31/07/18

Libro del Giorno - "Un Pedigree" di Patrick Modiano.




Pubblicato nel 2005, "Un Pedigree", è uno dei libri più originali di Patrick Modiano (insignito nel 2014 dal Premio Nobel per la Letteratura): una sorta di misteriosa auto-biografia in cui non si sa - e non si vuole esibire - se tutto quello che viene raccontato - o solo in parte o solo trasversalmente - sia successo veramente. 

Modiano scrive questo scarno romanzo - di appena 80 pagine - come fosse appunto un semplice pedigree, dichiarazione di appartenenza ad una razza attraverso la discendenza e attraverso le qualità ereditate e dichiarate. 

Il libro comincia così nell'ottobre del 1942 quando durante l'Occupazione in Francia, lui e lei si incontrano: sono un uomo ebreo di origini toscane, e una donna fiamminga, che insegue il sogno di diventare una ballerina. I due si sposano e hanno due figli, uno è Patrick, lo scrittore. 

Da qui, da questo semplice inizio, il romanzo infila pagina dopo pagina l'incredibile sequela di nomi e luoghi che agitano queste due vite e soprattutto quella di Patrick, tutti gli innumerevoli volti - citati uno ad uno - che si inseguono nell'appartamento in Quai de Conti, nell'appartamento dove per vent'anni vanno in scena le liti, le separazioni, i piccoli e grandi misfatti di una non-famiglia.  Vite parallele che probabilmente si incontrano soltanto e solo una volta, fugacemente, rapporti che sembrano scambi o casi quantistici, sui quali si staglia la solitudine di Patrick, il suo essere abbandonato completamente a se stesso, tra affidamenti a strampalati sostituti/amici dei due coniugi ai collegi spartani dove viene periodicamente rinchiuso. 

Il padre è preso dai suoi (loschi) affari, compare e riappare, sempre con donne e uomini diversi.  La madre è totalmente assente, assorbita dalla inevitabilità e dalla insussistenza del suo sogno artistico. 

Tutto questo è però raccontato in una maniera - e in un mondo - sospeso, dove la galleria dei nomi e delle figure si confonde con luoghi dimenticati o ritrovati solo per un momento, in un alone di mistero e di ordinaria magia. 

Il Pedigree di Modiano è insomma una sorta di allucinato caleidoscopio, dove si perde perfino il gusto di comprendere l'origine e la storia, ma ci si lascia trasportare, come dentro un flusso che vive di vita propria. 

Fabrizio Falconi

15/07/18

La Poesia della Domenica - "I Quattro Quartetti (Burt Norton) di T.S.Eliot.

14/07/18

L'Enigma di Ponte Milvio - Aperti al pubblico gli stupefacenti scavi di Via Capoprati.



Davvero una specie di rompicapo, per gli esperti, il ritrovamento archeologico di Via Capoprati, a due passi da Ponte Milvio, proprio lungo il tratto della Pista Ciclabile che dal ponte discende lungo il fiume. 

In questo Blog abbiamo raccontato le circostanze dell'eccezionale ritrovamento nell'autunno scorso (2017) quando alcuni tecnici di Acea, la municipalizzata che gestisce l'energia elettrica a Roma, al lavoro nella zona, segnalarono che durante lavori di scavo erano emersi reperti archeologici.  

Un primo sondaggio aveva evidenziato la presenza di magnifici mosaici, ma lo scavo fu subito interrotto per ragioni climatiche - la zona infatti è compresa infatti in quella cosiddetta gonale, interessata cioè da possibili alluvioni del Tevere - e ripreso un mese fa grazie anche a nuovi finanziamenti da parte della Soprintendenza. 

E adesso si può dire che davvero ne è valsa la pena e Roma non tradisce mai le aspettative: sì perché quello che sta emergendo dalla terra è un complesso stratigrafico che comprende quattro ambienti più un'area sepolcrale dove sono visibili ancora anfore e resti umani. Il tutto sviluppato appunto su due strati, uno più antico risalente al I e II secolo dopo Cristo e probabilmente afferente a un edificio con funzione commerciale - quasi sicuramente un magazzino - giustificato dalla vicinanza al fiume e a due vie consolari, la Cassia e la Flaminia; e uno più recente, risalente al III e IV sec. dopo Cristo, cioè dopo la Battaglia di Ponte Milvio, con decorazioni con marmi ricercatissimi e mosaici che impreziosiscono mura e pavimenti, che fanno pensare ad una ricca villa suburbana oppure a un luogo di culto cristiano. 


"Questo edificio," ha detto la direttrice scientifica dello scavo, Marina Piranomonte, "è straordinario perché è lussuosissimo, costruito dopo Costantino, dopo che i cristiani hanno vinto e questo dimostra che ancora in epoca di pieno quarto secolo a Roma si costruiva con grande lusso e grande spreco di soldi anche sulle sponde del fiume: una cosa straordinaria perché non siamo nel centro della città, ma nel suburbio di Roma".

