30/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987)




Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987) 

E' sublime il racconto autobiografico che diventa - con l'intervento decisivo dell'invenzione creativa - opera d'arte, come in Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants) il film che nel 1987 è valso a Louis Malle il Leone d'oro alla 44ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. 

Il maestro francese arrivò alla decisione di girare questo film - divenuto uno dei suoi più importanti - dopo diversi anni di riflessione e dopo aver scritto la prima bozza per una sceneggiatura in 14 giorni. basato sulla storia vera accaduta durante la sua infanzia nel 1944, quando, all'età di undici, entrò nel convitto Petit-Collège ad Avon vicino Fontainebleau. 

Tuttavia, Malle spiegò abbondantemente che il  film non ricalca fedelmente ciò che accadde, sovrapponendosi alla storia, elementi e aneddoti recuperati altrove o puramente immaginari. 

Il progetto era originariamente intitolato My little madeleine (riferimento alla Madeleine de Proust), prima di diventare con il titolo di Au revoir les enfants, un classico mondiale. 

Il film è dunque ambientato in Francia nel Collegio dei Carmelitani Scalzi di Fontainebleau nel gennaio del 1944, dove un ragazzo di nome Julien Quentin viene mandato insieme al fratello maggiore François, durante la Seconda guerra mondiale

Arrivato in quel collegio trova buona parte dei suoi compagni insopportabili ed egoisti e avverte fortemente la nostalgia della madre. 

La sua vita cambia radicalmente quando un coetaneo, Jean Bonnet, viene inserito nella classe. Julien inizialmente percepisce il ragazzo come un rivale, visto che ottiene buoni risultati a scuola e sa suonare bene il pianoforte. Ma con il tempo nota che è un ragazzo riservato e misterioso: non riceve mai posta, parla poco, non si mescola mai con i compagni. Frugando nel suo armadietto Julien scopre il suo segreto: Jean Bonnet è in realtà Jean Kippelstein, un ragazzo ebreo che ha trovato rifugio sotto falso nome nel collegio, per sfuggire alle persecuzioni razziali. 

L'ostilità di Julien si trasforma così in curiosità, poi in amicizia. 

Mentre scorrono i giorni del 1944, la vita nel collegio procede in tutta tranquillità, finché Joseph, un ragazzo povero e zoppo che lavora come inserviente dai preti, viene licenziato. Infatti è stato scoperto a compiere furti di oggetti presenti nel collegio (in particolare cibo) per poi barattarli con oggetti personali degli scolari. 

Il ragazzo, senza un posto dove vivere e consumato dalla rabbia, si fa spia presso l'esercito tedesco, rivelando la presenza di ebrei nel collegio. 

Malgrado i mille sotterfugi inventati dai preti, e i disperati tentativi di salvarli, Jean e altri due ebrei, insieme al direttore del collegio, vengono portati via per intraprendere un viaggio che si concluderà solo con la morte. 

Julien lo guarda allontanarsi e nonostante il sacerdote li saluti dicendo «Arrivederci ragazzi, a presto!», capisce che non lo rivedrà mai più. Alla conclusione del film, il narratore - lo stesso protagonista adulto - informa che sia i suoi compagni ebrei che il sacerdote moriranno successivamente in un campo di sterminio nazista: i ragazzi ad Auschwitz, mentre il prete a Gusen I (Mauthausen). 

L'equilibrio della narrazione raggiunto da Malle in questo film è quello della piena maturità: tutta la vicenda viene raccontata con partecipata intensità, senza la minima sbavatura, trasportando lo spettatore tra le mura di quel lontano collegio in cui si sperimenta l'assurdità inaudita del male e la sua presenza inalienabile.  

Allo stesso tempo, Au revoir les enfants è un vero e potente inno all'amicizia, alla com-passione, alla partecipazione emotiva, alla memoria, alla solidarietà. Quelle doti umane che proprio nei momenti più bui della storia, tornano a riemergere, promettendo agli uomini di poter risorgere, ancora una volta, dal loro abisso. 

Fabrizio Falconi





29/09/19

Poesia della Domenica: "Sentimento oceanico" di Fabrizio Falconi




Sentimento oceanico


In forme nuove ho attraversato
gli anni, era il tempo delle viole
dell'infinita luce, come un dardo
colmo di sfide, una corsa piena
di fragole e memorie da scrivere
e tetti di paglia e scimmie, e lumi
nel traffico, sparatorie e dolci
notti con l'amore sul cuscino; cento
colori diversi nella trama, cento storie
e baci dalla sospesa esistenza.




Fabrizio Falconi
- inedito 2019 

28/09/19

L'origine della parola Simbolo: una pietra, che si divideva a metà.



L'origine della parola Simbolo

Il significato più antico della parola affonda le sue radici in terra greca, dove symbolon era quella tessera ospitale, quel coccio di pietra che, spezzato, testimoniava il legame tra due persone, due famiglie in procinto di separarsi.
Ognuno portava con sé il segno di una comunione, di un patto amichevole che la distanza non poteva annullare.

Se poi accadeva di ricongiungersi, allora si procedeva alla ricomposizione delle due metà, e l'unità così ottenuta attestava, dopo l'assenza, un'intimità ininterrotta, un legame che non era stato spezzato.
Il significato del termine successivamente si perse, ma non smarrì il suo senso originario.
Ancora più esattamente, la parola "simbolo" deriva dal greco "symbàllein" che significa "mettere insieme".
Nell'antica Grecia era diffusa la consuetudine di tagliare in due un anello, una moneta o qualsiasi oggetto, e darne una metà a un amico o a un ospite.
Queste metà, conservate dall'una e dall'altra parte, di generazione in generazione, consentivano ai discendenti di riconoscersi. Questo segno di riconoscimento si chiamava simbolo.
Platone, riferendo il mito di "Zeus che, volendo castigare l'uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due" conclude che da allora "Ciascuno di noi è il simbolo di un uomo (Hékastos oun emon estin anthròpou symbolon), la metà che cerca l'altra metà, il simbolo corrispondente."
Il simbolo dunque, rinvia a qualcosa.
Evocando la sua parte corrispondente, rinvia a qualcosa che non è deciso dalla convenzione, ma o da una "eccedenza di senso" o dal tentativo di "ricomposizione di un intero".

