27/10/11

Robert Pogue Harrison - prefazione a 'Poesie 1996-2007'





Prefazione di Robert Pogue Harrison al volume Poesie 1996-2007 di F.Falconi, Campanotto Editore, 2008.

Il filosofo americano Ralph Waldo Emerson inizia il suo saggio L’esperienza  con una domanda:  “dove ci troviamo?”  È una domanda disorientante, innanzitutto a causa dell’uso della prima persona plurale.  Questo “ci” si riferisce ad un soggetto collettivo impersonale?  Alla comunità dei lettori di Emerson?  Ai suoi compatrioti?  È solo quando si arriva alla fine del saggio che si comincia a capire che pochi di noi si fanno questa domanda in modo serio, sin quando non riusciamo a renderci conto del fatto che siamo, in effetti, persi.




Quando leggo e rileggo le poesie di Fabrizio Falconi in questa raccolta, ho la sensazione che queste poesie rispondono ad una domanda simile – Dove ci troviamo? – quasi come se quella domanda fosse una cassa armonica nella quale le poesie risuonano.  Nel caso di Falconi, la domanda sembra  avere una inflessione distintamente storica:  Dove ci troviamo in questo momento nel tempo, in questo momento della storia?  Il “ci” qui si nasconde dietro la maschera del soggetto personale, il così-detto “io” lirico.  Dico che si nasconde dietro quella maschera perchè l’ “io” lirico qui sembra alla fine  parlare per tutti quei poeti italiani, che, come Falconi, guardano alla tradizione poetica lasciata alle spalle,  della quale sono presumibilmente gli eredi, e vedono davanti un nuovo millennio nel quale il passato non  mostrerà necessariamente una via attuabile.
Il primo verso della prima poesia del primo volume della poesia di Falconi dichiara:  Vieni nei miei passi falsi.  Con questo verso di apertura entriamo come  iniziati dentro l’ombra del ritorno.  Quest’ombra è decisamente infestata dai fantasmi.  È, tra le altre cose, l’ombra degli antenati.  E quanti antenati tornano qui!  Quando Falconi parla dei suoi passi falsi, è impossibile non vederlo come uno che segue i passi di molti  predecessori, sopratutto Dante, i cui passi erranti lo condussero  alla selva oscura dell’Inferno, 1.  È ugualmente impossibile non pensare ai famosi passi falsi del Canzoniere di Petrarca.  E poi c’è questa ingiunzione: Vieni.  Questa seconda persona singolare evoca anche l’ombra di Montale.  Man mano che si procede nella lettura, si avvertono numerosi gli echi di poeti come Ungaretti e Leopardi. Dove ci troviamo?  Ne L’Ombra del ritorno Falconi risponde: nell’ombra gettata dal predecessore. 
In inglese si direbbe che Falconi deliberatamente consente alle sue prime poesie di essere overshadowed dal predecessore.  Ma questo non è esattamente il suo idioma.  Lui parla, invece, di quell’indelebile geranio da balcone, / scivolata tutta la vita, / staccata, / mangiata dalla terra.  Questo è un geranio che cresce in una terra che ha ospitato un enormità di vita precedente.  Ed è in questa terra essiccata, esposta ad un sole impietoso, che la poesia alla fine del ventesimo secolo si trova radicata, in fin dei conti.  La poesia di Falconi si presenta  precisamente come un geranio / consunto dagli anni – un geranio che non è vecchio in sé, ma che si trova a crescere in una terra talmente anziana da essere quasi esausta. 
Nel suo rifiuto di morire, questo geranio della poesia italiana contemporanea prova nuovi colori:  tenta nuovi colori, / nella stessa morta terra.  Se un poeta può produrre nuovi colori in una terra quasi morta, questo è un trionfo significativo.  E non c’è dubbio che L’Ombra del ritorno rappresenta un trionfo, precisamente perchè i suoi colori nuovi non sono forzati.  Meglio un grigio indistinto che i colori artificiali che si trovano in tanta poesia oggi.  L’Ombra del ritorno ci rivela quanto è difficile produrre colori genuinamente nuovi in una terra del genere.  Le immagini qui sono spesso solo contorni o ombre che sono visibili solo perchè sono illuminati o da un lampo improvviso o da una luce persistente ma morente (come  per esempio in  Come scende la sera qui).  Fuori dall’ombra incolore lo sguardo del poeta a volte trova un colore esuberante.  Di solito è messo in evidenza da una metafora - per esempio i lampi in luminoso corteo -  che ricorda tanto Montale, e che presta a Falconi la luce momentanea per un’immagine poetica fuggente ( l’azzura frana delle ore,  etc.).  La riuscita della  poesia di Falconi si trova nella intensità straordinaria delle immagini e nella straordinaria precisione linguistica con la quale trascrive tali momenti di lucidità spirituale. 
Montale è l’antenato predominante che torna nelle prime poesie di Falconi.  Come Montale, Falconi sembra preferire l’accecante luce del mezzogiorno (p.25) e il calore pesante di agosto (p.32), che lasciano poche ombre, ma allo stesso tempo questa luce meridionale e schiacciante lascia il poeta con un desiderio di ombra, come luogo  di riposo e riparo.  Forse è per questo che le immagini del mezzogiorno sono mischiate con immagini del crepuscolo e della notte.  In questo immaginario, dove i colori e gli oggetti diventano relativamente indistinguibili, si trovano le ombre del Crepuscolarismo presenti in questa prima raccolta. 
Il mondo poetico che Falconi ha eredito dai suoi vari predecessori è diventato col tempo un paesaggio incolore nel quale il poeta deve sforzarsi di ricreare la vita del passato e infonderla dentro una vita nuova.  Questa ri-creazione è anche un ritorno, in un certo senso.  L’Ombra del Ritorno si conclude con un trio di poesie che guardano avanti, al nuovo millennio.  Qui l’importanza della memoria diventa la chiave per capire l’ennui  crepuscolare di essere in un mondo monocromatico.
 Non vogliamo ricordare il passato, dichiara, perchè abbiamo un terribile senso di colpa, però senza  memoria saremo condannati a non abitare  lo stesso mondo morente del predecessore e saremo destinati a ripetere meccanicamente o senza pensiero i loro passi falsi.  Questa è la sfida formidabile che L’Ombra del Ritorno affronta:  la sfida di riappropriarsi del passato senza ripudiarlo e nemmeno semplicemente riproducendolo. 

