, una trama che cerca di infiltrarsi tra le maglie della democrazia, impedendo di fatto la circolazione delle idee, l'affermazione dei diritti e per la cultura e' piu' difficile incidere, anche se ha sempre la possibilita' di mettere in scacco e in crisi l'establishment se vuole. La situazione e' diversa dal '68, ma il modo di gestire la cosa pubblica spesso nel mio Paese non e' democratico. Oggi poi le nostre paure sono legate al timore di perdere i diritti acquisiti, allora non ne avevamo proprio". 

La quarantena, la situazione attuale ancora nella pandemia, anche per motivi sanitari, ha accentuato in Brasile, ma anche in tutto il mondo, il potere di controllo sui cittadini cosa ne pensa? "C'e' il tentativo di controllo totale, il Covid 19 suggerisce fantasie di dominio sulle persone, ma per me non e' una sorpresa, era gia' nell'aria e la comunicazione, i media, in questo hanno grande responsabilita'. Ma non voglio essere catastrofico ne' complottista, la situazione e' in evoluzione, dobbiamo imparare a convivere con lo sviluppo della scienza, l'intelligenza artificiale e la gestione degli algoritmi cercando di conservare autonomia delle coscienze". 

Caetano Veloso, mettendo a nudo il suo passato di 50 anni fa, spera di arrivare ai giovani e far conoscere quel desiderio di liberta' che avevano i ragazzi come lui, sottolineato da quell'Hey Jude, la canzone immortale dei Beatles, che ha riarrangiato per il documentario Narciso Em Ferias in uscita anche come album. 

Italia per Veloso infine significa cinema, Michelangelo Antonioni, "un'amicizia durata anni sull'onda del mio amore per i film italiani, da La Strada di Fellini che vidi a 15 anni, alle opere di Rossellini. Tutte cose che sono state importantissime per la mia formazione". 

Fonte: Alessandra Magliaro per ANSA

08/07/17

L'incredibile vicenda di Sebastiano Caboto, esploratore veneziano del '500 in un nuovo libro.



A Sebastiano Caboto, l'esploratore veneziano che nel 1526 intraprese per conto del re di Spagna un importante viaggio lungo le coste e alcuni fiumi del continente sudamericano, e' dedicato un libro

Lo ha scritto Gherardo La Francesca, gia' ambasciatore d'Italia in Brasile, "Sebastiano Caboto. Storia di un viaggio nel cuore profondo del continente sudamericano" e' la fedele ricostruzione storica della spedizione geografica diretta dal navigatore italiano attraverso l'Oceano Atlantico, per risalire oltre milleduecento chilometri lungo il corso dei grandi fiumi latinoamericani e penetrare nel cuore profondo e sconosciuto del continente

La storia, ricostruita con l'ausilio di un prezioso repertorio documentale e corredata da 74 riproduzioni di altrettante mappe, documenti, stampe e strumenti nautici del XVI e del XVII secolo, segue le varie tappe del viaggio del navigatore italiano che, partendo dal porto andaluso di San Lucar de Barrameda al comando di quattro navi, dopo una sosta nelle isole Canarie che allora costituivano l'ultimo avamposto del mondo conosciuto, si addentro' nelle acque ancora quasi inesplorate dell'Oceano Atlantico. 

Popolate, secondo leggende ancora assai diffuse, da mostri marini e caratterizzate da acque ribollenti, interminabili calme e improvvise violentissime tempeste. 


"A rileggere il resoconto della spedizione Caboto - ha affermato Pierangelo Campodonico, direttore del Galata Museo del Mare - vengono in mente le pagine di Cuore di tenebra di Joseph Conrad: anche qui, si puo' dire che dentro il cuore dell'uomo bianco si annida un demone insaziabile. La risalita del Parana', come quella del fiume conradiano, e' in realta' una discesa agli inferi, un viaggio nell'alterita'. Stupisce questa capacita' di adattamento dell'uomo che ha respirato l'aria del Rinascimento, di adattarsi e di sentirsi a suo agio in ogni contesto

"La Francesca - sottolinea la professoressa Maria Rosaria nella presentazione del libro - attinge alla sua personale esperienza di esperto navigatore per spiegare le difficolta' e i problemi tecnici legati all'attraversata atlantica e all'esplorazione di Caboto: distanze in miglia, nodi, venti, correnti marine, tipologie e limiti delle imbarcazioni"

L'autore infatti con la sua barca, costruita a Taiwan, chiamata Pulcinella, ha attraversato il Mar della Cina Meridionale, lo stretto di Malacca, l'Oceano Indiano, il Mar Rosso, il Mediterraneo e da ultimo nel 2014 l'Oceano Indiano. Il volume, e' uscito per la prima volta nel 2015 in Paraguay e ora in traduzione italiana. La Francesca e' nato a Roma nel 1946. Laureato in Giurisprudenza, e' stato diplomatico in Grecia, Egitto, Giappone, Argentina, Cipro e Brasile. 

