03/06/11

Tree of Life - Una bellezza che sussurra.



Ho visto il nuovo film di Terence Malick preparato dai pareri degli amici o conoscenti che l’avevano già visto, e che erano sostanzialmente spaccati in due fazioni: - capolavoro per gli uni; - polpettone intollerabile a base di melassa per gli altri.

Mi sono dimenticato di questi pareri quando il film è cominciato. E, come sempre mi accade di fronte ad un’opera, ho cercato di spegnere i pre-giudizi e lasciare aperti cuore e mente, per vedere cosa mi arrivava.

Tree of life è secondo me un film coraggioso e interessante, pieno di ‘anima’ se così si può dire, anche se non immune da pecche. Le pecche, in un film come questo, sono importanti quasi quanto le cose riuscite.

Tree of life è coraggioso e ambizioso perché iscrive una vicenda privata ordinaria – una famiglia media americana, padre madre e tre figli maschi – nel tutto della creazione.

Non c’è privato, dice Malick, perché è solo la nostra prospettiva molto limitata che ci porta a pensare di essere distinti dal resto del mondo, dalla storia intera del mondo.

E’ qualcosa che mi tocca molto da vicino. Quando sono diventato padre ho capito che io sono semplicemente un punto della linea. Ma il punto della linea – come è evidente anche dai fondamenti euclidei – E’ la linea stessa.

E’ la linea stessa, il punto, anche se ne è infinitesima porzione. E’ importante il punto. Perché ogni punto fa sì che la linea non sia spezzata. E sia, per l’appunto, una linea.

Il discorso religioso, secondo me, in questo film di Malick, non è centrale. Non lo è, nel senso che Tree of Life è un film di domande, e non di risposte.

Sono le domande che vengono recitate come un mantra in sottofondo durante il film – e che si rivolgono ad un Tu che non risponde – a fornire forse la cornice di una risposta possibile. Lo scopriremo alla fine.

Le domande della vita sono quelle di ognuno di noi. Sono quelle che riguardano i protagonisti di questa vicenda, dei quali scopriamo la storia, nonostante non vi siano che tre o quattro dialoghi in tutto il film. Eppure, è chiarissimo: la madre, figura bellissima, si immola, crede e contiene, è depositaria di ogni segreto e di ogni lutto. Il padre è il solito padre. Vuol bene, ma a un certo punto della vicenda, rovina tutto. Non è capace di controllare le sue ferite. Deve farsi schermo dell’autorità per imporsi. Deve farsi odiare, per essere. E i figli e la stessa moglie lo odieranno, come è giusto che sia.

Poi c’è l’imponderabile: uno dei figli muore a 19 anni. Lo sappiamo all’inizio del film, ma non sappiamo nemmeno perché. Sappiamo solo che succede e questo è l’importante.

Il vuoto inaccettabile di un dolore che non si può gestire, a cui non si può trovare posto, è il fardello che il fratello superstite – che da grande ha il volto di Sean Penn – si porterà dietro per sempre.

Come inscrivere ciò che è dato – e ingiusto, inaccettabile, come la morte di un figlio – in un contesto che abbia un senso, che non porti semplicemente alla conclusione più ovvia: ‘tutto è follia ?’

In questo senso il film di Malick non mi sembra né condito di melassa – non c’è, mi pare, nessuna consolazione preconfezionata – né volontaristico.

La domanda resta: a Malick non interessa dare risposte, interessa dire: ciò che ti turba NON è il tuo fardello, non è il tuo inciampo. Ciò che ti turba è la natura stessa del grande gioco in cui sei calato, in cui il tuo essere è heideggerianemente gettato.

Se non si capisce questo, dice Malick, se non si comprende l’esistenza di una storia e di un tutto, NULLA ha senso.

Il senso deriva dalla domanda che si ripete e nella stessa eco che produce, una eco che accompagna non solo l’uomo, ma il sorgere dei soli, la nascita del tempo, ogni cosa visibile e invisibile.

E’ solo grazie a questa eco – se le si permette di diffondersi – che la nostra crescita o maturità può trovare altre vie rispetto alla deriva nullista che sembrerebbe allora inevitabile. Il percorso di una Sapienza che questa eco contiene serve ad orizzontarsi. L’uomo non è mai stato del tutto solo con i suoi fantasmi. L’uomo è una storia. E nella storia ci sono gli uomini da cui ha imparato e quelli a cui imparerà. La vita è una meravigliosa e terribile prova che nessuno può vivere al posto nostro. La forza di una vibrazione finale ci impone di com-patire insieme agli altri. In questo – nei minuti finali del film è evidente, non è sogno, è cuore è realtà – nasce una nuova bellezza. Una bellezza che tutto contiene – anche il dolore, la perdita e la malinconia – una bellezza che sussurra: ‘nulla è perduto per sempre.’

