29/06/19

Eccezionale a Roma ! Spunta all'Aventino un affresco medievale intatto.





Nascosto da un muro per quasi 900 anni, riemerge a Roma in un'intercapedine nella chiesa di Sant'Alessio all'Aventino, un grande affresco medievale dai colori in incredibile stato di conservazione.

"Un ritrovamento assolutamente eccezionale", illustra in esclusiva all'ANSA, la storica dell'arte Claudia Viggiani, autrice della scoperta, "anche per l'iconografia rarissima dei due personaggi che si riconoscono nella parte del dipinto al momento visibile, con tutta probabilita' Sant' Alessio e il Cristo pellegrino".

Il grande mantello color della porpora sulle vesti succinte del pellegrino, la mano alzata quasi a voler presentare la maesta' del Cristo che accanto a lui benedice i fedeli.

La scoperta e' il frutto di un'indagine lunga anni e un po' ha il sapore del giallo.

"Tutto e' partito durante una ricerca d'archivio", racconta Viggiani, che al lavoro di ricercatrice ha alternato quello di consulente culturale di sindaci e ministri. Ad accendere la sua curiosita', una lettera scritta nel 1965 dall'Ufficio speciale del Genio Civile per le Opere edilizie della capitale alla Soprintendenza ai monumenti per il Lazio, nella quale si parla di "un affresco in ottimo stato di conservazione" casualmente rinvenuto durante i lavori per il consolidamento di una torre campanaria.

Gia', ma di quale chiesa? il documento, racconta Viggiani, non lo diceva. L'oscuro funzionario che negli anni Sessanta si era trovato di fronte alla meraviglia di quei colori aveva alla fine richiuso la porta lasciando il dipinto al suo secolare oblio.

"C'e' voluto un po', ma alla fine l'ho trovato", sorride oggi la studiosa. In questa storia, racconta, la determinazione e' stata determinante. Qualche mese fa l'opera e' stata messa in sicurezza dalla restauratrice Susanna Sarmati con un progetto realizzato grazie alla soprintendenza speciale di Roma guidata da Francesco Prosperetti con la direzione lavori di Mariella Nuzzo e Carlo Festa. Il portoncino sul retro di Sant'Alessio che nasconde l'intercapedine del tesoro e' pero' ancora inaccessibile per evidenti problemi di sicurezza. Tant'e'. Varcare quella porta con il permesso di don Bruno, storico parroco di Sant'Alessio, e' una sorpresa che toglie il fiato, con l'esplosione dei colori, il nero cosi' intenso dello sfondo, il cinabro del mantello, la lucentezza delle aureole. Ma anche lo sguardo penetrante nel volto roseo del Cristo, la serenita' ieratica nei tratti del Santo che lo imita e un po' gli rassomiglia, quasi volesse presentarsi come una copia 'umana' del Messia.


Riferibile alla meta' del XII secolo, il dipinto e' inquadrato da una cornice policroma che la restauratrice Sarmati definisce di una "eccezionale raffinatezza", difficile soprattutto "trovarne di cosi' complete e integre", spiega, mentre indica sulla parete le pennellate originali che e' ancora possibile distinguere.

Anche per lei e' un'emozione. Perche' e' vero che a Roma esistono altri affreschi medievali, dice citando tra gli altri le decorazioni pittoriche dell'Oratorio mariano di Santa Prudenziana, quelle della chiesa di San Giovanni a Porta Latina o dell'Oratorio di San Giuliano in San Paolo. "Ma il loro stato di conservazione, nonostante i restauri e' mediocre, mentre questo, che pure non e' stato mai toccato e' quasi perfetto".

Nella chiesa delle origini, illustra Viggiani, il dipinto occupava la parete della controfacciata, in una posizione di rilievo dovuta anche alla fama che accompagnava in quell'epoca le vicende di Sant'Alessio. E proprio il rispetto devozionale per il santo che si diceva fosse figlio del senatore romano Eufemiano e che in qualche modo sembra aver fatto da trait d'union tra la Roma pagana e quella medievale, sarebbe alla base dell'incredibile conservazione del dipinto. "Chi ristrutturo' la chiesa nei secoli successivi murando la controfacciata fece comunque attenzione a proteggere l'affresco", fa notare. Tanto che probabilmente una piccola parte di questo, con il volto di Sant'Alessio, rimase per secoli a disposizione dei fedeli attraverso una feritoia aperta sull'interno della navata. Attualmente il dipinto misura 90 centimetri di larghezza per oltre 4 di altezza. Un'altra porzione, grande almeno altrettanto, e' ancora nascosta dal muro. Viggiani e' decisa a riportarla alla luce: "Lo dobbiamo ai romani - dice - e ci aspettiamo ancora sorprese".

27/06/19

Per la festa dei Patroni di Roma Pietro e Paolo, sabato 29 Giugno Ingresso Gratuito ai Fori Romani e Visita Notturna al Museo di Palazzo Braschi !



In occasione della Festivita' dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di Roma, due grandi iniziative promosse da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali per il prossimo 29 giugno. 

Prende il via la bigliettazione congiunta del nuovo ticket Forum Pass. Alla scoperta dei Fori per accedere al percorso unificato dell'area archeologica dal Foro Romano ai Fori Imperiali, realizzato grazie all'intesa siglata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e dal Parco archeologico del Colosseo per conto di Roma Capitale e MIBAC. 

E per festeggiare i patroni della Capitale, questa prima giornata sara' ad ingresso gratuito, con ingressi dalle 8.30 alle 19.15 per cittadini e turisti. 

Saranno in tutto cinque gli ingressi dai quali si potra' accedere all'area archeologica unificata con il nuovo unico biglietto'Forum Pass. Alla scoperta dei Fori': quattro del Parco Archeologico del Colosseo (largo Corrado Ricci, via Sacra in prossimita' dell'arco di Tito, via di San Gregorio, via del Tulliano di fronte al carcere Mamertino) e uno della Sovrintendenza Capitolina (piazza della Madonna di Loreto vicino alla Colonna Traiana). 