27/09/19

Libro del Giorno: "La ragazza del Kyushu" di Matsumoto Seicho


Seichō Matsumoto nato a Kokura nel 1909 e morto il 4 agosto 1992 è stato uno degli scrittori giapponesi più popolari e ammirati del Novecento. 

Abbandonati gli studi, ancora giovanissimo cominciò a lavorare in una tipografia, iniziando a collaborare per la rivista Asahi, dove pubblicò i suoi primi racconti storici. 

Dal 1953, quando vince il prestigioso premio Akutagawa, inizia a dedicarsi a tempo pieno all'attività di scrittore, con racconti gialli di stampo prettamente realistico, in netto contrasto con l'allora vigente letteratura gialla giapponese, impregnata di elementi spesso fantastici. 

Si susseguono i premi e sale la sua popolarità, anche in Occidente dove cominciano a definirlo il Simenon giapponese. A Simenon lo accompagna anche la vastissima produzione - più di 300 romanzi e molti racconti, che hanno riscosso successo in tutto il mondo. 

Ma non solo: al contraltare francese lo accomuna anche il gusto per uno scarno realismo - ancora più minimalista di quello di Simenon - e una precisa, definitissima analisi delle psicologie dei personaggi, specie di quelli femminili.

E' il caso anche di questo La Ragazza del Kyūshū, pubblicato per la prima volta nel 1961, pubblicato in Italia da Einaudi, al centro del quale c'è appunto una giovane donna, che in un mattino di primavera si presenta nello studio di un illustre penalista di Tokyo. È Kiriko. Ha appena vent’anni, il volto pallido dai tratti ancora infantili, ma qualcosa di inflessibile nello sguardo, «come fosse stata forgiata nell’acciaio».

Non ha un soldo e ha attraversato il Giappone dal lontano  per arrivare fin lì, a implorare il suo aiuto. Il fratello, accusato di omicidio, è infatti appena stato arrestato, e Kiriko è la sola a crederlo innocente. 

L’avvocato rifiuta il caso: non ha tempo da perdere, tanto meno per una difesa che dovrebbe assumersi senza essere retribuito. Kiriko si scusa con un piccolo inchino, esce dallo studio e così come è arrivata scompare. 

Il fratello verrà condannato e morirà in carcere qualche mese dopo, poco prima che l’esecuzione abbia luogo. 

È solo l’antefatto da cui prende il via questo gelido noir. Dove un caso-fantasma, ripercorso nei minimi dettagli, lascia spazio a una vendetta esemplare che si fa strada da lontano. E mentre ogni colpa – consapevole o inconsapevole – viene pesata accuratamente, come su una bilancia cosmica, una tensione impalpabile, un «rumore di nebbia» accompagnano questa storia da cima a fondo. 

Finché lei, Kiriko, la ragazza del Kyūshū, non otterrà ciò che vuole.

L'intricato e sottilissimo legame che si instaura tra l'avvocato e Kiriko (vittima e carnefice l'uno dell'altro), sono sul palcoscenico dietro il quale si agitano le figure di un mondo rarefatto, elegante e silenzioso, pieno di segreti e di piccoli misteri. 

Fabrizio Falconi





26/09/19

Il carattere proprio dell'amore: il Simbolo di Platone.



Il simbolo come azione che compone i distanti

Nel Simposio di Platone ritroviamo la parola Simbolo per designare il carattere proprio dell'amore: che è, appunto, Simbolo di quell'unità che lega gli uomini in quanto provenienti da una stessa origine e in quanto alla ricerca, con il consenso pietoso degli dèi, di quell'unità che, proprio a causa degli dèi, è stata spezzata.
Per questo ogni uomo è simbolo, tessera dell'uomo totale: Hékastos oun emon anthropou symbolon.

Simbolo è dunque espressione che dice unità da remote distanze, tensione verso una totalità assente richiamata dall'incompiutezza di senso della situazione presente.
In termini junghiani: se l'Io è l'espressione della "situazione" presente, il Sè è quella "totalità" assente verso cui il simbolo de-situa. Il Sè dell'uomo (das Selbst) è infinitamente più comprensivo del suo Io (das Ich), così come i confini del possibile sono infinitamente più ampi della realtà determinata e consaputa.
Nella dialettica Io-Sé, Jung dà forse una delle migliori descrizioni della coscienza simbolica, che poi non è altro che la conoscenza umana salvata da quell'irrigidimento nella dimensione razionale, in cui la cultura occidentale l'ha costretta, quando ha ideato quel reticolato di segni per la de-signazione delle cose. Tra "segno" e "simbolo" corre infatti quella differenza che i Greci avevano intuito tra "dia-bàllein" e "sym-bàllein", tra disgiunzione e composizione.

25/09/19

Ogni cosa è correlata, nell'Universo. Tutto fa parte del Tutto. Le incredibili proprietà dell'Entanglement Quantistico



Cosa è l’Entanglement Quantistico ?

I risultati ottenuti dagli studi teorici e sperimentali, scientifici, corroborano in ogni caso, la conclusione che l’universo ammette l’esistenza di “interconnesioni non locali”:  qualcosa che ACCADE QUI può essere correlato con qualcosa che ACCADE LAGGIU’, ANCHE SE NON C’E’ NULLA CHE SI SPOSTI DA QUI A LI’ E ANCHE SE NON C’E’ ABBASTANZA TEMPO PERCHE’ SI VERIFICHI ALCUNCHE’, AD ESEMPIO PERCHE’ LA LUCE VIAGGI TRA DUE PUNTI.

La connessione tra due particelle può permanere ANCHE SE SI TROVANO AGLI ESTREMI OPPOSTI DELL’UNIVERSO.

Dal punto di vista della loro correlazione, malgrado l’immensità dello spazio che le separa, E’ COME SE FOSSERO POSTE UNA ACCANTO ALL’ALTRA.

Con una certa semplificazione, anche se le due particelle sono nettamente separate, possiamo dire che la meccanica quantistica dimostra che   QUALSIASI COSA FACCIA UNA PARTICELLA, L’ALTRA FA LO STESSO. 