Fabrizio Falconi

4 commenti:

  1. La visione di questo film, che forse un po' ingenuamente considero un capolavoro, mi ha suscitato molte riflessioni, e convengo che in realtà Malick fornisce più domande che risposte, ma secondo me alcune risposte ci sono. Nei fatti e nelle immagini sostiene l'autore con estrema convinzione, proprio quello che tu senti, e cioè che siamo in connessione con il Tutto, anche se il più delle volte noi ce ne dimentichiamo. Penso che rivedrò il film e se ci riesco anche con i miei figli, che per al verità già si sono un po' defilati avendo avuto sentore che ... è un po' pesante. Ho avvertito un certo smascheramento misto a disagio nelle scene in cui Brad Pitt è così fastidiosamente autoritario con i figli, mi rimorde qualcosa dentro... certo è che poi nei figli noi creiamo con le nostre figure la loro visione del mondo. Sono tuttavia tanti gli spunti di questa opera e spero di poter tornare sull'argomento più consapevole e più maturo dopo averla meditato più a fondo.
    Marco F.

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  2. Caro Fabrizio, grazie per questa analisi che ci aiuta a dipanare il significato di un film, evidentemente così a lungo pensato, così tanto sentito dal regista. Quasi resisto al bisogno di interpretare, però. E' come se voglia cedere ancora un po' alla sensazione di restare nell'ipnosi che il racconto produce. Qualcosa che ho sentito soltanto in un altro film, ancora di Malick, La sottile linea rossa, la sensazione che siamo continuamente in relazione con ciò che ci circonda. E ciò che viene prime e ciò che verrà dopo e ciò che avviene nel mentre.
    Stavolta i resti di unità narrativa saltano. Tutto procede come in Lost, oltre le ristrettezze di spazio e di tempo. Ho in testa le immagini di meteoriti che colpiscono senza criteri punti indifesi della terra, provocando maremoti infiniti come le onde che agitano il bisogno irrisolto di senso dei protagonisti. Quella pietra rotonda che vaga opaca nel firmamento, mentre al suo interno trovano dimora le storie piccole o grandi della vita, comunque inezie di fronte alla storia del creato. Visto dagli occhi dell'ego, nulla ha senso: qualsiasi senso è sempre che i personaggi inseguono (l'autorità, la famiglia, la speranza) è troppo piccolo per contare davvero. Visto dagli occhi della grazia tutto però cambia: tutto, anche un'altalena o un vetro rotto, tutto ritrova unità e pace, come nella scena finale che è un destino eterno in cui forse siamo già, dove la morte è vinta dal perdono, la fatica dal respiro infinito oltre il tempo. Un abbraccio, Massimo

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  3. Non ho visto e non vedrò il film perché non vado più al cinema. Tuttavia mi sembra che ci sia un'analogia forse al limite del plagio con Ordinary People che vinse l'Oscar nel 1981 credo.
    A parte questo, Fabrizio: ma chi non ha figli come si dovrebbe inserire nella linea che tu consideri come l'unica dimensione della vita? Siamo molti noi rami secchi e lo siamo per molti motivi, fisici, esistenziali e morali che non getterei alle ortiche anche se fossi il fiero genitore di qualche delizioso marmocchio magari, chi lo sa, destinato pure lui alla sterilità....e fine della linea.
    Attilio (sempre quello)

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  4. Caro Marco, Grazie ! Anche a me è venuta subito voglia di rivederlo. Credo sia uno di quei film che hanno bisogno di una o più riletture, proprio perché si prestano a molte interpretazioni. Non avendolo trovato affatto lento o polpettone, non mi farà fatica ri-cimentarmi quando capiterà l'occasione. Sui padri e sui figli, credo che il film contenga un linguaggio così universale, che sia completamente comprensibile a qualsiasi latitudine perché questo è l'uomo ('mio padre e mia madre continuano a combattere dentro di me').

    Massimo: anch'io ho faticato a cercare di tirar fuori i miei stati d'animo perché anche su di me il film ha avuto questo effetto ipnotico e avvolgente che tu descrivi . Condivido pienamente la tua suggestione, la tua interpretazione. Credo che l'interrogazione sul senso, come tu dici, sia il più grande pregio di questo film. Qualcosa che a noi in italia riesce ormai difficilissimo se non impossibile intraprendere, avendo ormai quasi tutti i nostri registi più o meno noti 'abdicato' all'alto, al complessivo, preferendo piccoli terreni più sicuri. Grazie.

    Attilio: sì in effetti qualche analogia con 'Gente Comune', c'è. Anche se lo stile di Malick è completamente diverso, rispetto a quello che era un film strutturalmente molto più convenzionale.
    In quanto ai figli chiarisco subito il post che, lo capisco, si presta ad essere frainteso: lungi da me affermare che a chi non ha figli è preclusa quella consapevolezza di cui parlo. Tutt'altro ! Volevo soltanto dire che nel mio caso, per la mia esperienza, questa consapevolezza si è manifestata in modo evidente quando ho avuto un figlio.
    Ciò nonostante sono convintissimo che la percezione del tutto, di essere parte di una linea, di una storia di un tempo e di una generazione di cause (che forse stilano la cornice di un senso) si può trovare in molte altre manifestazioni della vita: la prima che mi viene in mente è la creazione artistica.
    Ciao e grazie.

    F.

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