15/02/16

La statua del Redentor sul Corcovado a Rio de Janeiro (Dieci luoghi dell'anima).


  


   Num cantinho um violao,
este amor uma cancao
pra fazer feliz a quem se ama,
muita calma pra pensar
e ter tempo pra sonhar,
da janela ve se o Corcovado,
o Redentor que lindo….

              I versi di Antonio Carlos Jobim, il padre della musica Brasiliana, di quella rivoluzione chiamata Bossanova, teorizzata e compiuta insieme a Joao Gilberto e Vinicius De Moraes, risuonano nella mente quando si intraprende un viaggio nel cuore del Brasile.  
              A me è capitato qualche anno fa, in una circostanza speciale, per la realizzazione di un reportage sulla deforestazione in Amazzonia.
              Rimasto in Brasile per quasi un mese,  e attraversato quel paese grande come un continente da est ad ovest, da nord a sud, ebbi l’impressione di apprezzarlo pienamente, di percepirne il senso della storia, e di quella filosofia di vita soltanto quando, lasciati alle spalle gli spazi sterminati del sertao, il bassopiano arido che abbraccia gran parte del nord-est,  e del bacino fluviale più esteso del mondo, feci visita al riconosciuto simbolo universale carioca.
              Come ogni simbolo, il Redentor, la monumentale statua eretta sulla sommità del Corcovado, che domina dalle sue altezze la città di Rio de Janeiro, parla molti linguaggi, e ad ognuno suggerisce qualcosa di diverso, un frammento o una suggestione di quella grande anima latino-americana che ha parlato nella storia di questo paese  attraverso i  preludi di Villa Lobos, le saghe bahiane di Jorge Amado, le imprese calcistiche, il cinema novo di Glauber Rocha.
          
