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07/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo - 1. "Cabaret" di Bob Fosse (1972)



Questo blog dedicherà da oggi, ad appuntamenti non fissi, un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di tutti. 

1. Cabaret di Bob Fosse (1972)

Tutto è speciale in questo film, tutto è pura poesia. Cioè: essenzialità e verità. 

Ispirato dai  racconti berlinesi di Christopher Isherwood, Cabaret racconta la vita ai tempi della Repubblica di Weimar nel 1931, con l'ascesa al potere del Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler. Su questo sfondo si muovono le vicende di uno studente inglese di lingue moderne, Brian Roberts (Michael York), timido e inibito e della sua vicina di stanza nella pensione in cui alloggia, la soubrette Sally Bowles, un mix irresistibile di tenerezza e determinazione, che lavora al Kit-Kat, cabaret frequentato da omosessuali, intellettuali, artisti e da borghesi alla ricerca di fremiti trasgressivi. 

Ben presto, l'amicizia tra i due si trasforma in un triangolo amoroso quando Sally conosce Maximilian von Heune, ricco aristocratico tedesco: bello ed affascinante.

Musiche e canzoni meravigliose, balletti straordinari, sceneggiatura sempre in bilico tra sublime e dramma. Cabaret avvolge e travolge il cuore. Portandolo oltre le potenzialità delle vite prosaiche, conducendolo alla formulazione delle domande vere che abitano le esistenze.  L'amore, il destino, il darsi, il male, la violenza, la potenza della Storia, la fine, la malinconia, la dispersione, il ricordo. 

Cabaret, un'opera irripetibile, che soltanto il genio di Bob Fosse poteva concepire e consegnare alla immortalità. 


Cabaret 
USA 1972 
Durata 124 min 
Regia Bob Fosse 
Musiche John Kander 
Liza Minnelli: Sally Bowles 
Michael York: Brian Roberts 
Helmut Griem: Maximilian "Max" von Heune 
Joel Grey: maestro di cerimonie

03/11/14

Lenny (Bob Fosse) - il prezzo della verità.





La grandezza di un film come Lenny (Bob Fosse, 1974) è quella di mostrarci il prezzo amaro, personale, cristico che si paga per testimoniare la verità. 

Lenny Bruce nella realtà (e nella trasposizione di Fosse) era uno sgradevole, un ciarlatano, insopportabile narcisista e rompiballe, ma sentiva su di sé l'ossessione di combattere l'ipocrisia borghese, specie sulle cose riguardanti il sesso e i sentimenti 'amorosi'. 

Raccontare le cose come stanno, spargere napalm su quello che la gente ama sentirsi dire e raccontarsi da sé sull'amore, per mantenersi in vita, fu quello che lo trasformò in un buffo e tragico Don Chisciotte, votato all'autodistruzione e all'annientamento da parte di un sistema che può accettare tutto (corruzione, bombe, dissidenza) ma non la lucida dichiarazione che tra le persone c'è in atto un continuo fraintendimento anche (e soprattutto) quando si parla d'anima, d'amore, ecc.. e che tutto è ahimé estremamente più prosaico.

Lenny faceva questo. Come un pazzo kamikaze, scagliandosi contro ogni forma di discriminazione basata sull'ipocrisia.



In definitiva Lenny combatteva - a suo modo, determinato e lucido ma allo stesso tempo sconsiderato e autolesionista - per la verità dei rapporti umani. Una verità  spesso alquanto amara.

Ma la capacità di autoinganno è il primo requisito che si dovrebbe considerare (e combattere) se si desidera essere pienamente umani, umanamente maturi.

Scriveva Luigi Pirandello:

Che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci, non ci siamo intesi affatto.

Credere di guardare nel cuore dell'altro - specie quando affastelliamo i sensi di un malinteso amore - è una illusione.  Si può soltanto essere se stessi, interamente. Essere con il proprio cuore, anche rischiando di restare soli o di darlo in pasto al primo venuto, per una necessità non autentica. Dunque, essere. Lenny lo era.


Fabrizio Falconi