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06/04/23

La chiesa di San Lorenzo in Lucina e la misteriosa tomba di Poussin

 


La chiesa di San Lorenzo in Lucina e la misteriosa tomba di Poussin

 

Uno dei più antichi titoli delle chiese di Roma è quello di Lucinae attribuito alla chiesa che ancora oggi sorge nella piazza omonima nel centro della città e che, sorto in tempi antichissimi, è già ricordato nel 366 sulla residenza di una matrona romana, chiamata appunto Lucina (anche se non mancano altre ipotesi, tra le quali quella che nel luogo sorgesse un boschetto (lucus) da cui l'edificio prese il nome).

Quel che è certo è che sotto papa Sisto III (nell'anno 440 d.C.) avvenne la trasformazione in luogo di culto pubblico. Un rifacimento complessivo fu operato nel secolo XIII da Pasquale II, mentre al Duecento risale l'erezione, sulla sinistra della chiesa, del palazzo Fiano che divenne la residenza dei Peretti. Ma nuovi interventi furono compiuti nel corso dei secoli (anche Gian Lorenzo Bernini vi mise mano per costruirvi la Cappella Fonseca) fino ai successivi rimaneggiamenti sotto Papa Pio IX (1856) e del 1927 (anno in cui si ripristinò il portico murato) che conferiscono alla chiesa l'aspetto odierno.

Essa, oltretutto affonda le sue fondamenta, in parte, sotto il grandioso horologium (centosessanta metri per sessanta), fatto costruire dall'imperatore Augusto nel 10 a.C.,  la celebre Meridiana, i cui resti affiorano in diversi punti nei sotterranei degli edifici del quartiere di Campo Marzio (e anche della Chiesa). 

San Lorenzo in Lucina è una specie di museo, ospitando una serie di famose opere d'arte, come il crocefisso dipinto da Guido Reni al centro dell'altare maggiore.

Ma la Chiesa è famosa anche per la celebre sepoltura del pittore francese Nicolas Poussin (1594 – 1665), sulla quale sono fiorite leggende esoteriche di ogni tipo.

Poussin è uno dei più famosi pittori francesi, noto anche per essere il pittore di corte del re Luigi XIII e per aver supervisionato i lavori per la realizzazione del Louvre, ma a partire dai trent'anni trascorse la sua intera vita a Roma, dove ricevette la prima commissione nel 1626 dai conti Barberini per la realizzazione di un grande dipinto, Il sacco del tempio di Gerusalemme da parte dell'imperatore Tito, creduto per molto tempo perduto e ritrovato recentemente dal critico Denis Mahon.

Fautore dapprima dello stile barocco, Poussin, a partire dal 1630 cominciò ad abbandonare del tutto quel gusto artistico, per una rimeditazione attraverso una ricerca di chiarezza razionale, sul senso dell'esistenza e sul ruolo dell'arte come transito oltremondano.

A Roma Poussin morì, nel 1665, e fu sepolto proprio all'interno della Chiesa a Campo Marzio.

Il suo monumento funebre è tra i più enigmatici. La tomba fu concepita da Francois René de Chateaubriand (attivo a Roma fra il 1802 e il 1804), come si legge nella dedica in epigrafe subito al di sotto del busto del pittore (realizzato dallo scultore Jean-Louis Deprez) : F.A. De Chateaubriand a Nicolas Poussin per la gloria delle arti e l'onore della Francia. 

L'epitaffio invece, scritta da Pietro Bellori, il bibliotecario della regina Cristina di Svezia, recita: Trattieni il sincero pianto. In questa tomba vive Poussin che aveva dato la vita ignorando egli stesso di morire; qui egli giace, ma egli vive e parla nei quadri.

Infine, al di sotto dell'epitaffio, è realizzato in bassorilievo il profilo di un suo celebre capolavoro: Pastori in arcadia, che oggi è conservato al Museo del Louvre di Parigi e che esiste anche in un'altra versione dello stesso pittore, del 1627 e conservata in Inghilterra, a Chatsworth House.

E sotto questa rappresentazione, è inscritto il celebre motto Et in Arcadia ego, intorno al quale sono sorte le leggende più disparate e al quale sono stati dedicati interi libri.

In realtà Poussin non fu il primo ad utilizzare questo motto, che appare per la prima volta in un dipinto del Guercino, realizzato intorno al 1620.

La frase si riferisce alla mitica regione della Grecia, l'Arcadia, dove la leggenda narra che i pastori vivevano una vita idilliaca, lontana dai clamori e dagli affanni del tempo e della guerra e di ogni altra miseria umana.

La frase però, da un punto di vista strettamente letterale, risulta monca e priva di verbo.  Se infatti il significato è chiaramente: “anche io (sono stato o sono) in Arcadia”, è evidente che la frase manca del verbo – sum – che dovrebbe essere posto dopo il soggetto ego.

La citazione è stata subito interpretata come un memento mori come è reso esplicito anche dalle scene rappresentate dal Guercino – due pastori che si imbattono in un grande teschio – e da Poussin – pastori ideali  (c'è anche una donna, che nella versione di Chatsworth esibisce anche delle pose sensuali) che scoprono una tomba austera.

In pratica il significato della frase sembra essere: Anche la persona che riposa in questa tomba una volta viveva in Arcadia. Oppure: Anche io ero un Arcade, prima di incontrare la morte.

Il motto latino e l'associazione alla scena allegorica è stata ricollegata fantasiosamente con la pseudostoria (frutto di manipolazioni di tutti i tipi, in epoche successive) del Priorato di Sion.

Il legame con la morte (nel bassorilievo sulla tomba di Poussin i pastorelli contemplano quella che sembra essere a tutti gli effetti la tomba stessa del pittore) e la stranezza della frase senza verbo hanno fatto ipotizzare che la citazione contenga in realtà un codice anagrammato.

C'è stato chi ha tentato di sciogliere l'enigma, componendo la frase I! Tego arcana Dei, ovvero Vattene ! Io celo i misteri di Dio, alludendo ad un mistero del quale Poussin fosse al corrente, ossia che nella Chiesa fosse presente una sepoltura di una importante figura biblica (o addirittura dello stesso Gesù).

Ipotesi rafforzata da altri autori che, aggiungendo il sum alla frase, hanno ottenuto l'anagramma: Arcam dei tango Iesu, ovvero, Io tocco la tomba di Gesù. In questo caso, però, si è spiegato, la tomba del Maestro non sarebbe nella chiesa di San Lorenzo in Lucina, come ipotizzato, ma in un luogo misterioso della Francia, che servì da ispirazione a Poussin per il dipinto dei Pastori dell'Arcadia conservato al Louvre, il quale è modello del bassorilievo tombale.

Le tracce alla ricerca di questo luogo hanno portato dapprima in Francia, nella località di Les Pontiles, vicino a Rennes-le-Chateau, e poi in Inghilterra, nello Staffordshire, dove esiste una versione scolpita (non si sa in quale epoca) del dipinto realizzato da Poussin, nel cosiddetto Sheperd's Monument nel giardino della Sugborough house.

