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01/05/21

Scoperta la prima mummia egizia incinta!





Evento di portata archeologica storica in Polonia, dove i ricercatori del Museo nazionale di Varsavia hanno scoperto la prima mummia al mondo di una donna egizia incinta, oggetto di un articolo pubblicato sul Journal of Archeological Science. Si è pensato a lungo che la mummia, portata per la prima volta in Polonia nel 1826, fosse quella di un sacerdote, ma il progetto lanciato nel 2015 su reperti custoditi nel museo della capitale polacca ha rivelato la loro appartenenza ad una donna di alto rango sociale vissuta nel I secolo A.C. e dall'eta' tra i 20 e i 30 anni. 

Tutto è partito dopo una scansione che ha rivelato un piccolo piede. Marzena Marek-Szilke, antropologa e archeologa alla facoltà di Archeologia dell'Universita' di Varsavia, aveva infatti già riassunto le ricerche condotte assieme ai suoi colleghi - con i quali si preparava a presentare i risultati per la loro pubblicazione - quando a un certo punto, come ha dichiarato all'agenzia di informazione polacca PAP, "con mio marito  un archeologo egiziano, abbiamo dato l'ultima occhiata alle immagini e ne abbiamo notato una familiare per genitori di tre bambini nel ventre della donna deceduta: un minuscolo piede". Nel corso della sua ricerca, il team di esperti ha rivelato alcuni indizi interessanti.

Usando la tomografia computerizzata, che permette la mancata rimozione delle bende della mummia, i ricercatori hanno scoperto che il cadavere aveva una struttura scheletrica delicata, e un'analisi piu' dettagliata li ha convinti che il corpo fosse femminile, data l'assenza del pene. Una visualizzazione 3D, poi, ha mostrato chiaramente i capelli lunghi e ricci e il seno mummificato. 

"Qui abbiamo l'unico esempio noto di una donna incinta mummificata e le prime immagini radiologiche del feto", si legge nell'articolo pubblicato sulla rivista scientifica. 

Una delle maggiori domande degli scienziati è perché il feto - il cui sesso non e' stato determinato - sia rimasto al suo posto. Gli organi interni, infatti, erano regolarmente rimossi prima della mummificazione. Wojtek Ejsmond, uno dei tre co-fondatori del Warsaw mummy project, ha detto alla Cnn che i motivi potrebbero essere di natura religiosa o logistica: "Forse pensavano che il nascituro non avesse un'anima o che sarebbe stato piu' sicuro nell'aldila'. O forse era perche' risultava molto difficile rimuovere un bambino in quella fase dal grembo materno senza causare gravi danni". Sulla base della circonferenza del cranio del feto, quest'ultimo potrebbe avere avuto tra le 26 e le 30 settimane al momento della morte della madre, le cui ragioni rimangono sconosciute. 

20/04/21

Maurizio Quilici: "Gli Animali ci salveranno. Non togliete la gioia agli animali".


Ci siamo detti cosi' tante volte che dopo la pandemia saremmo stati migliori che oramai non ci crede piu' nessuno, eppure se c'e' una cosa che forse da tutto questo ha tratto beneficio e' il nostro rapporto con gli animali e la natura, in quello che forse era il primo momento della storia degli esseri umani in cui sembrava arrivato finalmente al nodo un conflitto che ci trasciniamo da millenni.

Insomma se in principio furono gli antichi Romani e le loro crudelta', morte e sangue di 'fere' come intrattenimento ad oggi con tutto l'amore che ci hanno dato nel chiuso delle nostre case e nella meraviglia di vederli riconquistare le strade delle citta' con la fierezza che li contraddistingue, forse potremmo cominciare a capire che bisogna lasciarli vivere in pace

Pensando agli animali, confesso, mi viene spesso in mente la storia della schiavitu', quando esseri umani ne sottomettevano altri appropriandosi della loro vita in nome di una presunta superiorita'. 

Questa e' la meravigliosa storia che racconta Maurizio Quilici, con la sua consueta capacita' di coniugare sapienza a divulgazione, in "Non togliete la gioia agli animali". 

La prima delle "colpe" che hanno condannato gli animali ad un vita di persecuzioni e sfruttamento, di morti violente ed esistenza di stenti, e' il fatto di essere privi della prima caratteristica umana, la parola. "

"Cio' che distingue l'uomo dagli animali - scrive Quilici - e' la parola non il linguaggio. E certamente l'assenza di un linguaggio fondato sulla parola non significa essenza di sentimenti ed emozioni". 