Inoltre, il Museo di Roma a Palazzo Braschi sara' straordinariamente aperto dalle 19 alle 24 (ultimo ingresso alle 23) con la serata-evento Tutt'altra musica. La marchesa Boccapaduli e il suo Cabinet di storia naturale al Museo di Roma, in collaborazione con la Fondazione Teatro dell'Opera di Roma. La serata iniziera' alle 19.

26/06/19

"Porpora e Nero" da oggi anche su Amazon (e sulle altre librerie online)



Da oggi Porpora e Nero è acquistabile anche su Amazon, Feltrinelli, Ibs e tutte le librerie on line, oltre che direttamente sul sito dell'Editore Ponte Sisto.


Porpora e Nero è la lettura ideale per le vostre vacanze. Come recita il retro di copertina: un mistero nel cuore di Roma. Chi c'è dietro il clamoroso furto della "Palla Sansonis", il preziosissimo reperto romano, conservato ai Musei Capitolini? Sette esoteriche, Vaticano e servizi stranieri in gara per scoprire un inquietante segreto della storia di Roma, strettamente legato alla vita, alle imprese e alle leggende dell'imperatore Costantino. A districare la trama due improbabili detective: il vecchio erudito Bonnard e la giovane archeologa Laura Balme.





Come ho ricordato più volte la vicenda prende spunto da un reperto realmente esistente e che è ammirabile visitando i Musei Capitolini: la colossale mano squarciata e la cosiddetta Palla Sansonis, i quali erano anticamente un unico pezzo di fusione (in bronzo), appartenenti a un gigantesco acrolico probabilmente attinente all'Imperatore Costantino il Grande. 

Qui sotto due foto del meraviglioso reperto romano, messo a raffronto con la mano di un visitatore.




Fabrizio Falconi

24/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 31. Moby Dick, la balena bianca (Moby Dick) di John Huston (1956)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 31. Moby Dick, la balena bianca (Moby Dick) di John Huston (1956)

Le avventure del Capitano Achab, interpretato da un memorabile Gregory Peck, e della mitica balena bianca, protagonisti del romanzo-mondo di Melville, portate sullo schermo da un gigante della regia, John Huston. 

Come avviene nel libro, Achab coinvolge tutto l'equipaggio della sua baleniera Pequod in un duello mortale contro la balena bianca, Moby Dick, che in un precedente scontro in alto mare gli aveva mangiato una gamba. 

Di tutto l'equipaggio si salverà soltanto il giovane Ismaele (Richard Basehart), che è la voce narrante della storia, nel libro e nel film. 

Huston decise coraggiosamente di affrontare il gigante letterario creato da Melville, realizzandone il secondo rifacimento al cinema (il primo era stato nel 1930 con protagonista John Barrymore), affidandosi al cosceneggiatore Ray Bradbury, che all'epoca aveva soltanto 26 anni e che sarebbe diventato uno dei più grandi scrittori americani di sempre del genere fantastico. 

Huston rende mitologica la storia, infondendola di forti significati simbolico-religioso: nel cetaceo è identificata la cieca spietatezza di un Dio che decide le sorti umane, contro cui l'uomo scatena la sua disperata rivolta. 

Lo stesso regista si sorprese che il film non scandalizzasse come nelle sue intenzioni avrebbe voluto: "Questo film è una bestemmia", disse, "e mi sorprendo che nessuno protesti".

In realtà il film oggi si apprezza come un classico, con un cast stellare che comprende perfino Orson Welles nei panni di invasato predicatore che ammonisce da un pulpito a forma di nave. 

L'impresa di tradurre un libro come quello di Melville - un monumento della letteratura - in un film di due ore, appariva come una impresa impossibile.  Huston vinse la sfida realizzando un film appassionante che - come l'originale melvilliano - riflette sulla origine e sulla natura del male, sulla colpa, sul destino umano, sulla redenzione e sulla sofferenza, sulle capacità umane e sulle sue inevitabili finitudini e sconfitte.




23/06/19

L'amore malato - Intervista (immaginaria) al Visconte di Valmont



- Dottor Visconte, che piacere averla qui e come la trovo in forma, nonostante il trapasso ! Qual è il segreto di tanta freschezza?
- Valmont:  Ho chiesto suffragi al Conte di Saint-German, il quale come lei è sa, è Maestro di trasformazioni ectoplasmatiche. Lui mi ha insegnato a indossare i panni dello spirito che vaga.  Soltanto, non mi aveva avvertito della sofferenza di questa condizione.  

- Sofferenza ? Perché mai ? Non è bello essere un fantasma ?
- No.  Non si trova mai pace.  E per uno come me che pace non l'ha avuta nemmeno in terra, non è una bella cosa. Oltretutto, devo vedere ciò che succede ora, ai vostri tempi e non mi piace.

- Non le piace il mondo moderno ?
- Di tutte le cose del mondo moderno, mi interessa poco. Come sa, le mie competenze riguardano soltanto l'amore, la seduzione, il desiderio. E' questo il mio terreno, come le infezioni e la gotta lo sono per i dottori. 

- E cosa vede, dunque, che non le aggrada?
- Devo dire, tutto.  Il vostro amore è diventato così ordinario e così malato. 
- Malato ? Lei Visconte, non dovrebbe proprio dirlo. Insieme alla sua degna compare e complice, la Marchesa di Marteuil, siete praticamente gli inventori del sotterfugio e della crudeltà amorosa, praticata con metodo scientifico. 
- Lo contesto.  Il nostro amore - anche se perverso, eccessivo, debordante, era una forma d'arte.  Oggi la gente si ama quasi inconsapevolmente, come fanno gli animali, senza sapere nulla di cosa sia veramente l'amore. 

