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10/12/15

Ignoro chi mi ha messo al mondo e cosa sia il mondo, e cosa io stesso. (Pascal - La condizione terrestre)




Così sintetizza in una pagina la condizione terrestre Blaise Pascal nel celebre n. 398 dei suoi Pensieri ( introduzione, prefazione, traduzione e note di Bruno Nacci, Garzanti, 1994).  

Non so chi mi abbia messo al mondo, né che cosa sia il mondo, né che cosa io stesso. Sono in un'ignoranza spaventosa di tutto

Non so che cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quel che dico, che medita sopra di tutto e sopra se stessa, e non conosce sé meglio del resto

Vedo quegli spaventosi spazi dell'universo, che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di questa immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove, né perché questo po' di tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l'eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà

Da ogni parte vedo soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo e come un'ombra che dura un'istante, e scompare poi per sempre. Tutto quel che so è che debbo presto morire; ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte, che non posso evitare.

Così come non so da dove vengo, non so dove vado, so solo che uscendo da questo mondo cadrò per sempre nel nulla o nelle mani di un Dio incollerito, senza conoscere quale di queste due condizioni sarà la mia sorte eterna. 
Ecco la mia condizione, piena di debolezza e incertezza. 
Da tutto ciò deduco che devo dunque passare ogni giorno della mia vita senza pensare a ciò che mi capiterà.  

Forse potrei trovare qualche chiarimento ai miei dubbi, ma non voglio preoccuparmene, né fare un solo passo per cercare; anzi, disprezzando quelli che si macereranno in questa preoccupazione, andrò incontro, incurante e senza paura, a questo grande avvenimento, mi lascerò docilmente condurre alla morte, incerto sull'eternità della mia condizione futura. 

Pascal, considerandola ai suoi tempi una condizione "folle", chiosava: 

Chi si augurerebbe di avere per amico un uomo che parla in questo modo ? Chi lo sceglierebbe per confidargli i propri problemi ? Chi ricorrerebbe a lui nei momenti difficili ? 

E invece questo "sentire", previsto con così tanto anticipo e precisione da Pascal, è diventato molto comune e forse perfino prevalente. 

27/05/14

Una bellissima intervista ad Eugenio Borgna, di Antonio Gnoli per Repubblica.





Vi propongo questa bellissima intervista ad Eugenio Borgna realizzata da Antonio Gnoli. 


Eugenio Borgna: "L'anima non guarisce mai del tutto, le resta sempre accanto un'ombra" Dagli studi universitari all'interesse per quei malati un tempo tenuti ai margini, lo psichiatra racconta come è cambiata la disciplina - di  Antonio Gnoli - Da Repubblica.it 


LA PRIMA cosa che viene in mente osservando Eugenio Borgna, mentre è ad attendermi alla stazione di Novara, è il suo spiccato senso di gentilezza. 

Nelle movenze dinoccolate di quest'uomo alto e asciutto, che flette lieve verso l'altro come un giunco, si coglie la disponibilità rara dell'ascolto. 

Ci fermiamo, vista l'ora di pranzo, a un ristorante gradevole e semivuoto: "Qui veniva Scalfaro", ricorda Borgna. E ho l'impressione di un altro tempo. Che è la medesima sensazione che provo nella casa di questo grande psichiatra: vasta, spoglia, ma anche sovraccarica di libri. Come congelata in un altro tempo. Forse più prezioso. Più intimo. Certamente meno duro e perfino più fragile. Proprio al tema della fragilità Borgna ha dedicato un libretto ( La fragilità che è in noi, edito da Einaudi) ricco di considerazioni tenui. Intonate al pastello più che all'acido; alle sfumature più che ai tratti decisi. Ho l'impressione che il pensiero di quest'uomo si svuoti dell'aggressività necessaria in una società votata all'urlo e alla chiacchiera.


Cosa rappresentano le parole per un medico come lei?
"Le parole hanno un immenso potere. Ci sono parole troppo dure e violente. Troppo inumane. Che i medici, non tutti per fortuna, rivolgono al malato. E ci sono parole in grado di aiutare l'altro. Le mie parole sono state anche domande a me stesso e agli altri. Sono i dubbi e le incertezze che ho seminato lungo la mia lunga vita".