Le nuove poesie cha accompagnano questo volume (Le finestre verdi) sono molto più fiduciose di sé,  in voce e in registro.  Falconi prende le distanze sempre di più dagli oggetti del mondo quotidiano, con i loro colori sbiaditi e la loro vitalità esausta.  Del resto è però ancora ossessionato dal  peso della memoria, e dalla persistenza evanescente dell’ombra.  In queste poesie le immagini sono dominate da una mescolanza libera di colori, come nella poesia Rua da janelas verdas , e dai vortici di vento, pioggia e altri fenomeni naturali, i quali confondono la memoria del poeta che cerca di comunicare quel che vede.  Ombre si manifestano ancora, però qui esse non sono lo sfondo indifferente a visioni epifaniche di colore o di bellezza.  Come scrive in Il contempo degli ossessi

ora il mondo è cambiato
si soffre
nell’ombra, e non si spera.
Si sverna senza gioia
al canto friabile
di infelicità tutte uguali.

C’è una sensazione pervadente di  perdita nelle descrizioni di vita e di creazione.  Nella creazione poetica il poeta perde qualcosa di irrecuperabile,  che cerca continuamente di rianimare su un nuovo terreno, in opposizione alla “stessa morta terra” dell’ Ombra del Ritorno:

Vivere è perdere
ogni giorno un poco di sé
e ricrearlo nuovo
in un altrove sconosciuto

            La morte e l’assenza sono altri temi che percorrono queste poesie metafisiche.  Se, ne L’ombra del Ritorno, un geranio lottava per sopravvivere nella terra morta di un vaso precariamente posto su un balcone rotto, ne Le finestre verdi i fiori sono segni di assenza in un giardino silenzioso e irreale; i loro frutti sono rovi spinosi.  Il poeta può solo ricordarsi dei “gioiosi ritorni,” non può avere l’esperienza di questi come avventure poetiche.  In breve, questi ritorni appartengono alla memoria, non all’esperienza.  O, per dirlo in un  modo ancora diverso:  la memoria qui è un ricordo dell’assenza, non il recupero di una presenza impossibile.
            La penultima poesia di Le finestre verdi descrive un fiume che scorre sotto le tombe dei morti, aiutando i loro cadaveri a fertilizzare nuovamente la terra e a collegare i morti con il mondo dei vivi.  Nuove possibilità nascono da un arricchimento tale.  Il terrore del poeta qui è che a causa del fallimento della sua memoria poetica, possa fallire anche lo scorrimento di  questo fiume, possa fallire anche il conseguente collegamento tra i vivi e i morti.  È questo terrore che conferisce alle nuove poesie la loro intensità.  Ma l’altra faccia di questo terrore è speranza – la speranza che la poesia abbia ancora il potere di permettere ai morti di rivitalizzare la terra dalla quale i nostri mondi e le nostre parole traggono vita.  Le poesie di Falconi traggono vita da questa stessa fonte humica, che trasforma il mondo,  oltre le nostre finestre, in verde. 


2 commenti:

  1. bellissima ampia poetica lettura delle tue poesie, Fabrizio

    "La riuscita della poesia di Falconi si trova nella intensità straordinaria delle immagini e nella straordinaria precisione linguistica con la quale trascrive tali momenti di lucidità spirituale"

    Dunque le tue poesie trovano la loro collocazione tra grandi nomi perché

    " traggono vita da questa stessa fonte humica, che trasforma il mondo, oltre le nostre finestre, in verde."

    un grande verdissimo abbraccio
    Filomena

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  2. Grazie Filomena,

    sei fin troppo generosa. Un abbraccio "verdissimo" anche a te.

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