Possono esistere, contrariamente a quanto credeva Einstein, connessioni quantistiche, strane, bizzarre, “sovrannaturali” tra un corpo che si trova qui e uno che si trova là.

Il ragionamento che fa giungere a questa conclusione è tanto complesso che ai fisici sono occorsi più di 30 anni per comprenderlo in tutte le sue sfumature.

Coppie di particelle adeguatamente preparate (dette entangled) non acquisiscono le proprietà misurate in modo indipendente: sono come due dadi magici, uno lanciato ad Atlantic City, l’altro a Las Vegas, ognuno dei quali segna casualmente un punteggio, che è sempre in accordo con quello dell’altro dado. Le particelle entangled si comportano nello stesso modo, ma non per magia: anche se spazialmente distanti, non si comportano in maniera autonoma una dall’altra.

Le conseguenze di questa scoperta, sono colossali: L’universo NON E’ LOCALE.

L’effetto di ciò che facciamo in un luogo piò essere correlato CON QUANTO ACCADE IN UN ALTRO LUOGO, ANCHE SE ESSI SONO TROPPO DISTANTI PER PERMETTERE AD ALCUNCHE’ DI TRASMETTERE UN QUALUNQUE TIPO DI INFLUENZA NEL TEMPO DATO.

Le particelle hanno UNA ORIGINE COMUNE CHE LI CORRELA. In sostanza, per quanto si allontanino una dall’altra e siano spazialmente distinti, LA LORO STORIA LI ACCOMUNA.

Anche quando sono lontani, FANNO PARTE DI UNO STESSO SISTEMA FISICO, DI UNA UNICA ENTITA’ FISICA.

Concludendo: DUE OGGETTI POSSONO ESSERE SEPARATI DA UN’ENORME QUANTITA’ DI SPAZIO E, CIO’ NONOSTANTE, NON AVERE UNA ESISTENZA DEL TUTTO INDIPENDENTE.  Possono cioè essere uniti da una connessione quantistica, l’Entanglement, che rende LE PROPRIETA’ DELL’UNO DIPENDENTI DA QUELLE DELL’ALTRO.  Lo spazio non distingue gli oggetti correlati in questo modo, NON E’ IN GRADO DI ANNULLARE LA LORO INTERCONNESSIONE: anche una enorme quantità di spazio NON NE INDEBOLISCE MINIMAMENTE L’INTERDIPENDENZA QUANTISTICA.

Ciò significa che OGNI COSA E’ CORRELATA CON TUTTE LE ALTRE, E CHE LA MECCANICA QUANTISTICA STABILISCE UN’ENTANGLEMENT UNIVERSALE. 

In fondo, del resto, al momento del BIG-BANG, TUTTO ERA IN UN UNICO LUOGO.



24/09/19

Fabrizio Falconi a "STARS" la mostra a Palazzo Velli - Il Programma Completo



La mostra STARS dalla Street Art alla Space Art, a cura di Simona Capodimonti organizzata da Stefano Aufieri e Palazzo Velli Expo, si svolge dal 28 Settembre al 5 Ottobre 2019 a Palazzo Velli, in Piazza San Egidio 10, nel cuore di Trastevere a Roma, dove noti street artists accanto ad altri più da interni espongono opere ispirate ai temi spaziali

Il pretesto è il 50° anniversario dello sbarco sulla luna, un’impresa eccezionale avvenuta il 20 luglio 1969, cui tutta l’umanità ha partecipato attraverso le telecronache e le immagini televisive, e che si celebra nel corso del 2019. 

Con STARS si vogliono esplorare complessi temi scientifici attraverso il linguaggio diretto della street art, molto amata da un numero crescente di appassionati.

L’esposizione racconta del rapporto dell’UOMO con l’UNIVERSO e il suo porsi da sempre domande sul Cosmo. E’ noto che scienziati ed artisti siano in grado di vedere cose e creare “mondi” prima di altri e con tale capacità apportano il loro contributo positivo all’evoluzione dell’umanità.

STARS sono le Stelle del firmamento street art presenti in mostra, una significativa parte della scena romana ma anche tanti altri provenienti dal resto d’Italia, a rappresentare uno degli ambienti più innovativi e interessanti nell’arte contemporanea degli ultimi decenni. Una mostra “indoor” con artisti che per scelta prediligono dipingere sui muri è comunque una buona occasione per ammirare il loro stile e poi andare a scoprire le loro opere “outdoor”. Tra alcuni nomi Beetroot, Cancelletto, Diavù, Lucamaleonte, Omino71, Maupal, Moby Dick, Napal Naps, Neve, Mr. Klevra, Mauro Sgarbi, Solo, Stefano Bolcato.

Ognuno ha interpretato il concetto di SPAZIO secondo la sua creatività, in maniera poetica o in senso lato come spazio mentale, più spesso in chiave ironica o pungente con il linguaggio tipico dell’ambiente “underground” dell’arte urbana che vuole far riflettere su temi ambientali, sociali e umanitari. 

In fondo la street art è già arrivata nello Spazio, se pensiamo che l’artista Invader ha inviato nel 2015 un suo piccolo mosaico sulla Stazione Spaziale Internazionale, per cui giusto il tempo di un lancio e si passa rapidamente dalla Street Art alla Space Art e chissà quali altre possibili presenze aliene, oltre alle umane, possano averlo intercettato e quindi già ammirato l’arte nello Spazio.

Numerosi artisti sono rimasti affascinati dal tema e hanno aderito alla collettiva, dandoci un’idea della varietà di stili, tecniche e personalità nell’arte urbana: Alessandra Carloni, Breezy g, Chew-z, Collettivo 900 con Leonardo Crudi 900 e Elia 900, Barkieri, Emme xyz, Giusy, Gojo, Hoek, Hos, Ivan Fornari, Krayon, Lac68, Luca Bellomo, Manuela Merlo Uman, Olives, Pino Volpino, Piskv, Rachele del Nevo, Studio Sotterraneo con Carlos Atoche, Luis Alzarez, Luis Cutrone, Antonio Russo, Zoan, Teddy Killer, Tina Lo Iodice, Violetta Carpino, Zeitwille, dal centro Italia, dall’Emilia About Ponny, Alessio Bolognesi, Bibbito, Psiko, dalla Toscana Ache77, Blub, Exit Enter, Gabriele Romei aka RMOGRL8120, Collettivo C&C con Giada, Incursioni decorative, Otti, dal Sud Ironmould e pHOBOs, dalla Sicilia Acnaz, Antonio Curcio, Demetrio di Grado. Dal writing e graffiti: Bol Pietro Maiozzi, Er Pinto, Orghone, Mr Vela, Starz, Warios, Yest. Dai tatuaggi: Roberto Dramis aka Enigmaregis. Tra le nuove leve: Aurum, Afra17, Atyom, Glasswall, Giulia Zoo, Lola Poleggi, Mike Bravo, Mister Fred, Sony, Voice.

