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12/07/15

Supplica collettiva al Maresciallo Pétain (1941) - La storia non insegna niente.




Supplica collettiva (195 firme ) inviata nel 1941 dagli abitanti di un paese francese al maresciallo Pétain, riportata da Léon Poliakov in Il nazismo e lo sterminio degli ebrei del 1955.


Noi sottoscritti, abitanti del capoluogo di cantone di Tournon-d'Agenais (Lot-et-Garonne) abbiamo l'onore di portare a vostra conoscenza i fatti seguenti.

La popolazione totale del nostro agglomerato è di 275 persone e ci viene annunciato il prossimo arrivo di 150 ebrei indesiderabili che dovranno abitare tra noi in residenza assegnata. Tutto ci porta a credere che tale informazione è esatta, poiché sono stati già trasportati letti e paglia nei nostri pubblici edifici. 

Noi tutti, signor Maresciallo, siamo fortemente emozionati da questa prospettiva. L'invasione di 150 Ebrei indesiderabili presso 275 Francesi dal carattere tranquillo per eccellenza equivale a una vera e propria colonizzazione e noi temiamo che questi stranieri, grazie al loro numero, vengano a soppiantarci oltraggiosamente. 

Secondo quanto ci è stato detto, sono degli indesiderabili quelli che noi dovremmo accogliere. Tali essi sono allo stesso titolo per tutti i Francesi e non potrebbero esserlo meno per noi e per le ragioni che vogliono sbarazzarsene. Centocinquanta indesiderabili possono, a rigore, passare quasi inavvertiti in mezzo a parecchie migliaia di abitanti.  La loro presenza diventa intollerabile e degenera in vessazione, per una popolazione che è meno del doppio di loro e che per tale motivo si trova costretta a una promiscuità, per non dire a una coabitazione rivoltante...

Le questioni di igiene e di alimentazione occupano certamente un grandissimo posto tra le preoccupazioni della vostra amministrazione; nel nostro caso, esse vanno unite strettamente e intimamente con la questione morale, etnica e prettamente francese.

Noi siamo sicuri, signor Maresciallo, che vi sarà sufficiente conoscere la penosa e ingiusta prospettiva che ci minaccia, per risparmiarcene la dolorosa realizzazione...  Se, nella vostra saggezza, voi riterrete che il bene superiore dello Stato esige da noi il sacrificio di sopportarli, non ci rassegneremo, non senza una incommensurabile amarezza; ma vi chiediamo se non vi sarebbe possibile attenuarci questo penoso contatto, alloggiandoli in un campo separato, presso una sorgente o presso un ruscello, dove tutte le questioni di sorveglianza, igiene e vettovagliamento potrebbero essere risolte vantaggiosamente per gli ospiti che la sventura ci ha imposto, sia per noi stessi.


10/11/09

I muri di Ogni Giorno.


Davvero, osservando ieri le immagini in diretta da Berlino, con la rievocazione in grande del crollo del muro, trent'anni fa, pensavo che la Storia sembra non insegnarci niente. L'uomo, inteso come animale sociale, sembra spinto spesso da una specie di insopprimibile coazione a ripetere.

Gli errori del passato sembrano cancellati. E mentre si festeggia in tutto il mondo la caduta del Muro più odioso, pure, in diverse parti del mondo, muri altrettanto odiosi vengono innalzati quasi ogni giorno. Spesso non sono poi muri fatti di mattoni, ma di pregiudizio, di paure, di esclusione, di diffidenza, di razzismo. Lo sperimentiamo anche nel nostro paese, nei confronti di chi viene da posti dis-eredati in cerca di condizioni di vita più dignitose.

Immemori di quel che noi eravamo, fino a pochissimo tempo fa, ci prodighiamo nella costruzione di muri, pensando di conservare gelosamente quel po' di 'tesoro' che supponiamo ci resti. Eppure, basterebbe visitare le sale del meritevole Museo dell'Emigrazione Italiana (MEI), del quale ho già scritto qualche post fa, appena inaugurato a Roma, al Vittoriano- Altare della Patria, per prendere coscienza e conoscenza di una intera epopea che ha visto protagonisti 25 milioni (!) di nostri connazionali, sulle rotte oceaniche alla ricerca di una nuova e più umana vita. Tra i reperti esposti c'è anche questo, che farà bene rileggere a tutti, credo.


Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali."


"Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".

(Dalla relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano
sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912)
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31/03/09

Jabès - L'Ospitalità che crea il nostro essere Persone.


Quando morì Edmund Jabès, il 2 gennaio del 1991, si disse subito: uno dei massimi poeti contemporanei. Ma non solo, perché Jabès, l’esule egiziano trapiantato a Parigi, lasciando un corpus di riflessioni e testi filosofici, ha anche esplorato – sempre in modo poetico – alcuni temi capitali della contemporaneità. Uno di questi è il tema dell’accoglienza, dell’essere straniero, dell’ospitalità che sembra, mai come in questi tempi, cruciale per le sorti del mondo.

Cruciale anche per noi cristiani, che dovremmo fare dell'ospitalità all'altro, al clandestino, al rifugiato, all'esiliato, al derelitto, al sofferente, al fuggitivo, al povero, all'emarginato, la nostra bandiera di vita. Purtroppo invece nella nostra bella Italia cristiana succede esattamente il contrario, come illustrato, assai amaramente dal pezzo pubblicato oggi in prima pagina sul Corriere della Sera da Gian Antonio Stella e che potete leggere cliccando qui.

All’ospitalità Jabès dedicò un libro ( in Italia: Il libro dell’Ospitalità – Edmund Jabès, Raffaello Cortina Editore, 1991 ).

E l’ospitalità di cui parla Jabès, la ricchezza maggiore per un individuo, per una persona: è quella che permette a due estranei di incontrarsi e di (ri)conoscersi. Con l’incontro, lo svelamento reciproco:

Posso rivelare il mio nome soltanto a colui che non mi conosce.
Colui che conosce il mio nome, lo rivela a me.

E’ dunque solo l’altro, colui attraverso il quale io posso imparare il mio nome. E’ grazie alla sua accoglienza/ospitalità che io posso identificarmi. Ed è l’attesa di/per qualcuno che genera la sua presenza, le concede significato:

Tu esisti perché io ti attendo.

Anche attendere non è quindi un’operazione passiva, ma creativa. La parola ospite, infatti ha in lingua italiana, una doppia valenza, attiva e passiva: colui che ospita, e colui che è ospitato

L’ospitalità, dice Jabès, è crocevia di cammini. Ma noi sappiamo aspettare l'atteso ? Sappiamo riconoscerlo ? Sappiamo ospitarlo ?
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19/01/09

I Migranti che non vogliamo.


Mi capita spesso, quando affronto il tema della immigrazione nel nostro paese, anche con persone molto amiche, di avvertire una sorta di fastidio. E' un argomento che o non si vorrebbe affrontare, oppure di solito suscita delle reazioni molto risolute, di insofferenza, fastidio, condanna, nei confronti di coloro che sono venuti e vengono ad 'invadere' il nostro paese, a stravolgerlo - secondo loro - nelle sue usanze, abitudini, soprattutto nelle sue regole di mercato del lavoro. Vorrei allora sottoporre a tutti i lettori queste parole di Agostino Marchetto, appena rilasciate alle agenzie di stampa attraverso Radio Vaticana.
"C'e' un abbassamento nell'accoglienza, nella legislazione europea in materia; rinasce una xenofobia che e' il contrario del Vangelo". Per questo la Santa Sede auspica che gli Stati dell'Unione Europea vogliano "mantenere gli impegni internazionali assunti e onorarli senza abbassare i livelli di attuazione, riconoscendo cioe' una legislazione internazionale rodata, gia' pluridecennale, che va rispettata anche dalla legislazione nazionale".

Lo afferma l'arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del dicastero per la pastorale dei migranti, ai microfoni della Radio Vaticana. "Assistiamo - lamenta Marchetto - a un abbassamento generale dei livelli di protezione che ci dice tante cose tristi perche' significano calo di umanita', mancanza di umanesimo. E pur considerando la situazione particolare di Malta, bisognosa di essere sostenuta da tutti i Paesi dell'Unione Europea nell'accoglienza, e' avvilente che sia stata questa nazione molto cattolica, l'unica a opporsi a un orientamento comune europeo piu' favorevole ai rifugiati e ai richiedenti asilo o a coloro che sono accolti per motivi umanitari".

