06/08/12

Paolo Borsellino - Un ricordo personale.




Nell'estate del 1988 - quattro anni prima della sua morte - intervistai Paolo Borsellino a casa sua, a Palermo. Un ricordo indelebile.

Avevo proposto al direttore Corrado Guerzoni - lavoravo all'epoca per Radiodue 3131 - di realizzare una inchiesta sul fenomeno degli scomparsi, quelle persone che si dissolvono nel nulla ogni anno (non esisteva allora nessuna Chi l'ha visto?). 

Tra le diverse idee per il programma, avevo in mente di ricostruire anche la vicenda del più famoso scomparso italiano. Ettore Majorana. Dissolto nel nulla il 27 marzo 1938.

La storia del fisico italiano aveva suscitato, come è noto, l'interesse di Leonardo Sciascia che gli aveva dedicato un celebre libro, La scomparsa di Ettore Majorana.

Sciascia avanzava lì l'ipotesi che il grande fisico si fosse ritirato - dopo una finta messinscena di suicidio - nel Convento di Serra San Bruno, in Calabria. 

Ma la curiosità di Sciascia, riguardo alla sorte di Majorana era sempre in allerta, pronta a valutare ogni altra ipotesi. Finì dunque per interessarsi alla stravagante ricostruzione di due fratelli di Mazara del Vallo - i Romeo, i quali si dicevano convinti di aver trovato il vero Majorana, nientemeno che sotto le mentite spoglie di un povero barbone, che i pescatori di Mazara chiamavano da sempre l'uomo cane, e che aveva l'abitudine di dormire all'aperto, sotto il monumento sulla piazza principale.


Sciascia, seppure recalcitrante aveva accettato di incontrare i Romeo, aveva ascoltato la loro versione dei fatti: che quell'uomo sapeva di matematica, che non era certamente del luogo, che lui stesso, prima di morire, aveva confidato di essere il grande fisico. 

Pur dubbioso, Sciascia per escludere ogni possibilità, aveva interessato del caso Paolo Borsellino, che era procuratore capo della Repubblica di Marsala e con il quale vi era stato qualche dissapore nel recente passato per via della nota polemica sui professionisti dell'antimafia, innescata dallo stesso Sciascia. 

Fu così che partii per la Sicilia, per ricostruire il caso dell'uomo cane: l'ultima ipotesi sulla scomparsa di Majorana. 

Dopo qualche giorno passato a Mazara - e dopo aver parlato con i Romeo, e con tutti quelli che potevano dare notizie del barbone - mi trasferii a Palermo per incontrare Borsellino. 

Mi ricevette nel suo appartamento, insieme alla moglie Agnese.  Un'ospitalità molto semplice. Seduti nel salotto buono, l'appartamento di un tranquillo borghese, dai modi cortesissimi. 

Restammo a parlare a lungo. Mi fece vedere le foto dell'uomo cane, mi spiegò come i dettagli delle foto, ma soprattutto le perizie calligrafiche (c'erano alcune firme lasciate dal barbone nel commissariato locale quando lo avevano fermato per controlli di rito) escludessero in modo categorico qualsiasi identificazione con il grande fisico siciliano. 


Ettore Majorana 

Realizzammo l'intervista.   Al termine, ci fu un episodio che non ho più potuto dimenticare.   Borsellino, con affabilità - aveva rispetto formale per l'interlocutore, insieme a curiosità vivissima - si interessò riguardo la prosecuzione del mio viaggio. Gli spiegai che stavo per partire per Catania, dove mi aspettavano altre 'verifiche' su Majorana.

"Ma è qui con la sua macchina?" mi chiese.  "Non è mia, ho una macchina a noleggio," risposi.  I suoi occhi si illuminarono. "Non mi dica che l'ha parcheggiata qui sotto."  

In effetti, arrivando, avevo constatato con meraviglia, nella giungla di parcheggi congestionati delle vie di Palermo, un grande spazio libero, sterrato, proprio di fronte al portone di casa del magistrato. 

"Sì," risposi.  Sorrise: "Allora gliel'hanno portata via."   Sbirciò fuori dalla finestra: in effetti della mia auto restavano solo le strisce degli pneumatici sulla sabbia dello sterrato.  

"Venga," mi disse infilando un gilet di cotone. L'ascensore ci portò nel sotterraneo del palazzo dove c'era la sua auto. Uno della scorta si offrì di salire al volante, lui gli fece cenno di no.  Mi aprì la portiera, salii a bordo: non avevo mai visto una macchina blindata, con le portiere e i vetri spessi come quelle di un mezzo militare. 

Mi accompagnò dunque, guidando, al garage poco distante dove avevano portato la mia auto, che in effetti era lì, con due o tre tizi che vi armeggiavano intorno.  

Borsellino rivolse loro un sorriso: "E' un giornalista". 

Lo ringraziai.  Mi strinse la mano, mi augurò buon viaggio e mi pregò di aggiornarlo se per caso fossero emerse novità importanti.

L'estate di quattro anni dopo, in quel 19 luglio del 1992, mi tornò - e non mi abbandonò più - il ricordo forte del chiaro sorriso e dello sguardo triste dell'uomo che aveva provato ad essere se stesso nella terra dove tanti - prima e dopo Majorana - si erano perduti per sempre. 

Fabrizio Falconi  

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