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13/10/16

Il Nobel per la Letteratura a Bob Dylan - Dalla Svezia: "E' come un grande cantore greco."




Il Premio Nobel della Letteratura va dunque quest'anno al grande Bob Dylan. 

"Spero non ci siano critiche per questo premio". L'auspicio e' di Sara Danius, segretaria permanente dell'Accademia Svedese, che ogni anno assegna il Nobel. La scrittrice spiega perche' assegnarlo a un cantautore come Bob Dylan non e' un atto rivoluzionario. "Puo' sembrarlo - sottolinea in un'intervista rilasciata subito dopo l'annuncio del vincitore del Nobel per la Letteratura -, ma se si guarda indietro a 2500 anni fa, si incontrano poeti come Omero o Saffo che scrissero testi che dovevano essere interpretati o ascoltati anche con l'accompagnamento di strumenti musicali. Lo stesso accade con Bob Dylan. Noi leggiamo ancora Omero e Saffo e ci piacciono, anche Dylan puo' e dovrebbe essere letto oggi, perche' e' un grande poeta".

La motivazione ufficiale e' "per aver creato una nuova espressione poetica nell'ambito della tradizione della grande canzone americana".

"Bob Dylan scrive poesia per le orecchie, ma e' del tutto corretto leggere il suo lavoro come poesia - aggiunge Danius -. E' un grande poeta della tradizione in lingua inglese, un esempio meraviglioso e molto originale di quella tradizione. Per 54 anni e' stato attivo e ha reinventato se stesso costantemente, creando sempre nuove identita'".

 Secondo la docente universitaria e saggista svedese, "se si vuole iniziare ad ascoltare o leggere la sua poetica si potrebbe partire da Blonde on Blonde, album del 1966 che contiene molti classici ed e' uno straordinario esempio del suo brillante modo di mettere insieme i versi e della sua visione delle cose". Quanto al suo personale rapporto con il cantante americano, Danius fa sapere di non essere stata una sua fan. "Non ho ascoltato molto le sue canzoni, ma erano sempre intorno - sottolinea -. Conosco la sua musica e ho cominciato a apprezzarlo molto piu' ora che in passato. Ero fan di David Bowie, forse e' una questione generazionale".

fonte: ANSA

26/09/13

Dieci grandi anime - 1. Dag Hammarskjold (2./)




1. (Dieci grandi anime) - Dag Hammarskjold (2) 


Quel che appare certo è che in un certo senso Dag Hammarskjold aveva un destino già scritto, se è vero che egli era l’ultimo dei quattro figli maschi di Hjalmar Hammarskjold, eminente politico del dopoguerra svedese, che fu anche primo ministro e membro dell’Accademia Reale di Svezia.   Quando Dag, alla sua morte,  è chiamato a prenderne il posto, alla fine del 1953, pronuncia un celebre discorso in memoria del padre. E ricordando il se stesso diciannovenne che seguiva dalla tribuna la cerimonia di insediamento del padre, dice: le parole che lui pronunciò riassumevano, per me, una vita di fede nella giustizia e di servizio compiuto nella negazione di sé, sotto una responsabilità che ci unisce tutti.
       Negazione di sé, sottomissione, darsi agli altri, sono le parole d’ordine che risuonano quasi in ogni pagina del Diario di Hammarskjold.  Sembrano coniugare la personale teodicea di quest’uomo che pronuncia la parola ‘fede’ con molta esitazione, e che con la stessa prudenza e attenzione si rivolge a Dio.
       Eppure, Hammarskjold, soltanto a scorrere il suo Diario, appare un assiduo frequentatore delle Scritture.   Quasi ogni pensiero è scandito di echi, magari anche lontani, anche non espliciti, all’Antico e al Nuovo Testamento.
        E quando i soccorsi raggiungono in Africa il luogo dell’incidente aereo,  in quel giorno d’estate del 1961, scoprono, non lontano al cadavere di Hammarskjold, la copia tascabile del De Imitatione Christi di Tommaso da Kempis, uno dei testi più popolari della spiritualità cristiana. La stessa copia che Hammarskjold teneva abitualmente sul comodino del suo appartamento di New York,  che portava sempre con sé e che era accompagnata da un segnalibro molto particolare: una cartolina su un lato del quale era battuto a macchina il giuramento formulato nella cerimonia di insediamento come Segretario Generale delle Nazioni Unite.
        Un uomo di fede, dunque, si direbbe senza alcun dubbio.
        Eppure, scorrendo le brevi frasi, le rapide illuminazioni contenute nelle pagine dei Diari, si scoprono gli angoli di un negoziato con Dio vissuto al prezzo di dubbi, lacerazioni del cuore, paure, incerti scaturiti da notti insonni, o da pause meditative durante le quali il compito di operatore di pace tra popoli e genti che non volevano saperne di ragionare, dialogare, smettere di guerreggiare, doveva apparirgli improbo, disperato.
        Chi ama vuole la perfezione dell’amato, scrive la vigilia di Natale del 1955,  la quale esige l’essere liberi persino da chi ama.   Dio vuole la nostra indipendenza e in essa noi “ricadiamo” in Dio, quando smettiamo di cercarla da soli.
       Ma questa libertà, questa indipendenza che Dio lascia all’uomo è forse anche pericolosa.  Hammarskjold la avverte come un campo aperto, dove è molto facile perdersi, ancora di più per un uomo come lui esposto a tentazioni umane molto tangibili e suadenti: il potere, l’autoaffermazione, il riconoscimento degli altri, il narcisismo, l’interesse personale.
      Il cristiano Hammarskjold procede allora su un altro piano,  che è quello della totale sottomissione ai disegni di Dio, una sottomissione che viene avvertita anche nei toni di un destino personale, forse pre-sentito.  E’ infatti curioso constatare come riecheggino per tutto il diario presentimenti di una possibile fine imminente, di un annientamento. Basti pensare che ogni nuovo anno del taccuino personale, si apre con la stessa frase: “e presto verrà la notte”…
      La condizione umana è quella, per come viene sperimentata da Hammarskjold, di un viaggio senza ritorno, di un cammino che una volta intrapreso ha un solo possibile epilogo, quello del sacrificio e del grande salto nell’Oltre.   Tornare indietro non è possibile. Vi è un punto in cui tutto diviene semplice, in cui non c’è più alternativa, poiché tutto quello che hai puntato è perso se ti guardi indietro. Il punto di non ritorno, proprio della vita. (3)

      Il cammino della vita procede su coordinate fisse, soltanto in parte decise ab origine. E una di queste coordinate, quella zenitale, è la responsabilità personale.  Responsabilità personale che consiste, in primis, nel non deludere le aspettative.  Nell’essere all’altezza.  Dag ha fatto propria una massima di Joseph Conrad che ripete spesso: Vivere secondo le aspettative dei propri amici. (-segue 2./). 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata


3. Op. cit. pag. 83.