Che gli animali comunichino e non soltanto fra di loro si e' iniziato a capire solo verso la meta' del secolo scorso con certezza, e nel frattempo l'essersi distinti in modo eroico in guerra, nell'assistenza, l'essersi sacrificati con la vivisezione praticata senza pieta' da vivi per il bene della scienza, non li ha aiutati a salvarsi dalla crudelta' umana.

Leonardo, ci rammenta l'autore, che per altro era vegetariano, fu tra i pochi a comprendere la sensibilta' degli esseri viventi diversi dall'uomo e a dipingerli spesso nei suoi quadri

Del resto nemmeno San Francesco era esente dal condannare a volte quegli animali che pure rispettava come esseri viventi dopo secoli in cui la morale cattolica li aveva accomunati spesso ad esseri diabolici che per questo avevano meritato processo e condanna consumata nei modi piu' atroci come il rogo. 

Questa e' la storia insomma di un'umanita' insensibile, egoista ed incivile, che ha messo se stessa al primo posto su un pianeta popolato da un numero infinito di specie viventi piegate ai suoi momentanei bisogni, che fossero nutritivi, evolutivi o semplicemente ludici. 

Questo potrebbe essere il momento di una svolta che prima di tutto deve essere filosofica e culturale perche' da Aristotele a Cartesio a Rousseau ed oltre poche sono state le eccezioni che hanno visto gli animali conquistare il posto che gli compete nella storia del pensiero umano.

E il libro appunto non potrebbe non concludersi con l'oggi, con quella pandemia di Covid-19 che proprio dagli animali selvatici catturati nel loro habitat naturale violato e venduti vivi nei mercati sembra aver avuto origine. 

Non bastano le statue nelle piazze per celebrare l'eroismo che gli animali dimostrano da millenni serve, spiega Quilici, quel rispetto "senza estremismi" che ci aiutera' a consegnare un pianeta ancora vivo ai nostri nipoti, anche se fosse meno "umano" nel senso che fino ad oggi abbiamo dato a questa parola.




08/01/21

Il DNA degli antichi romani ricostruito: si è modificato nel tempo seguendo le fasi storiche di ROMA


Il DNA dei romani si è modificato nel tempo seguendo l’evoluzione delle fasi storiche che hanno segnato la vita e la crescita della città
che al suo culmine ha raggiunto per prima al mondo la popolazione di un milione di abitanti come capitale di un Impero che univa tra loro tre continenti

Lo rivela uno studio genetico, unico nel suo genere pubblicato sulla prestigiosa rivista Science.

Allo studio hanno partecipato un gruppo misto di ricercatori di diverse università tra le quali Harvard, La Sapienza e l’Università di Vienna. 

La ricerca ha analizzato campioni di DNA umano provenienti da 29 siti archeologici presenti nell’area intorno a Roma (Lazio e, in un caso anche Abruzzo) e che coprono un arco temporale che va dal Paleolitico all’Era Moderna (in tutto un arco temporale di circa 12 mila anni) appartenenti a 129 individui. 

“Si è trattato - ha detto all’agenzia Agi Alfredo Coppa, docente di Antropologia fisica alla Sapienza che ha partecipato allo studio - di un lavoro unico nel suo genere perché ha focalizzato l’evoluzione nel tempo del DNA di una città che ha avuto un ruolo molto importante nella storia globale”.

I risultati raccolti hanno così permesso di intrecciare il variare del mix genetico presente negli individui che hanno vissuto a Roma e nei suoi immediati dintorni con l’evoluzione dell’organizzazione urbana del territorio e, dopo la fondazione di Roma, anche con il variare della sua funzione, prima a carattere squisitamente regionale, poi italica, imperiale e globale e fino alla crisi dell’Impero e al successivo medioevo. 

 Ad ogni mutazione di questi assetti, corrispondono mutazioni nel mix di discendenti che caratterizzano il profilo genetico degli antichi romani. Così accade che il profilo genetico dei più antichi abitanti del territorio che diventerà poi Roma, intorno a 6 mila anni prima di Cristo, evidenzia la presenza di antenati di origine anatolica, e sorprendentemente anche iraniani

Successivamente, tra 5 mila e 3 mila anni fa, i DNA analizzati restituiscono l’arrivo di popolazioni dalla steppa ucraina. Con la nascita di Roma e il costituirsi dell’Impero Romano, la variabilità genetica cambia e incrementa ulteriormente. Per questo momento, il DNA “legge” arrivi dai diversi territori dell’impero, con una predominanza dalle aree mediterranee orientali e soprattutto dal Vicino Oriente. Gli eventi storici segnati dalla scissione dell’Impero prima e dalla nascita del Sacro Romano Impero comportano un afflusso di ascendenza dall'Europa centrale e settentrionale

“Non ci aspettavamo di trovare una così ampia diversità genetica già al tempo delle origini di Roma, con individui aventi antenati provenienti dal Nord Africa, dal Vicino Oriente e dalle regioni del Mediterraneo europeo", sottolinea Ron Pinhasi, che insegna Antropologia evolutiva all'Università di Vienna nonché uno dei senior authors dello studio, insieme a Jonathan Pritchard, docente di Genetica e Biologia all’Università di Stanford e ad Alfredo Coppa, docente di Antropologia fisica alla Sapienza. 

