Visualizzazione post con etichetta attori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta attori. Mostra tutti i post

04/10/22

Keanu Reeves, uno dei più interessanti attori di Hollywood, e l'ombra di Jennifer Syme, la compagna perduta

 


Ha da poco compiuto 58 anni Keanu Reeves, uno degli attori e delle personalità più interessanti espresse dal cinema americano negli ultimi decenni. 

Reeves, porta nel suo DNA un incredibile miscuglio di etnie e forse è questo a renderlo così interessante, rispetto a profili di suoi colleghi molto più sbiaditi: è nato infatti a Beirut il 2 settembre 1964, figlio di Patricia (nata Taylor), costumista e interprete, e Samuel Nowlin Reeves Jr. Sua madre è inglese, originaria dell'Essex .  Suo padre americano è originario delle Hawaii ed è di origine nativa hawaiana , cinese, inglese, irlandese e portoghese. 

Sua nonna paterna è cinese hawaiana . Sua madre lavorava a Beirut quando incontrò suo padre, che ha abbandonato la moglie e la famiglia quando Reeves aveva solo tre anni. Reeves ha incontrato suo padre l'ultima volta sull'isola hawaiana di Kauai quando aveva 13 anni . 

Dopo che i suoi genitori divorziarono nel 1966, sua madre trasferì la famiglia a Sydney, e poi a New York City, dove sposò Paul Aaron, un regista di Broadway e Hollywood , nel 1970.

La vita di Reeves dunque non è stata proprio semplicissima, nemmeno da adulto: nel 1998, Keanu aveva  incontrato Jennifer Syme , assistente del regista David Lynch , a una festa organizzata per la sua band Dogstar, e iniziarono a frequentarsi. 

L'anno dopo, la vigilia di Natale, il 24 dicembre 1999, Syme ha dato alla luce prematuramente la figlia della coppia, Ava Archer Syme-Reeves, che però era nata morta . La coppia si sciolse diverse settimane dopo, ma in seguito si riconciliò. 

Il 2 aprile 2001, un'altra tragedia: Syme rimase uccisa in un incidente automobilistico, con il suo veicolo che finì per schiantarsi su tre auto parcheggiate su Cahuenga Boulevard a Los Angeles. Secondo quanto riferito, Syme non indossava le cinture di sicurezza. 

Reeves raccontò agli investigatori che erano tornati insieme, e avevano fatto un brunch insieme a San Francisco il giorno prima dell'incidente. 

Reeves portò sulle spalle la bara della compagna, che fu sepolta vicino a sua figlia. 

Keanu avrebbe dovuto girare il sequel di Matrix la primavera successiva, ma rinunciò per cercare, disse, "pace e tempo". 

Reeves è sempre stato discreto riguardo alle sue convinzioni spirituali, dicendo che è qualcosa di "personale e privato". Alla domanda se fosse una persona spirituale, ha detto di credere «in Dio, la fede, la fede interiore, il sé, la passione e le cose», e che è «molto spirituale».

Sebbene non pratichi formalmente il buddismo , la religione ha lasciato una forte impressione su di lui, soprattutto dopo le riprese di Little Buddha, di Bernardo Bertolucci, di cui è stato protagonista. 

Raccontò: "La maggior parte delle cose che ho tratto dal buddismo sono state umane: capire i sentimenti, l'impermanenza e cercare di capire le altre persone e da dove provengono".

Alla domanda su The Late Show con Stephen Colbert nel 2019 sulle sue opinioni su ciò che accade dopo la morte, Reeves ha risposto: "So che mancheremo a quelli che ci amano"

Reeves supporta diversi enti di beneficenza e cause. In risposta alla battaglia di sua sorella contro la leucemia , ha fondato una fondazione privata sul cancro, che aiuta gli ospedali pediatrici e fornisce ricerca sul cancro. Nel giugno 2020, si è offerto volontario per Camp Rainbow Gold, un ente di beneficenza per bambini dell'Idaho. 

Riguardo a successo e denaro, ha detto: "Il denaro è l'ultima cosa a cui penso. Potrei vivere di ciò che ho già guadagnato nei prossimi secoli". 

01/09/22

I 100 anni di Vittorio Gassman: la commovente lettera che gli ha scritto il figlio Alessandro

 



Nel giorno in cui il grande Vittorio Gassman avrebbe compiuto 100 anni e la Mostra del Cinema in corso a Venezia gli tributa i doverosi omaggi, riporto qui la commovente lettera aperta scritta da Alessandro Gassman a suo padre, Vittorio, qualche anno fa e pubblicata su IO Donna - Corriere della Sera .

E' molto bella e forte, priva di retorica, e traccia un ritratto veritiero e partecipato di uno dei più grandi attori italiani di sempre. 

Tua madre, piccola donna, giovane vedova, ebrea e con due figli minori a carico, fu straordinaria durante il fascismo a portare avanti una famiglia da sola. Dicevi sempre che il funerale di tuo padre, nonno Heinrich, un gigante tedesco di quasi due metri, fu il primo momento della tua vita nel quale ti sentisti al centro dell’attenzione. E scopristi che starci non ti dispiaceva, anzi. 

A quattordici anni perdere un padre è dura ma, con una madre come Luisa accanto, sicuramente avrete avuto un sostegno incredibile e anche per questo sei diventato quello che tutti conoscono. Con il susseguirsi degli anni, dei figli, delle mogli, dei premi, dei trionfi, forse ti sei accorto che quel bambino che si sentì importante durante il funerale del papà, in realtà non avrebbe dovuto starci lì al centro, ma che magari una collocazione più “laterale” ti avrebbe regalato una vita forse meno esplosiva e divertente ma più felice, più a te consona

Certo avremmo tutti perso tonnellate di risate ed emozioni, molte donne non si sarebbero innamorate, il termine “mattatore” avrebbe assunto altri significati, molti registi non avrebbero trovato il loro straordinario protagonista… Ma tu, forse, avresti vissuto

 Non hai mai una sola volta viaggiato per diletto, ma solo per lavoro. Mai ti sei fatto un regalo, tranne qualche macchina sportiva. Che, peraltro, guidavi male. Ricordo viaggi da Roma alle Alpi, schiacciato nel sedile posteriore pieghevole della tua Porsche verde pisello, con la quale raggiungevi velocità estreme per poi inchiodare immotivatamente; il frastuono assordante del motore dietro la mia testa; quell’odore di pelle che mi dava il voltastomaco. Molte pipì silenti sul ciglio della strada, molte sigarette scroccate, centinaia di pacche inaspettate dietro le spalle, che ti spostavano e che erano sempre seguite da una risata infantile e coinvolgente, e che ora inspiegabilmente mi mancano.

Cosa ti sia perduto in questi venti anni da quando sei andato “altrove”, è difficile da raccontare. Difficile perché molto è accaduto, molto è cambiato il Paese e profondamente lo sono gli italiani, tanto che se esistesse oggi il tuo Bruno Cortona del Sorpasso probabilmente sarebbe considerato dai più uno sfigato. In questo momento storico poi – dove le cose dovranno cambiare per davvero, con una epidemia che ha stravolto e stravolgerà la società, gente impreparata, rammollita da sessanta anni di ozio e perdita di riferimenti culturali – manca la voce della tua generazione, la voce di chi una “guerra” l’ha vissuta e le è sopravvissuto. 

