31/03/16

Einaudi: una mostra a Milano celebra una grande casa editrice.


La storia dei 50 anni più gloriosi della casa editrice Einaudi raccontata attraverso i suoi libri, la sua grafica, il suo lavoro editoriale. 

Nella Galleria del Gruppo Credito Valtellinese nel Palazzo delle Stelline a Milano è aperta la mostra "I libri Einaudi 1933-1983", un viaggio tra la letteratura e il design che presenta al pubblico la collezione di libri di Claudio Pavese. 

"Abbiamo voluto - ci ha spiegato - ripercorrere tutti questi momenti della casa editrice, però mettendo a disposizione del pubblico finalmente per la prima volta, e non solo esposte ma anche in catalogo, tutte le 92 collane della casa editrice. Teniamo presente che l'Einaudi negli anni Sessanta è stata ritenuta la più grande casa editrice al mondo". 

E dunque nelle teche esposte è possibile trovare i Narratori contemporanei Pavese, Hemingway e Sartre; oppure i Coralli di Joyce e Robbe-Grillet, o ancora la prima edizione italiana, nei Supercoralli Einaudi, di un romanzo mitico come "Il giovane Holden" di Salinger, con la copertina di Ben Shahn, accanto al "Partigiano Johnny" di Fenoglio. 

Senza dimenticare Bruno Munari, figura chiave nella storia einaudiana, Samuel Beckett, presente come narratore, commediografo e poeta e, naturalmente, Antonio Gramsci. 

Ma accanto a questi mostri sacri, e qui sta forse la parte più viva della mostra, con una reale adesione all'idea di cultura popolare. "Citiamo alcune collane come esempio - ha aggiunto Pavese - I Libri per ragazzi, che hanno accompagnato l'infanzia di generazioni di lettori. La collana Tantibambini, che tanti ancora si ricordano di Bruno Munari, un gioiello assoluto di editoria, oppure altre collane come la Biblioteca di cultura storica, una delle più longeve della casa. O i Saggi Einaudi, nella quale sono passati testi fondamentali come Dialoghi con Leucò di Pavese, in prima edizione, come Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, e così via".

La sensazione, uscendo dalla mostra, è quella di avere ripercorso la storia di un editore che pubblicava Musil e Walter Benjamin, certo, e che lo faceva utilizzando il lavoro dei migliori grafici, dando all'oggetto libro quella capacità di resistere, anche oggi, non solo come prodotto culturale, ma anche come vera e propria opera d'arte. Pronto, nonostante tutto, ad affrontare il futuro.

fonte askanews

30/03/16

"Pastorale americana" di Philip Roth (RECENSIONE).



Ho letto Pastorale Americana, uno degli ultimi Roth che mi mancava da leggere, negli stessi giorni in cui a Roma è accaduto un brutale fatto di cronaca, l'omicidio a sangue freddo - per sapere cosa si prova - di un ragazzo, da parte di altri due, apparentemente tipi normali, provenienti da ottimi genitori e ottimi padri, i quali hanno pensato bene subito dopo l'efferato crimine, a cadavere ancora caldo, di andare in tv in prima serata (o scrivere sul proprio blog personale) a difendere questi figli e rivendicarne la bontà, la probità, l'innocenza. 

C'era dunque parecchio da meditare, mentre si scorrevano le pagine (423) di questo grande romanzo americano, nel quale Roth descrive la discesa agli inferi di Seymour Levov, detto Lo Svedese, aitante e perfetto americano (ebreo figlio di figlio di immigrati dall'est europeo), con perfetta moglie (Miss New Jersey) al fianco, che scopre nell'unica figlia Merry, una pluriomicida, bombarola contestatrice in fuga da tutto, ritrovandola più avanti nella storia in miseria, finita in una sorta di comune giainiana, sempre più disperata e sola, e del tutto immune ai richiami dell'affetto familiare. 

La catastrofe descritta da Roth è perfetta, e si dipana principalmente intorno all'argomento della rimozione dell'ombra.  Seymour è in buona fede, crede "ai valori", al modello di vita americano, crede nelle cose giuste, e la vita gli ha sempre dato ragione premiandolo con riconoscimenti e onori (nello sport, nell'amore, nel lavoro).  Ma questa perfezione è sterile, la famiglia perfetta - si sa - genera mostri (come è il caso anche delle famiglie romane di cui sopra, a quanto pare) e il piccolo mostro Merry - insieme ai suoi compagni d'avventura prima fra tutte la perfida Ruth - sa il fatto suo: sa come distruggere l'icona perfetta dalla quale proviene, sa come minarne ogni certezza, ogni convincimento, ogni sicurezza, ogni appiglio, ogni immagine ideale a dosi di deflagrante realtà. 

Roth tiene in pugno il lettore e lo spreme fino alla fine, essendo qui la sua scrittura al culmine di una abilità non fine a se stessa. 

Semmai, anzi, la scrittura risente anche troppo dell'obiettivo che sta a cuore a Roth. La sua voce parteggia fin troppo apertamente per qualcuno dei personaggi, come Ruth, la messaggera incaricata di scaricare addosso a Seymour il suo completo fallimento, o come Jerry il fratello cinico dello Svedese.

A loro Roth affida la voce di ciò che egli pensa - e non da poco tempo - sul mondo, come luogo di infelicità, di inferno, governato dalla rigida impassibilità del caso (e del caos) che ogni cosa governa, orientando l'esistenza stessa verso un orizzonte completamente privo di senso, dove perfino le nostalgie e i rimpianti non hanno albergo.

Il libro è anche abbastanza disomogeneo nel racconto. Nelle prime cento pagine del racconto, infatti, compare Nathan Zuckerman, l'alter ego dell'autore che torna in tanti suoi libri, il quale si presenta come testimone della storia, e amico dello Svedese, compagno di corso e di università. Zuckerman però, da un certo punto di vista in poi scompare. La voce del narratore diventa impersonale,  mano a mano che Seymour sprofonda nella sua caduta senza limiti.

Peccato, si direbbe: perché a noi sarebbe piaciuto ascoltare i pensieri di Zuckerman, che forse si sarebbero discostati - in profondità e ironia (quella che manca al Roth degli ultimi tempi, e che grandiosamente contrassegnò i suoi inizi) - da quelli dell'anonimo narratore che sembra assistere muto al dissolvimento della personalità di Seymour e delle sue blande certezze.

Fabrizio Falconi

Philip Roth
Pastorale americana
Traduzione di Vincenzo Mantovani
Einaudi 1997 

29/03/16

"Scenari" - lo scritto di Pasqua di Fabrizio Centofanti



Si cominciava a parlare di scenari. Ormai era chiaro che le profezie non riguardavano solo il Vaticano, l'attacco tremendo alla Chiesa che l'avrebbe costretta a rinnovarsi, ma un'area molto più vasta, e forse il mondo intero

I cento anni di dominio di satana sarebbero finiti coi fuochi d'artificio di una guerra totale, che avrebbe seminato la morte e innescato un meccanismo di autodistruzione che solo il Pantokrator, il Signore che tiene i fili e le trame della storia, avrebbe frenato al tempo giusto. 

