Visualizzazione post con etichetta bernardo bertolucci. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta bernardo bertolucci. Mostra tutti i post

15/04/22

Quando "Ultimo Tango a Parigi" di Bertolucci finì al rogo, e come il regista riuscì a salvare dalle fiamme i negativi


Iscritto obtorto collo a Giurisprudenza (mio padre e mia madre erano operai e mio zio, il sapiente della famiglia non vedeva di buon grado la scelta di iscriveri a Lettere "vai a fare il professore a scuola?") sopravvissi 4 anni laureandomi in tempo, ma cercai anche di infilare lì dentro la mia passione per il cinema.

Così per la tesi scelsi come argomento la legittimità costituzionale della censura cinematografica, vexata quaestio in diritto costituzionale. La costituzione italiana non sancisce all'Art.21 la libertà di manifestazione del pensiero? Il comune senso del pudore può limitarla? Dove sta scritto? E in che modo? E chi lo decide?
Studiai per nove mesi ogni udienza del processo penale contro Ultimo Tango a Parigi (1972-1974) dove Bertolucci, Marlon Brando e Maria Schneider sedevano fisicamente sul banco degli imputati; processo terminato con la condanna alla "distruzione fisica" (esattamente al rogo) delle copie in pellicola del film.
Come è noto il film si salvò soltanto perché Bertolucci riuscì - nascondendole nel cofano della macchina - a trafugare 5 pizze - negativi - della pellicola, passando il confine svizzero.
La storia dell'istituto della censura cinematografica è molto interessante perché riassume in modo simbolico la storia del nostro paese nel novecento, dalla retorica fascista del ventennio e dalle censure politiche del Minculpop, al tetro moralismo democristiano, provinciale e bigotto, che considerava i cittadini italiani come bambini da preservare, soprattutto dagli imbarazzi del sesso.
A partire dagli anni '70 la storia dell'istituto divenne grottesca: mentre cominciavano a nascere le sale "a luci rosse", dove si vedevano tranquillamente hard movie, con riprese ravvicinate delle 87 posizioni del Kamasutra, venivano perseguitati i film dei nostri più importanti autori, da Bertolucci a Pasolini, da Fellini a Petri, tagliuzzando i loro film perché potessero ottenere il famoso "visto".
Un'altra bellissima storia si potrebbe costruire sulla composizione di queste famose "commissioni" di Censura cinematografica, formate da eterogenei e strampalati "esperti" che in cambio di gettoni di presenza decidevano per tutti gli italiani cosa poteva essere visto e cosa andava assolutamente proibito.
L'annuncio dato qualche anno fa dal ministro della cultura Franceschini della soppressione dell'istituto della censura è dunque risuonato fuori tempo massimo, anacronistico e piuttosto inutile. Ormai da almeno tre decenni la censura in Italia non contava più nulla, anche se sono restate sempre le famose "commissioni", più che altro per stabilire i divieti ai 14 e ai 18 anni.
Resta invece agli atti la storia ingloriosa di questo istituto che fece parecchi danni e che fece soffrire terribilmente molti autori del nostro cinema, nei suoi anni più felici e creativi.

Fabrizio Falconi - 2022

29/11/18

L'ultima intervista al grande Bernardo Bertolucci.


È morto a Roma alle 7 del mattino del 26 novembre dopo una lunga malattia Bernardo Bertolucci. Il regista aveva 77 anni. Ha firmato capolavori come Novecento e Ultimo Tango. Per L’ultimo imperatore ha vinto due Oscar, per la regia e la sceneggiatura. Qui l’ultima intervista che ha dato a Malcolm Pagani di Vanity Fair nella primavera del 2018

26/11/18

E' morto Bernardo Bertolucci - Un ricordo personale.




Qualcuno scrive giustamente che è morto oggi l'ultimo dei grandi registi italiani. Bernardo Bertolucci ci ha lasciati a 77 anni, dopo che una malattia lo ha penalizzato pesantemente nel fisico negli ultimi anni. 

In queste ore mi torna alla mente un ricordo personale, che nella sua semplicità racconta molto di chi fosse Bertolucci, di quale fosse la sua passione per il cinema.

Era l'estate del 1989, un giorno di luglio. La bellissima, oggi così rimpianta, Estate Romana di quegli anni bellissimi a Roma, figlia del talento geniale ed estroverso di Renato Nicolini. 