Una sezione interessante è riservata a chi è solito esprimersi anche con poster art e sticker art in azioni installative spontanee come Alessia Brabrow, Pino Boresta, Aloha, Ex Voto, Kocore, Koi, k2m, Lus57, Stencilnoire, Mr. Molecola Blu, Qwerty, Stelleconfuse, Tracy M., Winstons Smith, Jah, Zeta, Za To, dove si può ammirare sia in mostra che in strada una creatività libera e innovativa.

A omaggiare la luna e lo spazio anche le raffinate donne di Marco Rea, le miniature di Justin Bradshaw, le macchine 500 da design di Monica Casali, le foto di Gaia Villani, le  sculture di Jacopo Mandich, Andrea Gandini e Sandra Fiorentini, le stampe in 3D di Luciano Fabale, gli alieni di Eros Renzetti e il pugile di Paolo Bielli, le composizioni materiche di Matteo Peretti, le cartapeste di Marta Cavicchioni, le invenzioni di Lorenzo Dispensa, l’installazione e performance White lunar di Monica Pirone MK, lo spettacolo artistico-teatrale Tracce lunari dell’artista Luca Valerio d’Amico con l’attore Daniele Parisi, le estrose creazioni dell’artista e sktilista Ilian Rachov.

Un ricco calendario di iniziative collaterali accompagna la mostra STARS con space talks, space tours, space movies, performances, live painting, fashion show.

Info mostra: mattina 10.00-13.00 (formula uptoyou), pomeriggio 15.00-19.00 € 5,00
Per iniziative collaterali info e costi: info@palazzovelli.it 06 5882143.

Si ringraziano per il sostegno: Main Sponsor Fineco Bank, Alessandro D’Alessandro
e Valeria Cirone, Palazzo Velli Expo, Drago Edizioni Media partner, Never Cover,
Rome Stret art walking tours, La Pizzuta del Principe, Cantina Claudio Quarta
Vignaiolo.

Calendario iniziative collaterali a STARS

Venerdì 27/09
Live painting di Neve con ritocco di Anna Perenna sulla serranda ingresso al palazzo. Ore 15.00-18.00

Sabato 28/09
Anteprima mostra su invito ore 16.00-20.00
Vernissage ad accesso libero dalle ore 20.00

Domenica 29/09
Space tour, visita guidata alla mostra con la curatrice. Ore 11.00
Space movie, proiezione di un film cult sullo spazio e a seguire conversazioni con esperti di cinema ed artisti, ore 19.00. Con biglietto d’ingresso.

Lunedì 20/09
In a ribbon of moonlight, sfilata della collezione Autunno/Inverno 2019/2020 di Domitilla Funghini per Sottrazioni. Presenta la giornalista Livia Azzariti. Con Simona Tito organizzazione, Barbaraguidi hats & headwear, Estens make up eye & brow, Mangano art jewels, Maria Grazia Moretti accessori e dipinti su tessuto, Stelio Malori shoes, Manuela Rapaccioni hairstylist. Su invito ore 20.00

Martedì 01/10
Space talk con scrittori e artisti con Fabrizio Falconi giornalista autore di vari libri sui misteri di Roma e Porpora e Nero, Edizioni Ponte Sisto 2019, Gabriele Ziantoni speaker radiofonico autore del racconto L’astronauta con un disegno di Solo nel libro in uscita Nonostante Tutto, L’Erudita editore - Ore 17.00-19.00

Mercoledì 02/10
SpaziAmo, fashion show tra art e stile con la direzione artistica di Michele Spanò, Presenta la giornalista Barbara Castellani. Con gli stilisti Monica Bartolucci, Fabiana Gabellini, Giuliana Guidotti, Ilian Rachov, Fina Scigliano, Marta San Giovanni Gelmini, Carla Campea Gioielli Arte in regola. Comunicazione IPMagazine e INBrand adv. Su invito ore 21.00

Giovedì 03/10
Una sera nello Spazio, spettacolo artistico e teatrale. Su invito ore 19.00

Venerdì 04/10
Space talk con scienziati e artisti con Nicoletta Lanciano professoressa di didattica delle scienze e della matematica Università La Sapienza di Roma e autrice dei libri In luna, stellis et sole e Villa Adriana tra cielo e terra - Percorsi guidati dai testi di Marguerite Yourcenar, Apeiron edizioni 2010 e 2003, Ettore Perozzi dell’Agenzia Spaziale Italiana, autore del libro Luna nuova, Il Mulino 2019, Piero Meogrossi, architetto, ispettore, già direttore tecnico MIBACT e studioso di archeo-astronomia. Ore 17.00-19.00 Tracce Lunari Spettacolo artistico e teatrale con l’artista Luca Valerio D’amico e l’attore Daniele Parisi.
Ore 21.00. Con biglietto d’ingresso.

Sabato 05/10
Urban talk: I diritti degli street artists e le sponsorizzazioni private nell’arte con l’Avvocato Roberto
Colantonio, autore dei libri La Steet art è illegale? e Art sponsor. La sponsorizzazione dell'arte

23/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 40. "Il maratoneta" (Marathon Man) di John Schelsinger (1976)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 40. "Il maratoneta" (Marathon Man) di John Schelsinger (1976)

Cosa è e cosa dovrebbe essere un thriller. 