Ma ricerche in loco, non hanno dato nessun esito e tutte queste teorie sono state  ripetutamente smentite dai critici d'arte e dagli storici.

Quel che è certo è che Arcadia divenne dopo la morte di Poussin, la più celebre delle Accademie romane, fondata nel 1690 dai frequentatori del circolo di Cristina di Svezia (alla Lungara) che vollero così proseguire l'opera del pittore e le sue ricerche, in ogni campo delle arti e della cultura.


Fabrizio Falconi, tratto da Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, 2015

30/12/22

La Morte della Critica e la dittatura degli algoritmi


La morte della critica è, come è noto, la fine dell'espressione artistica. La causa di gran parte della pappa contemporanea è causata proprio da questa incapacità ormai sistemica di fare critica.
Al posto della critica, comandano gli algoritmi. Che sono molto più comodi e non hanno il problema di dover studiare, analizzare, aiutare a comprendere, discernere, conoscere.
Sotto lo slogan dittatoriale che "uno vale uno", a decidere se un film vale la pena di essere visto o un libro di essere letto, comandano adesso - anzi imperano - gli "aggregatori". Il sito Rotten Tomatoes (nome che è già un programma), ne è un esempio.
Se una volta era importante leggere la recensione di QUEL critico perché ti fidavi di lui, perché sapeva quel che diceva, e conoscevi la sua storia, la sua sensibilità, le sue fonti, oggi, siti come Rotten Tomatoes, i famosi "aggregatori", per dare un giudizio - numerico, ovviamente - su qualunque opera dell'ingegno, prendono TUTTE le critiche uscite su siti, blog, ecc... ne realizzano singoli voti numerici, ne fanno la media, li sommano a loro volta con quelli del pubblico - i famosi recensori su Amazon che scrivono nei commenti alla Recherche: "no, ve lo sconsiglio, troppo palloso..." e tirano fuori un numerone finale - da uno a cinque - che fa legge su tutto e purtroppo, anche sul destino di quell'opera, imponendone la diffusione o l'oblio su ogni fronte.
Il tutto è piuttosto triste.

Fabrizio Falconi - 2022

15/12/22

Storia del Quadro del Giorno: "Autoritratto con cappello di feltro grigio" di Vincent Van Gogh (1887)

 


Il Museo Van Gogh di Amsterdam possiede ben diciotto autoritratti di Vincent Van Gogh.

Tra i primissimi compaiono anche due belle tele di piccole dimensioni in cui Vincent si mostra a capo scoperto mentre fuma la pipa.
Tornano subito alla memoria i disegni e gli studi dedicati ai contadini olandesi, mentre si concedono lo stesso passatempo. Ma si può affermare con tranquillità che il pittore desideri costruirsi un'immagine ben diversa da loro. 

Hartrick, compagno di studi presso la scuola di Cormon, ricorda che Vincent "si vestiva piuttosto bene e in modo normale, meglio di molti altri nell'atelier."  Sono in lenta evoluzione anche la competenza tecnica e la ricerca introspettiva.

Le lunghe, agguerrite discussioni con Paul Signac, consentono a Vincent di prendere familiarità con la tecnica cromoluminarista, anche se poi nell'applicarla egli sceglie la propria strada.

Per lui è "una vera scoperta" stendere il colore puro con tratti che non sono comunque piccoli punti bensì lineette di colore, e stendere quei tratti attribuendo loro il compito di indicare il dinamismo interno al dipinto (in questo caso circolare).

Peculiarità, quest'ultima, che distingue Van Gogh e anticipa l'atteggiamento di una parte dell'avanguardia artistica del primo Novecento. 

fonte: Van Gogh Museum Amsterdam, a cura di Paola Rapelli, Electa

14/11/22

Il suicidio "più bello" del mondo: Empire State Building, New York, 1931






Sin dalla sua costruzione - 1931 - l'Empire State Building fu teatro di tragici e "spettacolari" suicidi.

Il 1º maggio 1947 vi fu quello più noto e sconcertante, quando la ventitreenne Evelyn Francis McHale si lanciò dalla terrazza dell'ottantaseiesimo piano e piombò fatalmente su una limousine nera parcheggiata in strada.

Ciò che stupì tutti fu il corpo della giovane vittima che giaceva supino e praticamente intatto sull'abitacolo sfondato della vettura. 

Fotografata da Robert Wiles, uno studente accorso sul posto, l'immagine fece il giro del mondo. Sembrando davvero una "icona moderna" della morte. 

Il gesto estremo della ragazza fu motivato da un biglietto autografo che la vittima lasciò sulla terrazza dell'ottantaseiesimo piano che recitava la seguente frase: «He's much better off without me... I wouldn't make a good wife for anybody,» ovvero: "Sta molto meglio senza di me... Non sarei una buona moglie per nessuno".

Dunque, dietro al gesto, come accade sovente, motivi sentimentali. 

La fotografia venne pubblicata il 12 maggio dello stesso anno dalla nota rivista statunitense Life riferendosi ad essa come «the most beautiful suicide» e fu acquistata anni più tardi dal noto esponente della Pop art Andy Warhol, che la elaborò intitolando l'opera Suicide (fallen body), inserendola nella galleria di sue serigrafie intitolata Death and disaster.

Fabrizio Falconi - 2022 

13/09/22

Cos'è la strana creatura scolpita da Bernini che appare nella Fontana dei Fiumi a Piazza Navona? Lo si scopre tra le pagine di "Porpora e Nero"

 



Che cos'è quella stranissima creatura che si erge dalle acque proprio al centro della meravigliosa Fontana dei Fiumi realizzata dal genio di Gian Lorenzo Bernini a Piazza Navona ? 

Le forme del tutto inconsuete hanno procurato molti grattacapi agli studiosi della storia dell'arte che soltanto in tempi recenti sono riusciti ad individuare l'animale misterioso al quale si ispirò Bernini, la cui vicende è strettamente legata al nome e al sapere sconfinato di un grande personaggio che visse a Roma negli stessi anni di Bernini (morirono anche a pochi giorni di distanza): il gesuita Athanasius Kircher, nato in Germania, vissuto a Roma, grande erudito, consigliere di principi e papi, collezionista compulsivo di rarità preziose proveniente da ogni angolo di mondo che allora veniva scoperto. 

Ne fu un esempio l’armadillo – il cui nome nella lingua degli indigeni Guaranì era Tatu un animale che nessun europeo aveva mai visto fino a quando un missionario gesuita al seguito dei conquistadores spagnoli pensò bene di spedirne un esemplare a Kircher. Il gesuita lo imbalsamò e lo appese al soffito, proprio all’entrata del suo Museo del Mondo: i visitatori ne restarono così impressionati, che perfino Gian Lorenzo Bernini prese ispirazione da quella strana creatura per immaginare e realizzare il drago che oggi si può ammirare tra le diverse sculture ornanti la Fontana dei Fiumi di Piazza Navona, e che per molto tempo fu scambiato per un coccodrillo.

