26/04/14

Lessico dei poeti 7 - 'Stanchezza'.


Peter Handke

Sembra quasi un controsenso, che una parola come questa possa far parte del lessicodei poeti, anime per definizione inquiete, sempre tese verso l’indicibile. 

Eppure ci sono tanti modi di intendere la stanchezza, un sentimento con il quale si ha molto a che fare nella vita di tutti i giorni. Uno dei modi possibili è quello descritto da Peter Handke, nel bellissimo Saggio sulla stanchezza ( Garzanti, 1991 ). 

Qui lo scrittore austriaco racconta di cosa gli accadde dopo un interminabile e scomodo viaggio dall’Alaska a New York. 

Giunto in albergo, dopo una notte insonne, e pieno solo di stanchezza, rinunciò a coricarsi. Scese in strada,  soltanto per assistere alla solita confusione di passanti e traffico che si svolgeva di fronte ai suoi occhi di fronte ai cancelli del Central Park. 

E qui, ecco il miracolo, ecco la sorpresa: l’angoscia si trasforma in pura stanchezza, la stanchezza in bellezza. Fino a sera inoltrata – scrive Handke – non feci più altro se non stare seduto e guardare; era come se intanto non avessi neanche bisogno di respirare. Dalla stanchezza venne tolto come per miracolo l’Io solipsistico, eterna causa di irrequietezza: niente altro più che occhi liberati.

Una stanchezza come risanamento, dunque, come riconciliazione con se stessi. Come accettazione di un destino umano, in fondo. Contro la stanchezza, infatti, solitamente non facciamo altro che combattere, rifiutandola, cercando disperatamente qualcosa che ci occupi, che ci distragga. 

Questa stessa stanchezza, contemplativa e sublime, si ritrova spesso nei versi dei poeti. Luciano Erba, milanese, ha scritto nella raccolta L’ippopotamo (Einaudi, 1989 ) diverse poesie nelle quali riecheggia questo mood. Lo stesso animale, l’ippopotamo, è quanto di più perfettamente rispondente all’immagine della stanchezza, eternamente immerso nei suoi bagni di fango.

E’ un giorno di bianchi pennacchi
di fumo stampato sul cielo
da un vento che porta la neve
e arrossa le mani dei preti
è un prato un po’ fuori città
tra cose in uso e in disuso
tra case senza balconi
e un margine di ferrovia
vi asciugano molte lenzuola
con panni di vari colori 
dal viola a lievissimi rosa 
vi corre accanto il mio treno 
annoto: bucato sui fili
più altri segnali femminili.

E’ la poesia intitolata Viaggiatori, e tutto il dolce mistero è in quella parola al penultimo verso: annoto
La stanchezza del vivere non permette di fare altro: annotare. Ma è già molto. 
Significa sottrarre le cose, gli eventi, anche quelli apparentemente insignificanti, all’oblio. E questo rende consapevoli, rende felici.

Qui le altre voci del Lessico dei Poeti: 


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

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