New York: dopo l'assassinio del fratello (Roy Scheider), Babe Levy (Dustin Hoffman), giovane e timido ebreo americano - se la deve vedere con l'ex criminale nazista Szell (Laurence Olivier), trafficante di diamanti, sottratti agli ebrei bruciati nei forni della Seconda guerra mondiale. 

La mitologica storia di Davide contro Golia, riadattata nel contesto moderno in un thriller ambizioso e perfetto, tratto dal romanzo omonimo di William Goldman, autore anche della sceneggiatura e realizzato dalla mano esperta e felice di John Schlesinger.

Le psicologie sono approfondite, rese fino all'essenziale con il contributo di attori in stato di grazia. Ma è soprattutto nella suspence e nel tono spettacolare (senza volgari effetti roboanti), che il film dà il suo meglio, con scene da antologia, come quella in cui Szell rispolvera la sua prima e vecchia professione di dentista per torturare il malcapitato Babe e farsi dire qualcosa che nemmeno sa.

Il maratoneta del titolo è proprio Babe, che passa le sue giornate a correre per il Central Park, sognando di notte Abebe Bikila, e sarà proprio questa passione a salvarlo.

Grande fotografia di Conrad Hall.

Strepitoso il vecchio Sir Laurence Olivier nei panni del terribile criminale nazista.

Il Maratoneta
(Marathon Man)
di John Schlesinger
USA 1976
con Dustin Hoffman, Laurence Olivier, Marthe Keller, Roy Scheider, Lou Jacobi
durata: 125 minuti




22/09/19

Poesia della Domenica: "Dimmi che non sarà la morte" di Donata Doni




Dimmi che non sarà la morte


Sarà come incontrarti
per le strade di Galilea
e sentire il battito di luce
delle Tue pupille divine
riscaldare il mio volto.

Sarà la Tua mano
a prendere la mia
con un gesto d'amore
ignoto alla mia carne.

Sarà come quando parlavi
a chi era respinto
per i suoi peccati,
sarà come quando perdonavi.

Dimmi che non sarà la morte,
ma soltanto un ritrovo
di amici separati
da catene d'esilio.

Dimmi che non saranno
paludi d'ombra
a sommergermi,
né acque profonde
a travolgermi.

Solo il Tuo volto,
solo il Tuo incontro, Signore.


Donata Doni, Il pianto dei ciliegi fioriti
tratto da: Poesie di Dio a cura di Enzo Bianchi, Einaudi, 1999, pag. 168



21/09/19

Arriva a Roma "CARTHAGO. IL MITO IMMORTALE", la grande Mostra al Parco del Colosseo dedicata a Cartagine, la Rivale di Roma



La storia e la civiltà di una delle città più potenti e affascinanti del Mediterraneo antico saranno protagoniste, a partire da venerdì prossimo, 27 settembre e fino al 29 marzo 2020, della mostra Carthago. Il mito immortale. 

Il Colosseo, il Tempio di Romolo e la Rampa imperiale al Foro Romano accoglieranno materiali straordinari, provenienti dalle collezioni dei Musei archeologici nazionali italiani e stranieri, tra i quali spiccano quelli di Cartagine e del Bardo di Tunisi, di Beirut in Libano, di Madrid e di Cartagena in Spagna.

A curare la grande mostra, e a coordinare l’assiduo lavoro di cooperazione internazionale, è Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo, insieme a Francesca Guarneri, Paolo Xella e José Ángel Zamora López, con Martina Almonte e Federica Rinaldi.

L’esposizione, promossa dal Parco archeologico del Colosseo, con l’organizzazione di Electa, vedrà preziose ricostruzioni e installazioni multimediali accanto a più di 400 reperti mai esposti prima, risultato delle campagne di ricerca condotte dalla Soprintendenza del Mare siciliana alle Isole Egadi, per guidare il pubblico alla scoperta delle vicende che legano le due grandi potenze del mondo antico: Cartagine e Roma.

Il percorso narrativo accompagnerà il visitatore dalla fondazione dell’Oriente fenicio, per poi toccare la rifondazione della nuova Colonia Iulia Concordia Carthago, snodarsi tra le testimonianze del nascente cristianesimo, di cui Cartagine divennne il centro propulsore, e infine concludersi con una appendice sulla riscoperta della città alla luce dell’immaginario moderno e contemporaneo.

Ad accogliere il visitatore all’ingresso del Colosseo sarà una ricostruzione del Moloch del film Cabiria, diretto da Giovanni Pastrone e sceneggiato da Gabriele D’Annunzio: la terribile divinità legata ai culti fenici e ai Cartaginesi.

Carthago. Il Mito immortale
Parco del Colosseo
27 settembre - 29 marzo



20/09/19

Nulla succede per caso. Sincronicità e coincidenze nei periodi di transizione della nostra vita




Ci sono nella vita periodi che possiamo chiamare di transizione: sono quei periodi in cui la stabilità non è tale da darci soddisfazione interiore, e allora sentiamo di dover operare dei cambiamenti in un'esistenza diventata noiosa e paralizzante;  oppure momenti in cui eventi incontrollabili gettano lo scompiglio in una situazione che avevamo ormai accettato.   Talvolta questi periodi di transizione possono essere provocati da entrambi gli elementi: una necessità interna di cambiamento e una serie di eventi esterni che ci fanno uscire da un solco nel quale non sapevamo neppure di trovarci. 

Molti individui, durante questo processo di transizione, ricevono un aiuto non soltanto esterno o sociale, ma di carattere interno e psicologico: senza che lo desideri o lo si cerchi esso giunge nella forma di una sequenza accidentale di eventi che si verifica nel momento più adatto per aiutarci a proseguire, spesso proprio quando abbiamo la sensazione che ci sia ormai poco da fare. 

Uno dei tratti distintivi della concezione junghiana della psiche è la convinzione che essa sia un fenomeno naturale e che tutti i suoi aspetti, compresi quelli in apparenza patologici o distruttivi, abbiano in realtà la funzione di far sì che lo sviluppo psicologico non si arresti. 

La visione di Jung, secondo la quale i fenomeni psicologici hanno sempre una loro funzione, rafforza la sua concezione di sincronicità. Quando accadono eventi acausali, significativi sotto il profilo emotivo e sotto quello simbolico, il fatto di sperimentare psicologicamente una sincronicità consente in qualche modo di procedere.  