Siete in molti lì, sei in buona compagnia: Ugo, Luciano, Dino, Ettore, Mario, Adolfo, Paolo, Ennio, Suso, Franco (Tognazzi, Salce, Risi, Scola, Monicelli, Celi, Flaiano, Cecchi D’Amico, Zeffirelli, ndr). Sempre se esiste un lì… Se nella frase che ripetevi (penso fosse del tuo amico grande sceneggiatore, Sergio Amidei) «Solo gli stronzi muoiono!» ci fosse verità, lì, dove ti trovi, sarebbe molto meno frequentato

Dell’oggi probabilmente avresti apprezzato l’accelerazione della vita, tu che eri come me iperaccelerato: ti innervosivi, come me, per lungaggini o inceppi di qualunque sorta. Avresti probabilmente fatto un utilizzo puramente letterario dei social, avresti mandato a quel paese tutti coloro – e sono tanti – che parlano sempre, che si occupano della distruzione sistematica della nostra sublime lingua, della perdita dei congiuntivi, della semantica, del fatto che nessuno più sappia cosa sia l’anacoluto. Non possono parlare meglio, perché i pensieri sono piccoli, veloci, furbeschi, corrotti, interessati. 

Avresti tifato tuo nipote Leo a Sanremo (ha vinto il Festival nella categoria “Nuove proposte”, ndr), ti sarebbe piaciuto per la sua voce, il suo coraggio e la sua umiltà. Avresti tifato per Geko (il calciatore della Roma Edin Džeko, ndr). Forse avresti anche apprezzato il mio lavoro. Avresti apprezzato alcuni nuovi registi e attori, detestato il populismo, perché vi avresti riconosciuto avvisaglie di un passato per te spaventoso. Mi avresti visto invecchiare, somigliarti di più, osservare la mia lunga schiena piegarsi leggermente in avanti per la classica lordosi di famiglia che ci accomuna, ma avrei continuato a farti ridere come nessun altro è mai riuscito. Ecco, quello che mi manca di te, soprattutto, è uno spettatore al quale fare da “buffone”. Invecchiando e avendo responsabilità, non lo faccio più spesso, nessuno ride quanto ridevi tu, nessuno adora essere preso in giro da me quanto piaceva a te, eppure penso che invece, quella rimanga la mia dote migliore. Ti abbraccio senza mascherina, e ti bacio anche sulle labbra, cosa che ti avrebbe fatto schifo. Ma con te posso farlo, come faccio da venti anni e come – rassegnati – farò per sempre. Ti voglio bene. 
A.

12/07/22

"Kinski, il mio nemico più caro" - La follia, gli aneddoti, l'ossessione psicotica del suo attore feticcio raccontato in documentario bellissimo da Werner Herzog


"Kinski, il mio nemico più caro (Mein liebster Feind - Klaus Kinski)", è un atto d'amore, prima ancora che un documentario. Visibile su Chili al prezzo di noleggio di 1.99.

Werner Herzog lo ha realizzato nel 1999, otto anni dopo la morte di Klaus Kinski, avvenuta per infarto, a sessantacinque anni.
Come tutti sanno, Kinski divenne negli anni l'attore-feticcio di Herzog, che con lui protagonista realizzò i suoi film più celebrati: "Aguirre, furore di Dio (Aguirre, der Zorn Gottes)" (1972); Nosferatu, il principe della notte (Nosferatu: Phantom der Nacht) (1978); Woyzeck (1979); Fitzcarraldo (1982); Cobra Verde (1987).
Herzog conosceva Kinski da quando era piccolo e ne scoprì subito il lato pazzoide, aggressivo, incontrollabile.
Il documentario inizia infatti con la commovente visita di Herzog alla pensione - oggi completamente trasformata in un borghese bellissimo appartamento - a Monaco, in cui visse da bambino con la madre e la sorella, la stessa in cui un giorno capitò il già esagitato e giovane Klaus, aspirante attore, genio incompreso e difficilmente gestibile.
A partire da questo esordio, Herzog mette in scena, poeticamente, il rapporto nemico/amico che instaurò con Kinski nel corso degli anni. Herzog, per motivi dovuti probabilmente al suo carattere diametralmente opposto, divenne per molti anni l'unico in grado di gestire l'aggressività, l'insopportabilità di Kinski, i suoi leggendari colpi di testa durante le riprese dei film, i litigi furibondi, le minacce, che vengono ricostruiti nel documentario con le riprese originali, i backstage, vera ghiottoneria per gli amanti di cinema.
Nel corso dei 95 minuti, la pellicola suggerisce l'idea che Herzog fu capace - impresa non da poco - di convogliare l'energia bollente di Kinski, le sue intemperanze, ai fini creativi che perseguiva con i suoi film.
Era come se la dinamite di Klaus esplodesse al suo meglio incontrando la miccia di Herzog.
Le scene di Fitzcarraldo e di Aguirre parlano da sole, mostrando quanta follia creativa ci fosse nelle riprese, non solo tra i due ma nell'intero cast.
Herzog parla (anche) di Kinski con enorme affetto, come chi ne abbia compreso la profonda natura ostile (prima di tutto a se stesso) ma anche capace di di-mostrare grande umanità.
Il film è interamente girato nei luoghi dove furono ambientate le riprese dei più famosi film di Herzog, ed è perciò particolarmente suggestivo.
Herzog mantiene il suo punto di osservazione fisso sul Kinski-attore. Evita, prudentemente, di scendere sul versante privato. E fa bene. Probabilmente anche lui sarebbe stato a disagio a girare questo film in tempi più recenti, dopo il 2013. Quando una delle due figlie di Kinski, Pola (l'altra è la celebre Nastassja) dichiarò pubblicamente che suo padre, Klaus Kinski la violentò regolarmente da quando aveva 5 anni fino a quando ne ebbe 19.
Rivelazioni terribili che gettano una luce sinistra sull'uomo Kinski.
Il film è stato presentato fuori concorso al 52º Festival di Cannes.

Fabrizio Falconi - 2022

08/07/22

L'incredibile morte di Natasha Richardson, figlia di Vanessa Redgrave e moglie di Liam Neeson


Fu veramente incredibile la morte di Natasha Richardson, figlia dell’attrice Vanessa Redgrave e del regista Tony Richardson e moglie molto amata di Liam Neeson.