Tra le ipotesi per sciogliere l'Enigma vi è anche quella che si tratti di un luogo di culto cristiano, con annessi mausolei, forse un cimitero con una piccola chiesetta cristiana. I romani infatti non seppellivano mai i morti vicino a casa loro, ma in aree ben identificate. 


Insomma, per saperne di più, bisognerà aspettare. Gli scavi resteranno aperti al pubblico solo per il breve periodo estivo, poi verranno richiusi, anche per scongiurare il rischio di possibili danni provocati dal fiume  e perché - dicono gli esperti -  il miglior modo per preservarli è quello di mantenerli interrati. 

Fabrizio Falconi 



13/07/18

Svelato (forse) l'incredibile mistero del "Papiro di Galeno".




Potrebbe essere del celebre medico dell'antichita' Galeno, il misterioso papiro con scrittura a specchio su entrambi i lati conservato in Svizzera all'Universita' di Basilea.

Composto in realtà da più fogli incollati fra loro a formare la rilegatura di un libro, sarebbe stato 'riciclato' nel Medioevo e trafugato alla fine del XV secolo dagli archivi dell'arcidiocesi di Ravenna, per poi finire nella collezione di Basilius Amerbach, docente e rettore dell'ateneo svizzero.

A risolvere il mistero sono stati i raggi ultravioletti e infrarossi usati nelle operazioni di restauro, che hanno permesso di separare i fogli e leggere il documento per la prima volta dopo 2.000 anni.

"Si tratta di una scoperta sensazionale", commenta Sabine Huebner, docente di storia antica all'Universita' di Basilea. "La maggior parte dei papiri sono documenti come lettere, contratti e ricevute. Questo invece e' un testo letterario, dotato di un valore decisamente superiore".

Le immagini prodotte ai raggi Uv e infrarossi dal Basel Digital Humanities Lab hanno infatti rivelato un testo di medicina inedito, risalente alla tarda antichità, "che descrive il fenomeno dell'apnea isterica: per questo pensiamo che possa essere un testo di Galeno, oppure un testo di commento ad un suo lavoro", precisa Huebner.

L'indizio chiave per risolvere il mistero e' arrivato dall'Italia: il papiro di Basilea presenta infatti molte similitudini con i famosi papiri di Ravenna conservati nella cancelleria dell'arcidiocesi, tra i quali ci sono anche numerosi manoscritti di Galeno che sono stati in seguito usati come palinsesti e riscritti. Allo stesso modo, anche il papiro di Basilea potrebbe rappresentare un caso di 'riciclo' medievale.

fonte: Ansa 

12/07/18

Libro del Giorno: "Una signora perduta" di Willa Cather.





Può essere perfetto un romanzo di sole 140 pagine che racconta una vita intera e di questa vita un carattere indimenticabile ? 


La risposta è sì. Se l'autrice è Willa Cather (1873-1947), scrittrice americana, in Italia ancora assai poco conosciuta e penalizzata come altre sue colleghe tra fine ottocento e primi del Novecento dal genere femminile a cui apparteneva. 

Proprio l'equivoco della letteratura di genere  ha contribuito ad oscurare Willa Cather e altre come lei, rispetto a più blasonati colleghi maschili. Ma il tempo sta restituendo loro il posto che meritano, come testimonia il fatto che la Cather sia amatissima di John Updike e da molti altri autori contemporanei. 

Nata in Virginia nel 1873, cresciuta in Nebraska, la Cather ha raccontato l'America della frontiera, quella dei primi migranti europei che cercavano fortuna nel libero e promettente Midwest cantandone la lenta e inesorabile decadenza suscitata dall'avanzare dallo strapotere delle metropoli dell'East e della West Coast. Proveniente dalla critica teatrale e dal giornalismo la Cather finì per dedicarsi completamente alla scrittura vincendo il Premio Pulitzer 1923 col romanzo Uno dei nostri (in Italia uscito da Elliot nel 2014) e pubblicando altri fortunati romanzi come La morte viene per l'Arcivescovo (Neri Pozza), considerato da molti il suo capolavoro o Una signora perduta pubblicato da Adelphi nel 1990 e continuamente ristampato.

Con la sua prosa asciutta ed elegantissima che rimanda gli echi di Flannery O'Connor e di Carson McCullers e ancora più indietro, di  Hawthorne e Melville, Willa Cather scrisse questo breve romanzo nel 1923, poco tempo prima della Grande Depressione che cambiò faccia al continente e all'Occidente intero. 

Sulla nuova strada ferrata costruita dalle ferrovie Burlington, lungo il tragitto tra Omaha e Denver, la Cather ambienta la sua storia in una piccola località sperduta nelle immense praterie dei territori, dal nome promettente: Sweet Water. 

Qui si è ritirato a vivere il Capitano Forrester, che della costruzione della ferrovia è stato l'eroe indiscusso cambiando per sempre la vita e la fortuna di tanti coloni arrivati a rendere patrimonio la nuova terra promessa.  