L'armadillo-drago fa la sua comparsa ed è uno degli anelli-chiave per risolvere il mistero contenuto nel romanzo "Porpora e Nero" di Fabrizio Falconi, frutto di molti anni di appassionante ricerche. 

Per acquistare Porpora e Nero clicca qui. 

22/07/22

Tornano a splendere - e aperte al pubblico - a Roma, le Corsie Sistine! 1200 metri quadrati di affreschi!

 



Mille e 200 metri quadri di affreschi. Il ciborio con i gigli Farnese in foglia d'oro e la pala d'altare firmata da Carlo Maratta. E soprattutto gli otto secoli di storia, accoglienza e bellezza. 

Dopo due anni di restauro, tornano a mostrarsi in tutta la loro luce al pubblico le Corsie Sistine al complesso Monumentale di S. Spirito in Saxia, l'ospedale piu' antico d'Europa

Un incredibile esempio di architettura civile e arte, voluto nel 1475 da Papa Sisto IV, alla cui riapertura è intervenuto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

"La corsia Sistina - racconta la soprintendente speciale di Roma, Daniela Porro - era la corsia storica dell'ospedale voluto Sisto IV Della Rovere in occasione del Giubileo". 

Reclutando l'architetto Baccio Pontelli e lo scultore Andrea Bregno, il Pontefice aveva infatti voluto ristrutturare tutto l'Arcispedale

L'edificio era costituito da due imponenti sale che prenderanno il nome dei medici Lancisi e Baglivi, raccordate da un tiburio ottagonale sotto il quale svetta un elegante ciborio, probabilmente unica opera romana di Andrea Palladio, arricchito dalla pala d'altare dedicata a San Giobbe, eseguita da Carlo Maratta. 

Ma ci sono anche due maestosi portali, il piu' esterno del Bernini e quello interno, detto del Paradiso, opera di Bregno

E poi la seicentesca Ruota degli Esposti dove venivano depositati i neonati, altrimenti tragicamente abbandonati sulle rive del Tevere.

"E' una sorta di cappella Sistina degli ospedali storici, sia per l'importanza del committente, sia per la straordinaria bellezza dell'apparato decorativo e l'ampiezza del luogo - prosegue la Porro -. Gli affreschi ci raccontano la storia degli anni '70 del '400 e le imprese voluta dal Papa, dalla costruzione di ponte Sisto alle chiese realizzate in quegli anni". 

In tutto, oltre 60 scene realizzate da artisti di scuola umbro-laziale e da discepoli di Melozzo, Ghirlandaio, Pinturicchio e Antoniazzo Romano. 



"Poi, pero', la storia continua - aggiunge la Porro - e il complesso è stato arricchito con il Palazzo del commendatore, con la Chiesa di S. Spirito in Sassia, con la Biblioteca Lancisiana".

Finanziati dalla Regione Lazio per la Asl Roma 1, i lavori di restauro si sono concentrati anche sul ciborio, nei secoli, racconta la restauratrice Maria Rosaria Di Napoli, "segnato da sporco e percolamenti dall'alto. La difficolta' maggiore, equilibrare i diversi materiali, perche' questo e' un gioiello: abbiamo il legno policromo e dorato, lo stucco, la tela, i marmi. I colori non si vedevano quasi piu'. Anche il lanternino, tutto di legno, proprio per l'acqua, aveva perso molta superficie pittorica. Ma l'emozione piu' grande è stata riportare finalmente alla luce la firma originale di Maratta sulla pala dedicata a San Giobbe". 

Per l'occasione, il complesso dell'Arcispedale verra' valorizzato con un progetto di illuminotecnica, aperto ai cittadini dal 22 al 24 luglio.

26/02/22

Libro del Giorno: "Le muse nascoste" di Lauretta Colonnelli

 


In tempi come questi, fa veramente bene leggere queste pagine che Lauretta Colonnelli, una delle migliori giornaliste e scrittrici di divulgazione sull'arte e sulla storia dell'arte, ha scritto e dedicato alle "Muse Nascoste", cioè alle donne poco famose o affatto famose che sono dietro alla storia e alla rappresentazione di quadri famosi o famosissimi, e dietro le vite stesse dei grandi pittori che le hanno realizzate.

E' oltretutto un libro meravigliosamente illustrato che consente di seguire, lungo tredici intensi capitoli, le vicende delle donne che nelle loro vite hanno avuto la fortuna e la sfortuna di incontrare grandi artisti che, oltre ad esserne spesso ossessionati, le hanno immortalate nelle loro opere. 

Si scoprono così e si leggono così con grande interesse le vicende di Alma Mahler e di Oskar Kokoschka - che arrivò al punto di essere così ossessionato dalla sua "musa" da  commissionare una bambola di peluche a grandezza naturale, quando lei lo lasciò; quella di Grant Wood e di sua sorella che comparve nel celebre "American Gothic" (in copertina anche nel libro), del terribile Edward Hopper che maltrattò e umiliò per una vita intera la moglie artista, pittrice; e ancora le storie di Jusepe de Ribera e Maddalena, la celebre donna barbuta che visse a Napoli; di Botticelli e di Simonetta Vespucci, le cui sembianze ritrasse nei suoi quadri più famosi; e tanti altri. 

Ci sono insomma opere d'arte, anche celebri, che devono molto alle figure femminili che vi compaiono. Eppure, sorprendentemente, molte di quelle donne, ragazze, a volte bambine, non hanno identità, a volte neanche un nome. Figure nascoste dall'ombra ingombrante dell'uomo-artista. 

Il lungo lavoro di indagine della Colonnelli permette di ricostruire i ritratti di queste donne, di epoche diverse, le vicende biografiche, il rapporto con l'artista, le ragioni e i segreti della loro presenza, riportando alla luce storie di amore e complicità ma anche casi di violenza e di negazione. 

Una serie di ritratti intensi e appassionanti, che mette in luce il ruolo subordinato, abusato, discriminato che hanno avuto le donne nella lunga storia dell'arte, destinate ad essere usate e cancellate dall'ego creativo di geniali inventori di immagini, che spesso però si rivelavano uomini assai poco evoluti, sentimentalmente primitivi. 

Un atto di giustizia e di attenzione per quelle muse indispensabili eppure dimenticate.

Lauretta Colonnelli 

16/01/22

Chi era il vero poeta che si nascondeva dietro il nome di Humboldt nel romanzo che valse a Saul Bellow il Premio Nobel per la Letteratura?

Delmore Schwartz in una foto giovanile 

Il Dono di Humboldt è il grande romanzo che, uscito nel 1975, valse a Saul Bellow il premio Pulitzer nel 1976 e contribuì non poco anche al conferimento del Premio Nobel per la Letteratura, assegnato a Bellow in quello stesso anno. 