           E ha parlato, appunto, anche grazie all’arte inconfondibile di Antonio Carlos Jobim.  Il quale, per sfuggire alle ombre lunghe di una infanzia grandemente sofferta – il padre, uomo religioso e tormentato, morì suicida, forse per una dose eccessiva di morfina usata per combattere la depressione – scoperta la magia di un pianoforte, si inventò una carriera di musicista, rifiutandosi in questo modo di proseguire le tradizioni diplomatiche della famiglia.
           Scelse, per vivere, una casa meravigliosa – intatta ancora oggi – immersa nel verde rigoglioso e nella pace (sembrerebbe incredibile a dirsi)  del quartiere di Ipanema.  Ci andò a vivere con la giovane moglie Thereza, e con i due figli Paulo ed Elisabeth. E qui scrisse  le canzoni di Orfeo Negro (il film che fece scoprire il Brasile a tutti, europei e americani compresi), A felicidade, Chega de Saudade, e la stessa Corcovado. Un pugno di canzoni che cambiarono la musica di quegli anni, e rimasero patrimonio di tutti.
           Erano gli anni del Brasile del presidente Juscelino Kubitschek, detto JK, eletto nel 1956,  gli anni di un memorabile e dissonante sviluppo economico che portò il Brasile alla ribalta del mondo, nella musica, nell’arte, nell’industria, nell’architettura.  A scapito di quello che in pochi decenni divenne il più grande indebitamento pubblico di un paese, destinato a pesare per così tanto tempo sulle spalle del popolo brasiliano, non si esitava a costruire l’utopia della città del futuro: la capitale Brasilia, disegnata dal genio di Oscar Niemeyer e di Lucio Costa,  sorta come un fungo nel deserto nel giro di pochi anni.
             Intanto il Brasile, quinto paese al mondo per estensione e per popolazione, diventava sempre più povero, e uno dei giganti cattolici del paese si trovava a fare i conti con la revanche dei riti sincretisti degli Orixas e di Nossa senhora da Bahia.
             Non era la prima volta che il Brasile provava a legittimarsi, nelle ambizioni più che nei fatti, potenza mondiale.
             Era già successo negli anni ‘30.  In quel tempo il Nord del pianeta si accorse del Sud non solo come deposito di ricchezze naturali, da depauperare. Il Sud era anche  ricchezza, mito primigenio, forza  creativa,   rinnovamento.
             In quegli anni dunque – esattamente il 12 ottobre 1931 – il Brasile si diede il simbolo che desiderava: una statua di Cristo alta 38 metri, e pesante 1.145 tonnellate. Scelse la data dell’anniversario della scoperta americana di Colombo, anche se quel giorno inaugurò per il Sud America (e per il Brasile) la lunga e terribile stagione dei massacri indiscriminati di ogni cultura indigena, vecchia di secoli. 
In realtà si parlava già da anni di porre una statua di Cristo in quel punto esatto. Probabilmente se ne parlava anche a causa del fatto che il primo nome che nel secolo sedicesimo i conquistatori portoghesi diedero a quel monte, dominante la spettacolare baia di Rio, fu Pinàculo de la Tentaciòn, perché  - ripido così come l’aveva disegnato la mano di Dio -  ricordava proprio il monte dal quale Cristo viene invitato dalle lusinghe del Diavolo a gettarsi nel vuoto.   Ma la prima iniziativa concreta per realizzare una scultura in quel luogo fu presa molto tempo dopo, intorno al 1850,  dal padre lazarista Pedro Maria Boss, che ne aveva parlato, senza molti risultati alla principessa Isabella, figlia dell’imperatore Pietro II, alla quale il Brasile deve l’abolizione della schiavitù. L’idea poi fu abbandonata con la proclamazione della Repubblica, nel 1889.
             E’ davvero incredibile come, nel cuore stesso di una città tentacolare e assurda come Rio de Janeiro, ancora oggi si possa respirare la magia di  quella natura incontaminata, di quel lussureggiante spettacolo naturale che per milioni di anni ha regnato incontrastato sul continente australe americano, prima della comparsa dell’uomo, e poi insieme ad esso.

tratto da: © Fabrizio Falconi - Cantagalli editore - Dieci Luoghi dell'Anima, 2009.
(continua a leggere sul libro). 



25/01/16

"METAFORA" - Le opere di Sidival Fila all'Ambasciata del Brasile a Piazza Navona, da oggi.





Sidival Fila in mostra all'Ambasciata del Brasile a Roma.

Un dialogo fra uomo, natura e Dio. È questo ciò che suggeriscono le opere dell’artista brasiliano Sidival Fila anche in questa selezione, intitolata “Metafora”, presentata e realizzata presso la Galleria Candido Portinari di Palazzo Pamphilj in collaborazione con l’Ambasciata del Brasile in Italia. 

“Nel segno della trasformazione che opera l’uomo in relazione al Suo Creatore” – afferma la curatrice, Cinzia Fratucello – “è anche questo significativo omaggio offerto dalle rappresentanze diplomatiche brasiliane in Italia ad un figlio del Brasile. Nei musei brasiliani Sidival ha incontrato l’arte e vissuto la sua prima passione artistica; nelle città italiane, e specie a Roma, ha raffinato il suo specifico linguaggio artistico”. 

Al primo impatto, lo spettatore è attratto dall’energia espressa dai colori e dalle tessiture complesse delle tele, per lo più monocrome

A uno sguardo più attento, però, ogni opera sprigiona una varietà di tonalità e diverse alterazioni di luci e spazi. 

“Lo sguardo non si ferma all’evidenza ma va aldilà del percettibile e del materiale” – spiega Fila. “Lo spettatore è invitato ad andare oltre lo spazio e il tempo, a lasciare i bisogni e ad affacciarsi all’anelito”. 

In questa comunicazione, gioca un ruolo importante la tecnica usata per ogni installazione. Le tele a volte sperimentano l’utilizzo del lino antico, tessuto a mano cento anni prima per qualche corredo nuziale e mai usato, oppure di un ricco damasco.