Sweet Water, un piccolo snodo di sosta, è per il Capitano un luogo del cuore.  Qui decide di fermarsi e vivere, in mezzo alla natura incontaminata, con una giovane sposa, una vedova conosciuta in California. 

Marian Forrester è dunque la vera protagonista di questa storia: bellissima, nobile, affascina ogni visitatore; è la regina della magione di Sweet Water, la casa dei Forrester. La conosciamo dagli occhi adoranti di un ragazzo, Niel, che insieme ai suoi compagni gioca e cresce nei terreni dei Forrester, ammaliato dalla eleganza della donna, dal suo sincero, limpido buonumore, dalla sua capacità di rendere meravigliosa la giornata di chiunque la incontri. 

Crescendo, Niel impara però che l'immagine radiosa della donna - e della sua dedizione al Capitano - nasconde qualcosa di sordido e di difficilmente confessabile che non ha a che fare soltanto con il passato della donna, ma anche col suo presente. Una sorta di desiderio di consunzione e di deriva. 

Limpido e controllatissimo, lucido fino alla fine, il racconto della Cather è il racconto minuzioso di un carattere, di un carattere che resta - per definizione - non del tutto conoscibile, ma che si esprime in una sottile e inquietante continua ambivalenza. 

La lunga malattia del Capitano rende sempre più difficile per Marion sostenere il ruolo che ha scelto di ricoprire, per una donna come lei che non è disposta, e non sarà mai disposta, a rinunciare alla vita. 

Epigono di altri modelli letterari femminili, Marion Forrester è un carattere che non si dimentica, perché lo si percepisce come vero, fino alla fine. 

La vera letteratura, del resto, per la Cather, nasceva dalla umiltà dello sguardo: "Lascia che le storie nascano dalla terra che calpesti", diceva.

La terra dei Forrester, la terra di Sweet Water, i grandi cieli notturni, il fango degli acquitrini e dei fossi, l'effimera bellezza delle rose coltivate dal Capitano, la grande meridiana in pietra arenaria rossa sono le immobili sentinelle di un racconto che si snoda perfetto fino a toccare ogni corda del versatile cuore umano. 

Fabrizio Falconi 

Willa Cather
Una signora perduta
Traduz. Eva Kampmann
Adelphi 1990

11/07/18

"L'amore mancato" di Heidegger e Hannah Arendt. Riprendono le pubblicazioni dei Quaderni Neri di Heidegger. Un articolo di Donatella di Cesare.




Dopo una pausa durata più di tre anni, riconducibile al clamore suscitato in tutto il mondo dai primi volumi, riprende la pubblicazione dei Quaderni neri di Martin Heidegger. 

È appena uscito dall’editore Klostermann il volume 98 delle opere complete, curato da Peter Trawny, che contiene le Annotazioni VI-IX e un inserto intitolato Der Feldweg («Il sentiero interrotto»)

... 

Nelle Annotazioni VIII si trova invece la testimonianza velata del primo incontro, nel dopoguerra, con Hannah Arendt, avvenuto a Friburgo, nel febbraio del 1950. L’incipit è una citazione di Agostino: «Nessun invito ad amare è maggiore di questo: prevenire amando». E poi ancora un’altra citazione, questa volta di Meister Eckhart: il «fuoco dell’amore» alimenta il pensiero. 

L’amore è il motivo di fondo. Heidegger si schermisce non senza imbarazzo: «Si dice che nel mio pensiero l’amore non sia pensato. Lo si può forse pensare?» (p. 233). E ancora: «Amare vuol dire privarsi nell’evento; sostenere l’espropriazione» (p. 235)

Nessun possesso dell’altro, dunque. L’amore irrompe inatteso. 

Nella lontana primavera del 1925 Arendt aveva spezzato l’ordo amoris di Heidegger che da quella passione era fuggito, incapace di far fronte alla presenza di lei nella sua vita

Contrario all’«amore borghese», quello dei «viaggi insieme», aveva mancato la chance che si sarebbe rivelata l’unica autentica. 

Senza Hannah era rimasto spaesato, tra la provincia asfittica e l’erranza spensierata. 

L’aveva abbandonata con un augurio apparentemente rispettoso: «amore è la volontà che l’amata sia (…); non desidera, né pretende nulla». 

Ma che amore è quello che non pretende nulla? Dietro quell’augurio si celava a stento la sua fuga. Il sé lasciava andare l’altro, per non esserne a sua volta toccato. Heidegger era tornato alla filosofia.

Dopo quei cinque lustri, il tempo che «ti ha ingiunto di andar via, che mi ha lasciato errare» (così le aveva scritto in una lettera, subito dopo l’incontro del 1950), emergono le inibizioni, gli impedimenti che lo avevano reso prigioniero nel regno della possibilità. 

L’evento, nella sua vita, non aveva saputo accoglierlo. 