Un romanzo fiume, che aveva al centro la figura di un poeta vero, cui la fama non aveva arriso, che viveva una vita piuttosto oscura, sempre in bilico sul disagio psichico, ma il cui enorme talento incuteva nei confronti di Charles Citrine, il protagonista del romanzo (costruito da Bellow con toni autobiografici, sul modello di se stesso), soggezione e enormi sensi di colpa.

Ma chi era nella realtà il vero Humboldt? 

Le recensioni dell'epoca sottolinearono che il personaggio di Humboldt era basato sulla vita del poeta Delmore Schwartz (1913-1966). 

Come Humboldt, Schwartz aveva fantasie paranoiche che lo coinvolgevano in situazioni farsesche e umilianti

La carriera di Schwartz era iniziata brillantemente; ma alla fine non sapeva più scrivere; beveva molto e litigava con i suoi amici. La fine arrivò in uno squallido hotel nel centro di Manhattan, un infarto nel cuore della notte mentre portava fuori la spazzatura. Per giorni il corpo del poeta rimase incustodito. 

Humboldt ovviamente non era l'unico personaggio in "Il dono di Humboldt" che sembrava essere stato preso dalla vita. Charlie Citrine, che racconta la storia in prima persona, ha, come abbiamo detto, una sorprendente somiglianza con Saul Bellow. In effetti, ci sono momenti in cui la narrativa di Bellow sembra più vicina alla realtà della pubblicità di Bellow. Charlie è uno scrittore. Ha avuto un certo successo commerciale ma non ha raggiunto i suoi ideali giovanili, e ora scrive soprattutto di noia. 

L'altro protagonista è il poeta morto Von Humboldt Fleisher, resuscitato nelle memorie di Charlie. 

Ma per far muovere il romanzo, Bellow coinvolge Charlie con un personaggio di nome Cantabile, una sorta di gangster, che inizia a umiliarlo.  Charlie ha anche una ragazza, Renata, un tipo di bomba sexy, che ha già precedenti nella narrativa di Bellow, in particolare "Herzog". Renata alla fine lascia Charlie e se ne va con un becchino. 

Per quanto riguarda il "regalo" promesso dal titolo, si scopre essere denaro. 

Humboldt ha scritto la sceneggiatura di un film basato su un'idea con cui lui e Charlie si divertivano anni fa. "Ho sempre pensato che sarebbe diventato un classico", dice Humboldt nella lettera che ha lasciato a Charlie.

Come sempre, però, l'interesse di “Humboldt's Gift” non sta nella trama, è nelle idee di Bellow. 

Ha scelto di fare di Delmore Schwartz un personaggio perché la vita di Schwartz ha illustrato la difficoltà di essere un artista in America, un problema che affligge lo stesso Bellow

Inoltre, Schwartz era ebreo e Bellow è fedele alle tradizioni ebraiche. Schwartz è nato a Brooklyn nel 1913, figlio di Harry e Rose (Nathanson) Schwartz

Ha studiato all'Università del Wisconsin, alla New York University, dove si è distinto in filosofia, e ad Harvard. 

Da studente curò na piccola rivista, Mosaic, e si guadagnò la reputazione di "precocità". All'età di 24 anni pubblicò un racconto, "In Dreams Begin Responsibility" (edito anche in Italia), che lo rese famoso, almeno nei circoli letterari. 

Dwight Macdonald, che iniziò a pubblicare Partisan Review nel 1937 come "rivista socialista rivoluzionaria", ricorda l'impatto delle "Responsabilità"

Era una storia sbalorditiva, secondo Macdonald, migliore di qualsiasi altra di Hemingway o Fitzgerald, e altri critici hanno concordato sul merito di questo particolare lavoro

Nella sua concezione, dalla prima riga alla fine, “Responsabilità” ha l'aspetto di un mito o di una favola, un'idea che è balzata in piena forma nella mente, una situazione che ci sembra perfettamente ovvia una volta che l'abbiamo vista

La storia inizia nel 1909. "Mi sento", dice il narratore, "come se fossi in un cinema". Sta guardando un vecchio film muto. “È domenica pomeriggio, 12 giugno 1909, e mio padre sta camminando per le tranquille strade di Brooklyn mentre va a trovare mia madre” Suo padre sta pensando mentre cammina: come sarà bello presentarla alla sua famiglia. Ma lui - non è sicuro di volersi sposare, "e ogni tanto va in panico per il legame già stabilito".

In questa storia, come scrisse la critica dell'epoca, Schwartz è stato il primo ad avere una visione della vita ebraica in America che sarebbe stata ripresa da altri scrittori. Tutti dicevano che Delmore Schwartz era brillante, ed era stato elogiato da TS Eliot, che era come "essere stato canonizzato da un arcivescovo"

Ma questo era già un successo più grande di quanto Delmore sapesse gestire.

Fu coinvolto nella politica letteraria, cercando di preservare la fama che aveva conquistato così presto. Era terribilmente imbarazzato. Sapeva che ci si aspettava che realizzasse dei capolavori e che i critici erano pronti per lui.

La “canonizzazione” di Schwartz da parte di Eliot portò, in parte, alla morte del poeta più giovane: come qualsiasi altro genere di affari, infatti, nessuno scrittore che sia stato elogiato non riesce a suscitare invidia. 

Il secondo libro di Schwartz, "Genesis", fu così piuttosto deludente. La gente lo diceva. Fece una traduzione di "Una stagione all'inferno" di Rimbaud ed era evidente che non conosceva il francese: la traduzione era piena di passi falsi. Cosa gli ha fatto pensare di poter tradurre da una lingua che non conosceva? Aveva manie di grandezza. 

Questi sono stati seguiti da una serie di sospetti. Negli anni successivi Schwartz uscì fuori di testa, ed era convinto, come Humboldt nel romanzo, che Rockefeller stesse complottando contro di lui, danneggiando il suo cervello inviando raggi dall'Empire State Building. 

Tra i due estremi, la mente che poteva vedere la vita dei suoi genitori chiaramente come se stesse guardando un film, e la mente offuscata dal sospetto, c'erano molte fasi: contorcimenti, perdite, ritorni a se stessa, nuovi inizi e nuovi fallimenti. Le fasi sono descritte o suggerite da Bellow nel romanzo basato sulla vita di Schwartz. 

La prima edizione italiana de Il Dono di Humboldt di Saul Bellow

Ci sono aspetti di Schwartz, tuttavia, che non sono rappresentati da Bellow. Schwartz aveva una venerazione per la tradizione, in particolare le tradizioni letterarie. Quando insegnava ad Harvard, il primo di una serie di incarichi accademici, accompagnava i visitatori in un tour del cimitero di Mt. Auburn, dove è sepolta la famiglia di Henry James. 

Come si sa, l'America non è stata gentile con i poeti; offre loro abbandono e oscurità. Pochissimi poeti americani sono conosciuti dal pubblico, anche il pubblico che legge. 

