24/01/10

Tutti abbiamo nel cuore questo desiderio: che cresca il dialogo. Il Card. Carlo Maria Martini.


Può esserci pace laddove c'è paura ? Scopro, andando avanti con gli anni, che molti sapienti, di diversi credo e di diverse confessioni religiose, sono unanimi nel considerare la paura, la paura individuale e quella che si tramuta in paura sociale come il maggior ostacolo alla costruzione della pace, della convivenza felice e costruttiva tra gli uomini.


"Il dialogo in Italia è difficile, perché oggi la gente vive di paure".

Queste parole le ha pronunciate ieri il cardinale Carlo Maria Martini visitando a Milano la mostra Giusti dell'islam.

"Fate bene a impegnarvi con tenacia sulla via del dialogo, senza spaventarvi delle difficoltà. La gente oggi vive di paure, di episodi singoli amplificati dall'opinione pubblica; e invece bisogna portarli a conoscere le situazioni concrete, le persone di buona volontà", ha detto il cardinale a quanto riferito dal 'Sir', il Servizio informazione religiosa della Cei.

"Tutti abbiamo nel cuore questo desiderio che cresca il dialogo, la mutua comprensione", ha aggiunto il porporato che ha ricordato i suoi anni a Gerusalemme: "Là ho potuto vedere dal vivo le sofferenze, le difficoltà e anche alcune realizzazioni molto belle. Tra queste 'Parents circle', persone che hanno perduto un loro caro ucciso o per il terrorismo o per la guerra. Invece di pensare alla vendetta si cercano e dialogano sulla pace".

La mostra Giusti dell'islam, promossa dal centro Pime di Milano, in questi giorni, su iniziativa delle Acli di Varese e della locale comunità islamica, ha fatto tappa all'Aloisianum di Gallarate, la casa dei gesuiti dove l'arcivescovo emerito di Milano vive.

15/01/10

Haiti: la morte che fa dimenticare il resto.


Una tragedia come quella dello spaventoso terremoto di Haiti ci costringe sempre a ripensare il nostro rapporto personale con il senso dell'esistenza, con la morte, e con quello che ci nascondiamo, ogni giorno.

Come ha fatto notare infatti Massimo Gramellini sulla Stampa, se si va "in cerca di informazioni per scoprire com'era la vita nell'isola, fino all'altro ieri, si apprende che l'ottanta per cento degli haitiani vive (viveva) con meno di un dollaro al giorno. Che il novanta per cento abita (abitava) in baracche senza acqua potabile né elettricità. Che l'aspettativa di vita è (era) di 50 anni. Che un bambino su tre non raggiunge (raggiungeva) i 5 anni. E che, degli altri due, uno ha (aveva) la certezza pressoché assoluta di essere venduto come schiavo."

Se questa è (era) la vita, si chiede Gramellini, è poi tanto peggio la morte? Ma soprattutto perché la loro morte ci sconvolge tanto, mentre della loro vita non ci è mai importato un granché?

Devo dire che personalmente, la situazione di Haiti non era sconosciuta, soltanto perché essendo affiliato da tempo con Save the Children, e avendo come zona di competenza proprio Haiti, mi arrivavano continui aggiornamenti su quello che è senza alcun dubbio uno dei paesi più poveri del mondo.

Ma quel che dice Gramellini è vero. Per me è stata fondamentale la lettura di un magnifico saggio del filosofo Henning Ritter, Sventura Lontana - pubblicato da Adelphi - che ha per oggetto proprio come la nostra percezione dell'altro - e dei guai dell'altro, dei problemi dell'altro, delle tragedie dell'altro - abbia una strettissima relazione con la vicinanza.

Vicinanza intesa proprio in senso fisico, terrestre.

Le cose che sono lontane, non ci toccano o ci toccano molto meno - anche se enormemente più gravi - di quelle che accadono vicino a noi.

C'è una specie di legge bio-fisica che distorce completamente la nostra percezione, e ci rende faticosa - a tratti impossibile - la realizzazione, la coscienza, e in definitiva, la comprensione di ciò che accade ed esiste lontano da noi.

In questo senso, proprio anche per il nostro crederci e professarci cristiani, dovremmo invece SEMPRE tenere aperto il cuore all'intero mondo, anche se è una impresa titanica, potenzialmente assurda. Ma è lo stesso Cristo che ci ha insegnato a pensare così. E dovremmo sempre ricordarcelo.

11/01/10

IL DRAMMA DI ROSARNO.


Il rapporto ONU 2009 contiene dati eloquenti, molto poco conosciuti. Da esso risulta che chi oggi lascia l'Africa per tentare la sorte in Occidente, vede in media un incremento pari a 15 volte il proprio reddito, e una diminuzione pari a 16 volte nella mortalità infantile.

Serve altro per spiegare e comprendere perché le popolazioni d'Africa sono spinte a raggiungere il nostro paese - e gli altri europei ?

Ciò che sta succedendo a Rosarno è una vergogna per tutti, per lo Stato Italiano, per gli abitanti della Calabria - quelli moderati e tiepidi che non muovono dito, e quelli onesti e volenterosi che non sanno come fermare il dramma che si consuma davanti a loro - e per gli stessi immigrati, che sono trattati da bestie, e non da esseri umani, nei lavori che vengono loro offerti; da bestie nello stesso uso delle parole - 'negri! -; e da bestie nel trasferimento coatto, verso altri lidi che non saranno maggiormente sicuri.

E' una sconfitta più grande di quello che appare. E' la NOSTRA sconfitta. E' la sconfitta della modernità. La sconfitta conseguente alle disuguaglianze del mondo - sempre più spaventose - e alla nostra incapacità non solo di fermarle, ma anche di porvi minimo rimedio.

E' la sconfitta dei nostri letti tiepidi, delle nostre camere confortevoli e sempre più in-animate, della nostra attenzione, persa in un sonno vagheggiato e inutile, che ci sta portando in una terra priva di carità, e quindi anche di speranza.
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