- E cosa è l'amore, dunque ?
- L'amore è spirito. L'amore è fatto di bella conversazione, di sentimento poetico (la prosa, gli impegni, gli appuntamenti, la cronaca, le faccende, le complicazioni, le contorsioni sono l'esatto contrario dell'amore), di desiderio senza ombre. E' uno spirito che si incarna e che vive soltanto attraverso gli amanti. Gli amanti sono il corpo dello spirito.  Sono loro che devono essere all'altezza dello spirito che si incarna in loro, che li sceglie.  L'amore è sublime, è la cosa più alta che sperimentiamo in vita.  Qui invece sembra che ci si ami soltanto per un vuoto, per riempire un desiderio.  Mentre si ama, o piuttosto mentre si crede di amare, si dicono cose folli, soltanto per ottenere ciò che si vuole in quel momento. 

- Per esempio ?
- Una donna che vuole raggiungere lo scopo di sentirsi al sicuro, di sentirsi protetta, di avere un futuro, di avere un uomo che la rassicuri, potrà dire a quell'uomo - che ha sessant'anni - che lei "ama i vecchi" e che i giovani non la interessano minimamente. Salvo, pochi mesi dopo manifestare l'esatto appassionato contrario.  Un uomo che vuole allontanare da lui una donna, che ha cinquant'anni e lui sessanta, dirà a quella donna che il sesso "è roba per giovani", e che corpi non più giovani dovrebbero astenersi dalle belle pratiche erotiche; salvo, pochi mesi dopo, quando la donna si è allontanata da lui, frequentare soltanto giovani e disinibite pulzelle, dai corpi freschi e giovanili. 

- L'amore non ha sempre utilizzato questi espedienti ? 
- Non l'amore, gli esseri umani. Gli esseri umani sono meschini, non sanno nemmeno cosa sia veramente l'amore.  Cercano soltanto, come in uno spazio vuoto, l'immagine di se stessi riflessa nell'altro. Non c'è amore, non c'è in realtà nessun vero interesse per l'altro, per la mente dell'altro, per il cuore o l'anima dell'altro, per la sua sofferenza, per la battaglia che lui o lei conduce quotidianamente. C'è solo il conto dei possibili vantaggi.  Uomini e donne si usano come "mezzi" per raggiungere qualcosa dentro il proprio sé: quella che è pensata e creduta come una evoluzione personale (e invece è soltanto una involuzione), una emancipazione, una "maggiore libertà". Da cosa poi ? La libertà di oggi fa ridere.  Ci si sente liberi se si possono fare le sei di mattina in un locale da ballo. La vera libertà si conquista soltanto scendendo nelle proprie profondità, affrontandole veramente, capendo quali sono le proprie dipendenze e le proprie distorsioni, le cose che ci allontanano costantemente dalla nostra autenticità. 
- Visconte non mi sta facendo troppo lo psicologo ? Lassù nel vostro regno di fantasmi siete così pesanti ?
- No, è solo che personalmente, avendo vissuto, si vorrebbe risparmiare a voi viventi qualche sofferenza di troppo. Ma in fondo ha ragione: anche le sofferenze, qui giù da voi, non sono autentiche.  L'autenticità in effetti è la cartina di tornasole dell'amore. E' così difficile essere autentici. E solo chi ama veramente lo è davvero.  Per il resto, si interpreta una parte.  Si gioca alla passione romantica, si crede alla potenza dell'amore per l'uomo o per la donna tormentati, perché soltanto così si ha l'alibi per non crescere mai, perché come si sa, nessun amante è mai riuscito a cambiare, a trasformare a redimere, un uomo o una donna realmente "tormentati" (ammesso e non concesso poi che quei tormenti, a loro volta, siano autentici). 

- Dunque non abbiamo speranza ? Dobbiamo continuare ad libitum il gioco delle eterne seduzioni, dei balletti per illuderci di riempire di senso le nostre vite ?
- L'intento mio e della Marchesa - questo nessuno lo ha capito - era proprio questo: smascherare tutte le bassezze dell'amore malato.  Far capire quanto sia facile con un piccolo inganno, con l'arte più semplice della seduzione, con la glorificazione dell'altro, con il farlo sentire al centro del tuo - e del suo mondo - con il fingersi "tormentati" (ah, io ero uno specialista in questo ! Quella povera Madame de Tourvel! Come ha abboccato, la poverina!)  - prendere possesso del cuore di qualcuno e del suo corpo, e farne quel che si vuole.  
Ma per mostrare che tutto questo NON è amore! 
- Quindi voi due, Visconte, lei e Marchesa, sareste due benefattori dell'umanità ?
- Non aspiro a tanto, certamente. Soltanto che il mio cuore non è nero, come si è sempre pensato. Soffrivo per le mie vittime, sa ? Soffrivo molto, per la loro completa dabbenaggine, per la loro inconsapevolezza, per la facilità con cui la loro parte infantile cadeva, desiderava con tutte le forze, cadere nella trappola della atroce sofferenza d'amore. 

- Dunque si pente ?
- No, non mi pento. Ho svolto un compito pedagogicoL'amore è davvero l'unica forza trasformativa della vita. Voi - come noi - l'abbiamo ridotta a un riempitivo, a un aperitivo, a un gioco di ruoli. 

Ma quindi anche lei ha spesso di credere all'amore ?
- Neanche per sogno. L'amore esiste. Ne è la prova il fatto che sia qui, ad espiare ciò che ho fatto, vedendo questo triste mondo delle relazioni - com'è che le chiamate adesso voi, "liquide" - che si svolge sotto i miei occhi. Che terribile babele ! Che legami, che cose senza senso! 

E a quale tipo di amore crede ?
- A quell'amore unico e raro che spetta solo ai rari.  Che non tradisce e non scolora. Che non può essere profanato, perché è sacro.  

- Sacro ?
- Sì, ha presente quando fu detto: "E dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" ? L'amore è soltanto questo.