Ciò che Wordsworth dice dei poeti di tutto il mondo sembra particolarmente vero per i poeti in America. Noi poeti nella nostra giovinezza cominciamo con letizia, ma ne derivano alla fine lo sconforto e la follia. Le idee con cui un uomo sceglie di vivere possono fare la differenza per il suo benessere anche se può avere una debolezza psicologica. 

Delmore Schwartz, come altri letterati in un'epoca di incredulità, non aveva altro di cui fidarsi se non la letteratura. 

Ne "Il regalo di Humboldt", Bellow fa dire a Charlie Citrine alcune cose dure sui compilatori di antologie che, dalla morte di Humboldt, hanno omesso le sue poesie dalle loro raccolte. 

Nella sua passione per l'arte Schwartz era ingenuo, nel buon senso del termine. Era l'amante della poesia che la gente amava. 

Alcuni artisti si consumano nel processo di creazione: hanno fatto del loro meglio e non c'è più niente da fare. Un episodio in cui Humboldt insegue un critico è tratto dalla vita. Schwartz era fuori di testa per la gelosia, o geloso perché era fuori di testa. Il critico aveva una stanza al Chelsea Hotel. Con suo sgomento, anche Schwartz prese una stanza lì e iniziò a molestarlo. Le cose sono arrivate al culmine una notte con Schwartz che ha bussato alla sua porta, gridando: "Esci e combatti come un uomo!"  Il critico ha telefonato alla reception e loro hanno chiamato la polizia. Quando sono arrivati, il critico non ha voluto sporgere denuncia. Aveva la sua carriera a cui pensare: non gli sarebbe servito a niente essere conosciuto come il critico che ha fatto rinchiudere un poeta. La polizia ha fatto alcune domande e Schwartz è salito nella sua stanza e si è chiuso dentro. La polizia è salita e lui non li ha lasciati entrare. È diventato isterico. Sono entrati dopo di lui. È diventato violento. Lo hanno portato via.

Era difficile per coloro che conoscevano Schwartz solo nei suoi ultimi anni capire che una volta era stato un uomo dotato e attraente. 

Negli ultimi anni Schwartz ebbe un lavoro alla Syracuse University. Lo trattavano generosamente; hanno sopportato molto, perché non ha insegnato la materia, ha insegnato da solo. Ma i giovani lo amavano: era uno dei pochi professori a casa cui sarebbero andati. Negli ultimi mesi, quando era nei bar del Greenwich Village, a bere birra nel tentativo di rimanere sobrio, era al centro di un gruppo di giovani, tra i quali un giovane Lou Reed che successivamente e per sempre, considerò Schwartz il suo maestro. Poi sarebbe tornato al suo albergo delle pulci sulla 48esima strada.

Tutti concordano sul fatto che Schwartz nel suo periodo migliore fosse un grande oratore: "se fosse stato inglese sarebbe stato nominato cavaliere per la sua conversazione", afferma Dwight Macdonald. 

Bellow è sempre stato affascinato dal comportamento disinibito e turbolento. È particolarmente affascinato dalla vita bassa, le persone sagge del mondo. "I figli delle tenebre", diceva spesso, "sono più saggi nella loro generazione dei figli della luce". 

Il poeta di Bellow è pazzo, mentre Delmore Schwartz lo era solo a volte e sempre più verso la fine della sua vita. Questo ci porta al punto del romanzo: Bellow vede l'artista come un capro espiatorio. L'uomo sensuale ordinario guarda la vita dell'artista e dice a se stesso: “Se non fossi un bastardo, un ladro e un avvoltoio così corrotto e insensibile, non potrei sopravvivere neanche a questo. Guarda questi uomini buoni, teneri e dolci, i migliori di noi. Hanno ceduto, poveri pazzi"

 Il messaggio non è nuovo. Altri hanno sottolineato che la vita autodistruttiva di Dylan Thomas o Plath o Berryman serve a rassicurare la classe media sui suoi valori

E gli stessi poeti si sono affrettati a conformarsi, accettando il ruolo assegnato, e si sono ubriacati fino allo stordimento, si sono uccisi, hanno recitato un'idea borghese della vita dell'arte. “E poeti come ubriaconi e disadattati o psicopatici, come i miseri, poveri o ricchi, sono sprofondati nella debolezza". 

Il comportamento di Humboldt - comprare una pistola e inseguire il critico che crede abbia sedotto sua moglie - è irrimediabilmente antiquato. A questo punto, Bellow  sta dicendo all'artista: "Povera linfa, non ce la farai mai". Gli consiglia di rinunciare alla sua arte e di trovare “la cosa nuova, la cosa necessaria” che gli permetterà di poter competere con la modernità tecnologica. 

Qual è la "cosa nuova?" Bellow non dice. Charlie Citrine ipotizza nuovi tipi di coscienza e l'immortalità dell'anima, ma i suoi pensieri sono troppo vaghi per essere confortanti. Tutto ciò di cui possiamo essere sicuri è la distruzione del poeta. E non c'è differenza tra la vita e l'arte: come il poeta è condannato, così è la poesia. Bellow si è impegnato a dimostrare che l'arte come l'abbiamo conosciuta non è più possibile in un mondo di macchine. Sembra determinato a portarlo con sé, senza lasciare nulla per il resto di noi. Ma non è necessario accettare questo punto di vista. 

Schwartz ha detto questo sul futuro della poesia: “Nel mondo moderno, la poesia è alienata; rimarrà indistruttibile finché sopravvive la fede e l'amore di ogni poeta nella sua vocazione”. 

La vita di Schwartz, per quanto infelice, sembra rappresentare qualcosa di più: una devozione. Schwartz è rimasto insomma una delle figure simboliche che tormentano la coscienza degli americani, dai tempi in cui non riusciva più a scrivere e vagava per New York in cerca di affetto. Nella vita riuscì a raggiungere le vette della commedia, gli abissi dell'umiliazione, il pathos che ammirava nei libri. La sua vita è un classico americano, anche se forse non la sua arte. Ed è tutto questo che Saul Bellow ha cantato con la sua grande opera. 

Saul Bellow


fonti: Louis Simpson, The New York Times 


 

25/10/21

La meraviglia della Galleria Prospettica del Borromini a Palazzo Spada


La magica prospettiva di Borromini e il piano nobile di Palazzo Spada.
 

Quello che per tutti i romani è Palazzo Spada, in Piazza di Capodiferro, prese il nome con cui è conosciuto oggi soltanto a partire dal 1632 quando il cardinale Bernardino Spada lo acquistò per quasi trentaduemila scudi dalla famiglia Capodiferro che per iniziativa di uno dei suoi membri più illustri, il cardinale Gerolamo, lo aveva fatto costruire nel 1540 su progetto dell’architetto Giulio Merisi da Caravaggio. 

Il cardinale Spada trasformò totalmente il Palazzo rendendolo una vera e propria reggia, degna del potere che quella famiglia rappresentava nelle gerarchie papaline dell’epoca. 