Durante il dopoguerra Heidegger teorizza il «passo indietro» («La somma del mio pensiero», p. 57). Nel caleidoscopio dell’amore viene alla luce quell’abbandono che verrà elevato a categoria filosofica, ma anche una rassegnazione amara che lo accompagnerà sino alla fine.

09/07/18

"Lo Scopone Scientifico" di Comencini, una grande metafora del gioco della vita. Una pagina de "Le Rovine e l'Ombra" .




LuigiComencini era considerato un autore popolare. Forse perfino troppo per la critica militante: non gli si perdonavano i film d’esordio con Totò e la Pampanini, ma il successo clamoroso del Pinocchio televisivo gli aveva guadagnato consensi unanimi

Del resto la sua formazione era impeccabile: l’infanzia parigina, i trascorsi al Politecnico di Milano e alla Cineteca Italiana (come curatore) ne avevano fatto uno dei più solidi registi italiani.  Nel 1972, fresco del successo televisivo collodiano, Comencini aveva deciso di tentare il successo definitivo all’estero, mettendo insieme un super cast nel quale si fronteggiavano le due coppie: Alberto Sordi - Silvana Mangano e Joseph Cotten – Bette Davis.

Rodolfo Sonego aveva scritto un copione formidabile sulla follia del gioco e quando si trattò di pensare all’interprete della vecchia miliardaria americana, grande e cinica giocatrice di carte, Comencini tentò l’azzardo di rivolgersi alla diva americana. Bette Davis si trovava in vacanza in quel periodo alle terme di Carlsbad nel sud della California

Quando ricevette il copione, si entusiasmò.  Impulsivamente, com’era il suo carattere, prese il primo aereo per l’Italia e firmò il contratto, accorgendosi soltanto in un secondo momento – con notevole disdoro - che il film era girato in italiano.

Troppo tardi. La villa dove fu girato il film – la residenza romana della vecchia miliardaria – era la splendida VillaMiani, a Monte Mario. La miserabile borgata dove vivono invece Sordi e la Mangano, con i loro quattro figli e i loro stracci  era quella di Via Anzio, alla periferia sud di Roma, all’Arco di Travertino.

Comencini, sul copione di Sonego, allestì una crudelissima fiaba sul gioco, sul valore dei soldi, sulla povertà e la ricchezza: lo stracciarolo Peppino, e sua moglie Antonia aspettano come ogni anno l’arrivo della vecchia miliardaria americana che gira il mondo insieme al fedele autista George.  Morbosamente appassionata di giochi di carte, la vecchia ogni volta sfida i due poveracci (che si sono allenati per un anno intero) allo scopone scientifico, un gioco che – come spiega il Professore (Mario Carotenuto) della borgata ai suoi due allievi – presenta miliardi di varianti possibili e che «su miliardi e miliardi di partite, non mette mai in mano le stesse carte».

Anche stavolta i due sperano una buona volta di sbancare il patrimonio della vecchia e dare una svolta alle loro vite e a quelle di tutti quelli che vivono con loro nella borgata. Ma l’arpia ne sa una più del diavolo. E dopo aver perso la cifra di duecento milioni, nell’ultima partita che si disputa su quello che sembra essere il suo letto di morte, la miliardaria rivince tutto, gettando i due sul lastrico.
   

Peppino ha sbagliato proprio nella mano fatidica, a scartare la carta giusta.  La rovina si abbatte su di lui, non solo quella economica: Antonia, delusa definitivamente dal marito, consapevole della sua  inadeguatezza, lo tradisce con Righetto (Domenico Modugno), giocatore professionista e baro smaliziato.
   
A Peppino tocca l’infamia di essere considerato impotente al gioco e impotente nel ruolo di marito. Ma anche a Righetto non va meglio.  Quando sembra che stavolta il fato giri dalla parte dei borgatari, la vecchia nell’ultima partita, sbaraglia nuovamente gli avversari. Righetto perde i suoi ultimi guadagni investiti, Antonia perfino la baracca che si è ipotecata.
   
Nel finale da melodramma, Righetto tenta il suicidio, mentre Antonia e Peppino finiscono col riconciliarsi davanti a tutti i compagni di borgata con la dichiarazione: «che m’emporta de la ricchezza.. basta che c’è l’amore!»

Ma il sottofinale amarissimo del film di Comencini è affidato alla saggia figlia quindicenne Cleopatra, la quale ha già visto tutto, sa già quello che succederà il nuovo anno, quando l’americana tornerà un’altra volta a sconvolgere le loro vite e di nuovo il destino – che non è caso e non è caos – si ripeterà immutabile. Per spezzare finalmente la catena, Cleopatra, senza dir niente a nessuno mette il veleno per topi nel dolce che è stata incaricata di preparare per la vecchia in partenza per l’America. 