Fabrizio Falconi
2019


21/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 30. "Missing-scomparso" (Missing) di Costantin Costa-Gavras



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 30. "Missing-scomparso" (Missing) di Costantin Costa-Gavras

Il padre (Lemmon) di un giornalista americano vola in un paese dell'America Latina (presumibilmente e con ogni probabilità il Cile di Pinochet) per cercare il figlio desaparecido (Shea): lo aiuterà la compagna di questi (Sissy Spacek), mentre le autorità statunitensi cercano di nascondere la verità. 

Basato sulla vera esperienza di Ed Horman, uno straordinario dramma umano e politico costruito come un vibrante thriller cospirativo, dove il classico tema della sparizione della vittima è sviluppato ed esaltato attraverso la scioccante disillusione degli "investigatori".

Un colpo di Stato e un colpo al cuore di tutti gli spettatori democratici, una conferma per chi crede nel cinema d'impegno civile.

Grandioso Lemmon nell'impersonare il tipico middle-classe man americano, che crede nei valori fondamentali della giustizia (occidentale) e che è costretto a discendere fino nel pozzo dell'inferno, vedendo sconvolti tutti i suoi punti di riferimento; bravissima la Spacek.

Un film perfetto che arriva dritto al cuore dello spettatore, senza sentimentalismi né effetti.

Vinse, tra i moltissimi premi,  meritatamente la Palma d'Oro per Costa Gavras e quella per Jack Lemmon al Festival di Cannes del 1982 e il Premio Oscar per la migliore sceneggiatura non originale a Costa Gavras, nel 1982. 

Missing-Scomparso
(Missing)
di Costantin Costa-Gavras
Usa, 1982
con Jack Lemmon, Sissy Spacek, John Shea


20/06/19

Venduta all'asta per 162.500 euro la pistola con cui si suicidò Vincent Van Gogh



La pistola che Vincent van Gogh potrebbe aver usato per togliersi la vita e' stata venduta all'asta per 162.500 euro, quasi tre volte piu' del previsto.

Il revolver arrugginito è stato acquistato da un collezionista privato via telefono, scrive il sito della Bbc.

L'arma era stata trovata da un contadino nel 1965 vicino al villaggio in cui l'artista trascorse i suoi ultimi giorni.

Aveva all'incirca l'età giusta ed era dello stesso calibro del proiettile utilizzato da Van Gogh. Tuttavia, permangono dubbi sulla sua autenticità. 

Il 27 luglio 1890 l'artista olandese raggiunse un campo vicino a Auvers-sur-Oise, un villaggio a pochi chilometri a Nord di Parigi, e si sparo' al petto.


La pistola era di potenza limitata e ci vollero giorni perche' Van Gogh morisse per le ferite riportate. 

Secondo gli esperti la pistola era rimasta nel campo tra 50 e 80 anni.

Ma rimane il dubbio se il revolver, che era stato precedentemente conservato al Museo Van Gogh di Amsterdam, sia l'arma che il pittore effettivamente utilizzo' per uccidersi.

Il Van Gogh Institute, che si occupa della casa dove il pittore visse i suoi ultimi giorni, ha criticato l'asta.

"Niente suggerisce che i resti (della pistola) siano collegati alla morte di Van Gogh", ha scritto in una nota, deplorando la "commercializzazione di una tragedia che merita piu' rispetto". 

Fonte Askanews

18/06/19

Libro del Giorno: "Silenzi" di Emily Dickinson


Arrivata in Italia soltanto con la prima edizione critica del 1955, l'opera di Emily Dickinson ha conosciuto un crescente successo cui ha certamente contribuito il lavoro di divulgazione e di traduzione di Barbara Lanati, innanzitutto con questo fortunato libro, uscito per la prima volta nel 1990 che raccoglie una meditata selezione dell'opera della grande poetessa di Amherst. 

Con l'interesse per l'opera è parimenti cresciuto in Italia quello per il personaggio Emily, per la sua vicenda biografica interessantissima nella sua particolarità unica.  Una vita vissuta in autoreclusione, in perenne ombra, al riparo della stanza al secondo piano della Mansion in perfetto stile New England dove la Dickinson visse praticamente i 56 anni della sua vita, con la misera eccezione di qualche rarissimo viaggio nelle città vicine.  

Come è noto, la Dickinson visse una vita di totale anonimato - in tutta la sua esistenza non pubblicò che sette poesie, in alcune riviste letterarie dell'epoca - anche se per la eccentricità della sua scelta di vita, per il riserbo assoluto con cui visse, per la maniacalità con cui per molto tempo evitò perfino di farsi vedere dagli ospiti nella sua stessa casa - sembra che per quindici anni non uscì mai dalla sua stanza, se non una sola volta per partecipare ai funerali di uno dei suoi nipoti morto prematuramente - per la fitta e corposissima corrispondenza che curò - più di duemila lettere - con interlocutori diversi, anche uomini con cui tessé amori platonici, per la sua straordinaria conoscenza della poesia classica, era già soprannominata dai vicini Il Mito

Barbara Lanati nella bella prefazione al volume ricostruisce in parte questa vicenda biografica, scandagliando le pieghe misteriose di una poesia metafisica e crepuscolare: estasi e passione, dolore e morte nutrono i versi della Dickinson che a dispetto della sua immagine di vergine riservata, chiusa e timida del Massachussets, vittima dell'autorità morale paterna e del vittorianesimo imperante, seppe esprimere una scrittura inquieta e inquietante, "astratta e insieme raffinatamente sensuale sgorgata da una vita fatta di reclusione, silenzio, attesa."

Eremita moderna fuori dalla religiosità dogmatica o confessionale, la Dickinson continua a interrogarci con i suoi meravigliosi, enigmatici, affascinanti versi immortali. 


