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18/09/18

"Preferisco di no" - I ribelli nei libri, protagonisti a "Torino Spiritualità" dal 26 settembre.




Certe figure inventate dagli scrittori possiedono la facoltà di insinuarsi nelle nostre esistenze e non abbandonarci più. Le vite dei lettori, infatti, sono circondate da un battaglione di uomini e donne tutti un po’ curvi sotto il peso di un giogo e ognuno, in un modo o nell’altro, accomunato dall’irriducibile rifiuto dell’oppressione esercitata nei loro riguardi.

Questi personaggi letterari, i ribelli che abitano i libri, e le loro prodigiose affermazioni di dignità umana, sono al centro di numerosi incontri che arricchiscono il calendario di Torino Spiritualità “Preferisco di no” – dal 26 al 30 settembre – festival sulle grandi domande dell’essere umano dedicato quest’anno ai “no” che pungono le coscienze, a quei rifiuti pronunciati senza ostilità ma scaturiti da uno scrupolo interiore che impone di proteggere l’umanità, in se stessi e negli altri.

Il primo ribelle a prendere parola è Henry Chinaski, alter ego ironico e malconcio di Charles Bukowski. Si tratta di un personaggio senza paura, sdegnoso delle regole che imprigionano la società e la classe media, cinico e indurito ma insieme vulnerabile e tremendamente sensibile. A Torino Spiritualità Chinaski vive attraverso la voce di Massimo Popolizio, interprete tra i più stimati e versatili della scena teatrale e cinematografica, accompagnato dalle atmosfere jazz del sassofonista argentino Javier GirottoGiovedì 27 settembre, ore 21 al Teatro Carignano, va in scena Post Office; la riduzione letteraria è di Giuseppe Culicchia, la produzione del Circolo dei lettori (ingresso € 15, ridotto Amici di Torino Spiritualità € 10).

Di figure letterarie controcorrente parla la filosofa Edith de la Héronnière, passandole in rassegna insieme alla giornalista Annalena Benini nell’incontro di sabato 29 settembre, ore 15 Antigone, Bartleby e gli altri: i ribelli della letteratura al Teatro Gobetti, a partire dal libro della scrittrice, Ma il mare dice no (Ippocampo edizioni). Perché «la storia non conosce – o preferisce trascurare e dimenticare – i paladini del diritto universalmente non riconosciuto di dire di no, secondo l’autrice. Chi lo esercita, e recede, si tira indietro, si nega, corre il rischio di essere frainteso. Rischia che il suo rifiuto appaia dettato dalla viltà, dall’inettitudine, dalla mancanza di coerenza o di responsabilità. Proprio il contrario di un gesto di coraggio». Ma non è così, e a Torino Spiritualità capiamo perché, approfondendo la conoscenza di disobbedienti del calibro Antigone, Bartleby e Oblomov. 

Un libro contemporaneo, che racconta di “no” detti a se stessi, di rifiuti intimi e negazioni, è Cattiva(Einaudi) di Rossella Milone, al centro dei dialogo tra l’autrice e la giornalista Annalena Benini,venerdì 28 settembre, ore 21 al Circolo dei lettori. Infatti, quello della maternità, è forse uno dei temi più dibattuti, indagati e analizzati. Lo avvolge un fitto reticolo di “vedrai”, “dovresti” e “potresti”, di cliché inarrestabili, brezze progressiste e giudizi espressi a mezza voce. Una riflessione al di là degli stereotipi su quel che spesso le donne non trovano il coraggio di confidare.

Le storie dei libri, spesso più reali e tangibili di quelle vere, si mescolano a quelle dei disobbedienti della storia – da Oscar Wilde ad Anna Politovskaja, da Franco Basaglia a Rosa Parks e Martin Luther King – nel reading dello scrittore Daniele Aristarco, classe 1977, già autore di testi teatrali, programmi radiofonici, trasmissioni televisive e ora di romanzi, racconti e saggi divulgativi di storia e cinema sia per gli adulti che per i giovani e i giovanissimi lettori. Io dico “no”! Storie di disobbedienza, va in scena venerdì 28 settembreore 22 a Off Topic (via Giorgio Pallavicino, 35), accompagnato dalle musiche e parole di Chiara Perciballi, voce e chitarra e Giulia Marinelli, synth e voce. Alternando brevi ritratti in forma di monologo di donne e uomini che hanno saputo disobbedire di fronte alle ingiustizie. Perché, se lo vogliamo davvero e ci diamo da fare, non c’è muro che non si possa abbattere, non c’è iniquità che non si possa rimuovere. (Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili, gli Amici di Torino Spiritualità possono prenotare un posto in sala. Non è richiesta tessera d’ingresso. Chi lo desidera può prenotare la “Cena resistente”, servita dalle ore 19.30, telefonando allo 011 0601768 o scrivendo a bistro@offtopictorino.it).