Già parlavamo di ritorno all'essenziale, di valori che sarebbero riemersi, dopo la grande parentesi di confusione e di non senso, in cui ogni capriccio era un diritto, ogni voglia dell'io una legge da imporre con la forza o con la persuasione occulta. 

Stavamo toccando il fondo del liberismo e del libertinismo, la democrazia era ormai diventata una facciata che nascondeva il governo assoluto di pochi potentati e lo sfruttamento di una massa inconscia di obbedienti manichini manovrati dall'alto. 

La cultura procedeva con parole d'ordine cui tutti dovevano piegarsi; lobby intoccabili proclamavano del tutto indisturbate il loro verbo lascivo, viscido, sfuggente, e nello stesso tempo categorico e rigido, intollerante riguardo al pur minimo accenno di dibattito

Un'idea valeva l'altra, perché tutte finivano nel grande calderone di una dittatura invisibile e implacabile, fondata sull'apparente libertà dei social network, degli squallidi spettacoli dei media, proni alla ferrea volontà delle multinazionali del pensiero unico

Persino la fede era gestita da un'industria sofisticata e aggiornata del politically correct, dell'adeguamento al mondo. 

Era sempre più chiaro che la corsa verso il nulla sarebbe sfociata in un esito al contempo sorprendente e prevedibile: si sarebbe compreso, finalmente, che il male è male, e fa male. 

Da questa coscienza elementare si sarebbe generata la nuova civiltà; una bella mattina, ci saremmo guardati negli occhi dal fondale di un mondo totalmente rinnovato.

Qui il suo blog La poesia e lo spirito. 

foto in testa di Fabrizio Falconi

28/03/16

Palmira è libera ! Una mostra a Mantova "Salvare la Memoria" con i reperti di Palmira e di altre zone di guerra.



Le notizie della liberazione di Palmira da parte delle forze governative di Damasco, hanno riacceso la speranza, in quei luoghi flagellati dalla guerra e dalla occupazione dell'Isis. 

Assume ancora più rilevanza la splendida mostra organizzata a Mantova

È una mostra idealmente dedicata al Direttore del sito archeologico di Palmira Khaled Asaad, quella che si può ammirare al Museo Nazionale Archeologico di Mantova fino al 5 giugno, con il titolo “Salvare la Memoria”. Ma anche al non meno prezioso, e spesso anonimo, esercito di “Monuments Men” che ovunque nel mondo si vota al recupero di un patrimonio di arte che è storia di tutti. 

Un patrimonio violentato da guerre, come quella in Siria appunto, ma anche da terremoti, alluvioni e da tutti quegli eventi che, ferocemente e improvvisamente, si sovrappongono al fisiologico effetto del tempo su ciò che è testimonianza del nostro passato. 

Una grande storia raccontata, nei tre piani dell’Archeologico di Mantova, da immagini originali, documenti, filmati, reperti (simbolicamente preziosi quelli provenienti da Palmira), testimonianze dirette. 

Un laboratorio, aperto al pubblico, mostrerà dei restauratori all’opera su testimonianze di una villa distrutta dal terremoto del 2012 nel mantovano. 

Protagonisti di vicende di salvaguardia e difesa del patrimonio artistico mondiale incontreranno il pubblico nel corso di incontri calendarizzati nel periodo della mostra. Il progetto “Salvare la Memoria” è un’iniziativa del Polo Museale della Lombardia, a cui si affiancano il Comune di Mantova, l’ISCR, l’ICCROM, l’Università degli Studi di Milano, l’Università IULM, Monuments Men Foundation, Palazzo Ducale- Mantova, Diocesi di Mantova, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Ad affiancare Elena Maria Menotti e Sandrina Bandera, che ne sono curatrici, è un ampio e qualificatissimo Comitato Scientifico.

A contrapporsi alla violenza della distruzione c’è la forza della restituzione. Come racconta questa affascinante mostra e come ricorda, non a caso, il suo sottotitolo. Non caso ad accoglierla è Mantova, città devastata dal terremoto del 2012. Quell’evento causò, tra l’altro, il crollo del cupolino della Basilica di Santa Barbara e produsse seri danni ad uno dei luoghi simbolo della città, la Camera degli Sposi in Palazzo Ducale, rendendolo a lungo non visitabile. E con quello di Mantova, altri terremoti, dal Friuli ad Assisi, a Bam, L’Aquila, sino al Nepal. Come dimenticare poi l’alluvione del 1966 a Firenze e l’esercito degli “Angeli del fango”? O, su altro fronte, l’attentato all’Accademia dei Georgofili?

Le distruzioni scientemente provocate dagli uomini non si sono rivelate meno catastrofiche di quelle naturali. 

Distruzioni ereditate da guerre del passato recuperate molto tempo dopo, come è accaduto per Vilnius dove le distruzioni perpetrate dalle truppe di Pietro il Grande, sono state sanate solo dopo il 1989. 

 Rievocando la Prima Guerra Mondiale, l’attenzione è proposta su Mantova, Milano, il Veneto. Ancora Mantova, nella Seconda Guerra Mondiale, insieme a Milano - con focus sulla sala delle Cariatidi a Palazzo Reale, e su Cenacolo, Brera e Poldi Pezzoli - , le figure e l’azione di Pasquale Rotondi e di Modigliani e Pacchioni per la messa in sicurezza delle grandi opere d’arte italiane. 

Ma anche le vicende dell’obelisco di Axum, con le immagini della traslazione a Roma dall’Etiopia e della sua restituzione. A questa sezione della grande mostra ha collaborato, tra gli altri, la Monuments Men Foundation di Dallas

Tra i troppi conflitti recenti, la mostra propone quelli in Kosovo e in Afghanistan, evidenziando gli interventi di restauro dell’ISCR e la ricostruzione del ponte di Mostar. Le cronache quotidiane documentano le distruzioni in Iraq e Siria.

Le immagini delle distruzioni di Palmira hanno colpito l’opinione pubblica mondiale. Da ricordare che in quell’area archeologica era attivo il progetto “Pal.M.A.I.S.” dell’Università degli Studi di Milano, così come ed Ebla l’Italia era presente con una propria missione archeologica. Per scelta delle curatrici, in questa sezione le immagini saranno esclusivamente “positive”: proporranno le attività di ricerca archeologica svolta. Nessuna immagine di distruzione, ma un puro segnale grafico a simboleggiare la temporanea, forzata interruzione di un percorso di ricerca, recupero e valorizzazione. La grandezza di Palmira sarà testimoniata da reperti originali concessi dai Musei Vaticani. La mostra, inoltre, suggerirà di approfondire la grande storia della Mezzaluna Fertile visitando la Collezione Mesopotamica custodita in Palazzo Te. L’attenzione del visitatore viene attratta anche su altri fenomeni presenti durante i conflitti, quali gli scavi clandestini, evidenziando i casi di Apamea, Umma e Zabalam, con l’utilizzo di foto satellitari.

Mentre scorrono le immagini della “Giornata Unesco di lutto per la distruzione dei beni culturali”, la mostra porta l’attenzione sul farsi strada di una nuova consapevolezza. Citando come esempio la salvaguardia dei monumenti anche nel caso di grandi opere di ingegneria: emblematico è stato l’innalzamento dei templi di Abu Simbel per consentire l’invaso della diga di Assuan. Questa è una mostra che vuole ostinarsi a guardare avanti, a valorizzare il bello dell’uomo: ed ecco l’attenzione sui “blue shields”, il Comitato Internazionale dello Scudo Blu (ICBS) fondato nel 1996, "per lavorare per proteggere il patrimonio culturale mondiale minacciato da guerre e disastri naturali". E sull’attività davvero fondamentale del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, soprattutto in Iraq, i nostri “Caschi blu della cultura”.
Una mostra per non smarrire la memoria e condividere con i nostri cari, con le famiglie, con gli amici, con i compagni di classe significative e potenti immagini da non dimenticare e un patrimonio di cui essere fieri.

Orari: martedì, giovedì e sabato dalle ore 14 alle ore 19 mercoledì, venerdì e domenica dalle ore 8.30 alle ore 13.30

Per informazioni: museoarcheologico.mantova@beniculturali.it 

 Tel. 0376.320003

27/03/16

La Resurrezione di Grunewald, un quadro meraviglioso e misterioso.


La Resurrezione di Matthias Grünewald (1480-1528) - Trittico dell'altare di Issenheim

I Vangeli sono tutti di una sconvolgente discrezione: annunciano la Risurrezione senza descriverla; ne proclamano la realtà senza dire come Cristo è risorto dai morti

Essi preservano così il cuore del mistero e scelgono di comunicarlo attraverso le apparizioni di Cristo che, dopo la Risurrezione, è in un’altra condizione — può essere presente senza essere riconosciuto, può attraversare le porte sbarrate — e si rivela rivolgendosi ai suoi, come fa con Maria di Magdala, quando la chiama per nome, o attraverso le parole che accendono in quelli che ascoltano il fuoco della fede. Cristo risorto si comunica già attraverso una sottigliezza della parola in grado di farci vedere con gli occhi dello spirito e del cuore. 

È lo stesso e tuttavia è diverso, portatore di un’alterità che non altera l’identità della persona, ma la colloca in una realtà in cui il corpo non veste lo spirito, ma lo svela; non è contro lo spirito, ma ne è proprio l’espressione e manifesta il volto interiore.

Il mondo che Cristo rende presente attraverso la sua Risurrezione è il mondo della trasparenza, della piena coincidenza del corpo con lo spirito, della loro unità trasfigurata attraverso la vittoria sulla morte. Ciò che i Vangeli non dicono non è rimasto, tuttavia, nella zona dell’ineffabile e dell’invisibile, non era possibile. La storia del cristianesimo è anche una storia delle forme che riflettono significati che attribuiamo alla Risurrezione.

In questa prospettiva, tra i maestri dell’arte occidentale, Matthias Grünewald (1480-1528) trasmette in modo diverso il mistero della Risurrezione, con un’intensità e una profondità teologale mai raggiunte prima di lui.

Sull’altare di Isenheim la sua singolarità artistica si manifesta pienamente nella rappresentazione del Cristo risorto che non vediamo uscire vittorioso dal sepolcro mentre solleva il vessillo crociato come, per esempio, in Piero della Francesca o in tanti altri.

Sebbene la parte inferiore della tavola conservi la scena tradizionale delle guardie del sepolcro, sorprese dal sonno e terrorizzate da ciò che accade, Grünewald dipinge un Cristo trasfigurato che infilza il “velo” della notte cosmica del silenzio e dell’attesa.

Il suo corpo diffonde la luce interiore della natura divina; è, di fatto, una concentrazione di luce, un «riflesso della divinità», come diceva Gregorio Nazianzeno, che si fa visibile attraverso una creatura trasparente, di una mitezza infinita, la cui vittoria ha il volto eterno dell’amore.

Il potere di Cristo risorto è, nella visione di Grünewald, l’espressione del suo amore che si mostra ai nostri occhi attraverso la manifestazione riconciliata — sotto la forma di una croce che comprende tutto l’universo — dei segni della sofferenza divenuti sorgente di luce.

fonte Osservatore Romano, 4 aprile 2015.

La Resurrezione di Matthias Grünewald (1480-1528) - Trittico dell'altare di Issenheim, particolare

18/03/16

Due camere segrete nel sepolcro di Tutankamen - "Forse è la tomba di Nefertiti".


La scultura originale del busto di Nefertiti, conservata presso il Neues Museum di Berlino. 


"C'è "almeno il 90% di possibilità" che nel sepolcro di Tutankamen a Luxor vi siano due camere segrete, mai scoperte sinora né dagli archeologi né dai tombaroli."

Lo ha affermato il ministro delle antichità egiziano Mamdouh al-Damati illustrando i risultati di studi condotti con sofisticati mezzi radiologici da un'equipe giapponese.

La quasi certezza alimenta quella che ormai è diventata una leggenda, ovvero la presenza, accanto a quella di Tutantakamen, della tomba della regina Néfertiti.

Secondo altri studiosi nelle camere segrete potrebbe trovarsi la moglie del faraone Akhenaton, padre di Tutankamen, o una delle sue figlie. 


Entrando nel dettaglio dello studio condotto dalla squadra dell'esperto giapponese Hirokatsu Watanabe, il ministro ha spiegato: "Ci sono degli spazi vuoti, ma non totalmente vuoti, infatti congengono materiali organici e metalli".

Quindi il ministro ha precisato che ha fine marzo nel sepolcro verranno realizzate ricerche più capillari e accurate.

Risalente a 3300 anni fa, a differenza dei sepolcri degli altri faraoni la tomba di Tutankamen non è mai stata saccheggiata.

Scoperto nel 1922 dall'archeologo britannico Howard Carter, il sepolcro celava oltre 5000 oggetti intatti, di cui buona parte in oro massiccio.

l'apertura della tomba di Tutankamen, nel 1922 da parte di Howard Carter


17/03/16

"Rotta delle civiltà" di Fabrizio Falconi.




Rotta delle Civiltà


Non so come questa vecchiaia sia arrivata. Non me ne rendo proprio conto. Il mio nome – Yeronimus -  e il mio mestiere – Grande Viaggiatore – sono stampigliati a lettere d’oro sulla copertina di una pubblicazione che odora di cuoio fresco. 
 Sono io quello. E’ il mio nome. E mi domando come abbia fatto quel me stesso ad arrivare fin qui. E come possa essere io, il medesimo di allora.
  Eppure ogni volta, ogni volta, ogni volta che il cuore pensa, ritrova lo stesso frutto dei desideri, e tremori, follie: rinasce. Anche se sono soltanto un vecchio, una energia sempre nuova discende dal cielo, e mi bagna ancora. Quintessenza, materia oscura, ghiaccio che scotta, esiste dall’inizio dei tempi, e io ne faccio parte, finché mi è dato.
  Quando la prima nave staccò la prua dal porto, mi dissi: “il mondo ti appartiene“ e invece ora so che mi aspettava soltanto un viaggio di trasformazione. Tutto è cambiato, anche se io sono lo stesso di allora.
  Anche se sono lo stesso di allora, adesso mi specchio nella paura di una notte infinita.
  A quale scopo, mi chiedo,  il terrore si diverte ? Davvero la parvenza della mia vita, come quella di chiunque altro, è destinata a sciogliersi, come si scioglievano le vele nell’azzurro dei tropici ? Davvero dietro ad ogni miraggio appare l’ombra di una resa ?
  Il viaggio sta per chiudersi, l’ancoraggio è vicino, e dai venti invernali stavolta non mi salverà nessuno. Eppure guardo dalla finestra il lento spegnersi delle luci al confine della foresta, e so che domani, forse,  tornerò a rivederle spegnersi un’altra volta. Mi rimarrà questo conto scarno di giorni, e non sarò io a decidere quando fermare la testa sul cuscino, per lasciare che la mano bluvenosa della morte carezzi i miei capelli.
  Voglio dire quel che ho visto. Voglio liberare ancora una volta il cuore: se chiudo gli occhi, sento gli stessi profumi di allora, il canto dolce e amaro del mare sul viso. Le corde di canapa ruvide intorno alla vita, il silenzio disperato di pomeriggi infiniti.  Le amanti accarezzate, il destino che ho letto nel loro fuggirmi, alla fine di ogni sosta.  Lo rivedo come se fosse adesso, e lo posso raccontare:
  ero libero, ero io.
  Ero, nei pomeriggi infiniti.
  Ero al centro di tutto. Ero in piedi sulla rocca più alta della città, ero sotto un cielo che non ho più visto. Pieno di colori e ombre, di portenti e silenzi.
  Ero io quello che si immerse nel mare.
  Ero io quello che restò a galleggiare, sospeso tra cielo e mare.
  Ero il misterioso essere che mi contiene.
  Ero il contenuto pulsante che viveva, e pensava. E sognava.
  Ero io, come sono io ora.
  Ma ora, che le tenebre avanzano, l’uomo col messale legge i Suoi decreti. E davanti a lui c’è il me stesso che sono: il vecchio che non dorme e preferirebbe il sonno alle parole, e finisce per disperarsi, che aspetta il Tempo, che non ha tempo, che aspetta un morbo lontano, che lo ipnotizzi. Il vecchio che si abbandona al soffio di una melodia, e senza certezze dilania i suoi discorsi a furia di morsi amari. Il vecchio appeso a un filo che  ha imparato persino a pregare.
  Alla mia età, che ho visto tutto, non ho visto ancora niente.
  Non ho visto il meglio e non ho visto il peggio. E sulla prima pagina del libro c’è scritto:


  Attraversi il mare con un guscio di noce, guardi le stelle, ti affidi al vento, e non sai niente della nera tempesta che avanza. Sei chiamato a scavalcarla un’altra volta, affidandoti al coraggio del cuore, affidandoti soltanto…  


Fabrizio Falconi (C) - 2010 riproduzione riservata

immagine in testa tratta da : Il vecchio e il mare (Старик и море), cortometraggio d'animazione del 1999, diretto da Aleksandr Konstantinovič Petrov, vincitore dell'Oscar al miglior cortometraggio d'animazione nel 2000.

16/03/16

La meravigliosa Galleria Farnese affrescata da Annibale Carracci a Roma - Un volume di Silvia Ginzburg.



La Galleria Farnese affrescata da Annibale Carracci

Primo titolo della collana “In primo piano”, La Galleria Farnese, presenta la volta affrescata all’interno dell’omonimo palazzo oggisede dell’Ambasciata di Francia, da Annibale Carracci con la collaborazione del fratello Agostino tra il 1598 e il 1600 per il cardinale Odoardo Farnese: un ciclo di primaria importanza artistica che, a dispetto della sua fortuna nei secoli è oggi, tra i grandi monumenti della sua epoca, uno dei meno conosciuti.

Costruito attorno a una campagna fotografica eseguita per l’occasione da Zeno Colantoni, il volume permette di percepire, nell’avvicinamento progressivo dalla visione d’insieme ai macrodettagli, il susseguirsi delle invenzioni, le varianti di stile, le caratteristiche della tecnica esecutiva degli affreschi della Galleria Farnese. Oggetto di una simile lettura ravvicinata, la decorazione della Galleria, celebrata fino al XIX secolo quale modello della cultura classicista e d’accademia e proprio per questo poco considerata dalle stagioni critiche successive, dominate dal prevalere del gusto per il naturalismo, si rivela ricca di passaggi inaspettati proprio sul fronte della pittura di genere basso, a conferma dell’intento, già registrato dai contemporanei di Annibale, di dar vita a una decorazione in cui potessero trovar posto tutti i generi, dal tragico al comico, e il dispiegarsi di un linguaggio che fosse il risultato della fusione dei diversi accenti della tradizione pittorica italiana.

Palazzo Farnese

         I dati stilistici, tecnici, iconografici, resi facilmente leggibili dalla campagna fotografica e riletti alla luce delle testimonianze delle fonti più antiche e dei più recenti contributi storiografici, indicano infatti l’opportunità di tornare a considerare la Galleria Farnese, in piena consonanza con quanto indicato dalle voci più antiche, il momento più alto del tentativo compiuto dai Carracci e perseguito soprattutto da Annibale, di coniare un linguaggio pittorico che potremmo definire multidialettale, frutto dell’unione degli accenti proprii delle scuole pittoriche regionali quali si erano imposte all’apertura del Cinquecento. Come avevano inteso i suoi primi sostenitori, nella Galleria Annibale ha voluto combinare gli ingredienti distintivi della maniera moderna – i modelli della scultura antica, di Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Correggio, Parmigianino – rifondendoli in uno stile tanto più nuovo in quanto, per la prima volta dopo la lunga stagione del tardo manierismo, tornava a riverificare ogni invenzione sulla natura, come attestato dal ricchissimo corpus di disegni preparatori, di cui si esaminano nel saggio introduttivo alcuni esempi. Alla luce di questa analisi, e ancora una volta in accordo con quanto indicato dalle voci critiche più vicine ai Carracci, la Galleria Farnese si rivela come il testo figurativo più dichiaratamente e radicalmente antimanierista della storia della pittura italiana.
         Il volume ripercorre le tappe principali della vicenda critica degli affreschi farnesiani, tornando a considerarne i punti più spinosi, dalla questione relativa al significato dell’iconografia della decorazione, al rapporto tra la volta, i lati brevi e i lati lunghi della sala, al problema della datazione, fino ad aspetti più trascurati dagli studi, su cui il nuovo materiale fotografico permette di ragionare con nuovi elementi, quali la già ipotizzata partecipazione di Agostino alla decorazione della volta al di là delle due storie maggiori, da sempre ascrittegli dalle fonti, o il problema finora di fatto inesplorato relativo alla partecipazione della bottega di Annibale alla decorazione della volta. In questo modo il volume permette di studiare i molteplici aspetti di quella che davvero paradossalmente resta un’opera tra le meno note del suo tempo, pur essendo il capolavoro di un artista oggi oggetto di nuovo interesse da parte degli studi e del grande pubblico: un'opera di cui è tempo di riconoscere pienamente il ruolo e l’importanza nel panorama artistico italiano ed europeo.

Il volume Electa curato da Silvia Ginzburg


Silvia Ginzburg: già docente a contratto presso l’Università della Calabria, insegna dal 2004 Storia dell’arte moderna presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Il suo ambito di studio riguarda in particolare la cultura artistica del Cinque e Seicento. Ha pubblicato le sue ricerche sui Carracci, con nuove proposte di attribuzione e cronologia, in riviste scientifiche, in atti di importanti convegni (con Sybille Ebert-Schifferer, “Nuova luce su Annibale Carracci”, in corso di stampa), e in alcuni cataloghi di mostre, quali “Domenichino 1581-1641” (Roma 1996), e “Annibale Carracci” (Milano 2006). Gli affreschi della Galleria Farnese sono stati oggetto di una sua pubblicazione monografica, “Annibale Carracci a Roma. Gli affreschi di Palazzo Farnese”, Roma 2000. Ha lavorato inoltre sui rapporti tra Roma e Parigi attorno a Nicolas Poussin e sulla genesi della prima edizione delle Vite di Vasari (in Testi, immagini e filologia nel XVI secolo, Pisa 2007).
Con Barbara Agosti e Patrizia Zambrano cura una collana di saggi di storia dell’arte per Electa, nell’ambito della quale ha pubblicato la raccolta “Obituaries. 37 epitaffi di storici dell’arte nel Novecento” (Milano 2008).

15/03/16

5 anni dall'inizio della Guerra in Siria. Il miracolo della biblioteca tra le rovine.


La biblioteca sotterranea di Daraya, in Siria




E' una data tristissima, oggi.  


L'anniversario di una delle guerre più sanguinarie e feroci, che all'alba del Terzo Millennio, insanguinano il pianeta. 

La guerra civile in Siria è una ferita aperta per ogni uomo.  E mentre oggi vengono in mente tutte le migliaia di persone innocenti che hanno perso la vita, c'è una notizia che pare una sorta di miracolo nell'orrore.  Ad essa forse vale la pena destinare la nostra attenzione. 

Sopra la devastazione di una guerra che dopo cinque anni non finisce, infatti, sotto i bombardamenti e l'assedio del regime, c'è uno scantinato che è stato trasformato in biblioteca, con 15 mila volumi che i ribelli siriani hanno salvato dagli appartamenti e dalle scuole distrutte. 

Gli abitanti di Daraya, quartiere alla periferia di Damasco, sono stati tra i primi a sollevarsi contro Bashar al Assad, tra i primi a prendere le armi per reagire alla depressione: erano studenti, insegnanti, impiegati, gente qualsiasi.  Tra di loro anche Ahmad, uno degli organizzatori di questa biblioteca improvvisata, che insieme ad una quarantina di attivisti, durante gli scontri, hanno preso qualche rischio in più per scavare tra le macerie e mettere in salvo il maggior numero di libri possibile. 

Il sotterraneo ha un nome ufficiale: Fajr, cioè Alba. E, coprifuoco permettendo, mantiene l'orario di apertura dalle 11 del mattino alle 17. 

Ogni giorno venti, trenta persone, passano e si fermano a leggere al riparo dei barili-bomba, oppure prendono un libo e lo portano al fronte.  

Tra i libri salvati, anche molti titoli e autori proibiti dal regime. Ma anche molti libri e autori occidentali, e moltissimi libri per bambini. 

Non so se è un segnale di speranza.   

E' sicuramente un segno di resistenza umana. Nel fragore immondo della guerra. E non è poco.


Fabrizio Falconi


14/03/16

Spiegare il Nuovo Testamento passeggiando per il Palatino e il Foro Romano - un grande antologico lavoro di Andrea Lonardo.



L'ultima fatica di Andrea Lonardo e del suo meraviglioso sito Gli Scritti, è una guida ragionata (e minuziosissima di dettagli, informazioni, notizie storiche) alla scoperta del Palatino e dei Fori Romani come compendio al racconto biblico del Nuovo Testamento. 

Sul sito dunque, una guida al Palatino ed ai Fori Imperiali di cui riportiamo qui le prime righe

San Paolo entrò probabilmente in Roma da Porta Capena, accompagnato dal gruppo dei cristiani che gli erano andati incontro, oltre che dai soldati romani che lo conducevano nell’urbe

Porta Capena è la porta ormai scomparsa aperta lungo le antiche Mura Serviane: è localizzata dagli archeologi al di sotto dell’attuale piazza di Porta Capena

Prendeva il suo nome dalla città di Capua, perché, attraversandola, si imboccava la strada che portava a quella città.

L’ingresso in Roma venne spostato più a sud già in età romana con la costruzione di Porta Appia - oggi Porta San Sebastiano – appartenente al nuovo recinto delle Mura Aureliane. 

Oggi è Porta San Sebastiano a segnare l’inizio del cammino verso il sud della penisola, quello che si snoda, appunto, sulla via Appia, ma al tempo di Paolo le mura Aureliane non erano ancora state costruite, per cui egli entrò nell’urbe proprio in quel punto che oggi è riconoscibile solamente da un incrocio semaforico. 

Vale la pena fermarsi ad immaginare l’antica porta, mentre Paolo la attraversa. Un buon punto per fermarsi a riflettere su questo evento così importante è la strada bianca, all’interno della zona archeologica del Palatino, che passa al fianco dei resti dell’acquedotto subito dopo essere entrati da via di San Gregorio. 

Paolo giunse a Porta Capena percorrendo la via. Il Colle Palatino è oggi uno dei luoghi più belli di Roma perché su di esso si possono visitare le rovine del palazzo imperiale e godere dei migliori panorami sul centro della città

Il legame fra il colle ed il Palazzo è così forte che proprio l’attuale termine “palazzo” deriva da “Palatino”, il colle sul quale sorgeva appunto il “palatium” per eccellenza, la residenza imperiale. I resti ancora visibili permettono di ricostruire le diverse fasi della residenza che venne eretta dall’imperatore Augusto, negli anni quindi della nascita e della vita nascosta di Gesù. 

 Prima di visitare le rovine vale la pena dare uno sguardo globale alla cronologia del periodo imperiale, per poterla comparare con gli eventi neotestamentari: questo aiuterà a situare poi gli eventi della vita di Gesù e degli apostoli nel contesto degli eventi politici del tempo, in relazione alle rovine che via via si visiteranno – soffermarsi sui resti di alcuni edifici permette di soffermarsi anche visivamente nella scuola e nella catechesi sulle origini e sui primi secoli del cristianesimo

 I primi cinque imperatori appartennero ad un’unica dinastia, quella giulio-claudia. In realtà già Giulio Cesare governò da solo e con lui venne ad essere utilizzato il termine “imperator” in un senso nuovo, mentre prima con esso si indicava la figura di un generale delle truppe. 

11/03/16

Pantheon e Mausoleo di Adriano: due conferenze di Archeoastronomia alla Galleria Umberto Prencipe.



L’archeoastronomia è una scienza multidisciplinare, che fornisce nuove e inedite chiavi d’interpretazione per comprendere la funzione e il significato degli edifici antichi. 

Si basa su complessi calcoli matematici per accertare la posizione del Sole in epoca romana, cui fa riscontro lo studio dell’architettura e del significato religioso e simbolico degli edifici. 

Non c’è bisogno di andare a Stonehenge, Chichen Itzà o Abu Simbel per vedere gli straordinari fenomeni luminosi dei Solstizi: esistono anche a Roma e a Tivoli, e funzionano ancora

Mercoledì 6 aprile, ore 18.00 

Introduzione all’archeoastronomia Cenni sull'archeoastronomia a villa Adriana Archeoastronomia nel Pantheon 

Mercoledì 20 aprile, ore 18.00 Archeoastronomia nel Mausoleo di Adriano (Castel Sant’Angelo)

Marina De Franceschini, archeologa, si è laureata a Genova ed ha conseguito un Master of Arts a Bryn Mawr College (Pennsylvania, Stati Uniti) con una tesi sui mosaici della villa Adriana di Tivoli, che è stata il punto di partenza per i suoi studi successivi. 
Attualmente sta preparando il primo di due volumi sulla Storia degli scavi e degli studi a villa Adriana a partire dal Quattrocento. 
Ha pubblicato diversi libri dedicati allo studio delle antiche ville romane: il primo, Villa Adriana, mosaici pavimenti, edifici (1991) ha vinto il premio l’Erma di Bretschneider. 
Altri due hanno studiato la decorazione, struttura e gli impianti produttivi delle ville in altre regioni, inserendole nel loro contesto economico e geografico: Le ville romane della Venetia et Histria (1999) e Ville dell’Agro romano (2005). 
A partire dal 2005 ha creato e diretto il Progetto Accademia, dedicato allo studio dell’Accademia della Villa Adriana di Tivoli, pressoché sconosciuta in quanto si trova ancora in proprietà privata e non è mai stata aperta al pubblico. Insieme all’archeoastronomo Giuseppe Veneziano dell’Osservatorio astronomico di Genova è stata una pionieri degli studi archeoastronomici a Villa Adriana. 
Nel 2011 hanno pubblicato insieme il volume Villa Adriana. Architettura Celeste. I segreti dei Solstizi. In seguito hanno condotto studi su altri antichi edifici romani (Pantheon; Villa Jovis a Capri e il Mausoleo di Adriano), in cui si osservano speciali fenomeni luminosi all’equinozio e al solstizio estivo. 

Le due conferenze si terranno presso la Galleria Prencipe e hanno un costo totale di 30 euro + 5 euro di iscrizione per i nuovi soci. 

Non è possibile acquistare la presenza a una singola conferenza. 

Sarà rilasciato un attestato di partecipazione. È possibile iscriversi fino al 31 marzo, salvo esaurimento posti. 

Per informazioni e iscrizioni: galleria@umbertoprencipe.it; 338.3665665, 328.4829116. 

10/03/16

"Francesco nell'arte, da Cimabue a Caravaggio", una splendida mostra a Ascoli Piceno.

Caravaggio, San Francesco in meditazione

Si inaugura sabato 12 marzo alle ore 17:00 presso la Sala della Ragione Palazzo dei Capitani la mostra “Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio” curata da Giovanni Morello e Stefano Papetti. 

Dopo l’inaugurazione seguirà la visita guidata alla mostra allestita nella Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno. 

“Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio ” è la prima delle quattro grandi mostre che la Regione Marche dedica al Giubileo della Misericordia, unica regione ad onorare il Giubileo indetto da Papa Francesco con mostre importantissime

Il 2016, un anno straordinario, raccoglie come chiave tematica unitaria un programma di esposizioni unico in Italia per valore degli allestimenti, preziosità delle opere ospitate e prestigio dei curatori che si sono impegnati per realizzare progetti espositivi di livello internazionale. 

Stefano Papetti, curatore della mostra e direttore della Pinacoteca civica, ha sottolineato come la mostra di Ascoli Piceno, con numerosissimi prestiti da tutta Italia, sarà anche l’occasione non solo per i visitatori ma anche per gli studiosi di avere un raffronto sull’iconografia di San Francesco , da Cimabue al Piazzetta , che non è stata , al contrario di altri Santi, univoca

“Una ricerca – ha ricordato il critico d’arte - anche sulle diverse raffigurazioni del saio, della postura, la tonsura e le stigmate. Ma sarà anche un modo per conoscere l’arte francescana di Ascoli Piceno dove Francesco sostò più di due mesi nel 1215 per la sua predicazione convincendo a seguirlo molti rampolli delle più nobili famiglie ascolane.” 

La mostra “Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio”, inserita in un più ampio contesto di iniziative culturali che coinvolgeranno la città di Ascoli Piceno nel corso del 2016, intende ricordare la figura di San Francesco in occasione dell’ottavo centenario della sua venuta nel Piceno. 

Il fondatore dell’ordine francescano, in virtù della sua precoce popolarità è stato infatti rappresentato dai maggiori artisti italiani e stranieri, a partire da alcuni tra i più autorevoli esponenti dell’arte gotica che ebbero modo di conoscerlo o di ricevere dai suoi più diretti seguaci informazioni attendibili circa il suo aspetto fisico. 

Nelle tavole dipinte da Margaritone d’Arezzo, da Bonaventura Berlinghieri e da Cimabue viene dunque fissato un modello rappresentativo al quale si sono attenuti gli artisti dei secoli successivi, attenti a rispettare scrupolosamente alcuni dettagli iconografici che consentivano facilmente ai devoti di riconoscere, tra gli altri santi, la presenza di Francesco. 

Nelle Marche le visite da lui effettuate, il grande seguito che ha raccolto e soprattutto la precoce istituzione di conventi maschili e femminili legati alla regola francescana, l’origine ascolana del primo papa francescano (Niccolò IV, 1288-1292) hanno determinato lo svilupparsi di una intensa iconografia legata alla figura del santo d’Assisi ed alle sue vicende personali: non è un caso che proprio nella chiesa di san Gregorio ad Ascoli Piceno si conservi un affresco del XIII secolo che per la prima volta riproduce la predica agli uccelli, un tema che nei secoli successivi è stato spesso rappresentato fino ad assumere la caratteristica di un vero e proprio topos utile a dimostrare l’attenzione di Francesco verso tutto il creato. Grazie ai prestiti richiesti ai maggiori musei italiani, sarà possibile ripercorrere l’evoluzione della figura di Francesco nella pittura dal Medioevo alla Controriforma, quando, in base alle norme relative all’arte sacra sancite in occasione del Concilio di Trento, venne ribadita la necessità di rappresentarlo rispettando la tradizione iconografica stabilita fin dal XIII secolo, come attesta nel suo “Dialogo sugli errori de’ pittori circa le istorie” il sacerdote fabrianese Giovanni Andrea Gilio (1564)

Nell’imponente Sala della Vittoria della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, saranno quindi collocati i dipinti della mostra che si aggiungeranno ai due capolavori legati al tema francescano già presenti nelle raccolte comunali: la grande tela di Tiziano raffigurante San Francesco che riceve le stigmate e la tavola di Cola dell’Amatrice raffigurante il santo di Assisi con altri confratelli. Idealmente la mostra troverà un suo sviluppo nella Sala del piviale dove è esposto il prezioso paramento liturgico ricamato in opus anglicanum donato alla città di Ascoli dal Pontefice Nicolò IV, il primo francescano ad essere asceso alla cattedra di san Pietro.

Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio 
Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica 
12 marzo / 30 giugno 2016 
a cura di Giovanni Morello e Stefano Papetti

09/03/16

Dal 21 aprile, Natale di Roma, illuminati finalmente tutti i Fori !



Il 21 aprile, Natale di Roma, via dei Fori Imperiali in notturna potrebbe riservare a romani e turisti una novità: luci da ambo i lati. Non solo sul versante dei Fori, già illuminati durante la giunta di Ignazio Marino, ma anche su quello del Foro Romano. 

Il commissario straordinario di Roma Francesco Paolo Tronca sta puntando a questa data per l'"accensione" dell'altro versante dello storico viale che porta dal Campidoglio al Colosseo. 

E l'Acea, la multiutility romana, sta lavorando per questo

"Nessun progetto faraonico", hanno fatto sapere dal Campidoglio. Tronca, stamane, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione della stagione estiva del Teatro dell'Opera di Roma, ha spiegato: "Sto cercando di fare di tutto per far si' che la parte destra dei Fori possa essere illuminata come lo e' la parte sinistra, ovvero quella relativa ai Mercati di Traiano. 

Con la cultura noi stiamo coltivando Roma. E' questo il senso di ciò che stiamo facendo ed e' per questo che ho tenuto per me la delega della cultura. Cultura - ha detto il commissario - significa rielaborare insieme la bellezza, la storia di Roma, i siti archeologici, gli eventi, in un ripensamento collettivo che deve tradursi nella consapevolezza di una nuova grandezza morale della citta' da regalare al mondo. Per questo tutte le istituzioni devono lavorare insieme perche' la cultura e' fondamentale". 

Il commissario ha inoltre precisato di aver appositamente creato in Campidoglio "un gruppo di pensiero che sta cercando di tracciare un palinsesto unitario in grado di inanellare manifestazioni ed eventi e spettacoli in un'unica narrazione"

 Il progetto di illuminazione notturna di via dei Fori e' iniziato con la giunta Marino, che nel 2015 ne affido' la progettazione artistica al tre volte premio Oscar Vittorio Storaro e a sua figlia. Ripresero vita, cosi', anche con il calar del sole, i Fori di Nerva, Augusto e di Traiano. 

Ma il panorama per i visitatori serali dell'area archeologica centrale era diviso a meta': da un lato le luci sull'area di competenza comunale, dall'altro il buio su quella statale. Di qui il piano per unificare l'illuminazione, che se tutto andra' bene, verra' inaugurato tra un mese e mezzo.

07/03/16

300.000 visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi ! Grazie.



Si cresce, si diventa: diceva un saggio. 

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato, dopo così poco tempo il traguardo dei 300.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività, anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno. 
Grazie.

Fabrizio

06/03/16

Il Libro della Domenica: "Fondamenta degli Incurabili" di Iosif Brodskij





Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo-alias-acqua abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo.

Parlare di Venezia significa parlare di tutto – e in particolare della letteratura, del tempo, della forma, dell’occhio che la guarda. 

Così è per Brodskij in senso pienamente letterale. Questa divagazione su una città si spinge nelle profondità della memoria del pianeta, sino alla nascita della vita dalle acque, da una parte, e, dall’altra, nei meandri della memoria dello scrittore, intrecciando alla riflessione le apparizioni nel ricordo di certi momenti, di certi fatti che per lui avvennero a Venezia. 

C’è qui, come sempre in Brodskij, l’immediatezza della percezione e il gioco fulmineo che la traspone su un piano metafisico. E, per il lettore, quella percezione, quel contrappunto di immagini e pensieri intriderà d’ora in poi il nome stesso di Venezia.


Iosif Brodskij 
Fondamenta degli incurabili 
Traduzione di Gilberto Forti 
Piccola Biblioteca Adelphi 1991, 20ª ediz., pp. 108 
 isbn: 9788845908088 
Temi: Letteratura nordamericana, Letteratura di viaggi 
€ 10,00 

Iosif Brodskij a Venezia


05/03/16

"Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim" - una preziosa mostra a Palazzo Strozzi dal 19 marzo.


Mark Rothko (Marcus Rothkowitz; Dvinsk 1903-New York 1970) Senza titolo (Rosso), 1968. Venezia, Fondazione Solomon R. Guggenheim, Collezione Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, lascito Hannelore B. Schulhof, 2012, 2012.92


Dal 19 marzo al 24 luglio 2016 Palazzo Strozzi ospiterà la grande mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, che porta a Firenze oltre 100 capolavori dell’arte europea e americana tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, in un percorso che ricostruisce rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti americani Peggy e Solomon Guggenheim.

Curata da Luca Massimo Barbero, la mostra nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi e la Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York e permette un eccezionale confronto tra opere fondamentali di maestri europei dell’arte moderna come Vasily Kandinsky, Marcel Duchamp, Max Ernst, Man Ray e dei cosiddetti informali europei come Alberto Burri, Emilio Vedova, Jean Dubuffet, Lucio Fontana, insieme a grandi dipinti e sculture di alcune delle maggiori personalità dell’arte americana degli anni cinquanta e sessanta come Jackson Pollock, Marc Rothko, Wilhelm de Kooning, Alexander Calder, Roy Lichtenstein, Cy Twombly.

Dedicare una mostra alle collezioni Guggenheim significa raccontare a ritmo serrato la nascita delle neoavanguardie del secondo dopoguerra in un fitto e costante dialogo tra artisti europei e americani. 

Realizzare questa straordinaria mostra a Firenze significa anche celebrare un legame speciale che riporta indietro nel tempo. È proprio a Palazzo Strozzi, infatti, negli spazi della Strozzina, che nel febbraio 1949 Peggy Guggenheim, da pochissimo giunta in Europa, decide di mostrare la collezione che poi troverà a Venezia la definitiva collocazione.

I grandi dipinti, le sculture, le incisioni e le fotografie esposte in mostra a Palazzo Strozzi, in prestito dalle collezioni Guggenheim di New York e Venezia e da altri prestigiosi musei internazionali, offrono uno spaccato di quella straordinaria ed entusiasmante stagione dell’arte del Novecento di cui Peggy e Solomon Guggenheim sono stati attori decisivi.

La mostra è promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e dalla The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York e Venezia con il sostegno del Comune di Firenze, la Camera di Commercio di Firenze, l’Associazione Partners Palazzo Strozzi, la Regione Toscana.

Con il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.

Titolo DA KANDINSKY A POLLOCK. La grande arte dei Guggenheim Sede Palazzo Strozzi Periodo 19 marzo-24 luglio 2016 
Mostra curata da Luca Massimo Barbero curatore associato Collezione Peggy Guggenheim Venezia Con i Patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Consolato Generale degli Stati Uniti d'America a Firenze Consolato onorario di Francia a Firenze Promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi e dalla The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York e Venezia Con il sostegno di Comune di Firenze, Camera di Commercio di Firenze, Associazione Partners Palazzo Strozzi, Regione Toscana 

Catalogo Marsilio Editori, Venezia 
Prenotazioni Sigma CSC T. +39 055 2469600 F. +39 055 244145 e attività didattiche prenotazioni@palazzostrozzi.org 
Orari Tutti i giorni 10.00-20.00, Giovedì 10.00-23.00.
Dalle ore 9.00 solo su prenotazione. 
Accesso in mostra consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura 
Informazioni in mostra T. +39 055 2645155 
www.palazzostrozzi.org Biglietti intero € 12,00; ridotto € 9,50; € 4,00 Scuole

04/03/16

Sabratha, la Guerra tra le gloriose rovine romane.