Aveva solo quarantacinque anni, ed era una delle più brave della sua generazione, quando il suo cuore si fermò per un incidente assurdo.
Natasha era nata l’11 maggio del 1963 e aveva già interpretato molti film quando sposò l'attore britannico nel 1994 e dalla loro unione nacquero Micheál e Daniel.
Le circostanze dell'incidente che le tolse la vita sono difficili da credere.
Il 16 marzo del 2009, mentre era in vacanza in Canada a Mont-Tremblant, Natasha Richardson ebbe un banalissimo incidente sugli sci. In realtà Natasha era una principiante, era accompagnata nella circostanza da un istruttore e scivolò praticamente da ferma.
Rialzatasi, le sue condizioni apparvero buone, senza nessuna ferita alla testa, tant’è che l’attrice scherzava sul capitombolo. Evidentemente però, nella caduta, sbatté la testa su un sasso affiorante o nascosto dalla neve.
Rientrata in albergo, cominciò ad avvertire fortissime emicranie. Fu dapprima accompagnata in un ospedale locale e a seguito dell’aggravarsi delle sue condizioni, al Sacre-Coeur Hospital di Montreal insieme al marito Liam che l’aveva raggiunta essendo impegnato proprio a Montreal sul set del thriller Chloe.
Purtroppo la situazione non accennò a migliorare e quando venne dichiarata la morte cerebrale per un’emorragia cerebrale dovuta alla caduta, Liam decise di farla trasportare al Lennox Hill Hospital di New York su un volo privato, perché la sua famiglia potesse salutarla. Due giorni dopo l’incidente sugli sci, Liam fu costretto a prendere la difficile decisione di staccarla dal supporto artificiale che la teneva in vita e i suoi organi furono donati.
"Il dottore mi ha mostrato la sua radiografia," raccontò Neeson in seguito, "Non c’era bisogno di essere uno scienziato per capire cosa stava succedendo. Il cervello era schiacciato contro il lato del cranio, mentre il sangue si disperdeva. Mi avevano detto che era cerebralmente morta. Era attaccata ad un supporto vitale. Sono andato da lei e le ho detto che l’amavo. Le dissi: ‘Tesoro, non ti riprenderai da questo. Hai battuto la testa. Non so se puoi sentirmi, ma questo è…questo è quello che è successo. E ti riporteremo a New York. Tutta la tua famiglia e i tuoi amici verranno"
Neeson ha rivelato, nel corso degli anni, che gli era capitato di affrontare con sua moglie il discorso di quale decisione prendere nel caso ad uno dei due si fosse ritrovato in uno stato vegetativo.
"Quando l’ho vista con tutti quei tubi, è stato il mio pensiero immediato. Mi sono detto ‘Ok, questi tubi devono essere tolti. Se n’è andata’. Ma ha donato tre dei suoi organi, il suo cuore, i suoi reni e il suo fegato, quindi sta tenendo in vita tre persone."

Fabrizio Falconi - 2022

01/04/22

L'incredibile destino di Dag Drollet, ucciso dal figlio di Marlon Brando

 


Questa foto è davvero un reperto piuttosto terribile. Fu scattata nel 1988 e ritrae, da sinistra a destra Cheyenne Brando (la figlia di Marlon Brando e dalla tahitiana Tarita, terza moglie di Brando), insieme al fidanzato Dag Drollet (che aveva cominciato a frequentare l'anno prima), e alla madre di lui, Lisette. 

Due anni dopo questa foto, Dag Drollet fu ucciso con un colpo di pistola da Christian Brando, anche lui figlio dell'attore, fratellastro di Cheyenne, la quale all'epoca era incinta di Dag all'ottavo mese. 

Fu un evento scioccante per l'opinione pubblica mondiale: Christian Brando se la cavò con 5 anni di galera (Cheyenne non fu ritenuta testimone attendibile perché gravemente instabile psichicamente e dipendente da droghe). E l'evoluzione delle cose fu ancora più tragica: Christian, morì il 26 gennaio 2008, a 50 anni, a causa di una polmonite fulminante. Cheyenne Brando, invece, si impiccò il 16 aprile 1995 a casa di sua madre a Puna'auia, Tahiti, quando aveva soltanto 25 anni.

Ma perché Christian uccise il fidanzato della sorella? 

Christian Brando al momento dell'arresto

Dag Drollet, come si vede dalla foto, era un bellissimo ragazzo. Suo padre, Jacques Drollet, era membro dell'Assemblea della Polinesia francese. Cheyenne lo conobbe nel 1987, quando aveva 17  anni, a una cena perché la famiglia Brando e i Drollets erano amici di lunga data. 

Due anni dopo, Cheyenne rimase incinta. Su richiesta di Marlon Brando, la coppia si trasferì negli Stati Uniti, nella casa di Marlon's Mulholland Drive in attesa della nascita del loro bambino. 

Il 16 maggio 1990, il fatto di cronaca che mise fine alla vita del giovane:  Drollet fu infatti colpito a morte dal fratellastro maggiore di Cheyenne, Christian , proprio nella casa del padre. 

Christian Brando, che era un attore intento a ricavarsi un suo posto oltre il cliché di essere figlio del grande Marlon Brando, fu subito arrestato e accusato di omicidio di primo grado. Nei primi interrogatori sostenne che la sparatoria era stata accidentale. 

Raccontò che all'inizio di quella serata Cheyenne gli aveva confessato che Drollet la stava abusando fisicamente. 

Più tardi quella notte, Christian affrontò Drollet e questi rimase ucciso. Christian affermò che dalla pistola fosse partito un colpo mentre Drollet cercava di portargli via l'arma. 

Il processo iniziò, con grande eco mediatica. I pubblici ministeri del caso tentarono di citare in giudizio Cheyenne come testimone al processo di Christian, poiché ritenevano che il suo resoconto dell'evento della notte fosse cruciale per dimostrare che la sparatoria era premeditata. 

Tuttavia, Cheyenne rifiutò di testimoniare contro il fratellastro e fuggì a Tahiti. 

Sempre più provata psicologicamente, il 26 giugno 1990 diede alla luce un figlio che chiamò Tuki Brando. 
Cheyenne durante il periodo di riabilitazione psichiatrico


Subito dopo la nascita di Tuki, Cheyenne tentò il suicidio per due volte e fu ricoverata in ospedale psichiatrico per disintossicarsi dalla droga di cui faceva uso. 

A dicembre del 1990, Cheyenne fu dichiarata "disabile mentale" da un giudice francese e ritenuta incapace di testimoniare nel processo di suo fratello. 

Senza la testimonianza di Cheyenne, i pubblici ministeri conclusero di non poter più provare che la morte di Drollet fosse premeditata e presentarono a un patteggiamento a Christian Brando, che accettò l'accordo e si dichiarò colpevole dell'accusa minore di omicidio volontario . Fu condannato a dieci anni di reclusione. 

In totale ne scontò cinque e fu posto in libertà vigilata per tre anni. 

In un'intervista rilasciata dopo il suo rilascio, Christian ha dichiarato di dubitare delle accuse di abusi fisici di Cheyenne contro Drollet, a causa della instabilità mentale della sorella. "Mi sento un completo idiota per averle creduto", disse. 

Negli anni successivi alla morte di Drollet e al processo del fratellastro Christian, la salute mentale di Cheyenne continuò a peggiorare. Entrò ripetutamente in cure di riabilitazione dalla droga e ricoveri in ospedali psichiatrici. 

In questo periodo Cheyenne scatenò le sue accuse anche contro il padre, Marlon Brando, accusandolo  di averla molestata e di essere complice della morte di Drollet: Marlon Brando negò entrambe le accuse. 

A Cheyenne fu successivamente formalmente formulata la diagnosi di schizofrenia, fu isolata dai suoi ex amici e perse la custodia di suo figlio, Tuki, che fu affidato a sua madre, che lo ha cresciuto a Tahiti. 

Il 16 aprile 1995 il tristissimo epilogo: Cheyenne si impiccò a casa di sua madre a Puna'auia, Tahiti. 