 “Non è un riciclo” – commenta l’artista. “È un recupero della stoffa antica che ha subito una cristallizzazione e ora torna a vivere. Fra il momento della creazione e la nuova realtà c’è un collegamento con lo spazio lontano. Il mio intento è quello di dar nuova vita alle trame antiche. Di farle rivivere attraverso l’arte”. Fra le installazioni esposte ci saranno alcune inedite, realizzate appositamente per la mostra, “Metafore”. “ 



"Metafora" 
Opere di Sidival Fila 
a cura di Cinzia Fratucello 
Palazzo Pamphilj (Ambasciata del Brasile) | Galleria Candido Portinari 
Piazza Navona 10 | Roma Mostra dal 27 gennaio al 19 febbraio 2016 
Dal lunedì al venerdì | ore 10-17 Entrata libera 
Presentazione alla stampa: 25 gennaio ore 18


13/03/14

Rio de Janeiro, l'oltre-mondo in terra.





C'è un po' di oltre-mondo in Rio de Janeiro.

Quando sono arrivato lì, anni fa, ho sentito una dissonanza (dal resto del mondo), che era come la scrittura di Clarice Lispector, lussureggiante e chiusa, misteriosa e sincopata, generosa, palpitante. 

Quando ho attraversato Leblon - in un caffé incontrai per una intervista Manuel Puig - sentivo il canto disperato di Maria Creuza, del suo amore oltre-mondano poetato da Vinicius de Moraes.  

Nel grande ingresso del Teatro Municipal, ogni ballerino era un mondo, ed ogni mondo era un colore diverso. 

Ogni frutto mangiato lì aveva un sapore oltre-terreno: niente aveva sapori conosciuti, niente aveva profumi conosciuti. 

A Copacabana, il grande spazio immenso era allo stesso tempo recluso dai Morros.  Così come tutto quell'azzurro era chiuso da nuvole cariche di pioggia che sparivano misteriosamente in pochi minuti, dopo aver inondato tutto. 

Sui tornanti tortuosi per raggiungere il Corcovado, il tassista giocava con la nebbia e ci fermava sempre sul tempo del precipizio. 

Tutto era precipizio, come Cristo sui pinnacoli tentato dal diavolo.

Tornati da Angra dos Reis, attraversando la foresta aggressiva fino al mare, i villaggi dei pescatori già supportati dal cemento, le centrali nucleari invise a Fernando Ribeiro e alla sua truppa di volenterosi,  fui nuovamente inghiottito da Rio. 

E di nuovo fu come passare in un'altra dimensione.

Forse lo è stato.  Sorseggiavo ancora la pinha, direttamente dalla mia cannuccia arcobaleno, con i piedi sporchi di sabbia e le chitarre di due pigri disperati, quando ero ormai a casa, quella che ancora chiamavo casa, e che non esisteva nell'oltremondo dove ero stato.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata 

27/12/13

Guardarsi allo specchio (Clarice Lispector)





Guardarsi allo specchio e dirsi meravigliata: come sono misteriosa. Sono così delicata e forte. E la curva delle labbra ha serbato l'innocenza. Non c'è uomo o donna che non si sia guardato per caso allo specchio senza rimanerne sorpreso. Per una frazione di secondo ci vediamo come un oggetto che è guardato. Ciò che si chiamerebbe forse narcisismo, ma io lo chiamo: gioia di essere. Gioia di trovare nella figura esterna le eco della figura interiore: ah, allora è vero che non mi sono immaginata, io esisto.




Clarice Lispector, La scoperta del mondo, Ediz. La Tartaruga, p.15.



20/10/13

La poesia della domenica - "Sonetto dell'amore totale" - di Vinicius de Moraes, tradotto e letto da Giuseppe Ungaretti.





E' una rara registrazione della voce di Giuseppe Ungaretti che legge una poesia di Vinicius De Moraes, tradotta da lui stesso.  Ungaretti e De Moraes si conobbero in Brasile negli anni '50. Ne nacque una amicizia poetica e anche una collaborazione, testimoniata anche da un album Lp, fino a pochi anni fa introvabile ed ora ristampato come CD dalla Warner, in cui si alternano le meravigliose canzoni di De Moraes cantate da Sergio Endrigo e da Moraes stesso insieme a Toquinho e brani di Ungaretti letti da lui stesso. 

(Sonetto dell'amore totale Da La vita, amico, è l'arte dell'incontro con Vinicius De Moraes, Sergio Endrigo e Giuseppe Ungaretti)

SONETTO DELL’AMORE TOTALE 
Vinícius de Moraes

Ti amo tanto, amore mio... non canta
Il cuore umano con più verità...
Amo te come amico e come amante
In una sempre diversa realtà.