Nel programma di quell'anno - ricchissimo come sempre -  c'era anche un evento da ricordare: la proiezione all'aperto, nella immensa arena del Circo Massimo, gratuita de L'Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci, il kolossal italiano (ah, che tempi!) e co-prodotto da Cina e Regno Unito, che l'anno precedente aveva sbancato agli Oscar.

Il film infatti  raccolse addirittura 9 statuette alla Cerimonia di quell'anno - tra cui quelle per il miglior film, la miglior regia, la miglior fotografia di Vittorio Storaro e la migliore colonna sonora firmata da Ryuichi Sakamoto e David Byrne.

Grazie alla messe di premi ricevuti e soprattutto dei notevoli incassi in tutto il mondo, il film di Bertolucci segnò, dopo molto tempo, una sorta di riscatto dei film storici, o del cinema-spettacolo nella tradizione di Cecil B. DeMille.

Il film era uscito in Italia il 23 ottobre 1987 e negli Usa il 18 novembre e gli incassi furono enormi: la pellicola raggiunse quasi 44 milioni di dollari negli Stati Uniti, per un totale di oltre 78 milioni di dollari. In Italia fu il 1° film per incassi della stagione 1987-88.

In quella estate del 1989, dunque, Nicolini decise di invitare Bertolucci per una proiezione su uno schermo enorme - probabilmente il più grande su quale sia mai stato proiettato quel film - che fosse un vero godimento per la gente di Roma. 

Risposero in tanti e io fra loro.  Lo schermo era posizionato dalla parte del Palazzo dell'Anagrafe, mentre i posti a sedere davanti allo schermo erano limitati. Si supponeva che molti avrebbero scelto di vedere il lungo film, comodamente sdraiati sul prato del Circo (che allora ancora esisteva e non si era ridotto ad una landa desertica come oggi).  

Insieme ad alcuni amici, ero seduto sul prato, alla destra della spina centrale, pronto a godermi il film.

Subito dopo i titoli di testa, mi accorsi di uno che completamente sdraiato sul prato, a pochi passi da noi, seguiva la proiezione con la testa sul palmo della mano. Era Bertolucci. 

Rimase in quella posizione solo per pochi secondi. Si alzò poco dopo in piedi, cominciando a muovere passi a destra e sinistra. Era da solo. Si avvicinò con discrezione a noi. Ci chiese, sottovoce, come secondo noi si vedeva il suo film. Ci sembrava che l'immagine fosse distorta, un po' allungata verso l'alto ?  Le immagini erano bene a fuoco ?

Rispondemmo che sembrava tutto perfetto e lo ringraziammo.

Ma lui non sembrava soddisfatto.

Lo seguimmo con lo sguardo mentre attraversava il prato da una parte all'altra, senza mai staccare gli occhi dall'enorme schermo, fermandosi di tanto in tanto a parlare con qualcuno degli spettatori.

Era fatto così. Era un perfezionista che amava visceralmente il suo lavoro.

Questo ci ha lasciato. Questo gli dobbiamo.

Fabrizio Falconi







13/04/18

Finalmente restaurato "Novecento", il capolavoro di Bernardo Bertolucci - In Anteprima stasera a Palermo.




Finalmente restaurato uno dei capolavori del cinema italiano, "Novecento", realizzato da Bernardo Bertolucci nel 1976, con uno straordinario cast di attori tra i quali Robert De Niro e Gerard Depardieu, come protagonisti.

"Novecento", di Bernardo Bertolucci, I e II atto, sara' proiettato a Palermo, in questa nuova versione restaurata, in anteprima nazionale, stasera 13  aprile alle ore 21 e il 20 aprile alla stessa ora al Cinema De Seta dei Cantieri alla Zisa, per iniziativa della dell'associazione Lumpen, con la direzione artistica di Franco Maresco. 

Il film sara' preceduto da un'intervista inedita a Bertolucci, realizzata dalla Cineteca di Bologna

Le pellicole si potranno vedere anche il 16 e il 23 aprile, alle 21 (precedute alle 20.30 dalla presentazione di Gianmauro Costa e Dario Oliveri), al cinema Rouge et Noir. 

