10/05/17

Un outsider troppo presto dimenticato - Alberto Lecco.





Avevo poco più di vent'anni quando ebbi l'occasione di conoscere Alberto Lecco.   Abitava nella stessa casa in cui abitò fino alla fine dei suoi giorni, nel cuore di Trastevere, in Via San Francesco a Ripa. 

Erano i primi anni '80.  Lecco, che aveva letto il mio libro di racconti d'esordio - Prima di andare - e che era uno scrittore piuttosto famoso, mi chiamò al telefono per conoscermi. Il libro gli era piaciuto, mi chiese se amavo parlare di letteratura, disse che gli interessava conoscere i gusti di uno come me, così giovane, che si affacciava allo scrivere. 

Erano cose che accadevano, in quegli anni. 

Con la timidezza tipica di quell'età mi affacciai a casa sua, all'appuntamento convenuto.  Mi ricevette con il garbo e l'eleganza di altri tempi.  Per me, che venivo da una famiglia di operai, era una delle prime esperienze nella casa di un intellettuale e tutto aveva un fascino: gli scaffali pieni di libri, i tappeti orientali, le finestre affacciate sulla vita trasteverina, il giradischi sempre acceso. 

Passammo la prima volta quasi due ore insieme. Si parlò di tutto, soprattutto di Dostoevskij che era la sua ossessione (e anche la mia, già in quegli anni). Ascoltammo Beethoven insieme, mi parlò nel suo modo fluviale, del mondo letterario italiano, che detestava, con i suoi snobismi e le sue cricche. 

Mi regalò i suoi libri, pubblicati con Mondadori, L'incontro di Wiener Neustadt,Un Don Chisciotte in America i Racconti di New York. Libri che mi affascinarono, soprattutto l'ultimo, così singolare, così diverso da quello che si pubblicava allora in Italia. 

Alberto Lecco era un intellettuale colto e raffinatissimo, assai legato alle sue origini ebraiche che interrogava in ogni libro, alla luce di un radicale cosmopolitismo che sentiva come destino inevitabile della contemporaneità. Ma era al contempo geloso delle sue origini e della grande tradizione narrativa ebraica. 

Nato a Milano nel 1921, era diventato perfettamente romano nello spirito vitale e nella confidenza con il quartiere che abitava. 

Tornai da lui parecchie volte, anche insieme ad altri amici. E sempre si ripeté lo stesso rito: con conversazioni interminabili, consigli e diktat che venivano pronunciati sempre con dolcezza - soprattutto quello di fuggire come la peste dalle conventicole e combriccole letterarie, obbedendo solo alla propria interiorità -  oro puro per la formazione di un giovane che aveva in mente di scrivere com'ero io. 

Negli anni seguenti lo persi di vista.  So che continuò a pubblicare, con sempre minore successo, totalmente isolato dal resto dell'ambiente letterario italiano. Ed è un peccato che oggi le sue ultime opere:  La morte di Dostoevskij, I Buffoni, La casa dei due fanali, siano praticamente introvabili, come del resto i vecchi. 

Sarebbe bello che qualcuno oggi, un editore illuminato, li riscoprisse.

Alberto Lecco è morto a Roma, nel silenzio quasi unanime, nel maggio del 2004, a 83 anni. 


Fabrizio Falconi



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