È l’unico modo per rivoltarsi definitivamente contro i potenti, l’unico modo per liberarsi dalla schiavitù (del gioco e del potere dei ricchi): quello di ricorrere alla eliminazione fisica dell’avversario.  E se questo sicuramente piacque poco al pubblico americano (che lesse il film come un apologo sulla lotta di classe), oggi dice molto sull’ombra personale (sotto forma del gioco), che se non può essere evitata e se ritorna sempre a perturbare e sopraffare, va estirpata.
   

Durante la proiezione di quel giorno, al cinema Augustus, il mio amico John a tratti se la rise di gusto, mentre durante alcune scene – soprattutto le lunghe sequenze delle partite a scopone – rimase con gli occhi ipnotizzati da quel che succedeva sullo schermo.

«Ha ragione Freud,”mi disse alla fine quando si riaccesero le luci in sala, mentre scorrevano i titoli di coda».
In che senso, chiesi.
«Loro non volevano veramente vincere. Peppino e Antonia».
«Come non volevano ?»
« Ma sì, non ti sei accorto ? Loro in fondo amano la vecchia. Amano lei e l’autista, i loro carnefici. Per questo non possono mai vincere. La amano perché lei rappresenta quello che loro non hanno e che non potranno mai avere».
Aveva ragione, ripensando alle immagini iniziali del film, quando il nuovo arrivo della miliardaria è salutato quasi come un trionfo dal popolo dei borgatari, con i cioccolatini e i dolci dispensati da lei ai ragazzini e alle famiglie povere.
Ma che c’entrava questo col gioco ?
«Antonio è contento di perdere, perché in questo modo può mettere alla prova l’amore di Antonia per lui. Non vuole vincere veramente».
«E Cleopatra allora ?»
«Cleopatra no. La ragazzina forse è l’unica che vorrebbe vincere veramente. Per riscattare la sua vita contro l’ingiustizia di quei ricchi.  Ma sa che i suoi genitori non potranno mai vincere, e perciò preferisce ammazzare la vecchia».
«Quindi lo scopone scientifico è la metafora del potere ?»
«No, non credo.  Lo scopone scientifico è un gioco difficile che sembra facile», disse John, «io l’ho imparato da mia nonna, una vecchia che potrebbe reggere il confronto con Bette Davis.  Lei mi ha spiegato che il segreto dello scopone è solo quello di non stare sotto giro: non devi essere tu il primo a scartare, nel giro. Ma devi essere sempre il primo a prendere. È un problema di sottomissione».
Gli risposi che conoscevo il gioco anch’io e che non è per niente facile non stare sotto giro.
«Dipende dalle carte che hai in mano», dissi.
 John sorrise:
«Ma come ha detto il Professore nel film, le combinazioni delle carte sono infinite, sono miliardi di miliardi, e tu non avrai mai due volte le stesse carte. Il tuo compito è quello di uscire dall’ombra. Con le carte che hai ogni volta, non devi farti rinchiudere nell’angolo, cioè dover scartare ogni volta, cominciando il giro. Con il rischio di non avere più carte buone, sicure in mano».
 Facile a dirsi, molto difficile a farsi.
 «Neanche i vincenti sono felici. Bette Davis non era felice di vincere», aggiunse.
 «Davvero ? Sembrava felicissima invece».
 «No. Lei vorrebbe perdere per essere umana, ma è costretta a vincere per assecondare il suo demone».
Queste considerazioni filosofiche, per due ragazzi che erano alle prese con la scoperta di Freud, aprivano scenari interessanti.
«E qual è il tuo demone ?» chiesi, mentre tornavamo a piedi attraversando il Ponte Sant’Angelo che era già notte.
«Il mio ? È quello di tutti: la paura di perdere …»
«Che intendi ?»
« I giocatori professionisti sanno che si perde tutto quando hai paura di perdere …»
«Non si direbbe», puntualizzai, «anche Righetto, che è un professionista, fa la fine degli altri due..»
«Perché anche lui ha paura di perdere. Ha paura di perdere la sua reputazione e soprattutto l’ammirazione incondizionata di Antonia che glielo ha fatto preferire al marito».
 «E la vecchia ? Non ha forse paura ?»
 «Sì anche lei ha paura, ma meno degli altri. È vecchia, può morire da un momento all’altro. Ha meno da perdere».
Più tardi, tornati a casa, John tirò fuori dal cassetto un mazzo di piacentine.   «Questa è la Polla»,rise indicando l’Asso di denari: la grande aquila con le ali aperte e il bollo d’imposta sul ventre, «dicono che quando arriva questa, vinci di sicuro. Ma non bisogna mai fidarsi delle carte.. ricordati di Antonia e Peppino. Ci hanno creduto … »
«Insomma, l’unico modo per vincere è perdere … »
«Proprio così. Quando perdi o quando ti perdi, si imparano molte cose».
Sembravano parole incongruenti dette da lui, che era sempre avanti a tutti, lui con i vestiti sempre appena usciti dal guardaroba, il taglio di capelli impeccabile, la grossa moto con le marmitte tirate a lucido, la collezione di dischi in ordine alfabetico, i panni rossi sulle tastiere, la pila di libri da leggere, le giuste idee in testa, le contestazioni alla vecchia insegnante, la sottile strafottenza di chi aveva visto di più e aveva vissuto molto, molto più di noi.
L’immagine vivente del perfect guy.
Eppure anche questa bella immagine, si incrinò. John, con il suo cognome italiano, e con il suo brillante futuro, fu come ingoiato dalla spirale del tempo. Di lui si persero definitivamente le tracce.
Le nostre strade si separarono, ma la sua non so dove l’ha portato.  Nell’epoca della totale rintracciabilità, di lui non esistono nemmeno segnali digitali; ed è ben strano, considerato quanto fosse interessato alla tecnologia.
Da lui ricevetti soltanto un biglietto, diversi anni dopo il nostro ultimo incontro.
Aveva appena rivisto in televisione California Poker, di Robert Altman, e doveva essergli tornata in mente la nostra conversazione dei tempi delle medie.
«Avevo ragione», c’era scritto, «i vincitori non sono mai felici».
Si riferiva al finale del film, quando una immane tristezza si dipinge sul volto del giornalista Bill Denny (George Segal) dopo che insieme al suo sodale, lo spiantato  Charlie Waters (Elliott Gould), ha sbancato il casinò di Reno, in Nevada, vincendo 82 mila dollari.
Mi era chiara la rovina dei perdenti. Su quella dei vincenti, invece, avrei voluto chiedere ancora molte cose al mio amico.