Silenzi
cura e traduzione di Barbara Lanati 
Feltrinelli, 2014 
Pagine: 240 Prezzo: 9,50€ 
ISBN: 9788807900853 

17/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 29. "The Hours" di Stephen Daldry (2002)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 29. "The Hours" di Stephen Daldry (2002) 


E' uno dei film migliori degli ultimi due decenni, The Hours diretto nel 2002 dall'inglese Stephen Daldry, basato sul romanzo omonimo di Michael Cunningham, che vinse il premio Pulitzer.

Nel film - come anche nel libro - si intrecciano le vicende di tre donne, in tre diversi momenti della nostra storia. 

Quella della scrittrice Virginia Woolf - il film inizia nel 1941, nel Sussex quando, dopo avere lasciato una lettera al marito Leonard in cui dice di non potere più combattere contro la depressione, ringraziandolo per la felicità che le ha dato, si suicida annegandosi nel fiume Ouse; quella di Laura Brown, una casalinga infelice che aspetta un bambino, nel 1951; quella di una editor bisessuale, Clarissa Vaughan, che sta preparando una festa per il suo ex-amante Richard che sta per morire di AIDS, nel 2001.

Le tre donne sono interpretate rispettivamente da Nicole Kidman, Julianne Moore e Meryl Streep. 

Il film dunque racconta una giornata vissuta da tre donne, nel 1923, nel 1951 e nel 2001.

In quel giorno del 1923 Virginia si è stabilita a Richmond, sperando che l'aria di campagna le faccia passare gli esaurimenti nervosi e il profondissimo disagio psichico con cui convive e quella mattina comincia a scrivere quello che diventerà uno dei suoi romanzi più famosi: La signora Dalloway. Virginia riceve la visita di sua sorella Vanessa e dei due figli maschi di lei, Quentin e Julian. Il disagio aumenta, Virginia tenta una fuga da casa e va alla stazione dei treni, ma viene raggiunta da Leonard, al quale spiega in un drammatico colloquio che non può più restare lì con lui e che  vorrebbe tornare a Londra. 

In quel giorno del 1951, a  Los Angeles invece, Laura Brown è una donna che vive col marito Dan e il figlio Richie. Laura è una donna infelice, e non vuole nemmeno avere il bambino che aspetta. Il marito la ama tanto, ma lei in fondo sa di non ricambiare il sentimento. L'unica cosa che la conforta è la lettura del romanzo La signora Dalloway. E proprio in quel giorno, che è il compleanno di Dan, e in cui perfino la torta che ha preparato non riesce bene, riceve la visita di Kitty, una vicina di casa che le rivela di dover essere operata per la rimozione di un tumore all'utero. E' il campanello d'allarme per  Laura che non riesce più a sopportare la sua vita e decide di suicidarsi nella camera di un albergo, senza riuscire a portare a termine il suo proposito. 

In quel giorno del 2001 a New York, infine, Clarissa saluta la sua fidanzata Sally e va a comprare i fiori per Richard, che la chiama ostinatamente "Signora Dalloway", suo ex amante ora malato di AIDS, che proprio quella sera riceverà un'onorificenza per il suo lavoro nel campo della letteratura. Richard, un premio che lui non ritiene di meritare. Nel pomeriggio Clarissa va da Richard, che confessa alla donna l'amore che ha sempre provato per lei, citando le parole che Virginia Woolf aveva scritto nella lettera d'addio per il marito, e finisce per gettarsi dalla finestra sotto gli occhi di lei.

Il film finisce come è iniziato, ovvero con il suicidio di Virginia nel 1941. Mentre si immerge si sente la voce di Virginia pronunciare le frasi finali del film, rivolte a Leonard: «Caro Leonard, guardare la vita in faccia, sempre; guardare la vita, sempre, riconoscerla per quello che è; alla fine, conoscerla, amarla per quello che è, e poi metterla da parte. Leonard, per sempre gli anni che abbiamo trascorso; per sempre gli anni; per sempre, l'amore; per sempre, le ore.»

E' un film meravigliosamente riuscito, scandito dalle superbe musiche di Philip Glass, che rappresentano un capolavoro nel capolavoro, impreziosito dalla interpretazione delle tre straordinarie attrici e dai loro comprimari. 

Un film sul dolore del vivere, sulla inquietudine interiore, sulla impossibilità di essere felici e di dimenticare il peso della morte, sulla forza invisibile della vita e degli affetti veri, dell'amore che cura e dell'amore che fallisce. 

The Hours è un film che non si dimentica e si rivede con le stesse emozioni della prima volta, lasciandosi avvolgere dall'intenso profumo di vita e di morte che vi si respira.

Moltissimi premi ricevuti in tutto il mondo, compresa la statuetta per la migliore attrice a Nicole Kidman, autrice di una prova al limite delle capacità interpretative, sotto un pesante trucco che le ha dato le sembianze della grande Virginia Woolf. 

Fabrizio Falconi





13/06/19

28 giugno presentazione a Napoli di "Rima di frattura"




Sarà presentato a Napoli, Venerdì 28 giugno alle ore 18.00, allo  Spazio Guida in via Bisignano 11, "Rima di Frattura" il nuovo libro di Paola d'Agnese e Fabrizio Falconi appena uscito da Guida Editori.
Poesie che mirano a creare una “Rima di frattura” (Guida editori), di Paola D’Agnese e Fabrizio Falconi. “Ognuno di noi, almeno una volta, ha chiesto tempo. Tempo per andare, tempo per parlare… A chi me ne chiede dico sì… una, due, mille volte. Prendo tempo al tempo, formando una lunga catena di minuti. Minuti importanti, preziosissimi. Me li regalo. Te li regalo. Eccoli” scrive D’Agnese. 
Con gli autori ci saranno Antonio Pietropaoli e Floriana Coppola.

12/06/19

Libro del Giorno: "Di là dal fiume e tra gli alberi" di Ernest Hemingway




Pubblicato nel 1950, questo romanzo fa seguito al silenzio di Hemingway, durato 10 anni e seguito alla pubblicazione di Per chi suona la campana, nel 1939, uno dei più grandi successi. 