Che ha avuto inizio dove?
"A Borgomanero, a una trentina di chilometri da qui. Vi ho trascorso la mia infanzia e poi l'adolescenza. Interrotta bruscamente quando i tedeschi nel 1943 occuparono la nostra casa. Mio padre, avvocato, faceva parte della Resistenza. E noi, sei figli, con mia madre che teneva in braccio l'ultimo nato, ci avviammo a piedi verso la collina dove protetti da un parroco ci nascondemmo".

Quanto durò?
"Sei mesi. Tornammo per constatare che la casa era stata distrutta. A poco a poco la vita riprese. La scuola, poi il liceo, infine l'Università a Torino e la specializzazione a Milano nella prima clinica per le malattie nervose ".

Perché quel tipo di scelta?
"Sulle orme paterne avrei potuto fare l'avvocato. O magari il letterato avendo divorato i libri della biblioteca di mio padre. Ma compresi, grazie anche alla letteratura e alla poesia, che occuparsi delle persone che stavano male poteva dare un senso più autentico alla mia esistenza".

Essere autentici è un dovere?
"Diciamo che avvertivo il desiderio di una verità più grande di quella che di solito osserviamo".

Mi faccia capire.
"Dopo un po' che frequentavo la Prima clinica mi accorsi che esistevano due tipi di pazienti, ben distinti: neurologici e psichiatrici. Questi ultimi erano ignorati".

Perché?
"Si pensava che solo le malattie del cervello meritassero attenzione. Mentre a me interessava relativamente quel tipo di indagine. E fu attraverso quei pochi pazienti psichiatrici, tenuti ai margini, che scoprii un mondo di dolore e di sofferenza che mi parve più autentico di quello biologico e organicistico".

Non le bastava la verità clinica?
"No, desideravo toccare una verità più esistenziale. Non volevo l'oggettività del neurologo. Ero portato ad ascoltare la sofferenza e l'angoscia come aspetti di una soggettività più complessa. Avevo 32 anni e una libera docenza che mi dischiudeva le porte per una grande carriera milanese".

E invece?
"Decisi  -  tra lo sconcerto dei colleghi, dei superiori e degli amici  -  di accettare il posto di direttore del reparto femminile dell'ospedale psichiatrico di Novara. Quando entrai vidi all'esterno degli enormi giardini. Mi accompagnava un silenzio assoluto. E malgrado fosse inverno le finestre dell'ospedale erano spalancate. Con i pazienti che guardavano fuori".

Una scena irreale?
"Sembravano le marionette di un teatro dell'assurdo. Ma era niente rispetto alla situazione che trovai all'interno. Quello che vidi fu raccapricciante: i pazienti legati o rinchiusi in spazi asfissianti. Le urla e i lamenti. Era agghiacciante. Sembrava di essere in un carcere crudele e senza senso. So bene che oggi la situazione è cambiata, ma allora, nei primi anni Sessanta, fu sconvolgente constatare che c'erano esseri umani cui era stata tolta la dignità del vivere".

Come reagì?
"Provai una profonda vergogna. E al tempo stesso capii che avevo fatto la scelta giusta. Provai a cambiare la situazione. Aprii le porte e vietai l'uso dei letti di contenzione. Nessun paziente poteva più essere legato. Chiamai da Milano alcuni assistenti con i quali avevo lavorato e che avevano, come me, combattuto contro certi metodi".

Metodi comunque fondati su una lunga tradizione clinica.
"Certo. In quelle decisioni non c'era malvagità, ma tanto pregiudizio. Meglio: l'incapacità di capire veramente cosa si nasconde nella follia".

Non è facile trovare un varco per la comprensione.
"Non lo è finché ci si rifiuta di pensare alla schizofrenia come a una forma di esistenza. Certo diversa dalla nostra normalità, ammesso che esista, ma pur sempre esistenza vitale".

Lei dice: la schizofrenia è un mondo vitale. Cosa ha trovato in quel mondo?
"La schizofrenia è una delle forme di sofferenza più enigmatiche e strazianti che si conoscano. Si radica, per lo più, nella crisi esistenziale segnata dal passaggio dall'adolescenza alla giovinezza".

di Antonio Gnoli - da Repubblica.it

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22/12/10

Il giorno più corto.


"Una lingua nuova di solito apre la strada a un cuore nuovo. Quello che accade è che un rinnovamento di pensieri e desideri provoca un rinnovamento della lingua.

Il rinnovamento è una necessità costante, poiché questa particolare novità, che non può mancare di piacere a Dio quanto l'uomo vecchio non poteva mancare di dispiacergli, differisce da quanto è nuovo nel mondo.

