31/05/11

Hic iacet - Le parole della soglia - 4


Lo dice, in modo ancora più esplicito, in modo ancora più secco, deciso, un altro grande poeta di questo secolo, Edmund Jabès ( Il Cairo 1912- Parigi 1991 ), nel suo ‘Libro dell’Ospitalità’.
Il rifiuto della morte è forse l’affermazione del nome, il suo avvento. Eppure: nominare non vuol dire concedere alla morte un nome ?

- … un nome a quel che è ? A quel che, ormai, è stato.

“ Maestro mio – diceva un saggio – han creduto, dal momento che no erano d’accordo con te, di sotterrare un vivo. Non sapevano che sotterravano un seme. “

…Posso rivelare il mio nome soltanto a colui che non mi conosce.



Colui che conosce il mio nome lo rivela a me.


Nominare è dunque per Jabès concedere alla morte un nome. E dunque, mettendoci dall'ottica di colui che è morto, il morto dice: ‘posso rivelare il mio nome solo a colui che non mi conosce,' a colui cioè che è sopravvissuto, e passa davanti alla tomba. Dopo questa rivelazione chi ormai ‘conosce il mio nome, lo rivela a me.‘ Il sopravvissuto restituisce identità a chi è assente, a chi non è più tra i vivi.

In questo modo l’incontro è effettivo. Un incontro che prelude ad una conversazione nuova, fondata sul silenzio, come suggerisce, in modo molto suggestivo un altro poeta, premio Nobel nel 1996, Wislawa Szymborska.

• Calcolo Elegiaco.

Arrivederci.
A domani.
Al prossimo incontro.
Questo non vogliono più
(se non vogliono) ripeterlo.
Rimessi a un infinito
( se non diverso ) silenzio.
Intenti solo a quello
(se solo a quello)
a cui li costringe l’assenza.

Ora compiendo un salto che forse può sembrare ardito, vorrei parlare di uno dei più originali epitaffi che siano mai stati inventati, certamente il più misterioso.

Ripartiamo dal silenzio.

Una espressione molto tangibile del silenzio, sono da sempre gli enigmi. Di cui la Sfinge egiziana, forse il monumento funebre più famoso del mondo, è  simbolo d'eccellenza.

Molto si è parlato, e si continua a parlare tra gli archeologi e gli studiosi del celebre ‘Quadrato magico’, o ‘Quadrato Sator’, o ‘Latercolo pompeiano’ sul quale sono stati versati veri e propri fiumi di inchiostro.

Il Quadrato è conosciuto fin dai tempi dell’antichità, perché esemplari di esso sono stati rinvenuti in luoghi di culto e in luoghi di sepoltura di mezza Europa.

Si tratta di cinque parole leggibili sia da sinistra a destra, che da destra a sinistra, ovvero cinque palindromi, che però, è questa la particolarità, possono essere lette anche verticalmente, dall’alto in basso e dal basso in alto:



R O T A S

O P E R A

T E N E T

A R E P O

S A T O R



Le parole centrali, i due TENET incrociantesi, e palindromi, formano fra l’altro una perfetta croce.

Su questo Quadrato dal significato misterioso – le cinque parole latine formano una frase apparentemente priva di senso – sono fiorite le teorie più bizzarre nel corso dei secoli, e non è ovviamente il caso qui di darne conto. Il Quadrato, per alcuni è solo un gioco enigmistico, per altri una formula alchemica, per altri ancora nientemeno che il lasciapassare, la parola d’ordine degli appartenenti all’Ordine dei Templari.

Fra l’altro il Quadrato è stato rinvenuto in diverse versioni. Con, ad esempio la prima parola SATOR, anziché ROTAS. La difficoltà nella traduzione dipende dal termine AREPO che non esiste in latino. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si tratta di un nome proprio. In questo caso la frase suonerebbe più o meno: “ il contadino Arepo conduce l’aratro nei campi.“

Questo secondo alcuni studiosi, come Margherita Guarducci, proverebbe l’origine pagana del quadrato: un semplice gioco enigmistico.

Qualcun altro ha sottolineato che leggendo invece il Quadrato in modo bustrofedico, cioè a serpentina, cambiando direzione ad ogni riga, si otterrebbe: Sator opera tenet – tenet opera Sator. Cioè: “ Il Seminatore possiede le Opere, “ ovvero “ Dio è il signore del Creato. “ Significato religioso, ispirato.

4/1
Fabrizio Falconi  © riproduzione riservata

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