Il contrario di quello che accadde a Di là dal fiume e tra gli alberi, che fu ferocemente stroncato dalla critica, che aspettava al varco il ritorno di Hemingway dopo tanta inattività da scrittore, visto che in quei 10 lunghi anni era stato impegnato su ogni fronte: da quello bellico, in Europa durante la seconda guerra mondiale, a quello giornalistico, con le corrispondenze dalla Cina, da quello privato, con nuovi amori e nuove mogli, a quello itinerante, con i suoi viaggi avventurosi che lo condussero ovunque. 

Di là dal fiume e tra gli alberi è un romanzo singolarissimo,  quasi un non-romanzo che su 350 pagine si compone di quasi 200 pagine di ininterrotto dialogo tra i due protagonisti, un colonnello di fanteria USA, Cantwell, cinquantenne, alter-ego dello scrittore, e una diciannovenne contessina veneziana, sullo sfondo della Venezia più amata da Hemingway, quella invernale e notturna dell'Hotel Gritti, del caffè Florian e delle continue bevute al mitico Harry's Bar di Cipriani, che deve proprio allo scrittore americano la sua fama ormai universale. 

Nulla o quasi succede nel romanzo, che respira un'aria stagnante - paludosa - di morte.  Cantwell è un reduce di mille battaglie, è stato gravemente ferito, è ossessionato dalle vicende che hanno visto, durante l'avanzata verso Parigi, sterminato il reggimento di cui era a capo, e sente la morte vicina, per il suo cuore ormai fragile. 

L'amore impossibile per la ragazza - "l'ultimo e vero amore" ripete incessantemente Cantwell tra sé e sé e a lei - è il coronamento di una vita vissuta - come quella del vero Hemingway - con la presenza continua e ossessiva del rischio e della morte. 

I dialoghi e le visioni allucinate dall'alcool - memorabile almeno una scena, quella del giro notturno in gondola dei due amanti, tra le onde scure e il freddo gelido della laguna - sono la cornice; il sottotesto è un drammatico congedo dal mondo, di un distacco dalle amate e sofferte cose terrene, che non si possono possedere e che si possono soltanto perdere. 

Il vecchio leone - negli anni seguenti Hemingway vincerà il Premio Nobel e si congederà con quello che fu considerato il suo capolavoro, Il vecchio e il mare - preconizza la sua stessa morte, che avverrà realmente nelle modalità estreme del celebre suicidio con l'arma da caccia. 

Il romanzo fu tradotto in Italia da Fernanda Pivano, che nella bella introduzione racconta le sue mille vicende con il romanziere, i viaggi, gli inciampi, le sue debolezze, il suo fascino irresistibile, il bel mondo degli anni '60; ma in ritardo: per volontà stessa di Hemingway infatti, il romanzo fu tradotto in Italia soltanto dopo la sua morte, certamente per tutelare l'identità della giovane contessina su cui comunque i giornali scandalistici americani all'epoca si scatenarono comunque. 

Ricostruendo così la genesi del libro: nell'autunno del 1948, infatti, Hemingway, impegnato in una battuta di caccia alle anatre in compagnia di un amico aristocratico, incontrò a Venezia la giovane Adriana Ivancich, nobile di una familia di origine dalmata, nata a Venezia nel 1930 (e morta suicida nel 1983). 

Successivamente, quando era a Cortina d'Ampezzo a sciare con la moglie, lei si ruppe la caviglia e  Hemingway, annoiato, iniziò a scrivere il romanzo. Nella primavera successiva si recò a Venezia, approfondendo la conoscenza dell'adolescente, con la quale intrattenne una fitta corrispondenza nei mesi seguenti e terminando poi la scrittura del romanzo nella villa della Finca Vigia, a Cuba

Fabrizio Falconi 

Ernest Hemingway
Di là dal fiume e tra gli alberi
Traduzione e introduzione di Fernanda Pivano
Mondadori Editore Milano,1965
pp. 349
Euro 11.05

11/06/19

Libro del Giorno: "Il lavoro su di sé" di René Daumal



Negli ultimi tre anni della sua vita René Daumal intrecciò un intenso rapporto epistolare con una giovane coppia di amici nell’intento di condurla fattualmente, precisamente, sulla via della «conoscenza di sé».

Una conoscenza che esige un lavoro, un’opera di trasformazione incessante secondo modalità che solo un vero maestro spirituale può trasmettere.

E tale, indubitabilmente, Daumal era. Ispirato dall’insegnamento di Gurdjieff e della sua scuola, dotato di una straordinaria perizia nella comprensione della spiritualità indiana, Daumal sa offrire a tutti i lettori – con un’abilità e una determinazione che è possibile ritrovare solo nelle lettere di Pascal a Mademoiselle de Roannez – una bussola capace di guidarli sulla strada, lunga e difficile, che porta all’«acquisizione della coscienza».

Queste lettere sono dunque un invito al viaggio – al viaggio in se stessi per non scoprirsi automi. 

René Daumal nacque a Boulzicourt, nelle Ardenne nel 1908 e morì a Parigi nel 1944.

Animatore del gruppo Le grand jeu e dell'omonima rivista (1928-30), fu per qualche tempo vicino ai surrealisti.

Si dedicò allo studio del sanscrito e delle filosofie orientali, seguendo l'insegnamento di A. de Salzmann, a sua volta allievo di G. I. Gurdjieff.

In vita pubblicò poesie (Le contre-ciel, 1936), saggi, traduzioni e un racconto (La grande beuverie, 1938; trad. it. 1970), che si ispira alla "patafisica" di A. Jarry.