06/07/18

Libro del Giorno: "Il richiamo del merlo" di Enza Armiento.



Enza Armiento 
Il richiamo del merlo 

Le truppe piemontesi hanno ricevuto l’ordine di radere al suolo il paese. Concetta viene violentata dai militari sotto gli occhi del padre, è creduta morta. Quando rinviene tutto è morte e sangue e fuoco. Si rifugia in un bosco, viene accolta dai briganti. A distanza di anni, Michela, lontana parente di Concetta, vuole intraprendere la carriera militare. La scelta non viene accolta con favore dalla famiglia. Il romanzo segue la vita delle due ragazze: Concetta avviata al brigantaggio, Michela al riscatto dalla sua condizione sociale. Il presente avrà rimandi al passato, alle strategie di pace attuate con strumenti e modalità di guerra. Solo alla fine troveranno risposte le voci silenziose dei parenti di Michela, delle donne del Sud che portavano al collo catenine dorate con volti di morti. Sarà una lotta in nome e per conto degli innocenti. 

Enza Armiento

nata a Manfredonia (FG), è docente di lingua e letteratura inglese. È risultata vincitrice e finalista in diversi premi letterari. Alcune sue poesie sono pubblicate in raccolte e antologie letterarie. Nel 2013 cura, insieme a Antonella Taravella e Sebastiano Adernò, l’antologia a scopo benefico dal titolo No job. Visioni del Paese irreale. Nel 2017 partecipa con un suo racconto, tratto dal romanzo autobiografico La voce delle pietre, al concorso europeo Storie di Resilienza indetto dall’Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire e viene premiata come role model: figura di riferimento positivo in campo educativo. Scrive per il Words Social Forum Centro Sociale dell’Arte.


05/07/18

C'erano 5 o 6 antichissimi pianeti nel nostro Sistema Solare. Scoperta l'origine di asteroidi e meteoriti.


La maggior parte dei 200.000 asteroidi che si trovano fra Marte e Giove, nella cosiddetta fascia principale, sono i frammenti di cinque o sei antichissimi pianeti, andati in frantumi quando il Sistema Solare si stava ancora formando. 

La scoperta, pubblicata sulla rivista NatureAstronomy dai ricercatori dell'universita' della Florida, e' importante per capire la storia e i materiali che hanno formato gli asteroidi, e può aiutare anche a proteggere la Terra dai meteoriti. 

Il gruppo guidato da Stanley Dermott ha concluso che l'85% degli asteroidi della parte piu' interna della cintura di asteroidi (da cui provengono la maggior parte dei meteoriti terrestri) ha avuto origine da una manciata di antichi pianeti minori, e che anche il restante 15% si puo' far risalire allo stesso gruppo di corpi primordiali. 

Meteoriti e asteroidi "sfrecciano vicino la Terra. E' quindi naturale preoccuparsi di quanti siano e di che tipo di materiali sono fatti - commenta Dermott - Se anche uno solo di questi arrivasse sulla Terra, e volessimo deviarlo, dobbiamo conoscere la sua natura". 

I ricercatori hanno dimostrato che il tipo di orbita di un asteroide dipende dalle sue dimensioni. 

Il che suggerisce che "le differenze viste nei meteoriti trovati sulla Terra dipendono dai cambiamenti evolutivi verificatisi in questi pianeti esistiti piu' di 4 miliardi di anni fa", continua. 