Per gli autori la parte più interessante doveva ancora venire. Sebbene Roma fosse iniziata come una semplice città-stato, in una manciata di secoli conquistò il controllo di un impero che si estendeva fino al nord con la Gran Bretagna, a sud nel Nord Africa e ad est in Siria, Giordania e Iraq. L'espansione dell'impero facilitò il movimento e l'interazione delle persone attraverso reti commerciali, nuove infrastrutture stradali, campagne militari e schiavitù. Le fonti e le testimonianze archeologiche indicano la presenza di stretti collegamenti tra Roma e tutte le altre parti dell'impero. Roma, infatti, basava la sua prosperità su beni commerciali provenienti da ogni angolo del mondo allora conosciuto. I ricercatori hanno scoperto che la genetica non solo conferma il quadro storico-archeologico, ma lo rende più complesso e articolato.

Nel periodo imperiale, si assiste ad un enorme cambiamento nell’ascendenza dei Romani: prevale l’incidenza di antenati che provenivano dal Vicino Oriente, probabilmente a causa della presenza in quei luoghi di popolazioni più numerose, rispetto a quelle dei confini occidentali dell'Impero romano. 

 "L'analisi del DNA ha rivelato che, mentre l'Impero Romano si espandeva nel Mar Mediterraneo, immigranti dal Vicino Oriente, Europa e Nord Africa si sono stabiliti a Roma, cambiando sensibilmente il volto di una delle prime grandi città del mondo antico”, riporta Pritchard, membro di Stanford Bio-X. I secoli successivi sono caratterizzati da eventi tumultuosi come il trasferimento della capitale a Costantinopoli, la scissione dell'Impero, le malattie che decimarono la popolazione di Roma e infine la serie di invasioni, tra cui il saccheggio di Roma da parte dei Visigoti nel 410 d.C. Tutti questi eventi hanno lasciato il segno sull’ascendenza della città, che si è spostata dal Mediterraneo orientale verso l'Europa occidentale. Allo stesso modo, l'ascesa del Sacro Romano Impero comporta un afflusso di ascendenza dall'Europa centrale e settentrionale

"Per la prima volta uno studio di così grande portata è applicato alla capitale di uno dei i più grandi imperi dell'antichità, Roma, svelando aspetti sconosciuti di una grande civiltà classica", dichiara Alfredo Coppa. "Assistiamo al coronamento di 30 anni di ricerche del Museo delle Civiltà sull'antropologia dei Romani e un nuovo tassello si è aggiunto alla comprensione di quella società così complessa ma per molti versi ancora così misteriosa" aggiungono Alessandra Sperduti e Luca Bondioli del Museo delle Civiltà di Roma. 

Lo studio su Roma è stato affrontato con le più moderne tecnologie per il DNA antico che questo gruppo di ricerca utilizza da oltre un decennio, allo scopo di chiarire dettagli non leggibili nel record storico, ha affermato Pritchard. "I documenti storici e archeologici ci raccontano molto sulla storia politica e sui contatti di vario genere con luoghi diversi – ad esempio commercio e schiavitù – ma quei documenti forniscono informazioni limitate sulla composizione genetica della popolazione". “I dati sul DNA antico costituiscono una nuova fonte di informazioni che rispecchia molto bene la storia sociale di individui di Roma nel tempo", afferma Ron Pinhasi. "Nel nostro studio ci siamo avvalsi della collaborazione e del supporto di un gran numero di archeologi e antropologi che, aprendo per noi i loro archivi, ci hanno permesso di inquadrare e interpretare meglio i risultati ", conclude Alfredo Coppa. 

23/11/20

Pompei: Cosa sappiamo dei due corpi ritrovati miracolosamente intatti



I corpi di due fuggiaschi, travolti dalla furia dell'eruzione del 79 d.C. Quello di un uomo abbiente, il padrone, e, molto probabilmente, quello del suo schiavo. 

Quelli che sono riemersi dalle ceneri, a Pompei, restituiti grazie alla tecnica dei calchi in gesso, ideata nell'Ottocento da Giuseppe Fiorelli. 