Né suo padre né il suo fratellastro Christian poterono partecipare al suo funerale. 

Fu sepolta nel cimitero cattolico romano di Uranie a Papeete nella cripta di famiglia della famiglia di Dag Drollet.

Fabrizio Falconi - 2022 

La tomba di Dag Drollet e Cheyenne Brando a Papeete 



11/03/22

E' vero che Robert De Niro finì in carcere in Italia negli anni '80?

 


Alla domanda del titolo, dovremmo rispondere - per scrupolo dei particolari - che no, Robert de Niro non fu propriamente arrestato all'inizio degli anni '80, mentre si trovava a Roma. Però dovremmo aggiungere che in quella giornata il grande attore americano - in compagnia del collega Keith Carradine - si prese certamente uno spavento e che comunque finì recluso per qualche ora in una caserma dei carabinieri, col sospetto, grottesco di appartenere alle Brigate Rosse, in una vicenda che merita comunque di essere raccontata, e della quale restano le sorprendenti foto che vedete sopra e sotto il post. 

Chi li ha vissuti, ricorda quegli anni: giorni di paura e violenza, in tutto il Paese. Dopo il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, le Brigate Rosse sono in difficoltà: arresti (anche se il super-latitante Mario Moretti è ancora libero) e dissociazioni ne hanno minato la forza militare, ma organizzazioni armate di estrema destra e di estrema sinistra sono ancora assai attive in diverse città italiane e a Roma, ovviamente. 

È in questa angosciosa atmosfera che De Niro, il quale aveva appena girato con Scorsere «Toro scatenato» atterra in Italia per presentare il suo nuovo film. 

Assieme a lui nella capitale c'è anche il collega e amico Keith Carradine. Ospiti in un albergo a Trinità dei Monti, gli attori americani non vogliono rinunciare ad un po' di svago nella «Roma by night», ignari degli insoliti risvolti che riserverà loro la serata. 

A bordo di un'Alfetta due «paparazzi» attendono i divi all'uscita dell'hotel, pronti a pedinarli. È proprio quel veicolo ad insospettire l'autista del taxi che porta De Niro e Carradine in giro per la città. «C'è un'Alfetta che mi segue, mi sembra sospetta» comunica il tassista ad una pattuglia di carabinieri in Piazza del Popolo. 

Quando il taxi riparte, l'auto dei fotografi viene immediatamente bloccata dai militari. «In quel taxi ci sono due terroristi, volevamo fotografarli!» afferma uno dei reporter. A quel punto i carabinieri ripartono a sirene spiegate verso il tassì. Una volta raggiunto il veicolo, De Niro e Carradine vengono prelevati con la forza e perquisiti spalle al muro. 

Nel frattempo sono giunti di corsa anche i fotografi per poter immortalare quella ghiotta situazione. I militari hanno intenzione di chiarire ogni dettaglio e conducono presso la caserma di via In Selci sia gli attori che i paparazzi. Il bizzarro equivoco avrà fine soltanto dopo un'ora di accertamenti. 

E non si sa bene come sia finita: se poi, gli spavaldi (e incoscienti) paparazzi abbiano pagato per lo scherzo procurato ai due divi o, com'è probabile, l'abbiano fatta franca. 




Fonte: Spazio '70

15/02/22

Il dramma di Nastassja Kinski, alle prese con un "padre-orco"

Klaus Kinski con la seconda moglie Brigitte Ruth Toki e la loro figlia Nastassja

Aveva pianto a lungo, ma poi aveva manifestato tutta la sua ammirazione e fierezza per il coraggio che sua sorella Pola aveva manifestato, nove anni fa, nel 2013, quando aveva dato alle stampe un libro sconvolgente - intitolato "Parole di bambini" -  in cui per la prima volta rivelava gli abusi sistematici subiti dal padre, il famoso attore Klaus Kinski. 

Intervenendo su 'Bild', Nastassja Kinski, icona cinematografica nei decenni '70, '80, '90 aveva detto a proposito delle rivelazioni nel libro della sorella: "Aiuteranno tutte le vittime della pedofilia. Sì, è un momento difficile per me - spiega - Io però sono con mia sorella, la sostengo. Sono profondamente sconvolta. Ma sono anche orgogliosa della forza che ha avuto nello scrivere un libro del genere. Conosco il contenuto. Ho letto le sue parole. E ho pianto a lungo...". 

"Bambini e adolescenti devono essere protetti:" aveva proseguito Nastassja, "devono sapere che ci può essere subito aiuto per loro, quando succede qualcosa di così raccapricciante. Un libro come quello di Pola aiuta tutti i bambini, i giovani, e le mamme che hanno paura del padre, e che mandano giù questa paura e la nascondono nell'anima". "Mia sorella è un'eroina", aggiunge, e così "ha liberato dal peso della segretezza il suo cuore, la sua anima e il suo futuro".

Klaus Kinski con la giovanissima Nastassja

"Queste cose succedono a bambini di tutto il mondo" aveva continuato, "ogni giorno. Più se ne sa, più si può essere di aiuto. Soltanto perché uno si chiama padre, non vuol dire che sia davvero un padre. L'orrore è successo, anche i padri fanno cose orribili". 

Ma cosa successe esattamente nell'infanzia e nella adolescenza di Pola e di Nastassja, figlie dell'attore tedesco morto nel 1991? 

Lo stesso Klaus Kinski aveva rivelato anni prima, in un libro di memorie, le sue perversioni: nel 1975 era infatti apparso in libreria un volume con uno strano titolo: "Sono così pazzo della tua bocca di fragola", che fu poi ritirato dal mercato nella sua edizione originale. 

Cosa scriveva? Kinski sosteneva di portare sua figlia di 3 anni in un bordello, raccontò "Bild". E scriveva: "Se la madre non vuole darmi mia figlia, io gliela strappo dalle braccia". 

Il tabloid ricordava anche che Kinski scriveva di "aver violentato una quindicenne", e di aver alzato il volume dela tv per non farne sentire le urla. 

Nel 1985, a 59 anni, si lamentò pubblicamente del fatto di non poter fare del sesso, legale, con minorenni: "Da noi si va in prigione, in altri paesi si sposano..."

D'altronde i traumi vissuti dalla giovane Nastassja, dovettero avere conseguenze, se è vero che, quando aveva appena 15 anni, e in altri tempi molto lontani dal me too, fece molto parlare una sua relazione con l'allora quarantaduenne Roman Polanski. 

Nastassja, figlia della seconda moglie di Kinski, Brigitte Ruth Tocki, non ha mai voluto rivelare se fosse mai stata a conoscenza delle molestie nei confronti di Pola, la sorellastra, nata dal primo matrimonio della star di “Aguirre, furore di Dio” (1972), con la cantante Gislinde Kuehbeck, e non ha voluto nemmeno mai scendere nei particolari della sua relazione con il padre. 

Ancora Nastassja adolescente, con il padre Klaus 

La settantenne Pola, anche lei attrice, ha raccontato invece senza mezzi termini, che Kinski l’ha violentata regolarmente da quando aveva 5 anni fino ai 19. 

