10/08/16

E' morto Don Gianni Todescato. Un illuminato.




Quando ho saputo della morte improvvisa di Don Gianni, domenica scorsa, 7 agosto, a Piazza Navona, mi è tornato in mente quel celebre aforisma di Bertold Brecht, tratto da Vita di Galileo

Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli imprescindibili.  

Ecco, Don Gianni, per chi lo ha conosciuto era questo: un imprescindibile. 

Perché ha lottato per tutta la vita, una lotta non violenta, saggia e illuminata, al servizio degli altri, portando luce nelle vite degli altri, in un mondo spesso votato al nichilismo. 

Tra le molte doti di questo uomo raro, ve n'erano due che a mio avviso, lo rendevano unico: la capacità in primis di accogliere il dolore - e in generale la pesantezza del vito - e trasformarlo in leggerezza (mai in superficialità): una leggerezza come quella di cui parla Calvino nelle Lezioni Americane, il quale aveva ben presente che il mondo si regge su entità sottilissime. 

Chi si avvicinava a Don Gianni con un peso - di qualunque natura nel cuore o nell'anima, aveva sempre l'impressione di sentirsene sollevato, dopo un breve colloquio con lui, anche dopo un semplice scambio di battute, una stretta di mano, un lungo sguardo. 

La seconda dote è quella del cercatore di bellezza, di cui ha parlato oggi Don Nicola nella omelia ai funerali a Sant'Agnese:  Don Gianni era un cercatore di bellezza, convinto dostoevskijanamente che nella bellezza delle creazioni umane (la musica, Bach, la scrittura, l'arte) e di quella della natura, si incarna lo Spirito, capace di salvare il mondo. 

Ci mancherà a tutti il suo sorriso luminoso, la sua aura luminosa, la sua profonda umanità. 




Teologia, filosofia, letteratura. Ascoltare l’omelia di don Gianni alla Messa di mezzogiorno a Santa Chiara era un’emozione intellettuale fortissima oltre che un balsamo per la fede e per la mente di quanti affollavano la chiesa di piazza Giuochi Delfici, credenti e laici, insieme. Media e alta borghesia, Roma Nord, Vigna Clara, quartiere bene di professionisti ma anche di impiegati che vedevano in quel parroco dal passo svelto e dal parlare profondo e sincero più di un prete. Un vero parroco che li ha accompagnati, tra battesimi e funerali, per ben 42 anni. 

Don Gianni Todescato era arrivato su quella collinetta tra i pini della Cassia vecchia e la Camilluccia all’inizio degli anni Sessanta quando i palazzi di Vigna Stelluti cominciavano a venir su uno dopo l’altro. La rossa rotonda della chiesa non c’era, il giovane sacerdote diceva Messa in un piccolo fabbricato sul lato opposto dove ora ci sono i taxi. Poi la grande chiesa punto di riferimento per tutte le famiglie negli anni del boom economico e poi negli anni bui, il Settantotto, il rapimento Moro. 


MORO E PAOLO VI

Proprio lo statista della Dc partecipava ogni mattina alla Messa delle 9 a Santa Chiara. Non era suo parrocchiano, perché il presidente della Dc, aveva come chiesa di riferimento San Francesco a Monte Mario, ma tutti i giorni era a Santa Chiara. Anche il giorno prima del rapimento. Don Gianni non ne voleva mai parlare ma con tutta l’emozione ricordava che «quel giorno gli aveva dato l’Eucarestia in privato, perché quella mattina aveva un impegno importante che non gli consentiva di assistere a tutta la Messa». 


Durante quegli anni don Gianni aveva fatto della parrocchia un fulcro di idee, molte antesignane. Lui portava avanti lo spirito del Concilio Vaticano II secondo gli insegnamenti di Paolo VI che giovanissimo lo aveva voluto concelebrante nella prima Messa in italiano dopo la riforma liturgica. Era il 7 marzo del 1965, di questo il parroco di Santa Chiara non parlava quasi mai. Parlavano per lui le tante iniziative della parrocchia: il catechismo per i più piccoli, la messa delle 10 per i giovani con tante chitarre, la funzione di mezzogiorno con i suoi tuonanti editoriali, gli scout e il cineforum, quello del pomeriggio - western per tutti ma anche i grandi romanzi d’avventura - e quello dei Due Pini, più raffinato, colto, con titoli che spesso facevano discutere, oppure sede di concerti di musica classica. Una delle sue grandi passioni.


Aperto alle innovazioni, capiva il tumultuoso cambiamento del quartiere, meno elitario ma anche meno buono, percorso da rivalità e da fazioni politiche in lotta. Anche se capitava che giovani fascisti e comunisti spesso si ritrovavano davanti ai gradini di Santa Chiara per andare insieme all’Euclide dopo aver assistito alla Messa di don Gianni. Che capiva anche la sua gente: gli anticoncezionali, i primi divorziati, i ragazzi morti per droga, le donne che abortivano, per tutti una parola vera, mai banale, sempre incardinata nella fede di un Dio padre misercordioso. Sarebbe piaciuto a Papa Francesco, don Gianni.


IL RESTAURO DI SANT'AGNESE

Dal 2004 aveva invece lasciato la sua parrocchia ed era diventato rettore della Chiesa di Sant’Agnese in Agone, a piazza Navona. Dal suo studio, dove troneggiavano i suoi amati libri come “Delitto e castigo di Dostoevskij”, ma soprattutto dal suo fotografatissimo balconcino fiorito godeva di un’incantevole vista su piazza Navona e sulla Fontana dei Fiumi. Dopo aver lasciato Santa Chiara, don Gianni non vi aveva più messo piede. Diceva «Sono troppo sentimentale, per me lasciarla è stato un strappo quasi viscerale». 

Anche per i suoi parrocchiani che infatti continuavano a frequentarlo a piazza Navona. Così quando la stupenda chiesa seicentesca ha avuto bisogno di più di un restauro, lungo e faticoso, ecco che sono accorsi in tanti. Come una grande famiglia. Di cui fanno parte Antonio Fazio, Gianni Letta, Bruno Vespa, tanto per citarne alcuni. Nessuna mai distinzione sul piano sociale: per don Gianni il ruolo, il titolo o la qualifica professionale non lo hanno mai condizionato o stravolto. 


E con lui Sant’Agnese in Agone è diventata di nuovo parrocchia. Ha creato l’Associazione “Musica a Piazza Navona -Sagrestia del Borromini” per sensibilizzare l’ascolto della musica da camera, le Messe si sono riempite di fedeli e ha tuonato come sempre, questa volta contro l’imbarbarimento di piazza Navona e dei suoi gioielli barocchi. 


Alessandra Spinelli per il Messaggero  






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