Le cose terrene, vedete, per nuove che siano, invecchiano man mano che durano, mentre questo spirito nuovo si rinnova tanto più quanto più dura. L'uomo vecchio muore gradatamente in noi, dice Paolo di Tarso, e si rinnova ogni giorno, e sarà perfettamente nuovo solo nell'eternità, in cui canteremo incessantemente il canto nuovo di cui Davide parla nei salmi: il canto, cioè, che scaturisce dal nuovo spirito."

Così scriveva Blaise Pascal in una lettera indirizzata a Mademoiselle de Roannez il 5 novembre 1656.

Mi sembrano parole estremamente evocative, nel giorno dell'anno che segna la nostra rinascita astronomica, cioè solare. Il buio è alle spalle. Il giorno più corto dell'anno lascia il posto ad un nuovo inizio. La luce ritorna. Il sole non è sconfitto, è anzi, come dicevano i nostri padri, in-victus. Cioè, non-vinto.

In questo re-inizio, ogni inizio è possibile. E' un invito a noi, che viviamo così frettolosamente e così sbadatamente, con così poca attenzione. Pensiamo e coltiviamo quello spirito dell'inizio, sempre. Esso, potrà generare in noi frutti insospettabili.


13/07/08

Quando arriva la Grazia ? E per chi ? E per quali motivi ?


La notte del 1654 la Grazia, che aveva tanto invocato, per tutta la vita, coglie Blaise Pascal con una forza di cui restano tracce impressionanti in quello che viene chiamato MEMORIALE, e che è una sorta di Testamento Spirituale di uno dei più grandi Pensatori di tutti i tempi.

A Pascal che aveva fatto della ricerca tra luce e ombra, tra razionalità e fede, il compito di indagine di una vita, capitò qualcosa di così impressionante, che tutta la sua esistenza ne fu cambiata. Crisi mistica o ascetica ? Sembra che quella notte vi fu un violento temporale e che Pascal, nel cuore della notte, vide finalmente quella luce che tanto agognava.

Non ne parlò, però. Custodì il suo segreto.

Pochi giorni dopo i suoi funerali, un domestico si accorse di un pezzo di carta cucito all'interno del corpetto che il filosofo aveva indossato fino alla morte. Si trattava di una piccola pergamena scritta da Pascal proprio quella notte, la notte del 23 novembre 1654; venne denominata Memoriale, nome che tuttora conserva. Ecco cosa vi era scritto:

B. Pascal, Il Memoriale

L'anno di grazia 1654,

Lunedí, 23 novembre, giorno di san Clemente papa e martire e di altri nel martirologio,

Vigilia di san Crisogono martire e di altri,
Dalle dieci e mezzo circa di sera sino a circa mezzanotte e mezzo,
Fuoco.
Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti.
Certezza, Certezza. Sentimento. Gioia. Pace.
Dio di Gesú Cristo.
Deum meum et Deum vestrum.
“Il tuo Dio sarà il mio Dio”.
Oblio del mondo e di tutto, fuorché di Dio.
Lo si trova soltanto per le vie insegnate dal Vangelo.
Grandezza dell'anima umana.
“Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto”.
Ch'io non debba essere separato da lui in eterno.
Gioia, gioia, gioia, pianti di gioia.
Mi sono separato da lui.
Dereliquerunt me fontes aquae vivae.
“Mio Dio, mi abbandonerai?”.
“Questa è la vita eterna, che essi ti riconoscano solo vero Dio e colui che hai inviato: Gesú Cristo”.

Gesú Cristo.

Gesú Cristo.

Mi sono separato da lui; l'ho fuggito, rinnegato, crocifisso.

Che non debba mai esserne separato.

Lo si conserva soltanto per le vie insegnate dal Vangelo.

Rinuncia totale e dolce.

Sottomissione intera a Gesú Cristo e al mio direttore.
In gioia per l'eternità per un giorno di esercizio sulla terra.

Non obliviscar sermones tuos. Amen.

Ecco, dunque.
Così arrivò la Grazia.

E noi, oggi, cosa dobbiamo fare per averla ? Dove dobbiamo cercarla ? Quando arriva ? Per quali disegni, e in quali modi ? Perchè a me sì e a un altro no ? Anche noi vedremo la Luce ?
in testa: maschera funeraria di Blaise Pascal.