Le sorelle hanno un altro fratellastro, Nikolai, 36 anni. “Lo faceva anche se mi difendevo, come succedeva spesso, o dicevo di non volere: per lui era uguale”, ha ricordato la primogenita.

Bild ha pubblicato anche alcuni estratti delle memorie di Klaus Kinski,  del 1975, in cui l'attore raccontava la sua attrazione per le giovani donne. 

Nel testo racconta di avere portato Pola con sé durante una visita in un bordello, quando aveva appena tre anni, e, in un altro passaggio, afferma di avere tolto la verginità di una minorenne alla presenza della sua sorella 17enne. Inoltre, raccontò che da adolescente era stato a letto con la sorella più piccola Inge. 

Insomma, una vita davvero difficile per Nastassja, che del resto l'allora bellissima attrice portava scritta negli occhi e nel suo malinconico sorriso.

Fabrizio Falconi - 2022


19/01/22

Stanlio e Ollio (Laurel & Hardy) - L'ultimo commovente video super 8 che li ritrae insieme

 


Ricorre in questi giorni (ieri per l'esattezza), il 130mo anniversario della nascita del grande Oliver Hardy che insieme a Stan Laurel, formò la più grande (e immortale) coppia comica del cinema. 

Ma quale fu l'ultima occasione che li ritrae insieme, prima della morte di Hardy, avvenuta nel 1957?

Si tratta di un raro video amatoriale, girato l'anno prima, nel 1956 in formato super 8, in cui i due attori, già attempati, sorridono davanti alla cinepresa, nel corso di un incontro conviviale. Stan Laurel, aveva 66 anni; Oliver Hardy, profondamente segnato dalla malattia e assai dimagrito per i postumi di un infarto, con indosso una semplice t-shirt rossa.

Quest'ultimo video, girato insieme a casa di Stan, mostra la coppia ancora affiatata, con la voglia di sorridere e di scherzare, nonostante Stan mostri i segni di una una paralisi che rende difficile anche solo abbracciare il suo amico, mentre Oliver è reduce dalla ferrea dieta prescrittagli dopo l'attacco di cuore. 

Poco dopo la realizzazione di questo filmato, il 14 settembre 1956, un nuovo ictus paralizza quasi completamente Hardy, che l'anno dopo lascia per sempre il suo amico Stan,  dopo alcuni giorni in coma. 

Anche questo video mostra comunque l'affetto e la complicità che legarono i due fino alla fine, nonostante episodi di reciproci dissapori nel passato, che vennero sempre superati e che non sono smentiti dall'assenza di Laurel al funerale di Hardy: la ragione di quell'assenza infatti non nascondeva alcun dissapore, come scrisse qualche giornale scandalistico, ma era motivata dal divieto imposto a Stan dal suo medico curante, che temeva ripercussioni sulla salute precaria. Ed è celebre la frase che Laurel pronunciò quando seppe della morte del suo compagno e amico: Babe avrebbe capito.

Qui sotto il bellissimo video:

05/10/21

Matthew McConaughey, un attore strepitoso e il suo incredibile dimagrimento in Dallas Buyers Club

 


C'è un grande e doloroso film che non ci si stanca di rivedere: Dallas Buyers Club diretto da Jean-Marc Vallée  nel 2013, con protagonisti Matthew McConaughey e Jared Leto. La pellicola ricevette sei candidature ai premi Oscar 2014, vincendo in tre categorie, tra cui miglior attore protagonista e miglior attore non protagonista, assegnati rispettivamente a Matthew McConaughey e Jared Leto.

Come si ricorda, il film racconta la storia di Ron Woodroof, un malato di AIDS diagnosticato a metà degli anni '80 quando i trattamenti per l'HIV/AIDS erano poco studiati, mentre la malattia non era compresa e altamente stigmatizzata. In quel periodo, parte del movimento sperimentale per il trattamento dell'AIDS, contrabbandava farmaci farmaceutici non approvati in Texas per curare i suoi sintomi e li distribuiva a persone con AIDS istituendo il "Dallas Buyers Club" mentre affrontava l'opposizione della Food and Drug Administration (FDA).

E' stupefacente il cambiamento fisico che McConaughey affrontò per girare questo film, e che lui stesso ha raccontato in una intervista di quell'anno: 

McConaughey, non la spaventavano le possibile conseguenze di una dieta così drastica?
"No, dovevo farlo e basta. Ho visto un nutrizionista, mi sono dato 4 mesi, sapevo cosa sarebbe successo. Mi sono chiuso in casa, perdevo una media di 2 chili a settimana, poi abbiamo girato il film in 27 giorni e subito dopo ho ricominciato a mangiare. Ho perso così tanto peso dal collo in giù che in testa mi sentivo più sveglio e lucido, avevo un'energia incredibile, avevo bisogno di tre ore e mezzo di meno di sonno al giorno. Mangiavo pesce e verdure, ma in piccole dosi".
Perdere tanto peso l'ha aiutato nell'entrare nel personaggio?
"Molto, ha anche cambiato il mio stile di vita, stando sempre chiuso in casa mi sono dedicato di più alla ricerca e alla scrittura, che è quello che aveva fatto Ron, un uomo con solo sette anni di scuola alle spalle che è stato capace di diventare un esperto, sapeva tutto sul vrus dell'hiv, passava giornate in biblioteca. Quando ha scoperto la malattia si è isolato dal mondo ed è quello che ho fatto io. La sfida più grande è stata cercare di assorbire la sua rabbia: la paura, la disperazione, poi la rabbia che lo ha tenuto in vita per sette anni, per sopravviere. Ho incontrato i membri della sua famiglia e mi hanno dato tante foto e il suo diario, e quello mi ha aiutato a entrare nel suo mondo".
Come ha reagito la sua famiglia?
"Non è mai stato uno shock per loro, mi hanno visto perdere peso gradualmente. Anzi, si divertivano perché in quel periodo cucinavo tantissimo per loro, anche se non potevo mangiare niente. Ma chi non mi vedeva da mesi, tipo mia madre, si è spaventato a morte. Ero diventato un eremita, ma passare del tempo solo con te stesso può essere salutare, basta non continuare a farlo per sempre".
E lei com'è cambiato?
"Sono diventato un maniaco della pulizia in quel periodo, come Ron, che sapeva che ogni raffreddore sarebbe potuto diventare una polmonite e ucciderlo. Era terrorizzato dai germi, stava lontano dagli animali, puliva tutto".

Fonte Silvia Bizio, Matthew McConaughey, la trasformazione: "Questa volta ho messo in gioco il mio corpo", La Repubblica, 13 settembre 2013

01/06/21

Richard Gere all'Unione buddhista italiana: "Siamo tutti interconnessi, proteggiamoci gli uni con gli altri"



"Siamo tutti connessi, dobbiamo proteggerci gli uni con gli altri": a dirlo e' Richard Gere

L'attore e' intervenuto, in collegamento dagli Usa, all'iniziativa organizzata dall'Unione buddhista italiana in occasione della tradizionale festivita' del Vesak, festivita' in cui la comunita' buddhista celebra la nascita, l`illuminazione e il trapasso del Buddha. 

