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19/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (3./)





Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (3./)


Durante quegli anni di prigionia spaventosa – dal 1933 al 1937 – Florenskij continuò instancabilmente a lavorare  (a Skovorodino viene messo a capo di un laboratorio interno al lager, che si occupa dell’estrazione dello iodio e dello sfruttamento delle alghe marine) e a scrivere accorate, straordinarie lettere alla famiglia  (la moglie e i tre figli più piccoli lo raggiunsero in Siberia nell’estate del 1934), mentre proseguiva l’iter di un processo kafkiano destinato a concludersi con la condanna alla pena di morte come controrivoluzionario.

Queste lettere, riemerse dopo l’apertura degli archivi del KGB e riordinate pazientemente dal curatore Lubomir Zak vanno dal 23 maggio 1933, quando Florenskij è detenuto alla Lubjanka (ti prego di portarmi della biancheria intima e un lenzuolo… se avrai il permesso mandami due o tre cipolle, perché la mancanza di verdura può essere dannosa...) fino al 18 giugno 1937, pochi mesi prima della morte, quando nella lettera al figlio Tiki scrive profeticamente: io devo continuamente separarmi da qualcosa. Ho dato l’addio al Biosad, poi alla natura delle Solovki, poi alle alghe, poi allo Iodprom. Chissà che non debba dire addio anche all’isola. (6)

La lettura di queste pagine, insieme a  quelle delle memorie famigliari,  scritte negli anni ’20 (7), di questo uomo in cui – come scrisse l’amico teologo Sergej N. Bulgakov – “ si sono incontrate, e  a loro modo unite, la cultura e la Chiesa, Atene e Gerusalemme” (8) è una esperienza che arricchisce e che scalda il cuore.

 Sono lettere che pur provenendo dall’inferno – un inferno fatto di temperature a meno venti gradi, di povere camerate dove la gente dà di matto, di assurde marce nel nulla, di veglie notturne, di desolazione e vessazioni psicologiche – sono piene di incrollabile fiducia, nella vita, nel valore ultimo della esistenza, nella serena attitudine a cercare sempre di scoprire le tracce del mistero e della verità dietro l’apparenza dei fenomeni e delle circostanze.

In queste lettere, i riferimenti espliciti alla fede sono quasi assenti, e il motivo è fin troppo evidente, trattandosi di corrispondenza che veniva passata al meticoloso setaccio della censura sovietica.  

Eppure, quasi ogni rigo di questi scritti riporta un desiderio di assoluto, magari sigillato implicitamente in citazioni come quella di una poesia del poeta persiano Hafez, che Florenskij trascrive per la moglie e i figli, ma che nell’originale è una invocazione all’essere supremo (il te è un maiuscolo):  Mai si cancellerà l’amore per te/ dalle tavole del mio cuore e della mia anima/ E non lascerà la mia mente distratta il pensiero di te/sotto il giogo del destino e dell’afflizione/ impostomi dal mondo. /Fin dal principio il mio cuore/fu legato da un capello del tuo capo/E fino alla fine/non sfuggirà al suo voto. (9)


E in effetti questo essere, questo sentirsi legato a un capello del tuo capo, cioè del capo di Dio, è forse, in estrema sintesi, il pensiero di Florenskij, della sua esperienza, del suo percorso umano e spirituale. 

E’ l’essere legato a un capello, cioè a una sostanza che non è di questo mondo, ma che è oltre, rende l’interpretazione del mondo, per Florenskij, bisognosa di una ridefinizione: ogni cosa e ogni apparenza fenomenica rimanda a un nuovo pensiero, capace di sintetizzare Dio e il mondo, il visibile e l’invisibile, in una concreta riscrittura delle teorie sullo spazio che sembrano tener conto e in qualche caso perfino anticipare le nuove acquisizioni einsteniane e le conseguenze che produrranno sulla conoscenza scientifica. 

(3./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 
     
6.     La raccolta delle lettere scritte dal Gulag alla famiglia da Florenskij costituisce una delle testimonianze spirituali più alte del Novecento, che molti hanno paragonato a quella dei diari Etty Hillesum o di Dietrich Bonhoeffer.  L’edizione italiana completa è quella contenuta in Non dimenticatemi, op.cit.          
7.     Le memorie famigliari sono pubblicate in Italia da Mondadori.  Pavel A. Florenskij, Ai miei figli, memorie di giorni passati,  a cura di Natalino Valentini e Lubomir Zak, Mondadori, Milano, 2003.    
8.     La citazione è riportata nella nota biografica su Pavel Florenskij pubblicata nel volume Ai miei figli… op. cit.             
9.     La poesia di Hafiz è riportata da Florenskij nella lettera del 24-25 luglio 1935. Contenuta in Non dimenticatemi, op. cit. pag. 194. 

16/06/11

'Considerate ciò che c'è sulla terra !'


Nei giorni scorsi il Vicariato di Roma ha diffuso due dati che, mi sembra, siano passati un po’ sotto silenzio e che invece forse vale la pena di meditare. Sono due dati piuttosto eloquenti che riguardano la città simbolo del cattolicesimo:
1. i matrimoni celebrati con rito religioso a Roma si sono, nel giro del ventennio 1990-2010 quasidimezzati (da circa 8,500 a 5000), mentre quelli civili sono rimasti invariati.
2. 1 bambino su 2 che nasce oggi a Roma, non viene battezzato (14.000 battezzati su 25.200 nel 2010).   Questi dati vanno ad aggiungersi ad un terzo, secondo il quale poco meno del 10% della popolazione partecipa più o meno saltuariamente alla messa domenicale.
I dati potrebbero essere tranquillamente allargati al resto del paese e manifestano quel che già appare evidente e cioè una scristianizzazione in atto – già piuttosto avanzata – della società italiana.
I numeri sono importanti ma di per sé non spiegano tutto. Qualcuno, analizzandoli, anzi vi troverà perfino aspetti positivi: meglio pochi cristiani ma convinti, si dirà, pochi cristiani che credono veramente e che ricominciano daccapo, piuttosto che un cristianesimo ‘di massa’, ma costruito su formalismi, non sentito, e tutto sommato dannoso perché ipocrita.
E però, comunque la si rigiri, i dati sono inequivocabili: Cristo è scomparso – anche come problema, come questione, come interrogativo – per una grande parte di persone, che stanno diventando rapidamente maggioranza.
Ecco: ma perché questo è successo ?  Certamente non è questo un luogo dove si possa tentare un’analisi seria di un fenomeno che ha radici antropologiche, culturali, sociali, complessissime.
Per quanto mi riguarda poi, non vorrei dare risposte – che non ho, ma suscitare domande.
La mia domanda è questa: ma non sarà che il mondo – il nostro mondo – sta diventando meno cristiano perché, molto semplicemente, Cristo è scomparso dalle nostre vite ?
Non sarà che sta finalmente trionfando quel sistema secondo cui la fede è sostanzialmente un fatto privato (il contrario, mi sembra di quanto è stato fondamentalmente e storicamente il cristianesimo) ?
Non sarà che la scristianizzazione dipende semplicemente che il nome di Cristo – e le parole che lui ha professato – sono scomparse dai comportamenti collettivi, pubblici, sociali ?
“Fondandosi sulla vita di un uomo e sulle sue azioni” – constatava amaramente Lev Tolstoj nelle sue‘Confessioni’ – “è assolutamente impossibile  capire se costui sia credente o meno. Se vi è una differenza tra coloro che professano esplicitamente la fede e quelli che la negano, ebbene, tale differenza non va certo a favore dei primi.”
Se una persona si professa ‘di fede’, e cioè cristiana, diceva in sostanza Tolstoj, ma non è intelligente, non è onesta, non è buona, non è retta, non ha sentimento etico (tutte manifestazioni che si sostanziano in comportamenti pubblici), costui, che cristiano è ?
Se il nostro cristianesimo serve a farci stare bene, a farci sentire migliori, più buoni,  ma non produce nullaper il mondo, per il resto della collettività – se addirittura lo stesso nome di Cristo è tabù (io stesso lo sento pronunciare pochissimo anche dagli stessi religiosi, fuori dai riti e dalle messe), cancellato dal consesso della vita comune – a cosa serve ?
Sono le stesse domande che si poneva Dietrich Bonhoeffer in anni cruciali, nei quali il nome di Cristo oltre ad essere tabù rischiava di generare di per sé, una condanna a morte.
Bonhoeffer la sua scelta la fece, e già nel 1932, intravvedendo che la semplice scelta di un cristianesimo timido e individuale avrebbe portato conseguenze tragiche per l’intera società in cui viveva.  Togliere Cristo di mezzo, infatti, relegarlo nei nostri spazi privati, gli sembrava una limitazione colpevole, una rinuncia che tradiva lo spirito stesso dei Vangeli, la parola più rivoluzionaria mai udita su questa terra, per l’uomo e per il mondo.
“Considerate ciò che c’è sulla terra !” scrisse “Da ciò dipendono molte cose: se noi cristiani abbiamo forza sufficiente per testimoniare al mondo che non siamo visionari o sognatori.  Che non lasciamo che le cose rimangano come sono, che la nostra fede non è veramente quell’oppio che ci rende felici in un mondo ingiusto.  Ma che noi, proprio perché tendiamo a ciò che è lassù, protestiamo tanto più ostinati e risoluti su questa terra.”
Fabrizio Falconi