L’architetto al quale Bernardino Spada si rivolse fu nientemeno che Francesco Borromini, il genio più grandioso ed eccentrico di quegli anni, carattere tempestoso e irrequieto sempre preda dei suoi fantasmi e della sua febbrile creatività. 



Fu Borromini a creare quella stupefacente galleria prospettica che ancora oggi rappresenta una delle attrattive della visita ai Palazzi di Roma, come dimostrano anche le continue citazioni cinematografiche, con quel colonnato nel quale le pareti convergono mano a mano che si avanza, il pavimento sale, i quaranta riquadri del pavimento si impiccioliscono insieme alle colonne: quando si giunge al termine della galleria si scopre infatti che l’ultima colonna è alta soltanto un metro e mezzo, meno della metà rispetto alla colonna della prima fila, e che quella galleria che vista dall’esterno sembra lunghissima – almeno cinquanta metri – si percorre invece in appena dieci passi. 

E’ un gioco prospettico, una illusione ottica inventata da Borromini che dovette divertire e non poco il suo committente, con quella statua del dio Marte, collocata in fondo alla galleria, alta soltanto sessanta centimetri. 



E’ solo una delle molte invenzioni del genio ticinese: molto si è scritto su un Borromini esoterico, a causa di quella incredibile propensione a giocare con i simboli e le forme che ne hanno fatto uno dei protagonisti più grandi del Barocco. 

Ma le attrattive e i segreti di Palazzo Spada non si esauriscono con la formidabile bizzarria borrominiana. 

Oggi il celebre palazzo ospita la splendida Galleria di dipinti dove si possono ammirare Guido Reni, Guercino, Andrea Del Sarto, Brueghel, Parmigianino e tanti altri, ma anche il grandioso piano nobile occupato dagli uffici del Consiglio di Stato che è attualmente visitabile solo la prima domenica del mese. 

Qui è tutto una esplosione di decorazioni a stucco e pitture che insieme alle finte prospettive architettoniche del Salone di Pompeo, alla Sala delle Quattro Stagioni e al Corridoio della Meridiana testimoniano la grande passione del Cardinale Bernardino Spada per l’astronomia e per l’ottica. 

In particolare in quest’ultimo – il Corridoio della Meridiana – è possibile ancora oggi misurarsi con la geniale invenzione del gesuita Emmanuel Maignan (nato a Tolosa nel 1601): una specie di meridiana alla rovescio, ottenuta attraverso il riflesso della luce del sole che, filtrando attraverso una finestrella, colpisce la superficie di uno specchio inclinato e rimbalza sul soffitto dove sono disegnati i simboli celesti zodiacali. E’ solo una delle tante meraviglie segrete di quello che è stato definito il palazzo storico più bello d’Italia.



20/10/21

Chi è la coppia ritratta in "American Gothic", una delle opere iconiche del Novecento?

 


E' uno dei quadri più famosi in assoluto del Novecento. 

Parliamo di American Gothic, dipinto nel 1930 dall'americano Grant Wood, e conservato all'Art Institute di Chicago. 

Una immagine che abbiamo visto tutti mille volte. 

Ma chi sono i due soggetti ritratti nel quadro e qual è la sua storia?

La vicenda racconta che Grant Wood che era nato nel 1891 nello Iowa, mentre nel 1930, percorreva la città di Eldon nello stato dov'era nato, l’Iowa, osservò una piccola casa in legno, dipinta di bianco, costruita con la consueta architettura “gotica del carpentiere”. 

Wood decise così di dipingere la casa assieme a «quel tipo di persone che mi sarei potuto immaginare come abitanti di quella casa»

Chiese a sua sorella Nan di fargli da modella, facendole indossare un pesante abito coloniale rassomigliante quelli della tradizione americana del XIX secolo, e come modello per il contadino scelse il proprio dentista.  

Quest’opera divenne ben presto un simbolo della vita e degli ideali dei pionieri americani e lo consacrò fra i protagonisti del regionalismo americano. 

Il dipinto venne esposto all’Istituto d’Arte di Chicago dove vinse un premio di 300 dollari, diventando immediatamente famoso.  

Al giorno d’oggi il quadro è spesso parodiato, anche se rimane uno dei maggiori esempi di regionalismo ed arte americana: ad esempio in una delle scene iniziali di The Rocky Horror Picture Show si nota un’inquadratura che si rifà al quadro, nel cartone disneyano Mulan appare brevemente una coppia di spiriti identici ai personaggi ritratti nel quadro. Ma sono solo due dei tantissimi esempi. 


Nella rara foto qui sopra, i due veri soggetti ritratti da Grant Wood, davanti al celebre quadro. 


18/10/21

Quando Pollock fece la prima mostra in Europa e non vendette nemmeno 1 quadro. Oggi quegli stessi valgono 40 milioni di dollari l'uno.


Incredibile parabola, quella di Jackson Pollock, e dell'arte moderna. La fortuna di questo meraviglioso, grandissimo artista, seguì infatti strade del tutto particolari e imprevedibili.

Nato nel 1912 a Cody, nel Wyoming, Jackson era il più giovane di cinque fratelli. Suo padre faceva l'agricoltore ed in seguito diventò un agrimensore alle dipendenze dello stato, con il giovane Jackson che trascorse la sua gioventù tra l'Arizona e la California, mostrando subito un carattere difficile, schivo e introverso, refrattario alla regole scolastiche della High School di Reverside e della Manual Arts High School di Los Angeles, dalle quali venne espulso per indisciplina.

La svolta per Jackson si creò quando ebbe l'occasione di entrare a contatto con i nativi americani mentre accompagnava il padre ad effettuare i rilevamenti agricoli. Anni dopo, Pollock realizzò i suoi quadri più famosi, inaugurando il metodo del "dripping" (cioè lo sgocciolamento della vernice direttamente sulla superficie delle tele poste orizzontalmente sul pavimento) tra il 1947 e il 1950.

Pollock diventò molto noto negli Stati Uniti in seguito alla pubblicazione di un servizio di quattro pagine della rivista Life dell'8 agosto 1949 che si chiedeva: «È il più grande pittore vivente degli Stati Uniti?».

Eppure, nella vecchia Europa, nessuno lo conosceva, ed è incredibile pensare oggi che dei quindici grandi quadri che Pollock espose per la prima volta nel vecchio continente, nella famosa mostra alla galleria Facchetti di Parigi, nel marzo 1952 (quattro anni prima della sua morte), nessuno, neanche uno fu venduto.

Tutti e 15 i quadri, pur in presenza di qualche manifestazione di interesse, tornarono alla fine in America, invenduti, nonostante i più piccoli costassero 2.000 franchi e i più grandi 8.000 o 9.000 franchi.

Anche Malraux, all'epoca ministro della cultura francese, che si era innamorato dei quadri e voleva comprarli per lo Stato Francese, non riuscì a trovare il credito necessario.

Per il pubblico la mostra fu uno scandalo, i vecchi dicevano che era la fine dell'arte, che quei quadri erano dipinti con la coda dell'asino.