L`Unione Buddhista Italiana ha organizzato la tavola rotonda "Impermanenza. La crisi dell'essere, la fragilita' del Pianeta" per riflettere su un nuovo modello di cultura della sostenibilita' e per l`occasione e' intervenuto Richard Gere, grande attivista per i diritti e presidente dell`International Campaign for Tibet.

"Tutto nel mondo e' interconnesso e dobbiamo prendere questa cosa molto seriamente", ha detto Richard Gere, aggiungendo: "Ogni volta che vedo una foto della Terra da lontano penso ai problemi che ci circondano e a tutte le questioni costanti che sembrano piccolissime, se misurate con un universo di interconnessione. Le forze dell`universo sono piu' forti delle forze umane. Dobbiamo pensare piu' in grande e abbracciare in modo genuino tutto lavorando su noi stessi, insieme. Cosi' facendo potremo avere un impatto meraviglioso su questa navicella in cui viviamo"

"Cio' che ha importanza - ha proseguito Gere - e' che siamo qui gli uni per gli altri, gli uni con gli altri. È molto importante coltivare una risposta buddhista alla crisi ecologica. Mi ritrovo molto negli obiettivi del One Earth Sangha che seguono tre traiettorie: un lavoro di advocacy e sostegno alla crisi ecologica, l`educazione e la collaborazione che sono radicate nella pratica buddhista per promuove opportunita' educative, e in ultimo l`ecodharma". 

E "nell`imminente futuro dobbiamo impegnarci nelle azioni ecobuddhiste, proteggendoci gli uni con gli altri, ed essendo luce gli uni per gli altri". Richard Gere nel suo intervento ha anche evidenziato e ringraziato l`Unione buddhista italiana per il supporto a progetti legati all`ambiente e alla societa' e per l`impegno nel coltivare relazioni istituzionali anche a livello europeo. 

29/06/20

29 giugno 2000 - 20 anni senza "Il Mattatore" - Ricordo di Vittorio Gassman






Ha scelto il giorno di San Pietro e Paolo, patroni di Roma, per andarsene nel sonno, giusto 20 anni fa il 29 giugno. 

Non era romano Vittorio Gassman, figlio di un ingegnere tedesco, passato per una breve stagione a Palmi, cresciuto a Roma e rivelatosi a Milano; non era romano, ma sapeva esserlo piu' di tanti suoi concittadini, capace pero' di mimetizzarsi in ogni regione per la sua maniacale precisione nel ripetere tutte le inflessioni dialettali e regionali. 

Ma alla fine e' stato tanto romano da meritarsi (come solo Anna Magnani e Marcello Mastroianni) una doppia targa stradale nelle vie della sua citta' adottiva

Del "mattatore", appellativo che lo ha sempre accompagnato dal 1959 quando ebbe grande successo televisivo in uno spettacolo dallo stesso titolo che poi trasloco' nella riuscita commedia di Dino Risi, non e' facile dare una sola definizione: gli riusciva tutto e apparentemente senza sforzo

Ma quando decise di mettersi a nudo, prima come attore e poi come uomo e svelo' nella sua autobiografia i tarli dell'anima, si scopri' la fatica della perfezione, l'infaticabile ricerca del dettaglio, la necessita' di superarsi ogni volta con precisione maniacale.

Si e' detto che aveva personalita' bipolare e si descrisse malato di depressione, nausea di vivere, fatica di convivere con la propria immagine pubblica. 

Eppure era felicemente ammalato di vita, sprizzava giovialita', fisicita', intelligenza e per questo fu sempre compagno e complice dei migliori registi, mai semplice esecutore

Aveva fin da giovane la presenza scenica del prim'attore, ereditava il piglio roboante della generazione di Renzo Ricci (padre della prima moglie di Vittorio), usava il corpo come strumento della sua arte. 

Prestante e bello, da ragazzo era arrivato a disputarsi lo scudetto del basket universitario con la societa' sportiva Parioli, ma il teatro ebbe presto la meglio, visto che gia' svettava tra i compagni di corso all'Accademia d'arte drammatica. 

In piena guerra, nel '43, debutto' a Milano con Alda Borelli nella "Nemica" di Niccodemi, ma fu all'Eliseo di Roma, in compagnia di Tino Carraro ed Ernesto Calindri che si fece notare svariando con naturalezza dal repertorio classico a quello contemporaneo

Se sul palcoscenico non ha mai avuto difficolta' a imporsi (tra i primi a riconoscere il talento ci furono Luchino Visconti, il compagno d'Accademia Luigi Squarzina e piu' tardi Giorgio Strehler), al cinema dovette passare per piccoli ruoli fino a costruirsi una certa fama da "villain" e seduttore pericoloso come in "Riso amaro" di Giuseppe De Santis nel 1949

Ma nel decennio successivo fu il teatro a mantenere alta la sua popolarita': fra il '52 e il '56 la sua lettura di Shakespeare (prima "Amleto" e poi "Otello") fecero storia cosi' come l'"Orestiade" di Eschilo con la regia di Pasolini. 

Gassman sembrava un dio greco, l'incarnazione del teatro, svettava in un'Italia ancora piegata sotto le conseguenze della guerra persa. 

Ma il cinema, nella persona di Mario Monicelli, gli offri' l'occasione di essere "altro". Ne "I soliti ignoti" (1958) incontro' il successo nel modo meno atteso: con Peppe "er Pantera", pugile suonato, dalla parlata incerta, ladro per caso, indosso' una maschera comica che lo avrebbe accompagnato per anni. 

Fu l'inizio di un'escalation inarrestabile che lo consegna alla storia della commedia all'italiana, uno dei "quattro colonnelli" della risata insieme a Sordi, Tognazzi, Manfredi

Questo nuovo registro espressivo lo rese complice di autori come Dino Risi, Luciano Salce, Luigio Zampa, Ettore Scola, con Monicelli in testa

Fu lui a disegnare il suo Brancaleone sul "Miles Gloriosus" plautino, cosi' come Risi gli offri' lo spaccone disperato de "Il sorpasso", mentre Scola fu suo complice in tutto l'itinerario della maturita' da "C'eravamo tanto amati" a "La famiglia"

Meno nota, ma non meno intensa e' la carriera internazionale di Vittorio Gassman: da sempre, grazie alla conoscenza delle lingue, lo cercano le produzioni internazionali e, dopo la rivelazione in "Guerra e Pace" (1956), dagli anni '70 in poi avra' i migliori registi: Robert Altman, Paul Mazursky, Alain Resnais, Andre' Delvaux, Jaime Camino, Barry Levinson. 

Si provera' anche come regista in proprio, riversando una buona dose di autobiografia in tentativi ambiziosi come "Kean" o "Senzafamiglia, nullatenenti cercano affetto" in coppia con Paolo Villaggio.

Chiudera' la carriera la' dove l'aveva iniziata, in palcoscenico, tra l'intensa recitazione di pagine poetiche, una memorabile edizione della "Divina Commedia" e lo spettacolo "Ulisse e la balena bianca" che e' una sorta di testamento artistico ed esistenziale. 

Nato nel 1922, sognava di morire in scena e per poco non ci e' riuscito. 

Spirito irregolare e controcorrente, ha dato scandalo nella vita privata con tre mogli e tre compagne, tutte molto amate, da cui ha avuto quattro figli, tre dei quali ne hanno seguito le orme.

