31/12/15

Robert Nathan, Ritratto di Jennie (RECENSIONE).




Merito della neonata casa editrice Atlantide, l'aver riportato in luce, questo piccolo gioiello della letteratura americana, pubblicato originariamente nel 1940 e portato sullo schermo qualche anno più tardi in un fortunato film di William Deterle, con l'interpretazione di Joseph Cotten e Jennifer Jones. 

Newyorchese, nato nel 1894 (e morto a Los Angeles dopo una lunghissima vita, nel 1985), Nathan conobbe una grande popolarità negli anni '30 e '40, ammirato da scittori come Francis Scott Fitzgerald e Ray Bradbury, anche se ha finito per essere dimenticato, negli ultimi decenni. 

Ritratto di Jennie, considerato il suo capolavoro, fu pubblicato in Italia da Bompiani nel 1948 e successivamente da Mondadori nel 1958. 

Da allora non era stato più stampato, ed eccolo oggi tornare in libreria con la traduzione e la cura di Simone Caltabellota. 

E' una sorta di romanzo magico. Per la storia che vi è raccontata, e per lo stile di Nathan, puro ed essenziale, giocato su ogni sfumatura di toni e di colore, in un raro prezioso equilibrio, che regge miracolosamente fino all'ultima pagina. 

Jennie è all'inizio del romanzo una bambina che - nei suoi vestiti un po' antiquati - viene notata dal giovane artista Eben Adams, mentre passeggia per il Central Park. 

Eben scambia con lei solo qualche parola, meravigliandosi del fatto che sia sola lì, che sembra lo stia aspettando.  La bambina gli lancia un enigmatico messaggio: Vorrei che tu aspettassi che io diventi grande. 
E quell'incontro, cambia improvvisamente la vita del pittore. Sfiduciato e perdente, fino a quel momento,  Eben comincia ad essere notato da una coppia di facoltosi galleristi, e proprio a causa del ritratto che l'artista ha ricomposto nella sua mente, della bambina incontrata a Central Park. 

Ben presto, Jennie torna a fargli visita. Ed Eben in un misto di incredulità e attrazione, si accorge che quella bambina sta crescendo sotto i suoi occhi: ogni volta che torna da lui è un po' più grande, un po' più donna. 

L'amore tra Eben e Jennie dunque, sfida il tempo, le generazioni, il passato e il presente.  Coinvolge a tal punto l'artista, da rivelargli un nuovo modo di intendere la vita, la capacità di amare che è fatto di cura e di attesa. 

Negli ultimi due capitoli il nuovo incontro tra Eben e Jeannie ha per teatro la forza di un terribile uragano, che sembra trascinare con sé la perfezione di questa unione karmica e poter valicare la stessa distinzione tra vita e morte, come quella tra verità e apparenza.

Ma è la qualità della scrittura di Nathan che rende memorabile il racconto fantastico, nella descrizione dei sentimenti indefiniti, della sostanza misteriosa della sorte, del fascino superbo della natura. 
Ne è un esempio questo brano, a pag.62 del libro.

A volta nella tarda estate o nel primo autunno c'è un giorno più bello di tutti gli altri, un giorno perfetto, così puro che il cuore ne rimane estasiato, sospeso in una specie di sogno, preso in un incantamento oltre il tempo e lo scorrere delle cose. La terra, il cielo e il mare rifulgono del loro colore più vero, e brillano, non toccati da nulla nella loro fissità; lo sguardo vola come un uccello attraverso le distanze, nell'aria immobile.
Tutto è fermo e chiaro, non c'è nulla che finisce, nulla che cambia. Ma con la sera si alza la nebbia; e dal mare arriva un presagio di grigio. 

In fondo, di questo è fatto questo romanzo, come la vita di tutti, di natura e psiche. 

Fabrizio Falconi



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