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17/01/14

Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (1)





 Dieci grandi anime. 5. Jiddu  Krishnamurti (1./)
     

Jiddu Krishnamurti, il maestro spirituale – oggi riconosciuto come uno dei più grandi del secolo scorso – non si stancò mai nelle migliaia di incontri e conferenze, tenute in giro per il mondo, e nelle scuole da lui fondate, in Svizzera, in Inghilterra – a Brockwood Park,dove oggi esiste la fondazione internazionale che porta il suo nome  (e una scuola internazionale per giovani dai 14 ai 24 anni)  – in California o in India, di ribadire che la religione, come è generalmente intesa – e quindi anche lo stesso pensiero della esistenza o non esistenza di Dio -  non è altro che una forma di costrizione, un inganno del pensiero, un limite della realtà che noi stessi accettiamo e che deforma ogni nostra percezione.
     Chi deve portare ordine nel mondo della realtà ? afferma Krishnamurti, in risposta a una delle persone che venivano quotidianamente ad interrogarlo (1),  L’uomo ha detto “Lo porterà Dio. Credi in Dio e avrai ordine. Ama Dio e avrai ordine. “ Ma quest’ordine diventa meccanico a causa del nostro desiderio di sicurezza, desiderio di sopravvivere, di trovare il modo più facile per vivere.  
     Come sa chi conosce la densa opera filosofica e spirituale di Krishnamurti, il senso del suo insegnamento fu proprio giocato sul rifiuto di quelle concezioni errate da parte degli uomini, frutto delle distorsioni causate dalla paura, dalla sofferenza, dalla paura della morte.    Il pensiero umano è come soggiogato da queste influenze negative che condizionano la conoscenza di se stessi.  Ed è, anzi, proprio il pensiero umano, il suo movimento incessante, frenetico, instancabile, il principale nemico di ogni vera conoscenza.
      Il pensiero è meccanico, e fa parte della realtà.  In campo psicologico il pensiero ha creato il ‘me’  e nell’elenco delle costrizioni, degli artifici del ‘me’, creati del pensiero, Krishnamurti inserisce anche Dio: me, mio, casa mia, la mia proprietà, mia moglie, mio marito, i miei bambini, il mio paese, il mio Dio.
      La sfida contenuta nel pensiero e nella vita stessa di Krishnamurti è invece in un totale rovesciamento di questa prospettiva. La verità è quando il pensiero si ferma. E’ quando non c’è più differenza tra osservante ed osservato.  Quando si capisce  che tutto il movimento della vita è uno, indiviso e quando si è consapevoli di questo. Soltanto allora, dice Krishamurti, la mente ringiovanisce e possiede una immensa energia. E  si può intravedere la bellezza e la verità.  
      Un pensiero di questo tipo, si obietterà, è lontano da un tradizionale senso religioso. Ma soltanto ad un esame molto superficiale la grande opera lasciata in eredità da Krishnamurti, composta da molti libri, meditazioni, taccuini e trascrizioni di un numero enorme di conferenze e incontri, potrà essere liquidata come lontana da una prospettiva religiosa.
      In effetti, se appena si è disposti ad addentrarsi nell’opera e nella vita del maestro indiano, ci si accorge che tutta la sua esistenza, in fin dei conti, non fu dedicata ad altro che a questo: alla conoscenza – non razionale, non positivista – della verità celata dietro l’apparenza e l’illusione della realtà, e in definitiva all’accostarsi al mistero unico del trascendente.  Trascendente a proposito del quale però Krishnamurti – con profonda coerenza –  continuò a rifiutare qualsiasi definizione.  Dio è qualcosa di cui non si può parlare, disse in un incontro a Ojai, in California,  che non può essere tradotto in parole, perché deve rimanere per sempre il non conosciuto.
      E questo, detto da un uomo a cui accadde nella vita di essere scambiato per un Dio – cosa che non capita certamente spesso – non è poco. 
      Sì, perché la vicenda umana di Krishnamurti è davvero singolare e molto interessante, al pari dell’opera che ci ha lasciato.  

      Nato l’11 maggio del 1895 a Madanapalle, un piccolo paese di collina tra Madras e Bangalore, ottavo di dieci figli, da un funzionario indiano dell’Erario sotto l’amministrazione britannica, e da sua moglie, Sanjeevamma. Una famiglia bramina, di lingua telegu, strettamente vegetariana. (2)  Suo padre, pur essendo un bramino ortodosso apparteneva alla Società Teosofica  -  fondata a New York da Helena Blavatsky sul presupposto che tutte le religioni abbiano un’unica origine – dal 1882,  e la madre era una devota di Sri Krishna. Per questo al piccolo Jiddu fu dato il nome di Krishna. 

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 


1.     La citazione qui riportata è tratta da J. Krishnamurti, Verità e realtà, Ubaldini Editore, Roma, 1977,  pag. 100.   Tutte le opere di Krishnamurti sono tradotte e pubblicate in Italia dall’editore Ubaldini.
2.     Tutte le notizie biografiche contenute in questo capitolo sono tratte da quella che è considerata la biografia più esauriente scritta su K. : Mary Lutyens, La Vita e la Morte di Krishnamurti, Ubaldini, 1990, Roma.  Mary Lutiens fu amica di Krishamurti sin dagli anni dell’adolescenza e fu scelta dallo stesso maestro come sua biografa.