Ebbene, nel marzo scorso Numero 32, opera di Pollock del 1949, è stato venduto a 40 milioni di dollari.

E oggi il solo catalogo di quella storica e sfortunata mostra si vende per 350 euro come si vede qui.




21/09/21

Un quadro fiammingo meraviglioso e misterioso da scoprire nei particolari


E' un quadro meraviglioso. 

Un ragazzo che porta il pane (c. 1663) è un olio su tela del pittore olandese Pieter de Hooch che rappresenta la cosiddetta "età dell'oro" della pittura fiamminga

Un ragazzo offre un cesto di pane a una signora in un interno; dietro di loro un cortile piastrellato conduce in un altro interno buio, oltre il quale si può vedere un canale con una seconda donna, forse la madre del ragazzo, che guarda la transazione da lontano

La porta si affaccia su un sentiero, pavimentato con piastrelle e delimitato da una recinzione, che conduce attraverso il cortile all'ingresso sotto una porta di pietra decorata con uno stemma. 

Al di là c'è un canale, dall'altro lato del quale una donna sta dietro la mezza porta di una casa. In primo piano a destra è una sedia con un cuscino

L'intera scena è dominata dal rosso e dal nero del costume della donna. Ci sono toni bluastri nell'ombra.

Lo stemma sopra la porta dice "o, un azzurro azzurro".

Le insegne sulla finestra recano l'iscrizione, a sinistra "Cornelis Jansz" o "Jac.", A destra "Marnie" o "Maerti". 

A sinistra è il monogramma della famiglia dell'uomo: una "M", in mezzo alla quale si alza un albero che porta una piccola "c" e termina con un "4." 

A destra è quella della famiglia della donna: in una losanga, un albero, con due tratti incrociati in alto e due tratti che si incontrano in un angolo inferiore, ha una "M" a sinistra e una "C" a destra. 

Con la sua magistrale illusione di una profondità sfuggente, l'immagine dimostra la sensibilità di De Hooch ai diversi effetti della luce del giorno negli spazi adiacenti, focalizzando l'attenzione dello spettatore e infonde alla scena una calma profonda. 

Il dipinto è attualmente conservato alla Wallace Collection in Manchester Square a Londra.

09/09/21

Le geniali opere di Simon Stålenhag che hanno ispirato la bellissima serie "Tales From The Loop"

 


Chi l'ha vista - in Italia su Amazon video/prime - sa che si tratta di uno dei prodotti migliori degli ultimi anni, in assoluto: si tratta di Loop (Tales from the Loop), la serie televisiva statunitense del 2020 creata da Nathaniel Halpern e basata sulle opere illustrate dell'artista svedese Simon Stålenhag. 

Per chi non l'avesse ancora vista diremo, per non rovinare nulla, che la serie è ambientata negli anni ottanta in una zona rurale dell'Ohio, in cui gli abitanti vivono e lavorano in un misterioso luogo chiamato il "Loop".

Si scopre che in effetti venti anni prima, negli anni sessanta, in quella regione è stato costruito un grande acceleratore di particelle nelle profondità della campagna circostante. 

Ogni puntata della serie - valorizzata dalle bellissime musiche di Philip Glass e da una meravigliosa fotografia - racconta in modo straordinario le vicende quotidiane e personali degli abitanti di quel luogo, stravolte da eventi e paradossi legati al Loop.

Ma chi é Stålenhag?

Cresciuto in un ambiente rurale vicino a Stoccolma, l'artista svedese ha cominciato a realizzare opere grafiche di fantascienza solo dopo aver scoperto concept artist come Ralph McQuarrie e Syd Mead; la genialità del suo lavoro è quella di combinare la sua infanzia con temi tratti da film di fantascienza, dando vita a un paesaggio svedese stereotipato con una tendenza neofuturistica

Secondo Stålenhag, questo focus nasce dalla sua percepita mancanza di connessione con l'età adulta, con gli elementi di fantascienza aggiunti in parte per attirare l'attenzione del pubblico e in parte per influenzare l'umore del lavoro. Queste idee si traducono in un corpus di lavori che possono presentare robot giganti e megastrutture accanto a normali articoli svedesi come le automobili Volvo e Saab. 

Man mano che il suo lavoro si è evoluto, Stålenhag ha creato un retroscena per esso, incentrato su una struttura sotterranea governativa.

Stålenhag solitamente per i suoi lavori utilizza un tablet e un computer Wacom, progettato per assomigliare alla pittura ad olio.

La maggior parte del suo lavoro si basa su fotografie preesistenti che scatta; queste vengono quindi utilizzate come punto di partenza per una serie di schizzi prima che il lavoro finale sia completato.

La maggior parte delle opere d'arte di Stålenhag era inizialmente disponibile online, prima di essere successivamente venduta come stampe. 

I risultati sono veramente stupefacenti. 
Qui qualcuna delle sue opere:

Labyrinth 

Vimpelturbiner

Collater.al





03/08/21

Assisi celebra così i 20 anni di Patrimonio Mondiale Unesco: visite gratuite nei luoghi di cultura e arte della città


Assisi festeggia i 20 anni di iscrizione alla lista del Patrimionio mondiale dell'Unesco, insieme alla Basilica di San Francesco e agli altri siti francescani, con 11 visite guidate gratuite per conoscere i luoghi simbolo della cultura e dell'arte. 

Oltre alle Basiliche, il calendario di appuntamenti - previsti dal 7 agosto al 19 settembre - coinvolge anche il santuario di San Damiano, la Rocca Maggiore, il Foro Romano, l'Eremo delle Carceri, la Cattedrale di San Rufino, l'Abbazia di San Pietro. 

Gli incontri, a cura dell'Associazione guide turistiche dell'Umbria e CoopCulture con il coordinamento dell'ufficio comunale del Turismo, puntano a far conoscere da vicino il patrimonio Unesco e sensibilizzare sull'importanza della storia e dell'arte di Assisi anche attraverso interventi di intrattenimento, animazione e momenti musicali. 

Il programma degli appuntamenti ha ricevuto il plauso del presidente della commissione nazionale per l'Unesco Franco Bernabe': questi - spiega una nota del Comune - ha ricordato come Assisi, in quanto esempio di eccellenza artistica armoniosamente inserito nel suo contesto naturale e grazie al messaggio di pace e tolleranza diffuso dall'opera e dalla figura di San Francesco, rappresenti fonte d'ispirazione a livello mondiale per l'attuazione degli obiettivi dell'Agenda Onu 2030 sullo sviluppo sostenibile

Per la direttrice del Centro del Patrimonio mondiale dell'Unesco, Mechtild Rössler, "il sito di Assisi e' d'importanza universale non solo per il popolo italiano ma per l'umanita' tutta". 