Ti amo affine, di calmo amore pronto,
E da oltre ti amo, presente in nostalgia.
Ti amo, insomma, con grande libertà
Dentro l’eterno ed in ogni momento.

Come ama l’animale ti amo semplicemente,
D’amore privo di mistero e privo di virtù
Con un desiderio massiccio e permanente.

E di amarti talmente e di frequente,
Un giorno nel corpo tuo di repente
Avrò da morire di amarti più che uno possa.


(Traduzione di Giuseppe Ungaretti)

12/03/13

Diretta dal Conclave 8./ Se non passa Scola, l'outsider potrebbe essere il brasiliano Braz de Aviz.




A poche ore dall'Extra Omnes, che verrà pronunciato dal Maestro delle celebrazioni liturgiche Guido Marini e dalla chiusura del portone della Sistina affidata al Cardinale Harvey, l'ultimo degli eletti, i giochi del Conclave appaiono ancora incerti. 

E' soltanto il Corriere della Sera, oggi ad attribuire a Angelo Scola addirittura 50 voti già sicuri, a partire dal primo scrutinio di oggi pomeriggio. 

Tutti gli altri vaticanisti concordano invece in un quadro al momento molto più frammentato. Scola non supererebbe, per ora, i 35 consensi - lontana quindi il quorum di 77 - così come si fermerebbe al massimo a una trentina di voti il Cardinale Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile, cui fanno riferimento diversi esponenti della Curia. 

Altri voti andrebbero, nel primo scrutinio all'arcivescovo di New York Dolan e al cardinale canadese filo-ratzingeriano Ouellet.

Se le cose stessero veramente così - scontata la fumata nera di stasera - sarebbero decisivi i quattro scrutini di domani, due la mattina e due il pomeriggio.  Sapremo alla fine della giornata se uno di questi quattro candidati  - e Angelo Scola, superfavorito, in primis - avrà sfondato oltre il muro del pacchetto di voti già consolidato. 

Se invece avremo fumata nera anche domani sera, a partire da giovedì mattina, con il sesto scrutinio, si potrebbe aprire uno scenario completamente diverso, con l'uscita a sorpresa di un outsider, in grado di catalizzare i voti dei due schieramenti. 

Nelle ultime ore si è fatto avanti un nuovo nome, quello del Cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz,  Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, 66 anni, nato a Mafra. 

Durante le congregazioni preparatorie, nei giorni scorsi, Braz de Aviv si è reso protagonista di uno degli interventi più applauditi dai Cardinali (anzi, una specie di standing ovation), di forte e radicale critica nei confronti della Curia e di alcuni metodi divenuti prassi a Roma. 

Questo intervento - e la risposta che Bertone si è sentito in dovere di dare - hanno fatto subito levitare le quotazione di Braz de Aviz, che del resto è considerato un cardinale illuminato e anche pragmatico: è lui il grande organizzatore delle prossime Giornate Mondiali della Gioventù che si terranno a Rio de Janeiro dal 23 al 25 luglio 2013.

Ed è inutile dire che sarà il primo viaggio in assoluto, fuori dell'Italia del prossimo Papa..


Fabrizio Falconi


02/09/11

Intervista a Manuel Puig - di F.Falconi.



Questa mia intervista al grande Manuel Puig (General Villegas, 28 dicembre 1932 - Cuernavaca 22 luglio 1990) è stata realizzata a Rio de Janeiro nell'aprile del 1989. 

Abita nell’elegante quartiere di Leblon, fuori dalla spaventosa ridda di traffico, rumore e miseria della Rio de Janeiro popolare, Manuel Puig, lo scrittore argentino esiliato dal suo paese nel 1973 come conseguenza del sequestro di “Fattaccio a Buenos Aires”, un suo romanzo poco gradito ai generali.
Da allora Manuel Puig ha “abitato il mondo”, trascorrendo lunghi periodi in diversi paesi. Un suo romanzo, “Il bacio della Donna ragno”, portato sullo schermo in una fortunata riduzione, gli ha dato notorietà internazionale, consacrandolo una delle punte di diamante della letteratura sudamericana. Il suo ultimo libro, “Scende la notte tropicale”, edito in Italia da Mondadori,  (e ripubblicato recentemente da Sellerio ndr) è stato stampato in tutto il mondo e salutato con favore dalla critica internazionale.