La colata di gesso liquido nelle cavita' lasciate dai corpi degli abitanti dell'antica citta' romana fa emergere dettagli impressionanti. 

La prima vittima e', quasi certamente, un ragazzo tra i 18 e i 23 anni, alto 1,56 metri. Ha il capo reclinato, con i denti e le ossa del cranio ancora parzialmente visibili; indossa una tunica corta, di lunghezza non superiore al ginocchio, di cui e' ben visibile l'impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche e spesse pieghe. 

Le tracce di tessuto suggeriscono che si tratti di una stoffa pesante, probabilmente fibre di lana. Il braccio sinistro e' leggermente piegato con la mano, ben delineata, appoggiata sull'addome, mentre il destro poggia sul petto. Le gambe sono nude. 

La presenza di una serie di schiacciamenti vertebrali, inusuali per la giovane eta' del ragazzo, fa pensare che potesse svolgere lavori pesanti: ecco perche' si pensa che fosse uno schiavo. 

Durante la realizzazione di questo primo calco e' avvenuta la scoperta delle ossa di un piede, che ha rivelato la presenza di una seconda vittima

È in una posizione completamente diversa rispetto alla prima, ma attestata in altri calchi a Pompei. Il volto e' riverso a terra, a un livello piu' basso del corpo, e il gesso ha delineato con precisione il mento, le labbra e il naso, mentre si conservano parzialmente a vista le ossa del cranio.

Le braccia sono ripiegate con le mani sul petto, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate.

 L'abbigliamento e' piu' articolato rispetto all'altro uomo. Sotto il collo della vittima, vicino allo sterno dove la stoffa crea evidenti e pesanti pieghe, si conservano infatti impronte di tessuto ben visibili riconducibili a un mantello in lana che era fermato sulla spalla sinistra.

In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro vi e' anche l'impronta di un tessuto diverso, quello di una tunica, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica. 

La robustezza del corpo, soprattutto a livello del torace, suggerisce che anche in questo caso sia un uomo, piu' anziano pero' rispetto al primo, con un'eta' compresa tra i 30 e i 40 anni e alto circa 1,62 metri. 

La scoperta e' avvenuta durante l'attivita' di scavo in localita' Civita Giuliana, a 700 metri a nord ovest di Pompei, nell'area della grande villa suburbana dove gia' nel 2017 furono rinveneuti i resti di tre cavalli bardati. 

"Questa scoperta straordinaria dimostra che Pompei e' importante nel mondo non soltanto per il grandissimo numero di turisti - dichiara il ministro per i beni e le attivita' culturali e per il turismo Dario Franceschini - ma perche' e' un luogo incredibile di ricerca, di studio, di formazione. Sono ancora piu' di venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologici di oggi e del futuro". 

"Uno scavo molto importante quello di Civita Giuliana - gli fa eco il Direttore del Parco Archeologico di Pompei Massimo Osanna - perche' condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini e che restituisce scoperte toccanti. Queste due vittime cercavano forse rifugio nel criptoportico, dove invece vengono travolte dalla corrente piroclastica alle 9 di mattina. Una morte per shock termico, come dimostrano anche gli arti, i piedi, le mani contratti. Una morte che per noi oggi e' una fonte di conoscenza incredibile".

12/10/20

Eruzione di Pompei: Scoperti neuroni in un cervello vetrificato


Un nuovo studio pubblicato dal PLOS ONE, autorevole rivista scientifica americana, rivela l`eccezionale scoperta di neuroni umani da una vittima dell'eruzione che nel 79 d.C. seppelli' Ercolano, Pompei e l'intera area vesuviana fino a 20 km di distanza dal vulcano. 

La scoperta e' tutta italiana, frutto del prestigioso lavoro dell`antropologo forense Pier Paolo Petrone, responsabile del Laboratorio di Osteobiologia Umana e Antropologia Forense presso la sezione dipartimentale di Medicina Legale dell`Universita' di Napoli Federico II, in collaborazione con geologi, archeologi, biologi, medici legali, neurogenetisti e matematici di Atenei e centri di ricerca nazionali, che hanno raggiunto risultati eccezionali nonostante le limitazioni imposte dal Covid-19. 

"Il rinvenimento di tessuto cerebrale in resti umani antichi e' un evento insolito - spiega Petrone, coordinatore del team - ma cio' che e' estremamente raro e' la preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa, nel nostro caso a una risoluzione senza precedenti". 

L`eruzione, che causo' la devastazione dell`area vesuviana e la morte di migliaia di abitanti, seppellendo in poche ore la citta' di Ercolano ha permesso la conservazione di resti biologici, anche umani. 