Spirito inquieto, paradossalmente e' stato il meno "italiano" dei nostri grandi attori e forse per questo, pur tra tanti premi, non ha avuto quella gloria che, oggi lo scopriamo, meritava. 

Sognava un suo teatro ma solo dopo morto il Quirino di Roma gli e' stato intitolato; meritava l'Oscar ma lo prese Al Pacino al posto suo per il remake di "Profumo di donna" e si dovette accontentare di un premio a Cannes (per lo stesso film)

La Mostra di Venezia gli ha dato il Leone d'oro alla carriera nel 1996, ma poteva accorgersi di lui ben prima

E' stato un gigante solo e forse proprio questo enorme vuoto che lasciava ogni volta che usciva di scena lo rapiva e terrorizzava insieme. Di certo e' il sentimento che lascia nel cinema e nel teatro italiano anche oggi. Sulla sua lapide sta scritto: "Non fu mai impallato". 




25/06/20

La drammatica storia d'amore tra John Cazale e Meryl Streep


E' stata una fortissima, drammatica storia d'amore quella tra due dei più talentuosi attori di Hollywood in assoluto, a cavallo degli anni '70.

Una storia che soltanto lentamente e recentemente - proprio per il grande riserbo che la grande attrice americana ha sempre riservato alle sue vicende private - è venuta fuori nei suoi particolari. 

La riassumiamo qui brevemente.

Subito dopo la laurea a Yale nel 1975, la Streep si iscrisse e studiò alla Eugene O'Neill Theater Center's National Playwrights Conference, dove apparve in cinque recite teatrali nel giro di sei settimane, visto il grande successo che da subito la accompagnò.

All'epoca aveva 26 anni. 

Lo stesso anno si trasferì a New York e qui apparve nelle più impegnative rappresentazioni teatrali del New York Shakespeare Festival: Enrico V, La bisbetica domata con Raúl Juliá e Misura per misura accanto a Sam Waterston e John Cazale.

Fu proprio durante quest'ultimo spettacolo, che la Streep incontrò Cazale, anche lui una delle promesse più importanti, all'epoca, dello spettacolo americano, con cui avrà una relazione fino alla sua prematura morte nel 1978. 

Nel 1976 la visione del film Taxi Driver ed in particolare la performance di Robert De Niro ebbe un profondo impatto sull'attrice, che fino a quel punto era stata piuttosto disinteressata all'industria cinematografica. 

La Streep iniziò quindi a fare audizioni per diversi film, tra cui quella per il ruolo da protagonista per King Kong di Dino De Laurentiis, il quale, davanti alla Streep e rivolgendosi al figlio in italiano commentò "Che brutta! Perché me l'hai portata?". 

Streep, capendo l'italiano, rispose: "Mi dispiace non essere bella abbastanza per il tuo film, ma la tua è solo un'opinione tra tante ed ora vado a trovarne una più gentile".

La Streep tornò così a teatro, a Broadway dove fu protagonista nei drammi di Tennessee Williams, 27 Wagons Full of Cotton, e di Arthur Miller, A Memory of Two Mondays, per cui ricevette una candidatura al Tony Award come miglior attrice non protagonista in un'opera teatrale nel 1976.

L'esordio al cinema di Meryl Streep avvenne nel 1977 con il bellissimo Giulia di Fred Zinnemann, dove interpreta un personaggio minore sebbene significativo per la trama.

Ma è l'anno successivo che si impone all'attenzione generale, recitando per la prima volta accanto a Robert De Niro, Christopher Walken e al fidanzato John Cazale ne Il cacciatore di Michael Cimino: un lavoro che Meryl Streep aveva deciso di accettare - pur non entusiasta della storia e del suo ruolo - per guadagnare i soldi necessari ad aiutare il compagno, Cazale che si era già gravemente ammalato, di un aggressivo cancro ai polmoni.  Quando Cazale si presentò sul set, lo stesso De Niro si spaventò per le sue condizioni di salute, che erano già peggiorate e che quasi non gli permettevano di rimanere in piedi. Benché cpsì sofferente, Cazale continuò a lavorare per poter terminare quello che sarebbe stato il suo ultimo film, Il cacciatore, e a fianco della sua compagna Meryl Streep. 

Furono la stessa Streep, Robert De Niro e il regista Michael Cimino a convincere i dirigenti della  Universal Studios a consentire a Cazale di continuare a lavorare fino alla fine della produzione. E grazie ad alcune modifiche del piano di lavorazione del film fatte da Cimino, l'attore fu in grado di terminare tutte le sue scene, ma non vide mai il film finito.

Al suo secondo film in assoluto, intanto la Streep ottenne subito la sua prima candidatura all'Oscar come migliore attrice non protagonista.

L'anno dopo, nel 1978 l'attrice fu chiamata per interpretare Inga Helms Weiss, una donna tedesca sposata con un artista ebreo nell'era nazista della Germania, nella miniserie televisiva Olocausto. 

Le riprese della serie si dovevano tenere in Germania ed in Austria, con Cazale costretto a rimanere a New York per curarsi.

Al corrente del peggioramento della malattia del compagno, il cui cancro si era propagato alle ossa,  l'attrice fece immediatamente ritorno e gli restò accanto fino alla sua morte avvenuta il 12 marzo 1978.

Nel frattempo, la serie, con un pubblico stimato di 109 milioni, ebbe un notevole successo e la Streep venne ricompensata con un Emmy come miglior attrice protagonista in una miniserie.

Per cercare di superare lo shock della morte del compagno, la Streep accettò il ruolo in un film minore,  La seduzione del potere e poi in un piccolo ruolo in Manhattan di Woody Allen, nel ruolo di Jill.

Nel film seguente, Kramer contro Kramer, la Streep recitò accanto a Dustin Hoffman nel ruolo di donna infelice che abbandona marito ed affronta una crisi coniugale che sfocia in una pesante battaglia giudiziaria per l'affidamento del figlio (all'inizio l'attrice non approvò il ruolo perché ritraeva le donne come "troppo perfide" e non le rappresentava in modo reale. Gli autori, d'accordo con lei, revisionarono la sceneggiatura. Riscrisse lei stessa alcuni dialoghi nelle scene chiave del film e frequentò l'Upper East Side, dove sarebbe stato grato il film, per osservare le interazioni tra madri e figli del quartiere).

Per Kramer contro Kramer, la Streep vinse sia il Golden Globe che l'Oscar alla miglior attrice non protagonista, che come è noto, dimenticò nel bagno subito dopo aver fatto il discorso.

Kramer contro Kramer e Il cacciatore furono dei successi al botteghino ed entrambi vinsero l'Oscar al miglior film.  

John Cazale detiene ancora oggi un singolare record: tutti i lungometraggi nei quali sia comparso come interprete nel corso della sua breve carriera, inclusi quelli usciti postumi, sono stati candidati al premio Oscar al miglior film



fonte: Wikipedia

05/06/20

A vent'anni dalla morte di Vittorio Gassman ecco la commovente lettera aperta scritta da Alessandro, suo figlio



Riporto qui la lettera aperta scritta da Alessandro Gassman a suo padre, Vittorio, nel ventesimo anniversario della sua scomparsa e pubblicata su IO Donna - Corriere della Sera .