Ma non solo gli esseri umani! Anche gli animali sanno come dire di “no” e opporre resistenza: è il caso del Toro Ferdinando, colosso buono che faceva paura ai regimi. E infatti il libro che ne racconta la pacifica storia venne messo al bando da Franco, Mussolini e Hitler. Su questa vicenda si confrontano Anna Peiretti, scrittrice per l’infanzia e David Tolin, libraio, domenica 30 settembre, ore 15 al Circolo dei lettori, in un dialogo seguito da un esperimento di immersione sonora curato dal sound designer Niccolò Bosio e da Ombretta Bosio. E al torello che preferiva annusare le margherite invece di correre nell’arena, è dedicato anche il laboratorio per bambini con Anna Peiretti, scrittrice per l’infanzia, domenica 30 settembreore 17 al Circolo dei lettori.

Mentre alla “più strana faccia d’uom che mai si sia vista”, il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco dedica la lezione-spettacolo “Grazie, no!”. Il cuore di Cyranodomenica 30 ore 17 al Circolo dei lettori (ingresso € 6, gratuito Amici di Torino Spiritualità), perché se si parla di coraggio e temerarietà di fronte alle ingiustizie, il pensiero va subito al personaggio nato dalla penna di Edmond Rostand, l'estroso e umorale spadaccino guascone dotato di un enorme naso.

Con gli scrittori Premi Strega Edoardo Albinati e Paolo Giordano, invece, domenica 30 settembre, ore 17 al Museo Nazionale del Risorgimento, ci si arrampica sull’albero insieme a Cosimo Piovasco di Rondò, meglio conosciuto come il Barone Rampante. È proprio dal suo rifiuto che prende le mosse il dialogo No! E respinse un piatto di lumache, modera Armando Buonaiuto. Dopo aver mandato a monte il pranzo di famiglia, il dodicenne Cosimo non scenderà mai più dalle fronde che ha scelto come dimora: la sua vita si svolgerà lassù, condotta nell’ostinato compimento di un rifiuto. Muove da qui, da un’eversione forse futile o forse perfetta, una riflessione sulla determinazione di cui a volte ci scopriamo capaci e sulle insidie di un’inflessibilità perseguita a ogni costo.

E invece con Oblomov, il personaggio spensierato e indolente del capolavoro di Ivan Gončarov, è lecito abbandonarsi a una mite pigrizia, per osservare la vita che passa ascoltando la lettura di Paolo Nori al Circolo dei lettori: Oblomov. Una vita orizzontale è domenica 30 ore 21 (intero € 10, ridotto Amici di Torino Spiritualità € 7). E così, chi non ha mai provato, al mattino, un po’ di riluttanza a iniziare la giornata, a rifare il letto, a cambiare la lampadina fulminata in bagno, a iscriversi a un corso di inglese, potrà trovare una giustificazione, perché in fondo, tutti, siamo stati almeno una volta Oblomov. Disponibili in sala alcuni tappetini di gomma, per chi desiderasse seguire il reading in tipica posizione “oblomoviana”!

Il Programma completo della manifestazione al link: www.torinospiritualita.org

Info: l’ingresso agli incontri è gratuito, salvo dove diversamente indicato. Gli Amici di Torino Spiritualità possono prenotare un posto in sala. Biglietteria al Circolo dei lettori dal lunedì al sabato dalle ore 9.30 alle ore 21.30 e domenica 30 settembre dalle ore 9.30 alle ore 21. Biglietti online su Vivaticket.

23/11/13

"The way we were (Come eravamo)" compie 40 anni. Il film di tutti quelli che si lasciano. Un bellissimo pezzo di Annalena Benini.





Dal 1973, quando uscì Come eravamo, ogni storia d'amore in cui ci si lascia senza smettere di amarsi ha per protagonisti Katy Morosky e Hubbell Gardner, Barbra Streisand e Robert Redford. 

E dal 1973, dalla sera della prima, Barbra Streisand non ha più perdonato Sydney Pollack, che tagliò senza dirglielo (di corsa, in una notte, dopo una proiezione privata in cui nessuno pianse) cinque scene del film. 

Scene politiche, per lo più, ma anche la scena con dentro il vero motivo per cui Katy e Hubbell, la ragazza ebrea, comunista, super impegnata e il ragazzo biondo, sorridente, wasp (che si sono perfino sposati, aspettano un figlio e vivono a Hollywood), si lasciano. 

Con quei tagli Sydney Pollack trasformò Come eravamo in un grandioso successo, in un film eterno, indimenticabile e dimostrò una cosa importante: non lo vogliamo sapere, qual è il vero motivo per cui due che si sono amati così tanto, e detestati, sempre amandosi, si lasciano. 

Vogliamo deciderlo noi. Si lasciano perché sono troppo diversi, si lasciano perché lui l'ha tradita con un'altra, si lasciano perché lei insegue la purezza e l'impegno con troppa ostinazione, si lasciano perché lui non la sopporta più, si lasciano perché lui ha deciso di cedere, di fare compromessi con la vita e non vuole che lei lo guardi mentre svende il suo talento, svende se stesso, ritorna a essere lo smidollato che era prima di incontrare Katy. 