"La straordinaria scoperta ha potuto contare sulle tecniche piu' avanzate e innovative di microscopia elettronica del Dipartimento di Scienze dell`Universita' di Roma Tre, un`eccellenza italiana - spiega Guido Giordano, ordinario di Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze dell`Ateneo romano - dove le strutture neuronali perfettamente preservate sono state rese possibili grazie alla conversione del tessuto umano in vetro, che da' chiare indicazioni del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono Ercolano nelle prime fasi dell`eruzione". 

"I risultati del nostro studio mostrano che il processo di vetrificazione indotto dall'eruzione, unico nel suo genere, ha 'congelato' le strutture cellulari del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte fino ad oggi", aggiunge Petrone. 

Le indagini sulle vittime dell`eruzione proseguono in sintonia tra i vari ambiti della ricerca. 

"La fusione delle conoscenze dell`antropologo forense e del medico-legale stanno dando informazioni uniche, altrimenti non ottenibili", afferma Massimo Niola, ordinario e direttore della U.O.C. di Medicina Legale presso la Federico II.  

Lo studio ha anche analizzato i dati di alcune proteine gia' identificate dai ricercatori in un lavoro pubblicato a gennaio scorso dal New England Journal of Medicine. 

"Un aspetto di rilievo potrebbe riguardare l'espressione di geni che codificano le proteine isolate dal tessuto cerebrale umano vetrificato" spiega Giuseppe Castaldo, Principal Investigator del CEINGE e ordinario di Scienze Tecniche di Medicina di Laboratorio della Federico II. 

"Tutte le trascrizioni geniche da noi identificate sono presenti nei vari distretti del cervello quali, ad esempio, la corteccia cerebrale, il cervelletto o l`ipotalamo", aggiunge Maria Pia Miano, neurogenetista presso l'Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli. Le indagini sui resti delle vittime dell`eruzione non si fermano qui. Il Parco Archeologico ha inserito tra i temi di ricerca prioritari le indagini bioantropologiche e vulcanologiche per l`eccezionale interesse che possono avere non solo nello stretto ambito scientifico ma anche nel campo degli studi storici e del rafforzamento della capacita' di gestire catastrofi come l`eruzione del Vesuvio del 79 d.C. 

"Gli straordinari risultati ottenuti - conclude Francesco Sirano, Direttore del Parco Archeologico di Ercolano - dimostrano l'importanza degli studi multidisciplinari condotti dai ricercatori della Federico II e l'unicita' di questo sito straordinario, ancora una volta alla ribalta internazionale con il suo patrimonio inestimabile di tesori e scoperte archeologiche". 

Le ricerche in corso vanno nella direzione di una ricostruzione a ritroso delle varie fasi dell`eruzione, valutando i tempi di esposizione alle alte temperature e del raffreddamento dei flussi, che hanno importanza non solo per l'archeologia e la bioantropologia, ma anche per il rischio vulcanico. 

Queste ed altre informazioni che verranno dagli studi in corso potranno offrire importanti parametri per la gestione delle emergenze nell'area vesuviana. 

03/02/18

Ma come (e cosa) mangiavano gli antichi romani ? Un libro lo svela.



Cosa e come mangiavano i nostri progenitori romani ?  Si è molto fantasticato in passato sui gusti e sulle abitudini alimentari nell'Antica Roma.  Un libro edito da Mursia, Nutrire l'Impero romano. La filiera alimentare nell'Antica Roma, gli approvvigionamenti, le ricette (a cura del Gruppo archeologico ambrosiano) lo chiarisce ora con la proposta di 50 piatti tipici di Roma Antica, scientificamente accertate con un minuzioso lavoro di ricerca nelle fonti di autori latini . 

Perlopiù le ricette antiche sono state anche comparate con ingredienti attuali, alla portata di tutti, per renderne possibile la realizzazione anche nelle cucine moderne.

Gli alimenti principali erano il farro, l'aglio, la cipolla, il miele.  E molto diverse erano le diete a seconda delle classi di appartenenza: legionari, senatori, schiavi o contadini. 

I legionari, la parte più impegnata della popolazione, continuamente in guerra, privilegiava cereali, accompagnati da una bevanda a base di acqua e aceto chiamata posca.

Si mangiava anche tanto pesce: uno dei piatti preferiti era la cosiddetta Iscia de Loggigene, un piatto a base di polpette di calamari. C'era poi la salsa di pesce, il Garum e la Ius in murena elixa (Murena bollita in salsa).  Prelibata e ricercata era anche la Locusta, ovvero l'Aragosta, che veniva cotta con tutto il guscio, cosparsa di pepe e coriandolo. 

