22/06/12

La Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio - una esegesi.



La Madonna dei Palafrenieri esposta nella collezione permanente della Galleria Borghese a Roma, fu dipinta da Michelangelo Merisi, il Caravaggio, alla fine del suo lungo periodo romano durato undici anni, dal 1595 al 1606, e più precisamente tra il 1605 al 1606

Ricapitolo ciò che stava succedendo in quei 12 mesi nella turbolenta vita del più geniale pittore della sua epoca, e forse di tutti i tempi. 

Alla fine del 1605 Caravaggio era stato costretto a fuggire a Genova per circa tre settimane, dopo aver ferito gravemente a Roma un notaio, Pasqualone d'Accumulo, a causa di una donna: Lena, l'amante di Caravaggio. 

L'intervento dei protettori dell'artista riuscì ad insabbiare l'accaduto anche se, al ritorno a Roma, il pittore venne querelato da Prudenzia Bruni, sua padrona di casa, per non aver pagato l'affitto; per ripicca, Merisi prese nottetempo a sassate la sua finestra.

Il fatto più grave però si svolse a Campo Marzio, la sera del 28 maggio 1606: l'artista si macchiò  dell'omicidio di Ranuccio Tommasoni da Terni. 

A causa di una discussione causata da un fallo nel gioco della pallacorda, il pittore venne ferito e, a sua volta,ferì mortalmente il rivale, con il quale aveva avuto già delle discussioni in precedenza spesso sfociate in risse. Anche questa volta c'era di mezzo una donna, Fillide Melandroni, le cui grazie erano contese da entrambi. 

Probabilmente dietro l'assassinio di Ranuccio c'erano anche questioni economiche, forse qualche debito di gioco non pagato dal pittore, o addirittura politiche: la famiglia Tommasoni infatti era notoriamente filo-spagnola, mentre Michelangelo Merisi era un protetto dell'ambasciatore di Francia.

Il verdetto del processo per il delitto di Campo Marzio, fu severissimo: Caravaggio venne condannato alla decapitazione, che poteva esser eseguita da chiunque lo avesse riconosciuto per la strada. 

In seguito alla condanna, nei dipinti dell'artista lombardo cominciarono ossessivamente a comparire personaggi giustiziati con la testa mozzata, dove il suo macabro autoritratto prendeva spesso il posto del condannato. 

La permanenza nella città eterna non era più possibile: ad aiutare Caravaggio a fuggire da Roma fu il principe Filippo Colonna, che gli offrì asilo all'interno di uno dei suoi feudi laziali di Palestrina e Zagarolo. 

Il nobile romano mise in atto una serie di depistaggi, grazie anche agli altri componenti della sua famiglia che testimoniarono la presenza del pittore in altre città italiane, facendo così perdere le tracce del famoso artista.  

Bene, in questo periodo di così stretta vicinanza con il male e con la Morte, Caravaggio dipinge questa Madonna dei Palafrenieri, commissionata dalla Confraternita dei Palafrenieri, la cui Chiesa si trovava e si trova, all'interno delle Mura Vaticane, Sant'Anna dei Palafrenieri. Caravaggio realizza un altro capolavoro, come gli altri avanti di qualche secolo ai gusti dei suoi committenti, che si scandalizzano per la nudità del bambino - ritenuto troppo grande per essere mostrato nudo - rifiutano il dipinto. 

Lo acquista il lungimirante Cardinale Scipione Borghese per 100 scudi, e la mette in bella mostra nella sua splendida Galleria Borghese, dove è ammirabile per fortuna anche oggi. 

Qual è il mistero di questo quadro ? Qual è il senso spirituale che trasmette ? Questa tela raffigura come e forse meglio di un trattato di teologia, il problema del Male nella nostra vita. La scena è immersa in un buio pressoché totale (la nostra esistenza qui, ora ?), squarciato solo da una botola di luce in alto (una possibilità di salvezza ? che è in alto ?).


Il Male si presenta strisciante, insidioso, viscido, insinuante, nelle forme di un serpente. Non è proprio così che ci conviviamo noi, con il male ? 

Un male che non sempre vediamo - anzi quasi mai - ma che ci è vicino, prossimo, e che striscia proprio in mezzo alle nostre gambe.

Anna, la figura a destra, siamo noi. Le mani giunte, l'espressione leggermente disgustata, contempliamo il male con un insieme di orrore e di disgusto, ma senza riuscire a prenderne realmente le distanze. 

Guardando meglio, anzi, si potrebbe dire, che lo sguardo di Anna è anche un po' affascinato da quella serpe: la bocca dischiusa, lo guarda attonita, ma anche - sembrerebbe - con una certa partecipazione. La protagonista del dipinto è Maria. E' una donna popolare, dallo sguardo fiero e dalla bellezza prepotente. 

L'espressione del suo viso è perentoria. E' lei a decidere, è lei a operare. E' lei che sa come fare. Prende il bambino sotto le ascelle, lo sostiene, lo indirizza, lo dirige. E' poi lei a spingere il suo piede sulla testa del serpente per schiacciarlo. Ma il bambino è chiamato a imitarla. A poggiare il piede sopra il suo. A imparare come si fa. E per schiacciare il male bisogna guardarlo bene, guardare bene. Prendere le misure. 

Maria, non il bambino. Questo, teologicamente, ha le sue ragioni. 

Non direttamente a Gesù, che è Dio, ma  è oggetto - proprio perché Dio - delle lusinghe del Maligno, come sappiamo anche dalle letture evangeliche, e da ciò che avviene nei trenta giorni nel Deserto. Maria no, Maria è inattaccabile. Il male non le si avvicina, non la sfiora, perché lei è purezza perfetta, è forza perfetta, è bellezza perfetta: il male, cioè il diavolo, la rifugge: è una immagine troppo chiara, troppo rilucente. 

Pensiamo al peccato di orgoglio. Maria non ci viene mai manifestata neanche prossima a questo peccato.

Gesù, invece, ne appare - in alcuni punti della sua predicazione, in certe sue parole molto forti, in certi suoi gesti assoluti come la cacciata dei mercati del Tempio - potenzialmente prossimo. 

Perché Lui E' Dio, e come Dio avrebbe anche il pieno diritto di essere orgoglioso di essere Dio. E' dunque da Maria che arriva il gesto salvifico. E' lei - è la parte di noi che Maria rappresenta: la bellezza, la purezza, la forza, la fermezza di chi sa convertirsi, di chi fa parte del mondo, conosce il mondo, ma in qualche modo ne è ormai 'al di sopra' - a sapere cosa fare. Di fronte al male, di fronte al buio. E' lei ad accendere il quadro di una luce intangibile. Forse perfino eterna. 

Fabrizio Falconi

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