Incompiuto rimase Le mont analogue (post., 1952; trad. it. 1968), sorta di libro iniziatico dell'alpinismo e metafora narrativa del difficile viaggio alla ricerca dell'autenticità dell'essere. Altre opere postume: Poésie noire. Poesie blanche (1954); Les pouvoirs de la parole (1972)



René Daumal
Il lavoro su di sé
Lettere a Geneviève e Louis Lief
Traduzione di Cosima Campagnolo
Piccola Biblioteca Adelphi 
pp. 140 
Euro € 12,00 

10/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 28. "Ecco l'impero dei sensi (Ai no korīda)" di Nagisa Oshima (1976)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 28. "Ecco l'impero dei sensi  (Ai no korīda)" di Nagisa Oshima (1976)

Un classico, scritto e diretto dal maestro Nagisa Ōshima e basato su un celebre episodio di cronaca avvenuto nel Giappone degli anni trenta, Ecco l'impero dei sensi, trovò un notevole riscontro non solo di critica ma anche di pubblico a metà degli anni '70, dovuto sicuramente anche al pruriginoso lancio pubblicitario che fu fatto per il film, definito come "trasgressivo" e tacciato perfino di pornografia.

La vicenda è ambientata nella Tokyo del 1936 e descrive il legame tra la giovane cameriera ed ex prostituta Sada Abe (nome che ovviamente richiama il marchese De Sade) e Kichizo "Kiki san" Ishida, proprietario della pensione presso cui presta servizio. 

La relazione, iniziata con l'attrazione reciproca, si trasforma in un gorgo divorante che trascina i due sempre più dentro il loro universo esclusivo e claustrofobico. I due amanti vivono alimentandosi solo di amplessi e di rapporti sempre più estremi, sacrificando ogni forma di quotidianità tradizionale e di razionalità. 

Un gioco ossessivo che si conclude tragicamente con la morte di Kiki, soffocato nell'ultima e mortale trasgressione.

Nello scandaloso finale, Abe Sada recide il membro di Kiki - d'evidente valore simbolico e affettivo - e se ne appropria, portandolo dentro di sé per tre giorni, fino all'arresto da parte della polizia.

Dopo Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci, Ecco l'impero dei sensi porta alle estreme conseguenze le idee di Georges Bataille: la passione fisica, il piacere sessuale, il gusto della trasgressione e la morte vi sono strettamente legati, come le corde che stringono gli amanti. 

E, come scrisse Callisto Cosulich nella occasione della uscita italiana della pellicola, il film si presenta come la messa in scena dell'aforisma di Montaigne: attraverso il sesso l'appropriazione della vita fino alla morte. 

Al di là dei temi affrontati, Oshima realizzò un capolavoro assoluto grazie alla perfezione formale dell'opera: la scelta degli ambienti, che rimandano al teatro giapponese tradizionale, i movimenti della camera, il montaggio compongono l'unità narrativa e formale di un racconto che scuote e avvince. 




09/06/19

La Poesia della Domenica: "Imitazione" di Giacomo Leopardi



XXXV -  Imitazione


Lungi dal proprio ramo,
Povera foglia frale,
Dove vai tu? – Dal faggio
Là dov’io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
Dal bosco alla campagna,
Dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
Vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
Dove naturalmente
Va la foglia di rosa,
E la foglia d’alloro.



Giacomo Leopardi, Canti

08/06/19

Esce "Rima di Frattura" di Paola d'Agnese e Fabrizio Falconi: 4 mani, 2 voci poetiche su maschile/femminile



Esce nelle librerie Rima di frattura, il nuovo libro di Paola d'Agnese e Fabrizio Falconi

Rima di frattura in termini tecnici indica la sede di una frattura(ossea), mostrandone la forma e la lunghezza.
Ma, nel doppio senso di Rima poetica, è sembrato il titolo suggestivo per l’opera di due poeti, Paola d’Agnese e Fabrizio Falconi, che hanno attraversato diverse stagioni creative e si affrontano nella maturità per confrontarsi sui punti di vista di genere: maschile e femminile, femminile e maschile sono le due voci che si confrontano in quest’opera con testi di diversa struttura:  un testo-flusso, un racconto di vita iniziale; dieci parole comuni e non comuni che funzionano da ispirazione; dieci liriche che abbracciano tre diversi decenni di produzione poetica.
In un periodo storico nel quale molto si parla e si discute di genere e di confronto/confusione/dialogo tra maschile e femminile, Rima di frattura offre un saggio personale di due voci poetiche che si interrogano sul passato, il futuro e la realtà tra vissuto e aspirazione.


Paola d’Agnese  è nata a Napoli il 13 gennaio 1962.

Nel 1995 è fra le fondatrici dell’Associazione Culturale Donne e Poesia, all’interno della Casa Internazionale delle Donne di Roma. 
Ha curato oltre che il Premio Internazionale Donna e Poesia con l’ideazione e l’organizzazione di edizioni antologiche, seminari  e laboratori di scrittura poetica.
Nel 2002 comincia la collaborazione con l’artista Bruna Esposito in occasione del concorso  Migrazioni  promosso dal Ministero dei Beni Culturali , con un testo per l’ opera E così sia, al Maxxi , Museo d’Arte Contemporanea di Roma e al  Museo  Castel Sant’ Elmo di Napoli. L'opera vince il Premio alla giovane Arte Italiana.
Dal 1990 vive e lavora a Roma come organizzatrice di rassegne , eventi, fra cui dal 2004 il Premio Fabrizio De Andrè - Parlare Musica, evento patrocinato dalla Fondazione De Andrè.
Nel 2010 ha pubblicato, edita da Zona , la raccolta di poesie 58 secondi, accompagnata da alcune note del Maestro Ennio Morricone.




Fabrizio Falconi è nato a Roma il 4 settembre 1959.