Altre ricette enormemente popolari erano il Cuminatum (la salsa di cumino), il Libum (l'antesignana della nostra focaccia), l'Epityrum (pasta di olive), la Puls (la polenta con farina di farro),  il Porcellus ex malis (maiale con le mele), il Sayillum, (torta al formaggio) e i Dulcia domestica (datteri ripieni). 

Naturalmente su questi piatti scorrevano fiumi di vino, la bevanda preferita dei Romani: secondo fonti antiche, risalenti a Plinio il Vecchio,  a quell'epoca esistevano già 185 varietà di vitigni diversi, tra i quali il Volturno, l'Albano, il Sabino, il Vino di Verona, quello di Aquileia (rinomato già all'epoca e quello preferito dallo stesso Plinio), il Falerno, il Cecubo nel Lazio.

Fabrizio Falconi 
2018 - riproduzione riservata. 


07/02/17

E' morto Tzvetan Todorov.



Il filosofo e antropologo bulgaro naturalizzato francese Tzvetan Todorov, allievo di Roland Barthes, e' morto nella notte a Parigi.

Aveva 78 anni.

Era nato in Bulgaria nel marzo 1939.

Lo ha annunciato il suo agente francese a tutti gli editori internazionali.

In Italia l'ultimo suo libro 'Resistenti' era uscito per Garzanti nel 2016.

E dal 9 febbraio, annuncia la casa editrice, era previsto il ritorno in libreria, in edizione economica, di uno dei suoi saggi piu' noti, 'Il caso Rembrandt'.

Fonte: ANSA

06/11/15

"Il desiderio è una malattia, tutti vogliono sempre quello che gli altri vogliono." E' morto il grande René Girard.


E' passata quasi completamente inosservata in Italia, la scomparsa di uno dei grandi protagonisti del novecento filosofico: René Girard. 

Il grande antropologo è morto mercoledì 4 novembre, a Stanford, negli Stati Uniti, dove abitava e insegnava, a  91 anni. 

Fondatore della "teoria mimetica" quella scena intellettuale anticonformista aveva costruito un lavoro originale, che unisce la riflessione accademica e la predicazione cristiana.

I suoi libri hanno formato e  formano i passi di una vasta indagine sul desiderio umano e la violenza sacrificale in cui qualsiasi società, secondo Girard, trova la sua origine vergognosa.

Nato il giorno di Natale, il 25 Dicembre, 1923 ad Avignone, René Théophile è cresciuto in una famiglia di piccola borghesia intellettuale. Suo padre, socialista radicale e anticlericale, è curatore della biblioteca e il museo di Avignone e il Palazzo Papale. 

Sua madre è una cattolica, appassionata di musica e letteratura. In serata, lei legge i romanzi italiani o Mauriac ai suoi cinque figli. La famiglia non naviga nell'oro, lei è preoccupata per la crisi.

Piuttosto felice, l'infanzia di René Girard è quanto meno caratterizzata dall'ansia. Alla domanda su quale sia il suo primo ricordo della politica, ha risposto senza esitazione:
"Sono cresciuto in una famiglia borghese decrepito, che era stato impoverita dai famosi prestiti russi dopo la prima Mondiale Guerra. Abbiamo avuto una profonda consapevolezza della minaccia nazista e la guerra stava per arrivare. Anche nel parco giochi avevo paura della grande brutalità imperante. E ho invidiato gli studenti del college gesuiti che sono andati a sciare sul Monte Ventoux ... "

Dopo gli studi irrequieti (anche lui espulso dalla scuola per un cattivo comportamento), il giovane Girard finalmente nel 1940, si recò a Lione ma le condizioni materiali sono troppo dure, e lui decide di andare ad Avignone. Suo padre gli suggerì di entrare nella scuola di Charters.

A Parigi in tempi difficili, accetta l'offerta di diventare assistente di francese negli Stati Uniti. Questo è l'inizio di un'avventura americana che si concluderà solo con la sua morte, tutta la traiettoria accademica di Girard si svolge principalmente negli Stati Uniti. Poi arriva il primo salto: responsabile per l'insegnamento della letteratura francese ai suoi studenti, commenta davanti a loro i libri che hanno segnato la sua giovinezza, Cervantes, Dostoevskij e Proust. Quindi, confrontando i testi, inizia a studiare le risonanze in Stendhal e Flaubert o Proust. 

Emerge così quale sarà il grande progetto della sua vita: tracciare il destino del desiderio umano attraverso le grandi opere della letteratura.