"Non sarei sorpreso se potessimo far risalire l'origine di tutti gli asteroidi, non solo della parte piu' interna, ma anche della fascia principale, ad un piccolo numero di pianeti conosciuti - conclude Dermott - Conoscere l'evoluzione dei corpi che hanno formato il nostro Sistema solare ci puo' aiutare a rispondere a domande su come possano esistere pianeti come il nostro nell'Universo". 

04/07/18

Il Libro del Giorno: "Cinzia con i suoi occhi" di Pietro Zullino (Sesto Properzio).




Esce finalmente in libreria dall'editore Dante Alighieri, un grande romanzo italiano, postumo, scritto da Pietro Zullino, che ha le potenzialità per diventare un piccolo caso editoriale.  
E' un affascinante romanzo fiume, dedicato a Sesto Properzio, il grande poeta romano vissuto nel I sec. a.C., penalizzato dalla critica storica per secoli, e in tempi recenti riscoperto come forse il più moderno dei poeti antichi. 
Zullino dedicandovisi con passione, ha scritto un libro memorabile. Con l'uso di una lingua geniale e modernissima, erudito (ritraducendo ex novo tutte le poesie di Properzio) e straordinariamente nei suoi risvolti, su ciò che è la ribellione nel campo dell'intelligenza e della produzione artistica. 
Zullino, che era autore di lustro, e aveva pubblicato con i più grandi editori italiani, scelse volontariamente (esacerbato dalle logiche editoriali) di autoprodursi il libro qualche anno prima di morire e di stamparlo in poche copie da distribuire agli amici (senza nemmeno firmarlo, ma attribuendolo direttamente al nume di Properzio). 
Finora dunque erano stati ben pochi coloro che avevano avuto il privilegio di leggerlo.
E' valsa però la pena di aspettare: l'edizione che arriva oggi nelle librerie porta infatti la cura di Olga Cirillo, specialista di poesia augustea all'Univesità Federico II di Napoli. Con un prezioso apparato di note e bibliografico si ricostruisce il materiale filologico al quale Zullino ha attinto e come da lui è stato reinventato per i fini di un bellissimo romanzo italiano.

Pietro Zullino (Sesto Properzio) 
Cinzia Con I Suoi Occhi 
a cura di Olga Cirillo
ISBN: 978-88-534-4201-7 
Società Editrice Dante Alighieri
Euro 16,00 €

03/07/18

Libro del Giorno: "Incidente di Notturno" di Patrick Modiano.



A Parigi, in una notte di parecchi anni fa, un ventenne viene investito da un'auto (una Fiat color verde acqua) in Place des Pyramides. Soccorso nella hall di un vicino hotel, il ragazzo si sveglia in compagnia della donna che era al volante e di un misterioso uomo bruno che si occupa di loro, accompagnandoli a bordo di un cellulare della polizia all'ospedale più vicino. 

Sedato per curare le sue ferite, il ragazzo trascorre alcuni giorni in stato di semi-incoscenza, poi quando viene dimesso riceve - senza altre spiegazioni - dal misterioso uomo una busta con molti soldi: una sorta di indennizzo per il suo silenzio. 

Comincia così Incidente notturno, il romanzo scritto nel 2003 da Patrick Modiano (che qualche anno più tardi - 2014 - ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura), tradotto nel 2016 da Emanuelle Caillat per Einaudi. 

Il lettore che non conosce ancora Modiano però, aspetterà invano di veder scorrere nel breve volgere di 115 pagine, l'intrico di un giallo. 

Come spesso avviene nei romanzi dello scrittore Boulogne-Billancourt, il pretesto del racconto, la chiave - pur efficace per tenere stretta l'attenzione sul racconta - funziona come messa in moto di un meccanismo narrativo introspettivo fondato sullo studio di una coscienza: quello del giovane protagonista, di cui non sappiamo nemmeno il nome, della sua vita randagia, dei rapporti con un padre misterioso che incontra soltanto nei bar in disparate zone della città, della sua infanzia, con un altro incidente subito all'età di sei anni nelle strade di un villaggio di provincia, della ricerca ossessiva della Fiat verde acqua e della sua proprietaria di cui sa soltanto il nome - Jacqueline Beausergent - e della quale conserva solo allucinati ricordi della notte dell'incidente. 

La lingua di Modiano - asciuttissima, lavorata fino a renderla quasi eterea come la trama del racconto - diventa materiale sensibile del viaggio allucinato e picaresco del giovane senza soldi e senza parte, che si muove, come all'interno di una segreta topografia già tracciata - da un quartiere all'altro di Parigi, da una sponda all'altra della Senna, da una strada all'altra, da una piazza a un vicolo. 

Come un delicato gioco di domino, la ricerca del giovane avrà fine. E noi avremo l'impressione di conoscerla retrospettivamente, anche se nulla di esplicito e garantito, nulla di effettivo e razionale verrà spiegato fino in fondo. 