E' molto bella e forte, priva di retorica, e traccia un ritratto veritiero e partecipato di uno dei più grandi attori italiani di sempre. 

Tua madre, piccola donna, giovane vedova, ebrea e con due figli minori a carico, fu straordinaria durante il fascismo a portare avanti una famiglia da sola. Dicevi sempre che il funerale di tuo padre, nonno Heinrich, un gigante tedesco di quasi due metri, fu il primo momento della tua vita nel quale ti sentisti al centro dell’attenzione. E scopristi che starci non ti dispiaceva, anzi. 

A quattordici anni perdere un padre è dura ma, con una madre come Luisa accanto, sicuramente avrete avuto un sostegno incredibile e anche per questo sei diventato quello che tutti conoscono. Con il susseguirsi degli anni, dei figli, delle mogli, dei premi, dei trionfi, forse ti sei accorto che quel bambino che si sentì importante durante il funerale del papà, in realtà non avrebbe dovuto starci lì al centro, ma che magari una collocazione più “laterale” ti avrebbe regalato una vita forse meno esplosiva e divertente ma più felice, più a te consona

Certo avremmo tutti perso tonnellate di risate ed emozioni, molte donne non si sarebbero innamorate, il termine “mattatore” avrebbe assunto altri significati, molti registi non avrebbero trovato il loro straordinario protagonista… Ma tu, forse, avresti vissuto

 Non hai mai una sola volta viaggiato per diletto, ma solo per lavoro. Mai ti sei fatto un regalo, tranne qualche macchina sportiva. Che, peraltro, guidavi male. Ricordo viaggi da Roma alle Alpi, schiacciato nel sedile posteriore pieghevole della tua Porsche verde pisello, con la quale raggiungevi velocità estreme per poi inchiodare immotivatamente; il frastuono assordante del motore dietro la mia testa; quell’odore di pelle che mi dava il voltastomaco. Molte pipì silenti sul ciglio della strada, molte sigarette scroccate, centinaia di pacche inaspettate dietro le spalle, che ti spostavano e che erano sempre seguite da una risata infantile e coinvolgente, e che ora inspiegabilmente mi mancano.

Cosa ti sia perduto in questi venti anni da quando sei andato “altrove”, è difficile da raccontare. Difficile perché molto è accaduto, molto è cambiato il Paese e profondamente lo sono gli italiani, tanto che se esistesse oggi il tuo Bruno Cortona del Sorpasso probabilmente sarebbe considerato dai più uno sfigato. In questo momento storico poi – dove le cose dovranno cambiare per davvero, con una epidemia che ha stravolto e stravolgerà la società, gente impreparata, rammollita da sessanta anni di ozio e perdita di riferimenti culturali – manca la voce della tua generazione, la voce di chi una “guerra” l’ha vissuta e le è sopravvissuto. 

Siete in molti lì, sei in buona compagnia: Ugo, Luciano, Dino, Ettore, Mario, Adolfo, Paolo, Ennio, Suso, Franco (Tognazzi, Salce, Risi, Scola, Monicelli, Celi, Flaiano, Cecchi D’Amico, Zeffirelli, ndr). Sempre se esiste un lì… Se nella frase che ripetevi (penso fosse del tuo amico grande sceneggiatore, Sergio Amidei) «Solo gli stronzi muoiono!» ci fosse verità, lì, dove ti trovi, sarebbe molto meno frequentato

Dell’oggi probabilmente avresti apprezzato l’accelerazione della vita, tu che eri come me iperaccelerato: ti innervosivi, come me, per lungaggini o inceppi di qualunque sorta. Avresti probabilmente fatto un utilizzo puramente letterario dei social, avresti mandato a quel paese tutti coloro – e sono tanti – che parlano sempre, che si occupano della distruzione sistematica della nostra sublime lingua, della perdita dei congiuntivi, della semantica, del fatto che nessuno più sappia cosa sia l’anacoluto. Non possono parlare meglio, perché i pensieri sono piccoli, veloci, furbeschi, corrotti, interessati. 

Avresti tifato tuo nipote Leo a Sanremo (ha vinto il Festival nella categoria “Nuove proposte”, ndr), ti sarebbe piaciuto per la sua voce, il suo coraggio e la sua umiltà. Avresti tifato per Geko (il calciatore della Roma Edin Džeko, ndr). Forse avresti anche apprezzato il mio lavoro. Avresti apprezzato alcuni nuovi registi e attori, detestato il populismo, perché vi avresti riconosciuto avvisaglie di un passato per te spaventoso. Mi avresti visto invecchiare, somigliarti di più, osservare la mia lunga schiena piegarsi leggermente in avanti per la classica lordosi di famiglia che ci accomuna, ma avrei continuato a farti ridere come nessun altro è mai riuscito. Ecco, quello che mi manca di te, soprattutto, è uno spettatore al quale fare da “buffone”. Invecchiando e avendo responsabilità, non lo faccio più spesso, nessuno ride quanto ridevi tu, nessuno adora essere preso in giro da me quanto piaceva a te, eppure penso che invece, quella rimanga la mia dote migliore. Ti abbraccio senza mascherina, e ti bacio anche sulle labbra, cosa che ti avrebbe fatto schifo. Ma con te posso farlo, come faccio da venti anni e come – rassegnati – farò per sempre. Ti voglio bene. 
A.

27/04/16

400 anni dalla morte di Shakespeare: l'attore Ian Mc Kellan lancia una app dedicata al Bardo .




Rendere William Shakespeare più accessibile a tutti, anche alle giovani generazioni, con la tecnologia. 

Tra le varie iniziative organizzate per i 400 anni dalla morte del Bardo, c'è anche questa, lanciata dall'attore inglese Ian McKellen, il Gandalf della saga de "Il Signore degli anelli" e dal regista Richard Loncraine

Un'app per iPad chiamata "Heuristic Shakespeare", in cui l'attore inglese 76enne, e come lui molti altri, recita "La tempesta" mentre sotto la sua immagine scorre il testo. 

L'idea è di fare la stessa cosa con tutte le opere dello scrittore. 

Una performance privata per gli utenti, non su un palcoscenico e senza costumi e si può mettere in pausa ogni volta che si vuole. "Ne ho parlato con gli altri attori e ne sono rimasti affascinati - spiega McKellen - magari averla avuta quando ho dovuto imparare il ruolo di Prospero, mi sarebbe stata di grande aiuto. Gli attori la useranno, credo, si possono anche prendere annotazioni, sottolineare, si prende confidenza con il testo, perché leggi mentre ascolti"

Per lui, uno dei maggiori interpreti di Shakespeare a teatro, la difficoltà è stata sempre prendere il ritmo. 

Il ritmo del verso shakespeariano, dice, è particolare e difficile da imparare. "Perché è il ritmo del cuore umano: di dum, di dum, di dum...". 

Con questa app si vogliono aiutare i giovani a capire drammi e commedie scritte centinaia di anni fa e spesso non più studiati. Anche agli adulti però potrebbe essere utile, per entrare nel clima shakespeariano prima di andare a teatro. "E' pensato per guidare le persone alla visione live - sottolinea Loncraine - non vuole certo sostituire il teatro".