La stessa direttrice ha anche espresso apprezzamento per l'amministrazione comunale che, con il sindaco Stefania Proietti, ha partecipato alla conferenza globale di giugno scorso sul Patrimonio urbano per il recupero e la resilienza per sviluppare un piano d'azione per la citta' secondo i principi di
democrazia e partecipazione. 




22/06/21

L'incredibile ritrovamento di un Rembrandt a Roma


Scoprire in modo inaspettato la mano di uno degli artisti più celebrati della storia in un dipinto rimasto sconosciuto per secoli, mettere insieme come un puzzle ogni piu' piccolo indizio, riuscendo infine a vedere il momento ideativo dell'opera d'arte nell'attimo prezioso in cui ha preso forma
: una storia appassionante e miracolosa, frutto della felice unione di casualita' fortunate, intuito e scienza, quella al centro del simposio "Rembrandt: individuare il prototipo, vedere l'invisibile", che si è tenuto a Roma all'Accademia di Francia di Villa Medici, promosso dalla Fondazione Patrimonio Italia. 

Nell'ambito dell'incontro, primo appuntamento del progetto "Discovering Masterpiece" della stessa Fondazione, e' stato infatti rivelato il ritrovamento casuale ed eccezionale, avvenuto a Roma, di un dipinto a olio su carta applicata su tela, eseguito nel 1632-33 e attribuito sulla base di studi approfonditi a Rembrandt, un'opera mai mostrata fino a ora: il soggetto - tra i piu' classici della storia dell'arte e ampiamente trattato dal pittore fiammingo - mostra una splendida "Adorazione dei Magi", il cui prototipo e' stato considerato perduto e sopravvissuto solo in alcune copie celebri, conservate a San Pietroburgo e Göteborg.

L'opera - ora a disposizione di ulteriori indagini da parte della comunita' scientifica internazionale e il cui valore, se confermata l'attribuzione, potrebbe essere valutato tra i 70 e i 200 milioni di euro - e' di proprieta' di una famiglia romana, parte di un fondo storico artistico parzialmente risalente a fine '500 (in cui e' presente un filone di provenienza olandese al quale appartiene il dipinto in questione) ed e' protagonista di una vicenda che ha dell'incredibile

Dopo essere caduto accidentalmente, il dipinto (oggi custodito in in caveau a Milano) nel 2016 e' stato sottoposto a un restauro: proprio durante il recupero e la pulizia dell'opera annerita dalla vernice antica, grazie all'intuito e all'esperienza della restauratrice Antonella Di Francesco, il capolavoro ha abbandonato l'oblio ed e' emerso piano piano

Da questa scoperta ha avuto poi inizio una serie di studi approfonditi e di esami tecnici specifici e sofisticati sostenuti dalla Fondazione Patrimonio Italia che hanno aperto le porte alla conoscenza del dipinto.

Il quadro, di dimensioni 54x44 cm, e' collegato alla realizzazione di una serie di incisioni di tale identico formato di Rembrandt.

Le informazioni emerse rivelano i vari interventi di restauro realizzati nel corso di tanti anni ma soprattutto la presenza di un disegno preparatorio (non visibile a occhio nudo ma rilevato dalla riflettologia infrarossa). 

Gli studi fatti permettono di tornare indietro nel tempo e far conoscere la tecnica esecutiva di Rembrandt: una tecnica rarissima, fondata su sketch (con pennello, matita o altro medium) velato a olio su carta con successiva applicazione su tela.

I disegni portati alla luce, quasi invisibili osservando il quadro, sono stati realizzati da Rembrandt a mano libera, prima con una punta umida molto sottile e poi ricalcati con una penna: si tratta di figure che si mostrano come un piccolo, grande capolavoro, tutte dotate di vitalita' e di una propria potenza espressiva. 

Dalle indagini emergono anche i "pentimenti" dell'artista, sia nello sketch che nella stesura pittorica, e poi diversi dettagli presenti nel disegno che nella versione finale dell'opera non sono stati piu' evidenziati. 


21/06/21

Venezia compie 1600 anni ! Un ponte la unisce a Vicenza con la magia di Pietro Longhi, il grande pittore del Settecento e un Elefante


Da un elefante sbarcato in laguna nel 1774 nasce un ponte di arte e bellezza, di parole ed immagini, che unisce Venezia a Vicenza.
 

L'occasione sono le celebrazioni per i 1600 anni dalla fondazione di Venezia (421 - 2021): le Gallerie d'Italia - Palazzo Leoni Montanari a Vicenza e la Fondazione Querini Stampalia a Venezia hanno avviato una collaborazione che e' un ponte fra due citta' e due istituzioni, all'insegna dell'arte. 

Il legame e' il celebre pittore veneziano del Settecento Pietro Longhi le cui opere - un vero viaggio nel tempo nella Venezia dell'epoca attraverso ritratti di vita della nobilta' e del popolo - sono fra i capolavori delle collezioni d'arte esposte al pubblico nei due musei.

Il progetto si intitola In viaggio con Pietro Longhi. Da Vicenza a Venezia: un ponte di immagini e parole, e' realizzato dai Servizi educativi di Gallerie d'Italia - Palazzo Leoni Montanari e della Fondazione Querini Stampalia ed e' dedicato ai ragazzi della scuola primaria. 

Due quadri dell'artista Longhi vengono messi a confronto per raccontare agli studenti un'unica storia. 

Tutto ha inizio con il ritratto di un elefante sbarcato in laguna nel 1774, custodito a Vicenza, a Palazzo Leoni Montanari, per proseguire a Venezia, alla Fondazione Querini Stampalia, per conoscere la misteriosa dama che commissiona al Longhi il quadro con il pachiderma chiamato Condolio. 

Il volto della nobildonna Marina Sagredo, nascosto da una maschera nel dipinto di Vicenza, e' svelato nel suggestivo quadro esposto alla Querini Stampalia. 

Il progetto e' digitale, fruibile attraverso un video racconto e un video tutorial con l'obiettivo di realizzare in classe il laboratorio creativo. 

Per docenti e alunni rappresenta un'anticipazione di quanto sara' possibile approfondire con la visita in presenza, per conoscere "dal vivo" i capolavori, non appena le scuole potranno riprendere le uscite didattiche. 

L'attivita' e' strutturata in tre parti: "racconto un video" per immergersi nello spirito del Settecento, attraverso il racconto di due dipinti del celebre Pietro Longhi. Un'unica storia che inizia con il ritratto di un elefante, custodito a Vicenza, a Palazzo Leoni Montanari, per proseguire a Venezia, alla Fondazione Querini Stampalia, sulle tracce di un misterioso legame della stessa opera con la storia di una nobile famiglia; la seconda parte e' un "laboratorio creativo", un video tutorial a cui ispirarsi per realizzare, in classe, una coloratissima pagina pop-up sull'avventura veneziana dell'elefante Condolio; l'ultima parte e' una "scheda didattica", un utile supporto didattico, nella quale sono riportati la biografia dell'artista, le immagini delle due opere a confronto e l'elenco dei materiali utili per il laboratorio creativo.