Ecco perché le sincronicità si verificano sempre in momenti di transizione cruciali.

Come l'aiuto che spesso riceviamo dall'esterno, la psiche ci fornisce a volte un aiuto interno e psicologico in forma di coincidenze significative. 





19/09/19

Bacon e Freud per la prima volta insieme a Roma in una grande mostra al Chiostro del Bramante

Lucien Freud, Girl with a kitten, 1947, in mostra al Chiostro del Bramante

BACON, FREUD, LA SCUOLA DI LONDRA 
Opere della TATE 26 settembre 2019 – 23 febbraio 2020 al Chiostro del Bramante di Roma

Due giganti della pittura, Francis Bacon e Lucian Freud per la prima volta insieme in una mostra in Italia. Uno dei più affascinanti, ampi e significativi capitoli dell’arte contemporanea mondiale con la Scuola di Londra. Una città straordinaria in un periodo rivoluzionario. Bacon, Freud, l’arte britannica in oltre sette decenni, lo spirito di una città in mostra al Chiostro del Bramante di Roma dall’autunno 2019 fino a febbraio 2020, a cura di Elena Crippa, Curator of Modern and Contemporary British Art, Tate e organizzata in collaborazione con Tate, Londra.

Insieme a Francis Bacon e Lucian Freud, Michael Andrews, Frank Auerbach, Leon Kossoff e Paula Rego, artisti che hanno segnato un’epoca, ispirato generazioni, utilizzato la pittura per raccontare la vita. 

Grazie a un prestito di Tate, la pittura di sei artisti con opere dal 1945 al 2004 rivela, in maniera diretta e sconvolgente, la natura umana fatta di fragilità, energia, opposti, eccessi, evasioni, nessun filtro, verità. Tanti i temi affrontati: gli anni della guerra e del dopoguerra, storie di immigrazione, tensioni, miserie e insieme, desiderio di cambiamento, ricerca e introspezione, ruolo della donna, dibattito culturale e riscatto sociale. Al centro di tutto questo la realtà: ispirazione, soggetto, strumento, fino a essere ossessione. 

Un tema più che mai attuale, in un’epoca, la nostra, di filtri e #nofilter. La scuola di Londra In mostra oltre quarantacinque dipinti, disegni e incisioni di artisti raggruppati nella “School of London”. 

Artisti eterogenei, nati tra l’inizio del Novecento e gli anni Trenta, immigrati in Inghilterra per motivi differenti che hanno trovato in Londra la loro città, il luogo dove studiare, lavorare, vivere. 

Francis Bacon (1909-1992) nasce e cresce in Irlanda e arriva in Inghilterra quindicenne, Lucian Freud (1922-2011) scappa dalla Germania per sfuggire il nazismo, lo stesso succede, pochi anni dopo a Frank Auerbach; Michael Andrews è norvegese e incontra Freud suo professore alla scuola d’arte; Leon Kossoff è nato a Londra da genitori ebrei russi; Paula Rego lascia il Portogallo per studiare pittura nelle scuole inglesi. 

Nell’architettura cinquecentesca progettata da Donato Bramante trovano spazio, con un approccio cronologico e tematico, opere che raccontano individui, luoghi, vita vissuta, per mostrare la totalità dell’esperienza di essere umano. Opere in cui la fragilità e la vitalità della condizione umana viene presentata tramite lo sguardo dell’artista: disegni e dipinti che ritraggono esistenze e luoghi scandagliati nella sua crudezza senza filtri. 

Per l'approfondimento sugli artisti vedi: www.chiostrodelbramante.it/mostra-bacon-freud-approfondimento


18/09/19

Esce in Libreria "Il Mondo senza Internet", un brillante saggio-fiction di Antonio Pascotto




Un libro davvero originale e fuori dal coro. 

Un brillante giornalista italiano si inventa un libro che non è propriamente né un romanzo, né un saggio, né un pamphlet, né una autofiction, così di voga nel mercato editoriale, ma tutte queste cose insieme.  

Partendo da una semplice e felice intuizione - quella di svegliarsi una mattina e scoprire che, per ragioni di sicurezza mondiali, l'intera rete web del pianeta è stata spenta, azzerata - Pascotto, con l'apparenza di raccontarci una sorta di cyber-thriller, insomma un romanzo di suspense "telematica", tutto giocato sull'uso dei sistemi digitali nelle vite delle persone, ci regala invece un documentatissimo saggio sui rischi, le patologie, le deformazioni, le paranoie, i cambiamenti sociali ed epocali, i deliri da astinenza, la postmodernità, e più in generale sulla felicità umana, ormai così strettamente connessa ai meccanismi "perversi" degli algoritmi. 

Si scoprono così dati inquietanti -  il 17.6% dei bambini italiani tra i 4 e 10 anni possiede uno smartphone; le distorsioni della cosiddetta Generazione X, quella cioè dei nati tra la seconda metà degli anni Novanta e il 2010; le frontiere ansiogene della Psicotecnologia, cioè l'estensione, attraverso un sistema di elaborazione dell'informazione, di alcune delle proprietà psicologiche della nostra mente; quelle della intelligenza artificiale che, in mancanza di un serio controllo, come avverte il fondatore di Android, Andy Rubin, potrebbe costituire un pericolo per la sopravvivenza stessa del mondo degli umani, come aveva già profetizzato Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio; oppure il semplice dato - spaventoso - che ciascuno di noi, secondo una ricerca della società americana Dscount's tocca lo schermo del proprio cellulare 2617 volte al giorno. 

Insomma, per chi è ghiotto di informazioni su una materia così pervadente e attuale del nostro tempo, questo libro spalanca conoscenze e orizzonti, e allo stesso tempo mantiene sempre desta l'attenzione grazie alla messa in scena di uno scenario "da fantascienza" che forse non è così lontano dall'esserlo. 

