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07/01/18

"Fanny e Alexander" - il discorso finale. Il Testamento spirituale di Ingmar Bergman.


Nel suo ultimo grande film pensato per il cinema,  Fanny e Alexander (1982), uno dei suoi più belli e completi, Ingmar Bergman ci ha lasciato una sorta di testamento spirituale
Ciò in cui credeva, ciò che credeva di aver capito, sul finire della sua meravigliosa parabola artistica e della sua vita, del mistero dell'esistenza.  
Alla fine del film, Bergman mette queste parole in bocca allo Zio Gustaf, il più epicureo e materialista della famiglia Ekdahl, il meno sovrastrutturato potremmo dire.  Sono appena nati due bambini, e alla festa per il battesimo, superata la tremenda crisi seguita alla morte di Oscar Ekdahl e al seguente matrimonio della vedova con il diabolico vescovo Vergerus, con conseguenti vessazioni dei due piccoli Fanny e Alexander da parte del patrigno, lo Zio Gustaf brinda alla pace ritrovata, all'unità della famiglia, nonostante tutto, alla speranza nel futuro, pur con la profonda consapevolezza delle profonde avversità - spaventose - che la vita può offrire. E' una lezione che anche per noi, oggi, resta memorabile. Questo il testo integrale del discorso. 

L’unico talento che io ho è quello di amare quel piccolo mondo racchiuso tra le spesse mura di questo edificio e soprattutto mi piacciono le persone che abitano qui in questo piccolo mondo. Fuori di qui c’è il mondo grande e qualche volta capita che il mondo piccolo riesca a rispecchiare il mondo grande tanto da farcelo capire un po’ meglio. In ogni modo riusciamo a dare a tutti quelli che vengono qui la possibilità, per qualche minuto, per qualche secondo, di dimenticare il duro mondo che è la fuori. Il nostro teatro è un piccolo spazio fatto di disciplina, di coscienza, di ordine e di amore.

Noi non siamo venuti al mondo per scrutarlo a fondo, no davvero. Noi non siamo preparati, attrezzati, per questo tipo, per certe indagini. La cosa migliore è mandare all'inferno i grandi contesti. Noi vivremo in piccolo, nel piccolo mondo. E ci contenteremo di quello. Lo coltiveremo e lo useremo nel modo migliore. La morte colpisce all'improvviso e all'improvviso si spalanca l'abisso. All'improvviso infuria la tempesta e la catastrofe ci sovrasta. Noi tutto questo lo sappiamo, ma ci rifiutiamo di pensare a queste cose sgradevoli... Attori, attrici, abbiamo un grande bisogno di voi perché sarete voi che ci darete brividi di soprannaturale e soprattutto anche i nostri piaceri terreni. Il mondo è una tana di ladroni, e la notte sta per calare. Il male strappa le catene e vaga nel mondo come un cane impazzito, e tutti ne siamo contaminati: noi Ekdahl come qualsiasi altra persona. Nessuno vi sfugge. 
Per questo dobbiamo essere felici quando siamo felici ed essere gentili, generosi, teneri, buoni. Proprio per questo motivo è necessario e tutt'altro che vergognoso essere felici, gioire di questo piccolo mondo: della buona cucina, dei dolci sorrisi, degli alberi da frutta che sono in fiore, o anche di un valzer. Tengo in braccio una piccola, dolce imperatrice. E' una cosa tangibile eppure incommensurabile. Un giorno mi dimostrerà che ho avuto torto in tutto quello che ho detto ora. Dominerà non solo sul piccolo mondo, ma su ogni cosa. 

Qui sotto la sequenza del film nell'originale svedese con sottotitoli in inglese. 


27/09/13

Dieci grandi anime - 1. Dag Hammarskjold (3./)

      


Dieci grandi anime. 1. Dag Hammarskjold (3)