Manuel Puig, il suo ultimo romanzo ha per protagonista due sorelle ultraottantenni di origine argentina che abitano a Rio de Janeiro e che si trovano coinvolte nelle vicende vissute e raccontate dalla loro vicina di casa quarantenne. Come è nato lo spunto del libro ? Perché ha scelto il tema della vecchiaia ?
- Osservando la mia famiglia. I miei genitori sono diventati vecchissimi e la loro vecchiaia ha per me qualcosa di “epico”.Si tratta di persone che come molte della loro generazione, hanno radicata una mentalità precisa, fatta di sacrificio, di lotta, di piccolo risparmio, di duro lavoro.  Sono per lo più emigranti che hanno molto faticato nella vita e che oggi devono adattarsi alla brutale realtà del continente sudamericano. L’iperinflazione ha tolto ogni significato alla parola risparmio. I loro nipoti parlano espressamente di sesso e droga, il loro mondo era troppo diverso da questo.  Io ho portato i miei genitori qui in Brasile con me e loro sono riusciti ad entrare in contatto col popolo brasiliano e questo è molto positivo. Per questi vecchi il bisogno più urgente è quello di dare affetto, non tanto di riceverne. Così per loro la cosa più importante è trovare l’oggetto di questo affetto.  E questa è proprio la storia del romanzo.

Quindi per le due sorelle, Nadia e Lucy l’oggetto d’amore è proprio Silvia, la vicina di casa.
- Certo. Ma io pensavo a Silvia come alla vera protagonista del romanzo. Poi mi sono accorto che per tutti quelli che l’hanno letto, le protagoniste sono diventate Nadia e Lucy. Capita sempre qualcosa di strano dopo aver finito un libro. C’è un triangolo tra l’autore, i personaggi e il lettore, e non sempre le cose vanno come l’autore ha previsto. Io poi cerco sempre di non “chiudere” i miei personaggi. Mi piace accennare agli spazi oscuri intorno ad ogni personaggio.

In “Scende la notte tropicale” ritornano le due città importanti della sua vita, Buenos Aires e Rio de Janeiro.
- Sì, sono due città diversissime, opposte. Buenos Aires è lavoro, risparmio, pensare al domani. E poi anche il clima, c’è qualcosa di molto europeo… A Rio de Janeiro invece è tutta natura, sole, godersi il momento. A me ha fatto molto bene venire qui.

Ma le è rimasta nostalgia per l’Argentina ?
- Io ho nostalgia per tutti i posti dove ho vissuto, una strana forma di nostalgia, legata anche all’epoca: così ho nostalgia per la Buenos Aires degli anni ’50, per la Roma dei ’60, per la New York del 1964, per la Londra del ’58. Ho nostalgia di questi posti perché non esistono più.  Negli ultimi venti anni tutto è cambiato. Così la Roma di oggi non è certamente quella che io percorrevo sui filobus degli anni ’60. Per quanto riguarda l’Argentina poi, i tempi sono davvero inquietanti. Sembra proprio che la storia certe volte non insegni niente. Quando tornò Peròn nel 1973 potevano esistere ancora dubbi, incertezze. Ma oggi questo ritorno del peronismo è davvero inaccettabile. Menem è uno che parla bene di Stroessner, il dittatore che ha dato al Paraguay 40 anni di oppressione e miseria.

Torniamo ai libri. Il successo della “donna ragno” è andato oltre ogni previsione. Le pesa ?
- No davvero. Anzi, sono grato al film che ne è stato tratto perché mi ha dato molta notorietà. Certo è chiaro che il film era qualcosa di completamente diverso rispetto al libro, ma credo che sia dignitoso, sono soddisfatto di come è stato realizzato, anche se il Molina di William Hurt non era il ‘mio’ Molina ma per fortuna il libro rimane: chi vuole sapere il mio punto di vista su Molina, può leggere il libro. Adesso negli Stati Uniti vogliono realizzare un musical dal romanzo e credo che si farà.

A proposito di cinema, mi sembra che oltre ad essere oggetto di un interesse letterario, stia diventando per lei quasi una seconda attività.
- Beh non è proprio così, anche se effettivamente collaboro spesso alla realizzazione di film. Mi piace collaborare nel cinema, anche se in questo caso si è veramente comprimari: il film è soltanto del regista. Chi scrive è solo colui che viene all’inizio, e questo è il brutto. Io invidio il musicista, che arriva alla fine del film..

