20/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (4./)




Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (4./)

Una straordinaria apertura del cuore e del pensiero caratterizza tutta l’opera di Florenskij.  Cuore e pensiero vanno di pari passo, nella ricerca incrollabile di una vita. Forse mai più precisamente che in  questo passo qui di seguito – nel quale descrive la sua passione giovanile per lo studio dei fiori – Florenskij enuncia lo scopo spirituale che lo ha sempre animato:
      In ogni fibra… vedevo e volevo vedere, cercavo di vedere, credevo di poter vedere l’anima, l’unica essenza spirituale.  E perciò, quanto ferma era la mia certezza che il corpo non fosse solamente corpo, solo un’inerte materia, solo qualcosa che si vede, tanto ferma era la certezza opposta dell’impossibilità, dell’inutilità della presunzione di vedere quell’anima incorporea, spogliata del suo velo simbolico… Il positivismo mi disgustava, non meno, però, mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l’anima, ma volevo vederla incarnata. (10)

E questa visione sempre duale, e quindi complessa, della realtà e della verità si traduce anche in una concezione del cristianesimo che – tenendo conto della lezione di Tolstoj – guarda oltre il contingente e il presente: Il cristianesimo, scrive Florenskij, non vive di concetti fissi e intangibili, ma si manifesta in un processo evolutivo che non è riconducibile ad alcuna delle formule (riti sacramentali, formulazioni dogmatiche, regole canoniche, conformazione temporale dell’ordinamento ecclesiastico) che l’ecclesialità assume nel corso della storia.  (11)

La fede, la fede in Cristo, è sperimentabile, secondo Florenskij in ogni evenienza della vita, in ogni circostanza.  Egli si lascia ispirare profondamente dall’apostolo Paolo, ed è “convinto di poter fare l’esperienza viva di fede e di lavorare per la diffusione del Regno di Dio in ogni situazione di vita e in ogni condizione esterna, anche quella di opposizione politica” (12).  

Non si spiegherebbe altrimenti la determinazione di Florenskij, durante la terribile, lunga prigionia,  a non lasciarsi andare, a mantenere la fiducia – ad incoraggiarla, anzi, nei famigliari che lo attendono invano a casa – ad accettare la vessazione e la segregazione che gli vengono imposte cercando un senso anche in questa sofferenza.  E’ il motivo per il quale rifiutò perfino la possibilità, quando già era detenuto nello SLON delle Solovki, di emigrare in Cecoslovacchia, insieme alla sua famiglia, opzione che fu accettata di buon grado da altri intellettuali che si trovavano nelle sue stesse condizioni.
      Sarebbe ora che tu capissi, scrive al figlio Vasilij  il 23 novembre del 1933,  che tutto ciò che succede ha un suo significato e si combina in modo tale che, in ultima analisi, la vita si dirige verso il meglio. I dispiaceri, nella vita, non si possono evitare; ma i dispiaceri sopportati consapevolmente e alla luce degli avvenimenti generali ci educano e arricchiscono e, in seguito, portano i loro frutti positivi. (13)

Ma è la visione di quell’oltre, di quella sostanza oltre l’apparenza, a rendere possibile l’identificazione di un senso, che rendono plausibili e sopportabili anche il dolore, i dispiaceri, le privazioni; la sensazione che una nuova luce, quella che non vediamo annebbiati come siamo dalle vicende della nostra condizione umana, una nuova luce verrà a capovolgere le nostre parziali convinzioni, le nostre parziali oscurità: Non è possibile il minimo dubbio, scrive,  riguardo a quanto è detto giustamente della vita eterna nell'Apocalisse di Giovanni: “Non vi sarà più notte; non hanno più bisogno né della luce della lampada, né di quella del sole, perché il Signore Iddio splenderà su di loro" (22,5). Questo non si può intendere se non della luce vera sensibile con la quale saranno illuminati gli occhi dei beati. (14)
        
Una delle ultime foto di Florenskij (quella posta in testa a questo articolo N.d.A.) lo ritrae seduto alla scrivania nel laboratorio della stazione dei ghiacci presso il BAMLAG (la sigla è l’acronimo inglese Baikal Amur Corrective Labor Camp del corrispettivo russo) a Skovorodino, nel 1934. 

Alla luce di una debole lampada, di fronte al microscopio protetto da una campana di vetro, il volto di Florenskij appare fortemente dimagrito, gli zigomi sporgenti, ma lo sguardo è quieto e determinato, e un foglio di calendario pieno di annotazioni, che campeggia sulle pareti alle sue spalle è il segnale di un lavorio continuo, nonostante il gelo della Siberia, nonostante la fame, nonostante tutto. Gli schizzi dell’epoca, ritrovati, sono zeppi di disegni, appunti, formule matematiche.

(4./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

  
10.     Pavel A. Florenskij, Ai mie figli, op. cit. pag. 154
11.      A. Maccioni, Florenskij e Bulgakov nella storia di un prodigio, in Slavia, XVII,2,2008, pag. 39    
12.        Così i curatori Natalino Valentini e Lubomir Zak in Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi,  op.cit.  nota a pag. 83        
13.       Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi, op. cit. pag. 76

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