In narrativa ha esordito nel 1985 con un volume di racconti, Prima di Andare, cui hanno fatto seguito opere di saggistica, narrativa e poesia, tra le quali  L'ombra del Ritorno (Campanotto Editore), 1996, (finalista al premio Sandro Penna e segnalato al premio Montale di quell’anno), Il giorno più bello per Incontrarti (Fazi, 2000), Cieli Come questo (Fazi, 2002), Poesie 1996-2007 (Campanotto, 2007), Il respiro di oggi (Terre Sommerse  2009), Dieci Luoghi dell'Anima (Cantagalli, 2009), I fantasmi di Roma (Newton Compton, 2010), In hoc vinces (con Bruno Carboniero, Edizioni Mediterranee, 2011) Monumenti esoterici d'Italia (Newton Compton, 2013), Roma segreta e misteriosa (Newton Compton 2015), Le Rovine e l'Ombra (Castelvecchi, 2017),  Cercare Dio (Castelvecchi, 2018), Nessun Pensiero Conosce l'Amore (Interno Poesia, 2019). 
È autore e contributore di diversi blog e siti on line, per argomenti che spaziano dalla spiritualità alla poesia, alla storia della conoscenza e delle radici filosofiche dell'Occidente.
Sue poesie sono apparse tradotte in lingua inglese da David Lummus nella rivista Try Quarterly dedicata alla poesia italiana contemporanea curata da Robert P. Harrison e Susan Stewart (n.127/2007). 



07/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 27. "La Grande Guerra" di Mario Monicelli (1959)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 27. "La Grande Guerra" di Mario Monicelli (1959)

Film straordinario, che ebbe e continua ad avere uno straordinario successo all'estero, rappresenta uno dei migliori esempi di sempre del felice connubio di tragedia e commedia che in Italia è stato genericamente chiamato "commedia all'italiana". 

In realtà il film non può essere tecnicamente compreso sotto quella definizione: La Grande Guerra è infatti un affresco corale, ironico e struggente che consiste in un grande apologo contro la guerra, muovendo i passi dalla vita di trincea durante la prima guerra mondiale, con le vicissitudini di un gruppo di commilitoni sul fronte italiano nel 1916, narrate con piglio neorealista e con una maniacale  attenzione ai particolari storici. 

Monicelli trasse lo spunto per il film da un'idea di Luciano Vincenzoni che si era a sua volta ispirato ad un racconto di Guy de Maupassant, Due amici, affidando la sceneggiatura allo stesso Vicenzoni e ad Age & Scarpelli. 

I protagonisti del film sono due soldati, il romano Oreste Jacovacci (Alberto Sordi) e il milanese Giovanni Busacca (Vittorio Gassman) che si incontrano per la prima volta in un distretto militare durante la chiamata alle armi  e finiscono sulla stessa tradotta per il fronte, diventando nonostante le rispettive differenze e diffidenze, amici. 

Seppure di carattere completamente diverso, i due sempliciotti sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo pur di uscire indenni dalla guerra. 

Attraversate numerose peripezie durante l'addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo, in seguito alla disfatta di Caporetto vengono comandati come staffette portaordini, mansione molto pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i "meno efficienti". 

Una sera, dopo aver svolto la loro missione, si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli austriaci li "trasporta" in territorio nemico. 

Sorpresi ad indossare cappotti dell'esercito austro-ungarico nel tentativo di fuga, vengono catturati, accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione. 

Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave, e pur di salvarsi decidono di passarle al nemico. 

Ma proprio quando stanno per concretizzare il loro tradimento, l'arroganza dell'ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani ridà forza alla loro dignità, portandoli a mantenere il segreto fino all'esecuzione capitale, l'uno insultando spavaldamente il capitano nemico (il milanese Busacca)  l'altro (Jacovacci), dopo la fucilazione del compagno, fingendo di non essere a conoscenza delle informazioni, finendo così per essere fucilato poco dopo l'amico. 

La battaglia si conclude poco tempo dopo, con la vittoria dell'esercito italiano e la riconquista della postazione caduta in mano agli Austriaci, ignorando il sacrificio nobile di Busacca e Iacovacci, ritenuti fuggiaschi, i quali hanno optato per la fucilazione pur di non tradire i propri connazionali. 

Tra i molti film contro la Guerra, questo di Monicelli è probabilmente l'unico ad aver mescolato così sapientemente i toni della tragedia a quelli della farsa: una sorta di Orizzonti di Gloria senza il cinismo, la brutalità e la ferocia morale di Kubrick, e con la levità invece, tutta italiana e universale, di Monicelli, virata ad un atavico pessimismo, al quale fornisce una parziale compensazione solo la scelta di restare umani, con tutte le proprie bassezze o debolezze.

Il film vinse il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia (ex aequo con il Generale della Rovere di Rossellini) e ottenne la nomination al Miglior Film Straniero, sia al Globo d'Oro sia agli Oscar.

Fabrizio Falconi

La Grande Guerra
di Mario Monicelli
Italia, 1959 
Durata: 129 minuti
Con: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Folco Lulli, Bernard Blier, Romolo Valli.




06/06/19

Domenica 16 Giugno la Passeggiata Letteraria per conoscere i Tesori del Foro Boario di Roma




La prossima Passeggiata Letteraria a Roma, "I Tesori del Foro Boario" - in compagnia di Fabrizio Falconi, sarà Domenica 16 giugno alle ore 16 (puntuali). 

L'appuntamento è davanti all'ingresso principale dell'Anagrafe (Via Petroselli, 50). 

Toccheremo e vedremo, raccontando storie e storia, curiosità, aneddoti, la Casa dei Crescenzi, il Tempio di Portuno, il Tempio di Ercole Vincitore, l'Arco di Giano, l'Arco degli Argentieri, San Giorgio al Velabro, il Lupercale, La Bocca della Verità e Santa Maria in Cosmedin e infine concluderemo la visita, salendo per il Clivo di Rocca Savella fino all'Aventino, dove vedremo la magnifica Basilica di Santa Sabina. 

I mezzi per confermare la vostra presenza sono sempre gli stessi: nei commenti qui sotto, oppure via Messenger o What's app. 

Fabrizio