Un libro che si interroga su questioni che riguardano tutti noi e che ci costringono a domandarci cosa sia oggi l'umano, come esso sopravviva e se sopravviva alla tirannia della tecnologia e dei meccanismi economici che essa governa e su cui sono basati.   Analisi, razionalità, ricavi, economia, mercato. Sembra davvero che l'unica chance per l'uomo per non tradire la sua anima sia quella di coltivare, di dare sempre più spazio al proprio istinto primario, irrazionale, folle, grazie al quale anche la tecnologia è nata, come prodotto umano. Del resto "rimanere folli" è proprio quel comandamento che uno dei più grandi "guru" tecnologici, forse quello che più ha cambiato le nostre vite, Steve Jobs, ci ha lasciato.

Fabrizio Falconi


17/09/19

Domenica 29 Settembre alle 11 Passeggiata sui "Luoghi di Porpora e Nero" con Fabrizio Falconi




Domenica 29 settembre con appuntamento alle ore 11 davanti alla Fontana dei Fiumi di Piazza Navona condurrò su organizzazione dell'Editore Ponte Sisto una passeggiata sui "Luoghi di Porpora e Nero"

Toccheremo Piazza Navona/Stadio di Domiziano, Palazzo Primoli, Pantheon (dove si svolgono alcune scene importanti del romanzo) e concluderemo al Quartiere Ebraico, dove ho immaginato la casa e la libreria di Bonnard, il protagonista. 

La passeggiata è completamente gratuita. Al termine brindisi presso l'Editore, nei pressi di Ponte Sisto e chi vorrà potrà acquistare copia/e del romanzo.






16/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 39. "Totò le hèros" di Jaco Van Dormael (1991)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 39. "Totò le hèros" di Jaco Van Dormael (1991)

Un film clamorosamente bello e importante, che pochi conoscono.

Jaco Van Dormael, nato a Ixelles, in Belgio, nel 1957 è una delle personalità più originali del cinema contemporaneo.

La sua vicenda biografica è assai interessante: nato cinque anni dopo il fratello Pierre, Jaco alla  nascita rischiò di morire strangolato dal cordone ombelicale e, dal momento che ricevette un apporto insufficiente di ossigeno, si temette che avrebbe potuto presentare dei problemi mentali.

Da questo trauma probabilmente hanno avuto origine i temi ricorrenti dei suoi film, che esplorano i mondi delle persone con disabilità mentali e fisiche.

Van Dormael crebbe in Germania fino all'età di sette anni, quando la sua famiglia ritornò in Belgio. Felice nel lavorare con i bambini, tentò per qualche tempo la carriera di clown. Divenne produttore di animazione per bambini e lavorò in teatro e successivamente al cinema, approfondendo nei suoi film  la tematica dell'infanzia e osservatori "innocenti" delle sue narrazioni.

In Totò le Héros, il suo capolavoro, vincitore della Camera d'Or al Festival di Cannes del 1991,  Van Dormael, attraverso un intricato mosaico di flashback , ricostruisce la vicenda di un vecchio di nome Thomas Van Hasebroeck soprannominato Totò, il quale ricostruisce la sua vita, immaginando  come quegli eventi che l'hanno costituita, sarebbero potuti andare diversamente. 

Dall'età di otto anni, si ritiene che Thomas - giustamente o erroneamente - sia stato scambiato per errore alla nascita con un altro bambino, il suo vicino di casa Alfred Kant. 

La gelosia per quest'uomo migliore ha rovinato tutta la sua esistenza, a volte con conseguenze tragiche per la sua famiglia. E il continuo confronto con la vita che non ha avuto, e che avrebbe potuto avere consegnerà a  Thomas un modo più originale di dare un senso alla sua vita, accettandola in piena consapevolezza.

Un gioiello che merita di essere riscoperto.

Fabrizio Falconi

Totò le Hèros 
Regia di Jaco Van Dormael. 
Belgio, Francia, Germania, 1991 c
con Michel Bouquet, Thomas Godet, Michelle Perrier, Gisela Uhlen, Mireille Perrier. 
durata 89 minuti. 





15/09/19

Poesia della Domenica: "Spada e alloro" di Fabrizio Falconi





spada e alloro


ecco i misteriosi guardiani
del disimpegno, squadernano
cori e corride, abusi bandiere
sconce quadriglie, a un passo
sognano di infrangersi nel nulla
e sono già, il nulla.

non proni e non altrove;
biascichi un talento o una situazione
ti perdi in un mestiere d'acqua
ricordi quel giorno amorale e vecchio
sembra ieri
quando lei era al fianco
nel sole spadaccino di luglio
e le fronde d'alloro dell'Appia
il corpo ti coronavano, come
un busto arcaico, presente e scarno
vinto dalle sale del museo per amore
di realtà e d'incarnazione.



tratto da: Fabrizio Falconi, Nessun Pensiero Conosce l'Amore, Interno Poesia, 2018, p.64

"Ragazzi senza scopo e Genitori non più autori delle loro azioni", La decadenza moderna (finale?) secondo Umberto Galimberti intervistato oggi dal Corriere della Sera



