16/09/09

La conversione del cuore, un cambiamento di prospettiva radicale.


Come è possibile invertire la tendenza ? Come è possibile sfuggire al giogo del non-senso, di questo apparente - ma schiacciante - caos del mondo, che ovunque sembra dettare il suo dominio ?

Come è possibile "sintonizzarsi" su una frequenza diversa ? Qualcosa che dia non 'un' senso, ma 'IL' senso ? Sono convinto che nessuna conversione (dal latino convertere, cioè volgere, trasformare, mutare) è possibile, nella nostra vita, se non mutando completamente la prospettiva della nostra individualità sorda, che alimenta lo stato manicomiale del mondo.

Qui non si parla di una conversione religiosa, tout court, ma di una conversione 'di pensiero'. Prtoviamo infatti a leggere queste frasi di Isaia, e di Gesù (sono tratte dalle Letture di Domenica scorsa), prescindendo da un contesto strettamente religioso.

Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
È vicino chi mi rende giustizia:
chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci.
Chi mi accusa? Si avvicini a me.
Ecco, il Signore Dio mi assiste:
chi mi dichiarerà colpevole?

Sostituiamo alla parola " Dio " la frase "il mio prossimo". Che vuol dire, il mio vicino, il mio amico, il mio fratello.
La sostanza non cambia: dobbiamo concedere fiducia a qualcuno che non siamo noi. La nostra prospettiva cambia immediatamente. Invece di "farci giustizia da soli". Invece di reagire, invece di creare altro caos nel mondo, seminiamo pace, seminiamo un nuovo ordine. Invertiamo l'ordine (apparente) del mondo.

Il Vangelo di Marco recita:
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli,
rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».


"Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua."
Non è questa l'unica rivoluzione del mondo possibile ? Non è soltanto quando rinneghiamo noi stessi, nel senso che finalmente ci mettiamo FUORI dal centro del mondo, che riusciamo a scoprire qualcosa di nuovo, nelle nostre povere vite ?

"Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà".

E' un cambiamento di prospettive spaventoso. Per ora, fermiamoci qua. Pensiamo soltanto a questo. Pensiamo a come, volendo disperatamente salvare la propria vita, noi, noi tutti, spesso non facciamo altro che perderla. Perdere la vita, perdere noi stessi. Perdere il senso, l'orientamento, l'arrivo, la destinazione di tutto. Per il resto, per il salto della fede, c'è tempo. C'è tutto il tempo della vita, e del mondo.

6 commenti:

  1. Il tema da te postato caro Faber ha una valenza antropologica essenziale ancor prima che religiosa o che abbia a che fare con la fede, come giustamente tu stesso sostieni.
    Il progetto o meglio il desiderio che è in noi della nostra vita ci porta a perderla se non "viviamo" la vita. La brama ad una vita idealizzata che desidereremmo vivere ci inchioda a noi stessi, ci inchioda al nostro tempo che non c'è mai, non basta mai ma intanto scorre e passa. E la nostalgia del tempo eventualmente perduto per non aver "vissuto" ci brucia a tal punto da farci cadere in quello che tu chiami stato manicomiale del mondo.
    C'è un solo modo per invertire la tendenza, per mutare la prospettiva della nostra individualità sorda, ovvero "vivere" la nostra vita e non subirla o semplicemente sognarla; e per viverla appieno si deve amare, non noi stessi, ma chi ci sta accanto. Solo così si rinnega se stessi vivendo e amando l'altro e per l'altro. E anche volendo fermarci qui, poiché Dio, il Dio di Gesù cristo, si rivolge prima di tutto all'uomo e alle sue ricchezze il salto della fede, che determina sempre incertezza e paura, potrebbe, sotto il punto di vista della conversione, essere meno difficile da praticare

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  2. ...è una domanda radicale, la tua, amico mio, e chi potrebbe osare una risposta...occorrerebbe innanzitutto volerlo questo cuore di carne, chiederlo, pregare il Signore che ce lo doni se crede che siamo in grado di tollerarne gli effetti...e non so...non penso che si tratti di amare un po' di più questi o quelli...potrei amare tantissimo mia moglie e mio figlio usando una zona palpitante del mio cuore mentre il resto rimane pietrificato e gelido- colpiva la storia di certi capi di Campi di Concentramento Nazisti che si commuovevano davanti ai figli e leggevano i loro documenti con paralumi ricoperti dalla pelle di ebrei- potrei amare i poveri come nessun altro, ma se odio i ricchi? come facevo da giovane!..è ancora un cuore pietrificato...potrei amare entrambi: famigliari e persone particolari e assieme mettermi al fianco, o dietro i poveri...troppi ne sono già alla testa... e avere ancora un cuore pietrificato...vi sono momenti nei quali l'avversità che sento per le persone, tutte, ha origine da terribili ghiacciai di solitudine ed egoismo...no, non credo che basti amare un po' di più...ciò che occorre imparare è lasciarsi amare, da Dio in primo luogo e da chi dice di amarci, lasciarci amare come sono capaci di amare, e non temere, non avere paura dei luoghi in cui questo ci porterà... e sciogliere ogni angolo, ogni particella, ogni fibra di questo enorme cuore di pietra...questo credo che sia ciò che l'amore di Dio, donato a me, proprio a me, così, senza aspettarsi nulla in cambio dovrebbe provocare nel nostro cuore, nella nostra mente, nel nostro corpo...ebbene mi sento talmente lontano da questo che pur desidero, ma ancora non chiedo, che mi sottraggo dal tentare risposte alla tua domanda

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  3. Grazie Angelo, Grazie Alessandro.
    Quel che dice Angelo mi appare di grande chiarezza.

    Sono infatti convinto, come te, che estro-vertersi, cioè dis-togliere l'attenzione da se stessi sia la chiave per scardinare le nostre vite sul serio.

    In questo senso, rispondo anche ad Alessandro. Hai ragione che non basta solamente amare gli altri (e soprattutto, come facciamo sempre, 'certi' altri (e certi no) per cambiare).
    L'io-in-conversione (come lo chiama il filosofo Marco Guzzi) è un totale rovesciamento di prospettive, in cui IO non sono più al centro del mondo.

    Per fare questo non servirebbe andare in mezzo al deserto, come facevano gli eremiti.

    Certo, oggi è ancora più difficile.

    Tutto comincia, secondo me, con questo "lasciar fare".

    "Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio
    e io non ho opposto resistenza".

    Quand'è che siamo disposti a NON OPPORRE RESISTENZA ?

    Pensiamoci.

    F.

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  4. quando ci fidiamo ciecamente
    quando siamo certi che se ci tuffiamo qualcuno ci prende nel suo abbraccio
    quando siamo certi di essere amati

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