E’ questo un primo orientamento importante,  sul quale Hammarskjold ritorna quando in una pagina del 1952 citando nuovamente Joseph Conrad e i personaggi del suo Lord Jim, scrive: Al limite dell’inaudito. L’inaudito; forse solo l’ultimo incontro di Lord Jim con Doramin, quando egli è giunto all’assoluto coraggio, e all’assoluta umiltà, in assoluta lealtà verso se stesso.  Con vivi sensi di colpa, ma cosciente a un tempo di aver assolto il debito, per quanto possibile in questa vita, attraverso quanto ha fatto per coloro che ora chiedono la sua vita.   Tranquillo e felice. Come quando si vaga solitari in riva al mare. (4)
    Assoluto coraggio dunque, assoluta umiltà, assoluta lealtà verso se stesso.  Sono queste le condizioni per consentirsi di giungere con animo tranquillo e felice all’appuntamento con la morte.  Hammarskjold ci pensa da sempre.  Lo scrive eloquentemente nel 1955 – e mancano soltanto sei anni alla fine della sua vita: Un tempo la morte faceva sempre parte della compagnia. Ora è la mia vicina di tavola: me la devo fare amica. In questa “riscoperta” intuitiva divenuta il filo di Arianna della mia vita – passo per passo, giorno dopo giorno – ora la fine è divenuta altrettanto palpabile quanto il dovere che mi spetta per domani. (5)
    E il dovere per Hammarskjold è mettere le ali ad un organismo internazionale – le Nazioni Unite – ancora giovane, sprovvisto di poteri e fragile, in un mondo diviso in grandi blocchi contrapposti.  E’ proprio durante il doppio mandato di Hammarskjold che per la prima volta nella storia dell’ONU – il 10 dicembre del 1954 -  viene votata una risoluzione per conferire un mandato diretto al Segretario Generale per gestire una crisi internazionale.  (6)
      Sarà un crescendo di impegni e fatiche per Dag, che passano attraverso l’invasione sovietica dell’Ungheria e la crisi di Suez (1956), la creazione, per iniziativa del Segretario Generale della prima forza armata di peace keeping delle Nazioni Unite, e  la riconferma con il secondo mandato nel 1958 (ctrl.), fino all’ultima crisi, quella congolese, che costerà la vita ad Hammarskjold, apertasi nel luglio 1960 e culminata nelle richieste di dimissioni arrivate direttamente da Nikita Chruscev.  (7)
     Rimarrò al mio posto per quanto resta del mio mandato come un servitore dell’Organizzazione - risponde orgogliosamente al presidente sovietico Hammarskjold, in un celebre discorso tenuto all’Assemblea Generale, il 3 ottobre del 1960 -  nell’interesse di tutte le altre nazioni, fin quando esse vorranno che io faccia così.  (8)  
     E’ nell’attraversamento di queste dure prove che si esprime, in parallelo, il peculiare misticismo di Hammarskjold.  La sua ricerca di Dio diventa il cammino in controluce di una carriera, di una vita, perennemente esposta alla luce dei riflettori del mondo Già da bambino, Hammarskjold ha fatto l’abitudine al silenzio, alla meditazione. Sa che questo e soltanto questo può salvarlo, in definitiva, dall’assordante chiasso del mondo.  Viene da terre fredde, ha trascorso lunghi anni, bambino, al seguito del padre, prima capo del governo, poi governatore di Uppsala, in una grande e bellissima casa da cui si domina la città.  La sua famiglia di provenienze nobili, è conosciuta e ammirata in tutta la Svezia. Il padre è intimo amico dell’arcivescovo Nathan Soderblom, grande teologo
svedese, uno dei fondatori del movimento ecumenico moderno, e vincitore a sua volta del premio Nobel per la Pace nel 1930. Dag cresce in questo clima, e non è difficile immaginarlo come una sorta di Alexander, il protagonista del celebre film di Ingmar Bergman (9), ambientato proprio a Uppsala.  Riceve i rudimenti della fede luterana, sviluppa un carattere timido, introverso, la passione per l’arte, la letteratura, la musica. Non si sposerà mai, non metterà su famiglia, forse anche  obbedendo a quel pre-sentimento di avere di fronte a sé una vita breve.
      La solitudine interiore, l’isolamento, sempre e comunque, anche nonostante una vita convulsa, diventano l’habitat necessario per una ricerca che non si interrompe mai, per il dialogo più difficile con un Interlocutore presente, ma  silenzioso.
      Basti pensare che alla quiete Dag Hammarskjold edificherà un vero e proprio monumento: la stanza per la meditazione fu infatti fortemente voluta dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, che ne seguì personalmente ogni fase, dalla progettazione (al centro della stanza un raggio di luce proveniente dall’alto colpisce la nuda superficie di una pietra), all’arredamento, fino all’inaugurazione, nel 1957, occasione per la quale Hammarskjold scrisse un testo, intitolato Una stanza di quiete, che ancora oggi compare nel depliant distribuito alle migliaia di persone che ogni anno visitano il Palazzo delle Nazioni Unite di New York.  Nelle intenzioni questo doveva essere un luogo “le cui porte possano essere aperte agli spazi infiniti del pensiero e della preghiera. “  Hammarskjold fu uno dei primi statisti a rendersi conto che uno dei maggiori rischi per l’uomo politico è quello di distaccarsi dalla realtà e da se stesso.  Di non avere tempo per stare solo e riflettere.  Una esigenza simile è stata sottolineata ed espressa recentemente da Barack Obama, prima della sua elezione, in un incontro a Londra con l’allora primo ministro inglese Tony Blair.  La quiete come presupposto ultimo per cercare se stessi,  per rimanere un “humus aperto, umido nel fertile buio dove cade la pioggia e cresce il grano.”
      E’ questo del resto, anche il senso di ogni ricerca mistica, che per Hammarskjold non è mai fuga dal mondo.       
       “L’esperienza mistica”.  Sempre qui e ora… in quella libertà che è tutt’uno con il distacco, in quel silenzio che nasce dalla quiete. Ma questa libertà è una libertà nell’azione, questa quiete è quiete tra gli uomini. Il mistero è perenne realtà per chi è libero da se stesso nel mondo, è realtà in una tranquilla maturità nell’attenzione ricettiva e acconsenziente. 
      Nel nostro tempo la via della santità passa necessariamente attraverso l’azione.
      Bisogna dare tutto per tutto.  (10)   (-segue 3./).