Filosofo. Antropologo. Psicologo. Psicoanalista. Sociologo. Dal professor Umberto Galimberti ti aspetteresti un eloquio iniziatico all’altezza delle materie che ha insegnato, compendiate nelle 1.637 pagine del Nuovo dizionario di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze (Feltrinelli), alla cui stesura ha faticato per 15 anni. Invece parla ancora come «il numero 8» — si definisce così — dei 10 figli di Ernesto, ex partigiano, venditore di cioccolato Theobroma improvvisatosi impiegato bancario, che in un paio di locali aprì a Biassono la prima agenzia del Credito artigiano e morì di tumore il giorno dell’inaugurazione. «Da bambino andavo in ufficio ad aiutarlo: mi faceva timbrare gli assegni. Avevo 14 anni quando mancò. Sognavo di diventare medico. Ma due borse di studio mi spalancarono le porte di Filosofia alla Cattolica di Milano. Lì trovai i miei maestri: Gustavo Bontadini, Sofia Vanni Righi ed Emanuele Severino, con il quale mi laureai. C’erano anche Gianfranco Miglio e Francesco Alberoni. Poi lavorai per tre anni nel manicomio di Novara, dove conobbi il primario Eugenio Borgna. Fui io a obbligarlo a scrivere, prima non lo conosceva nessuno. Li sento ancora, Severino e Borgna. Ci vogliamo molto bene. Non ho mai capito il parricidio».
Fortunato ad avere dei padri così.
«Aggiunga Karl Jaspers, che frequentai a Basilea e che mi avviò alla psicopatologia. E Mario Trevi, con cui feci il percorso psicoanalitico. Oggi l’analisi non è più possibile. L’ultimo che ho accompagnato per cinque anni è stato il regista Luca Ronconi. Ma solo perché lì c’era un uomo. Capace di riflettere, incuriosito dalla sua vita».
Eppure qui nello studio vedo che c’è ancora il lettino dello psicoanalista.
«Non ho mai smesso di ricevere. La gente mi chiede di risolvergli i problemi. Invece la psicoanalisi è conoscenza di sé: sapere chi sei è meglio che vivere a tua insaputa. Quanto al dolore, non lo puoi cancellare con i farmaci».
L’angoscia più frequente qual è?
«Quella provocata dal nichilismo. I ragazzi non stanno bene, ma non capiscono nemmeno perché. Gli manca lo scopo. Per loro il futuro da promessa è divenuto minaccia. Bevono tanto, si drogano, vivono di notte anziché di giorno per non assaporare la propria insignificanza sociale. Nessuno li convoca. Non potendo fare nulla, erodono la ricchezza accumulata dai padri e dai nonni».
Stanno male anche i genitori?
«Eccome. Senza che lo sappiano, non sono più autori delle loro azioni. Nell’età della tecnica sono diventati funzionari di apparato. Vengono misurati solo dal grado di efficienza e produttività. Nel 1979, quando cominciai a fare lo psicoanalista, le problematiche erano a sfondo emotivo, sentimentale e sessuale. Ora riguardano il vuoto di senso».
La mia è la prima generazione che consegna ai suoi figli un futuro ben peggiore di quello lasciatoci in eredità dai nostri padri, spesso nullatenenti.
«Fino a 37 anni ho insegnato storia e filosofia nei licei. Guadagnavo 110.000 lire al mese. Un appartamento ne costava 75.000 al metro quadro. In famiglia abbiamo tutti studiato. Le mie cinque sorelle frequentavano l’università e intanto facevano le colf. Oggi mi tocca aiutare la mia unica figlia, che ha tre bambini».



14/09/19

Cos'è il Simbolo. Galimberti spiega Platone.



La parola "simbolo" deriva dal greco symbàllein che significa "mettere assieme".  Nell'antica Grecia era diffusa la consuetudine di tagliare in due un anello, una moneta o qualsiasi oggetto, e darne una metà a un amico o a un ospite.

Queste metà, conservate dall'una e dall'altra parte, di generazione in generazione, consentivano ai discendenti dei due amici di riconoscersi.

Questo segno di riconoscimento si chiamava simbolo. 

Platone, riferendo il mito di "Zeus che, volendo castigare l'uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due" conclude che da allora "Ciascuno di noi è il simbolo di un uomo (Hèkastos oun emon estin anthropou symbolon), la metà che cerca l'altra metà, il simbolo corrispondente.



In testa: Silenzio per l'anima, Wilhelm Bernatzik, 1906

13/09/19

Greta Garbo icona della Festa del Cinema di Roma 2019 che si apre il 17 Ottobre



Greta Garbo, la prima grande diva della storia del cinema, è la protagonista dell`immagine ufficiale della quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, che si svolgerà dal 17 al 27 ottobre 2019 presso l`Auditorium Parco della Musica con la direzione artistica di Antonio Monda, prodotta dalla Fondazione Cinema per Roma, Presidente Laura Delli Colli, Direttore Generale Francesca Via. 

La perfezione dei suoi lineamenti e il fascino conturbante e misterioso della sua figura valsero a Greta Garbo l'appellativo di "divina"

Nata in Svezia ma naturalizzata in America, Greta Garbo e' la prima grande icona di bellezza della settima arte, simbolo di quella femminilità degli anni `20 che si impose in tutto il mondo e che seppe conquistare il pubblico con il suo carisma e magnetismo.

Il suo volto e' impresso in maniera indelebile nella memoria collettiva perché, come scrive Roland Barthes in Miti d`oggi, "Greta Garbo appartiene ancora a quel momento del cinema in cui la sola cattura del viso umano provocava nelle folle il massimo turbamento". 

La foto scelta per rappresentare la quattordicesima edizione della Festa e' un omaggio alla bellezza del cinema ed e' stata scattata in occasione delle riprese del film del 1929, Il bacio (The Kiss). 

"In Viale del Tramonto, la protagonista Norma Desmond rimpiange il cinema muto, in cui non c`era bisogno di dialoghi: 'Noi avevamo le facce', dice, ma poi ci ripensa e aggiunge: 'Solo una l`aveva, la Garbo'. L`immagine scelta per la Festa - ha spiegato Antonio Monda - celebra il volto e la grandezza della divina Garbo, proprio nel suo primo film sonoro The Kiss: e' un`immagine piena di mistero e sensualita', che ne celebra il fascino irresistibile e senza tempo"

12/09/19

Amore e Caso secondo Hillman



"Amore" è una sola parola per fenomeni così diversi...


Il problema è: cosa fa la psiche attirandoci in questo desiderio concreto, in questo desiderio di concretezza, e facendoci precipitare in uno dei tanti tipi di amore?

Perché di questo si tratta: di una caduta, di un cascarci.


In tedesco Fall (Scritto come l'inglese fall, caduta), è la trappola, ma è anche il caso, come il latino cadere, che è anche la radice di caso

Essere innamorati significa essere un caso.


Essere caduti in trappola, la trappola del desiderio concreto, come ci casca un animale. Esserci cascati. Ma non "nel peccato".  Non nel "desiderio animale". Quello che è successo è che di colpo ci siamo resi conto della gabbia che abbiamo costruito intorno all'animale, dopo di che diamo la colpa all'animale e diciamo che siamo caduti nell'animale. 


Ma l'animale non cade (Fall in love, forma idiomatica inglese che vale "innamorarsi" o più alla lettera "cadere innamorati") innamorato;  non ne ha bisogno - non perché è già troppo in basso, ma perché non crede di non essere animale, dal quale possa cadere.