Potevamo scegliere, possiamo scegliere di nuovo e ogni volta, commuovendoci, sempre ripetendo quelle frasi imparate a memoria e adattandole alla nostra vita: "Tu non molli mai, eh", è una di queste, sono le parole che ritornano, Hubbel le ripete a Katy in più di vent'anni d'amore in infinito conflitto, sempre con quell'aria, ammirata e ironica insieme, di chi in fondo vorrebbe essere come lei, così appassionata, seria, convinta e arrabbiata, ma sa già, fin dai giorni lievi dell'Università , che Katy è un'altra cosa. Lui pensa che:«la vita è troppo seria per prenderla seriamente», lei è convinta di dovere e potere cambiare tutto, anche lui («Porta una bandiera o diventerai un vegetale»). 

A lui piace stare a Hollywood alle feste davanti al mare, ma sogna la passione pura di lei, i suoi occhi accessi sul mondo. Lei è sempre arrabbiata, piena di battaglie da combattere, ma sogna il sorriso di lui, gli scosta i capelli dalla fronte, gli stira la giacca bianca da ufficiale, si stira i capelli, per lui si veste da signora elegante, ma non riesce mai a tenere la bocca chiusa, a non litigare. Sono due modi diversi di essere americani, dalla fine degli anni Trenta a New York alla morte di Roosevelt, fino al maccartismo, alle liste nere dei sospettati di essere comunisti. Sono due modi diversi di essere giovani, anche, e poi di lasciarsi alle spalle la giovinezza e diventare per sempre adulti. 

Katy non molla mai, nemmeno con una figlia, nemmeno con la perdita dell'amore della vita. Come ha scritto Francesco Piccolo nel suo ultimo libro, Il desiderio di essere come tutti (Einaudi), Hubbel sa benissimo che, alla fine chi tra loro due è migliore, è lei. 

Forse lo sa dall'inizio. Mentre la guarda distribuire volantini a Manhattan e invitare a firmare contro la bomba atomica con lo stesso entusiasmo con cui vent'anni prima arringava gli studenti all'Università contro il fascismo. Hubbel la guarda, e capisce che lei non ha rinunciato all'intensità, del resto non avrebbe potuto, non l'ha fatto nemmeno per un grande amore. 

Scrive Piccolo che Katy "ha conservato, dentro, la testardaggine dell'impegno politico, la sua giovinezza". Mentre Hubbel è diventato un adulto disincantato, ben pagato, deciso a fare per sempre in modo che le cose che succedono nel mondo non succedano a lui personalmente (Robert Redford non voleva girare questo film, non voleva essere Hubbel: si sentiva troppo scemo, troppo pin up, Pollack lo convinse per sfinimento).

Se Sydney Pollack non avesse tagliato la scena cruciale adesso avremmo la certezza che ci si può lasciare per un motivo preciso, e quindi ci saremmo immedesimati di meno, di volta in volta in Katy, o in Hubbell, o desiderando essere Katy e sentendoci superficiali come Hubbell: si lasciano (ma davvero abbiamo bisogno di saperlo, adesso?) perchè Katy è entrata nella lista nera dei sovversivi. 

Un suo compagno di università, quello che era evidentemente innamorato di lei fin dalla prima scena, quello che lavorava con lei nella Lega dei giovani comunisti, è diventato un informatore del governo, e in questa caccia alle streghe Katy è considerata una pericolosa comunista, moglie di uno sceneggiatore che quindi potrebbe essere stato contagiato dall'ideologia. 

Sta per venire messo nella lista nera anche lui, e gli verrebbe impedito di lavorare. E'  lei a dirgli: «Ma esiste il divorzio», e lui scuote la testa, ma è già rassegnato. Quella scena spiegava molte cose, ma non commuoveva, non colpiva al cuore, Pollack la tolse.

E in fondo, forse, non spiegava niente di più: loro si lasciano davvero perché sono troppo diversi, hanno scopi diversi, perché lei resta pura e «spinge troppo», come la rimprovera lui, perchè stare con lei è facile solo in confronto alla Guerra dei Cent'anni, perché lui ha amici troppo stronzi. 

Lui avrebbe potuto dire: al diavolo questi cafoni di Hollywood, torniamo a New York, andiamo in Francia come piace a te, facciamo questo figlio e amiamoci e basta, scriverà un libro bellissimo. Non l'ha fatto. 

Per questo Come eravamo è il film sull'impossibilità di un amore puro, senza compromessi, pieno soltanto di certezze e di luci accese e di giovinezza. "Sei proprio tanto certa delle cose di cui sei certa?", le chiede Hubbel, che non è davvero una pin up, che sa vedere i due lati di un problema. Lei è sempre certa, lui mai.

Ma alla fine è lei ad accettare la realtà . Come eravamo è il film di tutti quelli che si lasciano, e che guardano indietro con struggimento, con nostalgia, al tempo perduto della purezza. 

«Vorrei che ci si potesse amare», dice Katy: è questo il punto, è questa la cosa più difficile di tutte, per cui nemmeno l'amore può bastare. E' per questo che non importa più il motivo preciso per cui ci si è lasciati, e forse non importa mai: la verità è che ci si è amati, e poi non ci si è più potuti amare.