 "Con Novecento - spiega la direzione artistica del Rouge et Noir - avviamo un discorso sul secolo delle rivoluzioni, nel cinquantenario del '68, ideato con Panormos International Weeks di Evelina Santangelo e Paola Caridi, in collaborazione con Marina di Libri e Institut Francais, dal titolo "Rivoluzioni a fondo perduto?" che prevede altri film, mostre, dibattiti. Ai maggiorenni sara' offerto, in omaggio al tema, un Cuba Libre. 

08/12/17

"Questo non è un film su Casanova. E' un film su di me!" Donald Sutherland rivela i segreti del "Casanova" di Fellini.



In una bellissima intervista rilasciata a Paola Piacenza per Io Donna del Corriere della Sera del 2 Dicembre 2017, il grande Donald Sutherland svela alcuni retroscena molto interessanti del suo lavoro in Italia con due grandi registi come Bernardo Bertolucci e Federico Fellini.  Riporto qui a beneficio dei lettori del Blog la parte riguardante. 

Dice di aver detto no a film perché violenti, eppure non esiste personaggio più violento di quello che lei interpretò in Novecento. 

Aaaaaahhh !!! Sì sì, (in italiano). Allora, un giorno io vado da Bernardo e gli dico "Ho qui una pubblicazione underground che un amico che lavora in una casa editrice di San Francisco mi ha dato.  E' un articolo sulla psicologia di massa del fascismo. Questo voglio fare nel film: un fascista che sia un burocrate."    E Bertolucci: "No, no, deve essere un mostro".   Così per due settimane noi abbiamo girato due versioni di ogni scena, la sua e la mia. 

Mi lasci indovinare...
Bernardo ha tenuto la sua. Bernardo ha... (fa un gesto con le mani come di un uccello che si libra nell'aria, ndr). Quando poi mi ha invitato a vedere il film finito, gli ho detto: "Mi hai spezzato il cuore". 

Lei ha un corposo capitolo italiano nella sua carriera. Mi racconta come lavorò con Fellini in Casanova ?
Mi spiace, non posso. Non ne ho idea. Posso solo dirle che le prime 5 settimane sono state le peggiori della mia vita e che nei 12 mesi successivi mi sono posto tutte le domande che un attore e un uomo dovrebbe farsi. 
La mia relazione con Federico era molto problematica e lo è stata a lungo, poi improvvisamente intorno alla quinta settimana di riprese come per magia tutto ha cominciato a funzionare.  Lui sedeva sulle mie ginocchia, mi chiedeva cose impossibili e io le facevo, come stregato. 
Mia moglie mi odia quando lo dico, ma la nostra era quasi una relazione sessuale per il genere di intensità che sprigionava.
Ricordo che era venuto a trovarmi a Parma, sul set di Bernardo, ed eravamo andati via con la Mercedes che la produzione mi aveva dato. Sul sedile posteriore avevo accumulato libri su Casanova.  "Che cos'è questa roba ?" Apre il finestrino e li getta. "Che cosa fai, Federico ?" urlo io. E lui: "Questo non è un film su Casanova. E' un film su di me!"

tratto da: Sono morto tante di quelle volte... intervista di Paola Piacenza a Donald Sutherland, Io Donna, Corriere della Sera, 2 dicembre 2017, p.104. 


15/10/17

Poesia della Domenica: "Gli anni" di Attilio Bertolucci.





Attilio Bertolucci con la moglie, e i figli Giuseppe e Bernardo




Gli anni


Le mattine dei nostri anni perduti,
i tavolini nell’ombra soleggiata dell’autunno,
i compagni che andavano e tornavano, i compagni
che non tornarono più, ho pensato ad essi lietamente.
Perché questo giorno di settembre splende
così incantevole nelle vetrine in ore
simili a quelle d’allora, quelle d’allora
scorrono ormai in un pacifico tempo,
la folla è uguale sui marciapiedi dorati,
solo il grigio e il lilla
si mutano in verde e rosso per la moda,
il passo è quello lento e gaio della provincia.


Attilio Bertolucci, La capanna indiana, Firenze, Sansoni, 1951

10/07/14

Bernardo Bertolucci racconta (e ricorda) Marlon Brando. Una bellissima intervista di Paola Zanuttini.


Dieci anni dalla morte del grande Marlon Brando. Il ricordo e il racconto di Bernardo Bertolucci per il Venerdì di Repubblica in una intervista di Paola Zanuttini.