Che cosa risponde a chi l’accusa di essere un semplice “registratore” della realtà ? Mi sembra che questa sia la principale accusa che la critica muove nei confronti del suo stile letterario..
- Credo sia un’accusa ridicola. Io uso il linguaggio quotidiano come un codice. Il materiale che raccolgo nell’esperienza quotidiana viene sempre rielaborato. Le voci sono soltanto un codice di linguaggio che viene sviluppato in senso letterario.

Lei trascorse un lungo periodo di tempo nel nostro paese. Nei suoi futuri progetti c’è anche l’Italia ?
- Lo spero davvero. Purtroppo sono ora nella fase nella quale si discute molto di futuri progetti. E’ una fase che non mi piace questa delle chiacchiere.  Alla fine, di dieci progetti se ne realizza uno, se va bene. Una cosa a cui tengo molto è un film con Milena Canonero, la costumista premio Oscar per “Amadeus”, che esordisce nella regia e ha anche chiesto la mia collaborazione.  Ma anche in Italia ci sono progetti interessanti: c’è un film con Davide Rampello, poi so che Mattolini, che ha già fatto a Milano “Mistero del mazzo di rose”, vuole realizzare il musical che ho scritto su Gardel, il grande cantante argentino degli anni ’30. Sono sempre molto legato al vostro paese. D’altronde, qualcosa di italiano c’è anche nel mio sangue. Mio padre era figlio di immigrati spagnoli, ma i genitori di mia madre erano di Piacenza.

Fabrizio Falconi, “Due Epici vecchi nella notte tropicale”, intervista a Manuel Puig, Paese Sera 3 giugno 1989.

12/06/09

Il Miracolo dell'Airbus - Una storia di fede.


Credo che tutti, di questi tempi, abbiamo bisogno di notizie un po' diverse di quelle che ci propinano giornalmente i media, e che davvero restringono il campo delle cose umane a beghe di cortile, o di pollaio. La notizia che vi riferisco qui sotto è diversa, e merita forse una riflessione. La pubblico a beneficio dei lettori de Il mantello di Bartimeo.


Giugno 2009 di Natalia Von Korsch, Rio de Janeiro.


Religioso rinuncia ad imbarcarsi sul volo della morte dopo che un’amica riceve messaggio divino
Rio


La voce di Dio ha salvato dal volo 447 dell’Air France il pastore missionario dell’Assemblea di Dio a Parigi, Gláucio Oliveira, 29 anni. Il religioso già aveva prenotato un posto sull’aereo che è caduto nell’Oceano Atlantico quando ha ricevuto, lo scorso giovedì, un ‘ordine’ di non continuare con il viaggio. Il messaggio è stato dato da un’amica.

Jussara Gonçalvez, 37 anni, partecipava ad un gruppo di preghiera ed è stata chiamata dalla collega Renata Carnevale, 30 anni, che diceva di aver ricevuto un messaggio dal Signore. “Non lasciare che l’uomo vada in viaggio, la sua fossa è aperta. Morirà”, ha detto Renata.

Piangendo molto, Jussara ha chiamato nella stessa ora il pastore. Spaventato, Gláucio non ha confermato la prenotazione: “Sono andato dalla TAM sabato, ma dato che un amico, anch’egli pastore, è morto in un incidente della compagnia, io volo soltanto con Air France, che consideravo l’aereo migliore del mondo. Ma Dio mi ha mandato Renata che ha ricevuto la rivelazione che se fossi entrato in quell’aereo la mia fossa era aperta.


Noi ci siamo visti solo una volta, lei non sapeva del mio viaggio. Tuttavia, quando la Jussara mi ha trasmesso il messaggio, ero terrorizzato. Ho pregato Dio e ho sentito in cuore che non dovevo andare. Egli è stato fedele con me, perché io sempre gli ho obbedito.”

Renata, la donna che ha salvato la vita del pastore, è a letto dalla mattina di lunedì quando ha appreso dell’aereo caduto. Per telefono, ha confermato di aver ricevuto un messaggio da Dio: “Non è stata una visione, ho solo consegnato un messaggio da parte del Signore.”

fonte: Terra.com.br (ripreso dalle maggiori agenzie internazionali di stampa).