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28/01/16

Senso di colpa e peccato, Cristianesimo e Buddhismo.





Una delle vulgate più comuni di questi nostri tempi è quella che il Cristianesimo - ma si dovrebbe dire ancor di più l'ebraismo, di cui il Cristianesimo è figlio - è una religione fondata sul peccato e (quindi) sul senso di colpa. 

Nelle chiacchiere da bar, questa è diventata una affermazione che nessuno discute più e che anzi è uno dei motivi principali per i quali tanti cristiani - sarebbe meglio dire tanti battezzati - si avvicinano al buddhismo e alla pratica buddhista, che fra proseliti anche tra gli agnostici, confortati dal fatto di avere a che fare con una pratica che non mette "il dito nella piaga", che lascia liberi, che non condanna e non spaventa con scenari catastrofici di inferni e giudizi universali. 

Tralasciando qui il discorso sul Cristianesimo e sul fatto di come esso è percepito oggi, che ci porterebbe lontano, è il caso di sottolineare che nel buddhismo, il peccato (che non si chiama peccato) cioè il vivere male, vivere contro i precetti del bene, non è affatto un elemento secondario. Tutt'altro. 

(*) Ma che succederà dopo la morte, di colui che non ha riconosciuto l'Atman (in termini occidentali potremmo dire, lo Spirito) ? Che ne sarà dei buoni, che dei cattivi ? 
Il Rig-Veda della vita dell'oltretomba ci dà qualche accenno: i buoni andranno in un luogo di eterne delizie, i malvagi di pene eterne. 

Secondo le Upanishad, solo chi ha conosciuto l'Atman, morto, si assorbirà in esso, né più tornerà in questo mondo; ma chi non è riuscito  a squarciare il velame che ricopre l'Atman e a estinguere in sé il desiderio della vita e dei piaceri, colui rinascerà in altre forme e in altri mondi, di felicità o di infelicità, a seconda che in terra avrà bene o male operato. 

Finito il periodo di espiazione o premio, ritornerà in terra dove, o conoscerà l'Atman, e morto, si assorbirà in lui, né più rinacerà, oppure, NON conosciutolo, opererà bene o male, e saranno le sue opere (Karma) le artefici del futuro destino. 

Come si vede, le buone opere non ottengono la liberazione dal circolo dell'esistenza, ma procacciano soltanto un buon avvenire dopo morto; è la conoscenza dell'Atman che libera da quel circolo. 

E perché è necessario operar bene per non incorrere in un avvenire di dolori ? Perché chi opera bene rispetta se stesso nel suo prossimo e in ogni essere vivente, l'Atman occulto in lui essendo lo stesso di quello occulto di tutte le creature;  mentre chi opera il male offende nell'altro se medesimo, nell'Atman dell'altro il suo proprio Atman. (*)

Come si vede, anche nel Buddhismo non si fanno sconti. Ma forse in tempi come questi, semplicemente il non uso della parola occidentale 'peccato' è di per sé rassicurante.



Fabrizio Falconi

23/07/15

La remora è un pesce (ma nessuno lo sa). Jung e l'Echeneis.






Echeneis è il nome latino di un pesce molto particolare.

Di esso racconta Plinio nella sua Historia Naturalis, in un passo ripreso da Jung, in Aion

“La remora “ scrive Jung, “piccola per statura e grande per la potenza costringe le superbe fregate del mare a fermarsi: avventura che come ci racconta Plinio in modo interessante e ameno tocco ‘ ai nostri tempi’ alla quinquereme dell’imperatore Caligola

Mentre questi ritornava dall’Astura ad Anzio, il pesciolino, lungo mezzo piede, si attaccò succhiando al timone della nave, provocandone l'arresto

Tornato a Roma, dopo questo viaggio, Caligola venne assassinato dai suoi soldati. 

L’ Echeneis“ continua Jung, “agì dunque come praesagium, come piscis auspicalis, rileva Plinio. Un tiro analogo esso lo giocò a Marc’Antonio, prima della battaglia navale contro Augusto, in cui dovette soccombere

Plinio non finisce mai di stupirsi del potere dell’ Echeneis. La sua meraviglia impressionò evidentemente gli alchimisti al punto di indurli a identificare il ‘pesce rotondo del nostro mare’ con la Remora. 

La Remora divenne così il simbolo dell’estremamente piccolo nella vastità dell’inconscio. Che ha un significato tanto fatale: esso è infatti il Sé, l’Atman, quello di cui si dice che è IL PIU’ PICCOLO DEL PICCOLO, PIU’ GRANDE DEL GRANDE."