Nel 1957, Girard si trasferì  alla Johns Hopkins University di Baltimora. Qui si svolgerà il secondo turno decisivo della sua storia, quello della antropologia religiosa 

"Tutto quello che dico è stato dato a me in una sola volta. E 'stato nel 1959, stavo lavorando sulla relazione dell'esperienza religiosa e scrittura di romanzi. Ho pensato: è lì che la tua strada, è diventato una sorta di difensore della cristianità ", confidò Girard nel 1999.

A quel tempo risale il libro che rimarrà uno dei suoi più noti saggi: Truth Lies romantiche e romantici (1961).

Ci sono esposte per la prima volta come parte della sua teoria mimetica: per comprendere il funzionamento della nostra società, è necessario partire dal desiderio umano e dalla sua profondità patologica: il desiderio è una malattia, tutti vogliono sempre quello che gli altri vogliono, che è la molla principale di qualsiasi conflitto. 

In questa competizione è  nato il ciclo di rabbia e di vendetta. Questo ciclo non si risolve con il sacrificio di un "capro espiatorio", come testimoniato gli episodi più diversi della storia, come lo stupro di Lucrezia o l'affare Dreyfus.

E' qui una distinzione fondamentale per Girard occhi: "La differenza insormontabile tra le religioni arcaiche e giudaico-cristiane. "Per pienamente cogliere le differenze tra loro, dobbiamo cominciare identificando il loro tratto comune: a prima vista, in un caso come nell'altro, si tratta di una narrazione di crisi che risolve una linciaggio trasfigurato in epifania. Ma se le religioni arcaiche si risolvono in una forma di moderna caccia alle streghe -  sopraffare il capro espiatorio - è il cristianesimo a proclamare ad alta voce l'innocenza della vittima. 

Contro coloro che riducono la Passione di Cristo a un mito tra gli altri, Girard ribadisce la singolarità irriducibile e scandalosa verità della rivelazione cristiana. Non solo rompe la logica infernale della violenza mimetica ma scopre definitivamente il substrato sanguinoso di qualsiasi cultura umana: il linciaggio che lenisce la folla e ripara la comunità. 

Così Girard, a lungo scettico, così a poco a poco ha indossato i panni del predicatore cristiano, con l'entusiasmo e la combattività di un esegeta convertito dai testi. Di libro in libro, La violenza e il sacro (1972) fino a Vedo Satana cadere come la folgore (1999), esalta la forza sovversiva dei Vangeli. Un impegno religioso criticato Questo impegno religioso è stato spesso indicato dalla critica, per la quale la sua prosa è più una apologetica cristiana che la scienza umana. Per loro, l'antropologo ha risposto che i Vangeli sono vera scienza dell'uomo ... "

Per lui, la teoria mimetica ha permesso di illuminare non solo la costruzione di desiderio e genealogia miti umani, ma questa violenza, l'infinita spirale di risentimento e rabbia, lo ha portato ad asserire che l'Apocalisse sta arrivando. "Oggi non c'è bisogno di essere religiosi per sentirsi che il mondo si trova in uno stato di totale incertezza ".


Tratto da La morte di René Girard, antropologo e teorico della "violenza mimetica" Le Monde, 2015/05/11, di Jean Birnbaum 

11/10/11

Elogio di Mina - Un segno dei tempi passati e di quelli presenti.



Questo è un elogio di Mina.

Mina, nome d'arte di Mina Anna Mazzini, nata a Busto Arsizio il 25 marzo 1940, la più grande cantante italiana. 

C'è un motivo che ci spinge ad elogiarla.  La sua presenza - nonostante l'assenza pubblica che data 1978, anno di abbandono della scena - più viva che mai (blog e social network crepitano di sue esibizioni in b/n, inserite da fans e adoratori di tutto il mondo) spinge a farsi qualche domanda e a darsi qualche risposta.

Mina è il contrario di quello che passa oggi il convento.

Televisivamente, ma non solo. Direi proprio, antropologicamente. 


Chi è Mina ? Cosa sappiamo di lei quando vediamo i suoi video, le sue apparizioni nell'arco di quel ventennio - 1958-1978 - magico per il nostro paese (un periodo nel quale l'Italia produsse frutti culturali abbondantissimi, nel cinema, nella musica, nella letteratura, uniti ad una rinascita complessiva del paese che andò sotto il nome di boom) ?