"Non invidio - spiega l'arcivescovo - i politici e i governanti. Hanno un compito ben difficile, quello della mediazione, ma nel rispetto dei diritti dell'uomo, anche dei migranti. Penso di non essere buonista perche' chi e' stato 20 anni in Africa e ha girato il mondo per 40 anni, ha acquisito un realismo necessario, ma non puo' mancare di ricordarsi dei principi della generosita' e dell'amore. Tanti che pur si dicono cattolici, non lo sono per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa che fa parte della morale cristiana come ci diceva Giovanni Paolo II. Si', la sollecitudine nei confronti del prossimo e' l'elemento orizzontale della Croce, che fa si' che essa sia quello che e' e rende vera la sua dimensione verticale. Si fa fatica a comprenderlo.

Lo capisco, la Croce non la si intende, la si accoglie, nel mistero pasquale nella sua totalita' '".

30/06/08

Le Impronte ai Bambini Rom - Un attacco durissimo da Famiglia Cristiana.


Certe volte ho l'impressione che i cattolici in questo paese esistano solo per 'turarsi il naso' e andare a votare - una volta per l'uno e una volta pe l'altro - evaporando in ogni altra occasione di vita pubblica.

'Essere cattolici', ma prima di tutto 'essere cristiani' dovrebbe significare
- io credo - non dimenticare che in ogni nostra manifestazione privata o pubblica siamo chiamati o saremmo chiamati a mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù il Cristo, le sue Parole trasmesse nei Vangeli.

Così registro con una certa sorpresa ( e senza nessuna velleità di fare un discorso 'politico', di una parte contro l'altra), ma anche con contentezza - finalmente ! - una presa di posizione di una durezza formidabile da parte del maggior settimanale cattolico italiano sulla triste vicenda della proposta di legge di 'schedatura' mediante impronte dei bambini appartenenti alle comunità rom in Italia.

Ecco quanto riferisce il sito http://www.corriere.it/ lanciando la notizia in apertura di home page:

ROMA - «Una proposta indecente». Famiglia Cristiana boccia duramente la proposta del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, sulla raccolta delle impronte digitali dei bambini rom. «Alla prima prova d'esame - scrive Famiglia Cristiana nell'editoriale del nuovo numero - i ministri "cattolici" del Governo del Cavaliere escono bocciati, senza appello. Per loro la dignità dell'uomo vale zero. Nessuno che abbia alzato il dito a contrastare Maroni e l'indecente proposta razzista di prendere le impronte digitali ai bambini rom». «Avremmo dato credito al ministro - sottolinea il settimanale nell'editoriale di questa settimana - se, assieme alla schedatura, avesse detto come portare i bimbi rom a scuola, togliendoli dagli spazi condivisi coi topi. Che aiuti ha previsto? Nulla».

VOLTO FEROCE - «Non stupisce, invece - continua Famiglia Cristiana - il silenzio della nuova presidente della Commissione per l'infanzia, Alessandra Mussolini (non era più adatta Luisa Santolini, ex presidente del Forum delle famiglie?), perché le schedature etniche e religiose fanno parte del Dna familiare e, finalmente, tornano a essere patrimonio di Governo. Non sappiamo cosa ne pensi Berlusconi: permetterebbe che agenti di polizia prendessero le impronte dei suoi figli o dei suoi nipotini?». «Oggi, con le impronte digitali - prosegue - uno Stato di polizia mostra il volto più feroce a piccoli rom, che pur sono cittadini italiani. Perché non c'è la stessa ostinazione nel combattere la criminalità vera in vaste aree del Paese? La Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia (firmata anche dall'Italia, che tutela i minori da qualsiasi discriminazione) non conta più niente. La schedatura di un bambino rom, che non ha commesso reato, viola la dignità umana. Così come la proposta di togliere la patria potestà ai genitori rom è una forzatura del diritto: nessun Tribunale dei minori la toglierà solo per la povertà e le difficili condizioni di vita». «Quanto alle impronte - aggiunge il settimanale - se vogliamo prenderle, cominciamo dai nostri figli; ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro».