30/01/16

"Il quinto evangelio" di Mario Pomilio. Ritorna un grande libro.


Sono appena uscito dalla lunghissima lettura di un libro straordinario, Il Quinto Evangelio di Mario Pomilio, rieditato pochi mesi fa da L'orma, nella collana di testi italiani diretta da Andrea Cortellessa e divenuto un po' il caso letterario italiano del 2015.

Si tratta di un libro che ha avuto una storia particolarissima, e che alla sua uscita vinse numerosi premi (nel 1974 vinse il Premio Flaiano quando era ancora inedito; poi il Premio Napoli, e nel 1975 Prix pour le meilleur livre étranger di Parigi, 1978).

Il quinto evangelio è un testo ambiguo e un romanzo assolutamente sui generis. In qualche modo esso è l'antesignano di quel fortunato filone di romanzi storici, che ha trovato il massimo successo con Il nome della rosa di Umberto Eco nel 1980. 

Ed è un romanzo-mondo che contiene molti diversi generi, dall'epistolario all'antologia, dall'opera teatrale al saggio storico-biografico all'indagine filosofico-religiosa, costruito intorno alla ricerca di un fantomatico libro (Il quinto Vangelo, per l'appunto) che fa da fil rouge a molte altre storie che si intrecciano, dei vari personaggi che nei secoli hanno dedicato anni di ricerca (e in qualche caso la stessa loro vita) alla ricerca. 

In particolare il romanzo si costituisce di un carteggio, di tre lunghe lettere che contengono a loro volta tutta una serie di documenti storici sepolti dalla storia. 
Il prodigio che è riuscito a Pomilio è quella di raccontare una storia assolutamente fantastica, costruita però con tutte le rigorose sembianze di una vera ricerca storica. Ed è lo stesso autore ad avvertire nel colophon: « Occorre appena, credo, avvertire che questa è un'opera d'invenzione e che le stesse fonti che si menzionano o sono immaginarie (e la più parte sono tali), o sono adottate con la massima libertà. » 

In sostanza, su un telaio di base, Pomilio costruisce una serie di elementi di fantasia che forzano la realtà storica e inducono a riflettere sul senso della ricerca della verità e anche - quindi - della personale ricerca di Dio. 

La trama - anche se di trama è molto difficile qui parlare - parte dalle vicende di Peter Bergin, un ufficiale americano dislocato nel 1945 a Colonia, il quale si trova ad alloggiare in una canonica abbandonata nella quale, all'interno della biblioteca, tra le carte appartenute al vecchio parroco scomparso, scopre materiali riguardanti un misterioso "quinto vangelo", alla cui ricerca sembrava che il sacerdote avesse dedicato moltissimi anni della propria vita. 

L'ufficiale, che nella vita civile è docente universitario e storico di professione, viene conquistato dall'enigma e, una volta terminata la guerra si dedica a tempo pieno a quella ricerca, riunendo insieme ad altri giovani collaboratori, una serie di antichi documenti che parlano direttamente o indirettamente del libro proibito. 

Quando è ormai malato, dopo trent'anni, Bergin invia tutto il materiale a un certo monsignor "M.G.", segretario della Pontificia Commissione Biblica, insieme a una lunga lettera nella quale riassume le ragioni e le tappe della ricerca intrapresa, dando conto anche delle prove scoperte. 

In coda alla documentazione storica, Bergin unisce alcune lettere inviategli dai suoi allievi e collaboratori le quali, chiarisce il professore vuole aggiungere altri elementi alla ricerca. 

La risposta del prelato romano giunge due mesi dopo, troppo tardi per Bergin che nel frattempo è morto. Il testo è omesso da Pomilio e ci è dato di conoscerne il contenuto, solo in parte e indirettamente, dalla lettera che a sua volta la segretaria di Bergin, Anne Lee, invia a Roma. 

“Una risposta alla risposta” è appunto il titolo assegnato al Capitolo 16, che svela molte circostanze rimaste fino a quel momento nell'ombra. Anne Lee introduce nuovi e risolutivi argomenti tra cui un testo teatrale, punto d'arrivo della lunga meditazione sui Vangeli iniziata tanti anni prima da Bergin che attraverso i personaggi in gioco rivela sé stesso, e dubbi, le intuizioni e i dialoghi interiori fino all'apparire dell'elemento della "fede" che in conclusione sembra assumere un aspetto risolutivo. 

Il testo teatrale, in un crescendo drammatico svela il colpo di scena finale quando il Quinto Evangelista si leva in piedi … liberandosi nel frattempo della benda che ha attorno al volto e scoprendo un uomo che il volto stesso di Gesù. 

La riduzione in questi termini non fa certo un buon servizio al testo di Pomilio, che è multiforme, inafferrabile, e che rappresenta anche una sfida per il lettore, il quale è invitato a perdersi e abbandonarsi in una fitta ragnatela di indizi veri, falsi o verosimili, che lo riconducono semplicemente a riflettere sulla sua natura umana e sul rapporto con il divino. 

Ho pensato, leggendo questo libro, a quanto esso è distante da quell'eterno presente nel quale tutti sembriamo calati in questi primi decenni del terzo millennio.  

Anni luce separano la fredda liquidità contemporanea alla immane capacità d'introspezione filologica e filosofica che Pomilio sa condurre con mano magistrale, componendo un testo che è una sfida, e allo stesso tempo, una mappa di navigazione per un (auspicabile) ritorno a toni più umani. 

Fabrizio Falconi



Mario Pomilio

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