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata

4. Op. cit. pag.97
5. Op. cit. pag.125
6. Si tratta della vicenda degli aviatori americani dipendenti dalle forze ONU in Corea, fatti prigionieri e condannati poi dalla Cina per spionaggio, che verranno rilasciati il 1. agosto dell’anno seguente – 1955 – grazie proprio alla paziente opera di Hammarskjold che visita diverse volte Pechino, ricavando dal governo cinese ripetuti rifiuti fino alla improvvisa liberazione, esattamente due giorni dopo il cinquantesimo compleanno di Dag Hammarskjold (29 luglio 1955).
7. Il 30 giugno 1960, a solo un anno e mezzo dai primi violenti scontri con Bruxelles, il Congo divenne stato indipendente. Iniziò un lungo e sanguinoso periodo di lotte tra fazioni e guerra civile, culminante con la presa del potere da parte del colonnello Mobuto, dopo l’arresto e la condanna a morte nel gennaio del 1961 di Patrice Lumumba, colui che era stato uno degli artefici principali della liberazione e della lotta per la indipendenza dal Belgio.
8. Cit. tratta da Foote, Wilder, ed., Servant of Peace: A Selection of the Speeches and Statements of Dag Hammarskjöld, Secretary-General of the United Nations 1953-1961. New York, Harper & Row, 1962. 
9. Fanny e Alexander (Fanny och Alexander), film del 1982 di Ingmar Bergman, con Pernilla Allwin e Bertil Guve, vincitore di 4 premi Oscar. In Italia è edito su dvd dalla Sanpaolo Audiovisivi. 
10. Op. cit. pag. 139.

24/12/08

Questo è il Natale.


"Questo è il Natale, avvertire dentro di sé, una volta all'anno, questa aspettativa, questo fermo diritto che niente può deludere. Sentire che in fondo i nostri più grandi desideri, se solo apriamo a loro il nostro cuore, non possono non essere esauditi. Questi sono, carissima mamma, i miei pensieri di Natale per te..." scriveva Rainer Maria Rilke in una delle sue lettere che con regolarità spediva a Natale alla madre. Lettere bellissime.

Questa aspettativa... questo fermo diritto che niente può deludere...

Proprio così. Dovremmo essere capaci, almeno oggi, di tornare quel che eravamo - e quel che siamo ancora dentro il nostro involucro adulto - e credere alla meraviglia dell'inesprimibile. Sapere che qualcosa è lì per noi. Ad attenderci e a rispondere.

Essere come quel bambino - Alexander - che osserva il gioco della Lanterna magica, animata dalla luce delle candele, la notte di Natale, e aspetta... aspetta...

Buon Natale a tutti gli amici del Mantello di Bartimeo dal profondo del mio cuore !
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