Mina era innanzitutto una artista di capacità quasi sovrumana. Se si guardano questi video, e ad ogni passaggio in televisione, Mina appare di una bravura travolgente. Il suono della sua voce è pura melodia ma è anche tante altre cose insieme: virtuosismo, mai stucchevole e mai fine a se stesso, aggressività, grinta, interpretazione, magia, sospensione, incantamento.  Il suo talento indiscusso è purissimo: la voce sgorga con naturalezza incredibile, eppure appare chiaro che il semplice talento innato è stato affinato duramente, con l'esercizio, lo studio, una dedizione assoluta (che del resto risulta evidente dalla sua biografia).

Ma Mina non è solo questo.

Mina è una donna bella, anche se non bellissima. Mina è una donna di classe che entra nelle case di tutti, con discrezione e magnetismo.  Con intelligenza.  Non è mai trasgressiva - non ne ha bisogno - e non è mai fuori tono, fuori registro.  Si impone semplicemente con l'evidenza della sua bravura e con l'intelligenza delle misurate parole e degli sguardi, oltre che dell'ironia con la quale interpreta volentieri il ruolo della femme fatale che affascina ogni italiano.

La sua bravura inarrivabile per chiunque, è esibita con un pizzico di civetteria, ma senza nessuna prosopopea, e nessuna aria di superiorità.  Mina è anzi un cavallo di razza che accetta il confronto con il diverso e anche con l'opposto.

Mina è gioiosa, è felice di cantare, è felice di dare felicità.  Le sue canzoni, le canzoni che non sono sue ma che diventano sue, perché la sua personalità è così straripante, si trasformano istantaneamente per molti anni nel conforto, nel mantra, nell'accompagnamento sonoro della vita (la vita vera) di migliaia di persone.

Attenzione, ora: tutte le doti che abbiamo enumerato in questo elogio sembrano oggi dimenticate o cancellate o scomparse, se soltanto si realizza un confronto con ciò che pubblicamente passa il convento anche in termini nazional-popolari come è ed è sempre stata la canzone leggera.

Talento, bravura, esercizio, studio, dedizione assoluta, bellezza, classe, discrezione, magnetismo, intelligenza, ironia, misura, personalità.    Che fine hanno fatto, in questo Paese ?

Cosa è successo a questo Paese perché si sia passati in poco, poco tempo, da questo modello, il modello di Mina al niente divenuto paradigma dei 15 minuti di celebrità assegnato per statuto agli imbelli che si agitano inutilmente su quella che assomiglia sempre di più alla tolda di un Titanic ?

Fabrizio Falconi

20/05/11

Cimiteri deserti luoghi, strade piene di fiori. Un segno dei tempi.


Girando, noto da tempo questo strano fenomeno: i nostri cimiteri ormai sono luoghi abbandonati. Eppure le strade pullulano di altari laici, memorie, scritte, fiori sempre freschi per ricordare qualcuno che si è spento.

Credo sia una cosa su cui poco si è riflettuto, che indica un cambiamento profondo della nostra mentalità. I cimiteri sono i luoghi dove i corpi dei morti riposano. Per noi, sembrano essere diventati luoghi poco interessanti. Una volta - fino a pochi decenni fa - i cimiteri erano sempre luoghi molto frequentati, molto curati dai congiunti, dai sopravvissuti di chi se n'era andato.

Non lo si faceva soltanto per compassione o per carità cristiana: lo si faceva perché si credeva che il luogo della sepoltura fosse molto importante. Lo si è creduto per millenni, dato che la stessa nascita della civiltà è correlata al culto dei morti e alla loro sepoltura - sepoltura sulla quale si edificavano case, templi, memorie, archi, università.

Oggi questi luoghi sono deserti: io che li frequento con una certa regolarità constato che sono del tutto abbandonati. Durante la settimana gli avventori sono pochissimi, pochissime le tombe che hanno fiori freschi, quasi nessuna. Molte ragnatele, molti tristissimi fiori finti, sbiaditi dal sole e dalla pioggia.

In compenso 'fioriscono' le nostre strade. E questo è molto interessante: il luogo dove una persona è morta, è diventato MOLTO più importante per noi, del luogo dove è sepolta.

E questo implica un rovesciamento completo della nostra forma mentis: siccome ci è molto difficile pensare, credere alla sopravvivenza dei morti in qualche forma che coinvolga il loro corpo morto, preferiamo negare questo luogo, cancellarlo dal nostro orizzonte immaginario e concentrarci sul luogo dove la VITA ha tessuto il suo ultimo istante.

E' insomma una delle forme con cui abbiamo fatto fuori la morte dal nostro orizzonte psicologico, scegliendo di celebrare la vita, seppure nel suo misterioso e drammatico istante ultimo.

E' una mutazione antropologica e culturale notevole. Di cui forse non siamo nemmeno coscienti.


Fabrizio Falconi.