Roma. Al primo ciak di Ultimo tango a Parigi, Bernardo Bertolucci grida «Buona la prima!». Ma non è tanto buona. Perché l’operatore di macchina Enrico Umetelli, arrossendo, gli sussurra: «Scusa, mi sono trovato Marlon Brando nella loop e sono rimasto a guardarlo, paralizzato». L’arrivo di Brando sul set ha sprigionato meraviglia, innamoramento, tremore. Anche Vittorio Storaro, che non è un principiante, si fa intimidire: nei camerini allestiti sul ponte di Passy, ha notato che l’attore ha la faccia troppo rossa, ma non osa farne parola con lui. Interpella il regista: «Secondo te, si offende?». Bertolucci lo tranquillizza: «Ma va’, diglielo». Storaro va. Il divo non si scompone, anzi. Piglia un asciugamano, se lo strofina in faccia, porta via tutto il cerone e domanda: «Meglio, così?».
Nel soggiorno color sabbia, con il soffitto azzurro come un cielo sul deserto, Bertolucci rievoca il suo Marlon Brando, a dieci anni dalla morte e a 42 dalla lavorazione di Ultimo tango. Intanto, una seducente gattina, passata con nonchalance dal randagismo ai divani, fa di tutto – fusa, moine, coda ritta – per occupare la scena: va detto che ci riesce. Perché, mentre il padrone mi racconta la sua triste storia a lieto fine, io la carezzo a dovere. Poi esagera, la micia: monta sul tavolo e lappa nel mio bicchiere. Gag da applauso, ma Bertolucci la esilia dalla stanza. A malincuore.
Per il ruolo di Paul in Ultimo tango lei aveva pensato prima a Jean-Louis Trintignant, poi a Jean-Paul Belmondo e Alain Delon. Come è arrivato a Brando?
Con Trintignan e Dominique Sanda avevo appena girato Il conformista; mi piacevano molto, pensavo di ricomporre la coppia, ma Dominique era incinta e Jean-Louis declinò l’offerta quasi piangendo: non se la sentiva di spogliarsi. Soprattutto per sua figlia, la piccola Marie che ora non c’è più: temeva i commenti a scuola. Allora, visto che si girava a Parigi e la cooproduzione era francese, mi rivolsi alle due star francesi del momento: Belmondo e Delon, che mi piacevano. Belmondo quasi mi buttò fuori dal suo ufficio. Secondo lui gli stavo proponendo un porno.
Conservatore dentro, Belmondo.
Lo so, ma aveva fatto  Fino all’ultimo respiro, film determinante, per me. Delon, invece, aveva amato la sceneggiatura, ma voleva un ruolo da coproduttore, per mantenere un suo controllo. Non mi pareva il caso, e quindi adieu. Tempo dopo, ero a cena a piazza Navona, c’erano dei francesi, la costumista Git Magrini e Luigi Luraschi, il distributore Paramount che avrebbe preso il film. Uscì il nome di Brando, Luraschi disse che conosceva il suo agente, e, forse, poteva chiamarlo.
A lei piaceva Brando?
Certo, ma mi sembrava irraggiungibile. Come Zapata o Il selvaggio. Mi dava la sensazione di fare un film antihollywoodiano, ma hollywoodiano in quanto antihollywoodiano.
Questa è un po’ fumosa. E imbevuta di rivoluzionaria intransigenza.
No. Amando il cinema, non avrei mai potuto dire che le commedie musicali facevano schifo perché erano politicamente disimpegnate.
Lei era un talento emergente di trent’anni, Brando un mostro sacro di quasi cinquanta. Come andò il primo incontro?
Non sapeva niente di me. Aveva chiesto informazioni a una sua amica cinephile, una cinese ricchissima proprietaria di supermarket che aveva visto Il conformista e gli aveva intimato: “Devi andare assolutamente!”. Ci incontriamo a Parigi, all’hotel Raphael. Sono stravolto, non ci credo, eppure è lì. Tengo le gambe accavallate, ma ho un piede fuori controllo che scatta come una molla. Con l’inglese me la cavo male, ho fatto una settimana alla Berlitz, buona per spiegargli il film in dieci parole e, mentre tento di farlo, lui sta a occhi bassi. Gli chiedo perché non mi guarda in faccia: “Guardo il tuo piede. Voglio vedere quando la finisci con quel su e giù”.
Il duca nel suo dominio, come nella famosa intervista di Truman Capote.
Sì, ma sorridente. Poi si va a mangiare e dopo ancora in una saletta a vedere Il conformista. Durante la proiezione esco, non ho voglia di star lì. Quando torno mi fa: “Vieni a Los Angeles un mese. Ci mettiamo a casa mia e parliamo della sceneggiatura”. Adattava i dialoghi alla sua voce, Marlon, ma io lo faccio con tutti miei attori. In realtà, a casa sua, una villa su Mulholland Drive, non abbiamo mai parlato del film. Mi portava a mangiare dal giapponese, io gli chiedevo perché era sempre solo e lui rispondeva che stava benissimo così, che non gli piaceva andare in giro. Però era curiosissimo delle persone. A cento metri da casa sua, più in basso, c’era quella di Jack Nicholson; mi ha fatto sporgere dal giardino per mostramela: “Jack fa le cosacce con una ragazza in piscina”.
Nel ruolo fatale di Jeanne, Maria Schneider era molto nuda, Brando meno. Allora, lei ha giustificato la disparità di trattamento con la tesi che un uomo senza braghe perde mistero. Ne è ancora convinto?
No, è una sciocchezza. Nel film di Abel Ferrara su Strauss-Kahn, Depardieu è nudissimo e meraviglioso, una specie di Pantagruel. Però Marlon si è spogliato abbastanza, c’è anche quella posizione incriminata – quasi yoga – con Maria, che poi è stata ripresa da un logo di abbigliamento. Il problema è che aveva il pancione, non volevo esporlo troppo.
Altro indumento, più rispettabile: il cappotto di cammello di Marlon-Paul, molto simile a quello di Alain Delon nel contemporaneo La prima notte di quiete di Valerio Zurlini: coincidenza o plagio?
Il mio film è uscito prima. E Alain aveva letto la sceneggiatura. In ogni caso, io ho visto La prima notte di quiete dopo l’anteprima mondiale di Ultimo tango al New York Film Festival, il 14 ottobre 1972. La critica Pauline Kael ha scritto che quella data sarebbe diventata una pietra miliare nella storia del cinema, come lo era quella della prima rappresentazione della Sagra della primavera, il 29 maggio 1913, nella storia della musica. L’avevo trovato bello, il film di Zurlini.
Non era troppo melodrammatico?
Può darsi, non mi ricordo più niente, solo il cappotto. Forse l’ho perdonato proprio perché c’era il cappotto di cammello.
Nel 1972, dopo anni di stracca, Brando esce con due film epocali che lo rilanciano: Il padrino a marzo e Ultimo tango aottobre. Mentre Coppola gli restituisce la gloria, ma non la carica erotica – con quelle guance imbolsite dal cotone – lei lo incorona di nuovo sex symbol. Sgualcito e irresistibile.
Accidenti! Avrà pure avuto la pancia, ma la sua testa era meravigliosa.
Brando si divideva fra i due set? E metteva zizzania fra lei e Coppola?
Per niente. Le riprese del Padrino erano già terminate, quando lavorava con noi. Un sabato pomeriggio, Coppola, che era a Parigi, passò a trovarci. Giravamo in esterni, senza Marlon perché il sabato non lavorava, per la felicità di Jean-Pierre Léaud, che aveva il ruolo del fidanzato cineasta di Maria ed era terrorizzato dall’idea di incontrarlo. Visto che avevo due biglietti per un balletto, ci andai con Francis. Mi raccontò del Padrino e mi chiese di Marlon. Non troppi anni dopo, sul set di Apocalypse Now, avrebbe avuto i suoi problemi con lui: Brando non voleva girare e Francis ci diventava pazzo, poi decise di fare solo l’inquadratura con The horror, the horror. Il direttore della fotografia era Storaro e quando Marlon si decise finalmente a parlare gli domandò mie notizie: “Come sta il bambino profeta?”. Ma sul set di Ultimo tango non è successo niente di tutto questo. Mi spiace, non ho aneddoti di screzi, liti o dispetti da star impazzita. È sempre stato puntuale ed estremamente professionale.
Intervista di Paola Zanuttini a Bernardo Bertolucci, che diresse Brando in Ultimo tango a Parigi, uscita su il Venerdì di Repubblica