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08/10/22

Branduardi canta Yeats: Storia di un album straordinario

 

La copertina di Branduardi canta Yeats

Erano sicuramente altri tempi. 

A metà degli anni '80 c'erano ancora in giro produttori discografici, in Italia, capaci di sfidare le regole del mercato e di proporre prodotti di alta o altissima qualità, capaci di coniugare la sperimentazione con la musica vera. 

A noi giornalisti musicali dell'epoca sembrò un vero azzardo, ai limiti dell'incoscenza, quando fummo convocati nella sede della Polydor a Roma, per la conferenza stampa di un nuovo disco di Angelo Branduardi, che costituiva una scommessa per il suo produttore David Zard, impresario e produttore di origini libiche, il quale negli anni '70 '80 e '90 dettò legge per l'organizzazione dei concerti in Italia. 

David, insieme al fratello Dory (che era il produttore artistico di questo disco), nel giugno 1967 era stato costretto a lasciare la Libia per motivi razziali, in quanto di famiglia ebraica. 

Trasferitosi a Roma con la famiglia, ai primi degli anni '70 aveva cominciato a lavorare nel mondo dello spettacolo, diventando promoter dei più grandi eventi che in quegli anni si svolsero in Italia, compresi i  concerti di Aretha Franklin e dei Led Zeppelin. 

Da sempre estimatore di Branduardi, Zard aveva stavolta deciso di produrgli (con la sua etichetta "Musiza" - ovvero "Musica - Zard") un album che non aveva nessuna velleità di vendite popolari, non contenendo nessun possibile hit, nessuna "Fiera dell'Est" o "Cogli la prima mela."

Branduardi, cresciuto nell'ambiente della musica colta, e grande conoscitore di poesia (anni prima aveva per esempio realizzato una versione fantastica di "Confessioni di un malandrino" di Sergej Esenin) e di letteratura, aveva con la moglie Luisa Zappa, trasformato in canzoni, adattandole in musica, alcune meravigliose poesie di William Butler Yeats. 

Per l'esattezza: I cigni di Coole (The Wild Swans at Coole); Il cappello a sonagli (The Cap and Bells); La canzone di Aengus il vagabondo (The Song of Wandering Aengus); Il mantello, la barca e le scarpe (The Cloak, the Boat and the Shoes) A una bambina che danza nel vento (To a Child Dancing in the Wind); Il violinista di Dooney (The Fiddler of Dooney); Quando tu sarai... (When you are Old); Un aviatore irlandese prevede la sua morte (An Irish Airman Forsees his Death); Nel giardino dei salici (Down to the Salley Gardens) Innisfree, l'isola sul lago (The Lake Isle of Innisfree).
 
Si tratta di 10 veri gioielli, per un progetto che fu all'epoca approvato personalmente da Michael e Ann Yeats, i figli del grande poeta. 

Il nono album di Branduardi uscì conquistandosi una ristretta cerchia di fedelissimi che ancora oggi tengono da parte e venerano questo piccolo capolavoro della musica italiana.  

Tutte le musiche sono firmate dallo stesso Branduardi con l'eccezione  di La canzone di Aengus il vagabondo, la cui musica è scritta da Donovan. 
Angelo Branduardi, come sua abitudine, suonò quasi tutti gli strumenti da solo (chitarra, violino, violino baritono, voce, cori, flauto) insieme al fidato Maurizio Fabrizio e a Josè De Ribamar "Papete" alle percussioni. 

Altri tempi, dunque, che hanno lasciato però tracce molto profonde.

Fabrizio Falconi - 2022 

02/10/11

La poesia della Domenica - Confessione di un teppista di Sergej A. Esenin .



 Confessione di un teppista

Non a tutti è dato cantare,
E non tutti possono cadere come una mela
Sui piedi degli altri.

Questa è la più grande confessione,
Che mai teppista possa rivelarvi.

Io porto a bella posta la testa spettinata,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace illuminare nelle tenebre
L’autunno spoglio delle vostre anime.
E mi piace quando una sassaiola di insulti
Mi vola contro, come grandine di rutilante bufera,
Solo allora stringo più forte tra le mani
La bolla tremula dei miei capelli.

È così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il suono rauco dell’ontano,
Che da qualche parte vivono per me padre e madre,
Che se ne fregano di tutti i miei versi,
E che a loro sono caro come il campo e la carne,
Come la pioggia fina che rende morbido il grano verde
                                                                           [a primavera.
Con le loro forche verrebbero a infilzarvi
Per ogni vostro grido scagliato contro di me.

Miei poveri, poveri contadini!
Voi, di sicuro, siete diventati brutti,
E temete ancora Dio e le viscere delle paludi.
O, almeno se poteste comprendere,
Che vostro figlio in Russia
È il più grande tra i poeti!
Non vi si raggelava il cuore per lui,
Quando le gambe nude
Immergeva nelle pozzanghere autunnali?
Ora egli porta il cilindro
E calza scarpe di vernice.

Ma vive in lui ancora la bramosia
Del monello di campagna.
Ad ogni mucca sull’insegna di macelleria
Da lontano fa un inchino.
E incontrando i cocchieri in piazza,
ricorda l’odore del letame dei campi nativi,
Ed è pronto a reggere la coda d’ogni cavallo,
come fosse uno strascico nuziale.

Amo la patria!
Amo molto la patria!
Anche con la sua tristezza di salice rugginoso.
Adoro i grugni infangati dei maiali
E nel silenzio della notte, la voce limpida dei rospi.
Sono teneramente malato di ricordi infantili,
Sogno delle sere d’aprile la nebbia e l’umido.
Come per scaldarsi alle fiamme del tramonto
S’è accoccolato il nostro acero.
Ah, salendo sui suoi rami quante uova,
Dai nidi ho rubato alle cornacchie!
È lo stesso d’un tempo, con la verde cima?
È sempre forte la sua corteccia come prima?

E tu, mio amato,
Mio fedele cane pezzato?!
La vecchiaia ti ha reso rauco e cieco
Vai per il cortile trascinando la coda penzolante,
E non senti più a fiuto dove sono portone e stalla.
O come mi è cara quella birichinata,
Quando si rubava una crosta di pane alla mamma,
e a turno la mordevamo senza disgusto alcuno.


Io sono sempre lo stesso.
Con lo stesso cuore.
Simili a fiordalisi nella segale fioriscono gli occhi nel viso.
Srotolando stuoie d’oro di versi,
Vorrei dirvi qualcosa di tenero.

Buona notte!
A voi tutti buona notte!
Più non tintinna nell’erba la falce dell’aurora…
Oggi avrei una gran voglia di pisciare
Dalla mia finestra sulla luna.

Una luce blu, una luce così blu!
In così tanto blu anche morire non dispiace.
Non m’importa, se ho l’aria d’un cinico
Che si è appeso una lanterna al sedere!
Mio buon vecchio e sfinito Pegaso,
M’occorre davvero il tuo trotto morbido?
Io sono venuto come un maestro severo,
A cantare e celebrare i topi.
Come un agosto, la mia testa,
Versa vino di capelli in tempesta.

Voglio essere una vela gialla
Verso il paese per cui navighiamo.

Sergei A. Esenin, 1920

A mio parere la versione di Angelo Branduardi di questa celebre poesia di Esenin, è un capolavoro. La ripropongo qui sotto in un'altra versione dal vivo, del 1972, accompagnata dalle immagini tratte dal colossal "Esenin" girato nel 2005 per la TV russa.