Quello di Modiano è un mondo di sogni. Un mondo che rifiuta ogni tirannia del prosaico e rivolta ogni immagine come se fosse vista e percepita dal vetro di un bicchiere rovesciato. 

Il gioco potrà apparire a qualcuno stucchevole, ma non è mai stato facile e non lo è neanche ora, scrivere un romanzo come questo.



Fabrizio Falconi



02/07/18

Un Cacatua nella Biblioteca Vaticana riscrive la storia delle esplorazioni e della navigazione: l'Australia "scoperta" già nel Medioevo.



Un'illustrazione del XIII secolo di un Cacatua, caratteristico pappagallo che si trova in natura solo nel nord tropicale dell'Australia e in isole vicine, sfata il mito britannico secondo cui l'Australia era un continente sconosciuto e rivela come le rotte commerciali attorno al nord del continente fossero fiorenti sin dal medioevo. 

Il disegno e' stato trovato da ricercatori australiani e finlandesi nella biblioteca vaticana, in un manoscritto siciliano del XIII secolo appartenente all'imperatore romano Federico II

Il manoscritto 'De Arte Venandi cum Avibus' (L'arte di cacciare con gli uccelli) include 900 disegni di falchi da caccia e di altri animali posseduti dall'imperatore

Fra questi, quattro rappresentano un cacatua bianco, dono a Federico II del sultano d'Egitto al-Kamil, indicando che il volatile aveva gia' viaggiato dall'Australia all'Egitto prima di essere portato in Europa. 

"Questo pappagallo apre una finestra in un mondo di vivaci commerci con il nord dell'Australia", scrive la coautrice della ricerca, Heather Dalton dell'Universita' di Melbourne, sulla rivista Parergon. "La scoperta di queste immagini mette in luce il fatto che gia' nel medioevo i mercanti che solcavano le acque appena a nord dell'Australia erano parte di un commercio fiorente, che si estendeva a ovest fino al Medio Oriente e oltre".

I ricercatori hanno esaminato i dettagli, come il colore dell'uccello e la spettacolare cresta erettile lo distingue dagli altri pappagalli

Hanno anche notato che la cresta non era rialzata, come fanno i cacatua quando sono aggressivi, impauriti o sorpresi, o come parte del corteggiamento, e hanno concluso che il pappagallo di Federico "si sentiva calmo e al sicuro" mentre veniva ritratto. I cacatua viaggiano bene con le persone essendo socievoli, sono longevi e quindi sono un regalo ideale, scrive Dalton. In cattivita' vivono fino a 80 anni e allo stato libero fino a 120. 

"Il viaggio attraverso le rotte del commercio avrebbe impiegato anni, e le loro probabilita' di sopravvivere erano molto piu' alte degli altri animali".

Si tratta delle piu' antiche illustrazioni europee conosciute dell'uccello, che precedono di 250 anni quella che era finora considerata la piu' antica, di un cacatua in un quadro di Andrea Mantegna rappresentante la Madonna della Vittoria, che si trova nel Louvre

La stessa Heather Dalton aveva gia' pubblicato uno studio sul cacatua nel quadro di Mantegna, quando fu identificato per la prima volta come tale nel 2014. 


01/07/18

Poesia della Domenica - "Ancora io mi solleverò" di Maya Angelou.


Ancora io mi solleverò

Tu puoi scrivere di me nella storia,
con le tue bugie amare e contorte.
Puoi calpestarmi nella sporcizia
ma io, come la polvere, mi solleverò.
La mia sfacciataggine ti irrita?
Perché sei assediato dalla malinconia?
Perché io cammino come se avessi pozzi di petrolio
che sgorgano nel mio salotto.
Proprio come le lune e i soli,
con la certezza delle maree,
proprio come la speranza che alta si slancia,
ancora io mi solleverò.
Volevi vedermi spezzata?
Con la testa china e gli occhi bassi?
Le spalle cadenti come lacrime.
Indebolita dal mio pianto, che viene dall’anima.
La mia superbia ti offende?
Non prenderla così male.
Perché io rido come se avessi miniere d’oro
scavate nel mio cortile.
Puoi spararmi con le tue parole.
Puoi ferirmi con i tuoi occhi.
Puoi uccidermi con il tuo odio,
ma io, come l’aria, mi solleverò.
È la mia sensualità a disturbarti?
Ti arriva come una sorpresa,
il fatto ch’io danzi come se avessi diamanti
all’incrocio delle mie cosce?
Fuori dalle capanne della vergogna della storia,
mi sollevo.
Su, da un passato che ha le radici nel dolore,
mi sollevo.
Sono un oceano nero, ampio, che balza,
zampillando e gonfiandomi, genero nella marea.
Lasciando alle spalle notti di terrore e paura,
mi sollevo.
In un’alba che è meravigliosamente chiara,
mi sollevo.
Portando i doni che i miei antenati mi diedero,
io sono il sogno e la speranza dello schiavo.
Mi sollevo.
Mi sollevo.
Mi sollevo.