Fa impressione leggere le notizie di questi giorni dei combattimenti e degli attentati e rapimenti che si svolgono nei dintorni di Sabrahta, città della Libia dove esistono meravigliosi reperti archeologici. Sabratha del resto ha una storia incredibilmente affascinante, che affonda nell'alba della civiltà.



Sabratha fu fondata nel VII secolo a.C. dai Fenici di Tiro in uno dei pochi porti naturali della Tripolitania e divenne ben presto un avamposto commerciale allo sbocco di un'importante via carovaniera. 

Per questa sua posizione strategica, Sabratha conobbe un rapido sviluppo e cadde ben presto sotto il controllo di Cartagine

Passata per breve tempo al Regno di Numidia sotto Massinissa, Sabratha fu poi presa dai romani nel 46 a.C., sotto i quali godette di una nuova prosperità. 

All'epoca dei Severi la città venne completamente ricostruita ed abbellita soprattutto grazie al fatto che l'imperatore Settimio Severo era nativo della vicina Leptis Magna. 

Numerosi edifici pubblici vennero ricoperti di preziosi marmi, mentre a quell'epoca risale il monumentale teatro in riva al mare. (vedi foto)

Nel momento del suo apogeo, Sabratha contava circa 20.000 abitanti.

Il declino si profilò a partire dal IV secolo, con la graduale decadenza dell'Impero romano e le prime incursioni di popolazioni berbere, e venne accelerato da una serie di eventi naturali, primo tra tutti il terribile terremoto del 365. 

Nel 439 i Vandali di Genserico conquistarono la città, ma furono cacciati dai bizantini al comando dei Generalissimi Narsete e Belisario. 

I bizantini, governati dall'Imperatore Giustiniano, ne avviarono una parziale ricostruzione. Vennero costruite chiese, un nuovo porto e altre strutture fondamentali, tra le quali una nuova cinta muraria. 

Divenne presto una delle città più importanti dell'Esarcato d'Africa

Il dominio di Costantinopoli terminò nel 709, dopo ben quattro invasioni musulmane, con la conquista di Cartagine e la caduta dell'Esarcato. 

Con l'arrivo degli Arabi nel VII secolo Sabratha perse completamente la sua importanza, giacché unico centro della Tripolitania divenne la città di Oea (l'attuale Tripoli).

03/03/16

Finalmente al via i lavori per il Mausoleo di Augusto.





Sei milioni per il Mausoleo diAugusto, ovvero per il completamento dei lavori di impiantistica, l'allestimento espositivo, la copertura, e il "percorso anulare su passerella"

Il progetto preliminare e' stato approvato dal commissario Francesco Paolo Tronca per poterlo "includere successivamente nell'elenco annuale del programma triennale dei lavori pubblici 2016-2018". 

La delibera a cui Tronca ha dato l'ok con i poteri della giunta e' stata approvata il 25 febbraio e pubblicata oggi sul sito del Comune. Nello stesso giorno e' arrivato l'ok del Campidoglio anche al progetto preliminare del restauro del Teatro Valle da 3 milioni; 1,5 per il restauro strutturale e 1,5 per quello architettonico. (fonte ANSA)

Della zona del Campo Marzio a Roma, dove sorgevano nell'antichità i tre grandi monumenti Augustei: L'horologium (o meridiana solare), l'Ara Pacis e l'enorme Mausoleo a lui dedicato ho parlato qui, in Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma. 


I resti della grandiosa Meridiana di Augusto nelle cantine dei palazzi di San Lorenzo in Lucina.
Nel 1457 il cardinale allora titolare della Chiesa di San Lorenzo in Lucina, Filippo Calandrino, fu involontariamente protagonista di una delle scoperte più stupefacenti della storia archeologica di Roma. Durante i lavori di ristrutturazione delle fondamenta del palazzo Fiano-Almagià, (sulla piazza di San Lorenzo in Lucina, sulla sinistra della Chiesa) e di erezione della cappella dei Santi Filippo e Giacomo (l’attuale sacrestia della Chiesa), infatti, venne in luce, ad otto metri di profondità rispetto al piano stradale attuale, un intero settore dell’horologium fatto costruire dall’imperatore Augusto nel 10 a.C. : una delle più grandiose opere della Roma Antica, che originariamente misurava ben centosessanta metri per settantacinque.

Di questo meraviglioso e ancora in parte misterioso prodigio, si erano persi nei secoli, le tracce. Quella zona, infatti, sulla quale si erano sedimentate le sabbie melmose portate da numerose inondazioni del Tevere, si era poi densamente popolato in epoca medievale. La scoperta, compiuta dai picconatori del Cardinale Calandrino suscitarono l’enorme entusiasmo degli antiquari, tra cui Pomponio Leto, il quale ne lasciò memoria nei suoi appunti.

02/03/16

Il Giardino di Matisse, dal 5 marzo al 23 aprile al Palaexpo (Gratuita).



Mentre le sue forbici correvano sul foglio, fantasticò su come deve sentirsi un uccello quando vola. E mentre ritagliava, Matisse si senti' come se anche lui stesse volando.. 

Parte da un libro una piccola, preziosa mostra-laboratorio pensata per i bambini che il Palazzo delle Esposizioni a Roma apre dal 5 al 22 maggio nello spazio Fontana

Intitolata Il Giardino di Matisse, la rassegna, gratuita e aperta a tutti, si incentra sulle tavole originali dell'omonimo volume (pubblicato da MoMa con Fatatrac) con il poetico testo di Samantha Friedman e le illustrazioni di Cristina Amodeo. 

E come il libro, racconta la passione di Matisse per i collage, l'arte che il grande pittore francese dei fauves sperimento' soprattutto negli ultimi anni della sua vita, quando la malattia lo aveva costretto su una sedia a rotelle. 

Matisse fotografato da Cartier-Bresson


 Il libro, nato in occasione della mostra Henri Matisse: the Cut Outs, inaugura un nuovo progetto del MoMA che prevede la pubblicazione di un albo per ogni grande esposizione legata alla sua collezione e la diffusione dei nuovi titoli in altri paesi, cercando di volta in volta la collaborazione di una casa editrice, in Italia Fatatrac - edizioni del borgo, che possa collaborare all'intero progetto.

 Insieme alla mostra - che accoglie anche una serie di riproduzioni delle opere del grande pittore francese - anche un ricco calendario di eventi a cura dei Servizi Educativi-Laboratorio d'Arte del Palazzo delle esposizioni. 

Tra questi, laboratori gratuiti per i piu' piccoli, prenotabili sia per il pomeriggio del 5 marzo, sia per il 23 aprile in occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore.