19/11/08

Il Vangelo della Domenica - I Talenti.


Mt 25,14-30


Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».


La pagina del Vangelo di questa domenica ripropone una delle parabole più misteriose, più 'difficile', sul cui profondo significato si discute da sempre. Cosa è il talento a cui allude Gesù ? Cosa rappresenta ? Perchè il Padrone della Vigna è così severo ? Perchè non basta custodire il proprio talento e restituirlo intatto come lo si è ricevuto, per salvarsi ? Perchè invece si è condannati a una fine durissima per questo ?

Ciascuno è chiamato a dare una sua interpretazione, ciascuno è chiamato, come sempre a sentire che cosa la Parola di Gesù gli dice, cosa gli chiede.

Quel che a me oggi appare chiaro, dopo averci pensato per molto tempo, è che Gesù Cristo non ci chiede di 'conservare', non ci chiede di 'rinchiuderci', di 'sigillare', di 'mettere al sicuro', di 'nascondere le cose preziose.' Gesù Cristo, sembra dirci l'opposto: nella fede - ma è così anche nella Vita, certamente - è essenziale rischiare, mettersi in gioco, far fruttare, aprirsi.
E' solo così, sembra dirci, che il talento può avere significato e valore. E' solo aprendosi, o meglio AFFIDANDOSI - è questa la parola chiave che Gesù usa - che qualcosa cambia. E cambia per noi in meglio, per sempre.

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18 commenti:

  1. La domanda è se i doni di Dio servono per appartenere alla categoria dei vincenti in questo mondo e in questa storia o per esprimere sino in fondo l'umanità con cui Dio ci ha pensati uno per uno.Se il cristiano testimonia la carità nella verità e in libertà diciamo che non è nelle condizioni migliori per fare carriera in un consiglio di amministrazione o anche nel direttivo di un partito, difficilmente sarà riconosciuto nelle sue capacità e nei suoi talenti e tuttavia esprimerà in pienezza la sua umanità quindi, per cosi dire avrà molto di più di chi si perde dietro gli idoli del mondo e spreca in quella direzione i propri talenti.

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  2. Bel commento Faber,
    lo condivido in toto.
    Ciao

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  3. '... e tuttavia esprimerà in pienezza la sua umanità'

    conoscere la propria anima, entrare in sintonia con il progetto di vita che Dio ha immaginato per ciascuno di noi, cercare di realizzarlo
    (poi, Alessandro, ti risponderò sull'altro post...ora corro in classeeee! )

    Faber, belle (come sempre) le tue riflessioni, aprono a fertili discussioni :)

    Magda

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  4. "esprimere in pienezza la propria umanità"

    anch'io voglio cogliere questa compiuta espressione di Alessandro.

    Sono sempre più convinto che questo sia lo scopo ultimo del nostro vivere su questa terra. Quella che C.G.Jung chiamava "realizzazione del Sè". Un lavoro che non finisce mai, e che ci richiede sempre qualcosa di nuovo.

    Grazie Jole e Magda.

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  5. Dici bene, carissimo Faber, "mettersi in gioco, far fruttare, aprirsi, AFFIDARSI" sono progetti che prima o poi bisogna iniziare a realizzare nella nostra vita. La fede cristiana non è forse un "muoversi" verso Qualcuno?
    Un caro abbraccio.

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  6. se non ci si mette in gioco non si può 'realizzare in pienezza la propria umanità', perché è l'unico modo per far fruttare i talenti ricevuti

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  7. ma occorre sempre una motivazione, che assume diverse facce:
    . perché
    . per chi
    . come
    . con chi
    dalla risposta a queste domande dipende la 'realizzazione piena' o un velleitarismo che realizza sì, ma fuori dal Progetto di Dio per noi: costruzioni umane, che alla fine raccolgono: il nulla

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  8. Vorrei sottolineare l'importanza delle parole di Miriam che, unite a quelle di Faber e dei nostri commenti, potrebbe forse essere riassunta nelle due parole-chiave che devono guidare le nostre scelte, la nostra volontà di realizzazione:

    FEDE e RAGIONE

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  9. Faber, Jung la chiama "realizzazione di sè", Marco, nel bellissimo brano del seminatore, lo chiama "avere radici in sè stessi" mi sembra più piena la definizione dei Vangeli. Il nostro disorientamento è proprio dovuto al fatto che cerchiamo nei mille volti che ci circondano e nelle innumerevoli circostanze della vita le conferme del nostro valore, delle nostre doti dimenticando che li vi è solo provvisorietà e precarietà. Quando le radici sono nel proprio cuore, nel luogo in cui, Agostino dice, vi è lo zoccolo duro del nostro peccato e la nostalgia di Dio,il luogo dove si conduce finché siamo in questa vita la battaglia tra il bene e il male ed esprimiamo la nostra terribile libertà. Li vi possiamo arrivare solo quando ci avventuriamo nel silenzio attraversando gli abissi dell'anima, accompagnati da Gesù e lasciandoli illuminare dalla misericordia di Dio.Solo se ci sentiamo tenuti per mano da papà grande possiamo guardare dentro quelle profondità.Quando le radici sono li nulla può farci paura, nessun ostacolo è insormontabili, nessuna montagna è inamovibile perché li e solo li c'è la concretezza di Dio.

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  10. Sì, Alessandro, non v'è dubbio che l'espressione evangelica sia più piena, più completa.

    Jung del resto è uno studioso della psiche - seppure nella sua immensa opera ha affrontato quasi tutto lo scibile umano - ma quello zoccolo duro del peccato di cui parli è proprio l'Ombra, che è in noi, che vive con noi, e che quasi mai abbiamo la forza di guardare e il coraggio di accettare.

    La rimozione di quest'ombra - in termini cristiani l'egoismo, la vanità, la superbia - sono l'origine di ogni nostro male.

    Ed è solo Dio Padre, dici bene, che può darci quel sostegno di attraversare la nostra Ombra e di tornare definitivamente alla luce che ci aspetta.

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  11. Amo Jung Faber perchè mi sono formato su di lui sia mella mia lunga analisi personale che nella cosiddetta formazione e tuttavia considero che il suo limite sia quello di essersi fermato al di qua delle colonne d'ercole rispetto alla geografia interiore dell'uomo. Il divino di cui lui parla sta a Dio come la luna sta alla luce del sole, ne è il pallido riflesso cosi come il divino che percepiamo nel profondo del nostro cuore è il pallido riflesso del sigillo che vi ha impresso Dio Creatore.

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  12. ...e così l'ombra non è che il pallido riflesso del male e il male ha il volto di Satana, vale a dire nella mia vita concreta ha il mio volto perché cosi come l'amore si esprime attraverso il mio volto allo stesso modo si esprime il male.

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  13. Scusate se mi intrometto, Faber e Ales, nel vostro scambio che trovo di un'intensità rara... molte volte si discute dell'esistenza del male, del perchè Dio lo permetta, del suo significato nella nostra esistenza. Io penso che in qualche modo esso rientri nell'infinita libertà di scelta che Dio ci ha donato, quella che Alessandro definisce, con termine eloquente 'terribile'. Se Dio ci avesse programmati soltanto e univocamente per il bene, senza lasciarci la libertà della scelta che Padre sarebbe? sarebbe forse un burattinaio. Certo tutto sarebbe molto più facile, come per un neonato che succhia il latte, dorme, gli cambiano i pannolini, lo portano a spasso...ma allora non diventeremmo mai adulti, non avremmo la possibilità di realizzare il progetto di vita che il padre ha pensato per ciascuno di noi.
    Voi che ne pensate?

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  14. Sì, Alessandro, condivido questa tua analisi. Anch'io sono convinto che sia questo il limite ultimo dell'opera di Jung.

    Anche se io resto convinto che lui su questo argomento (lo scavalcamento di quelle colonne d'Ercole, ovvero la natura del vero Dio e la natura del vero male) ne sapesse molto più di quello che ne ha scritto. E ne abbia taciuto per ragioni di opportunità.

    Già erano in troppi ad accusarlo di stregoneria, alchimia, filo-misticismo, figuriamoci.

    In quanto alla domanda posta da Magda, è molto difficile rispondere, perchè ahimè nulla ne sappiamo con certezza. E l'esistenza del male è il vulnus sul quale da sempre l'uomo si arrovella, senza posa.

    Noi disponiamo di quel che è raccontato nei Vangeli, dai quali si evince che il Male esiste, che è personificato - è cioè (Anche) una persona - ed è in perenne conflitto con il Dio padre creatore, il quale - a quanto pare, a giudicare anche dal racconto di Giobbe - non è insensibile (neanche Lui..) alle sue sottili opere che si manifestano soprattutto con il dubbio, l'insinuazione, il sospetto.

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  15. ...andare oltre le colonne d'ercole significa avventurarsi in acque sconosciute senza sapere cosa si potrà trovare dall'altro parte e specialmente se vi è un altra parte , Nietzsche vi ci si è perso irrimediabilmente! si rischia di entrare nei luoghi della sofia che a volte si sovrappongono a quelli della follia. Non è facile perdersi. E' il problema della fede, la teniamo saldamente ancorata ai nostri piccoli ragionamenti per non smarrire i nostri solidi ancoraggi in questo mondo e in questa storia e forse non può essere diversamente. Quando Jung ha iniziato seriamente il suo viaggio interiore, quando si è allontanato dalle solide e conosciute sponde del continente cognitivo e non vedeva più la riva si attaccò a cio che era, alla sua identità sociale, per tornare a riva:sono il prof Jung , marito di Emma, amante di Sabrina, padre di...collega di,ecc. ecc.Non poteva fare diversamente. Faber dell'uomo non sappiamo nulla, ne descriviamo il suo mondo interiore con simboli depredati dai miti: Edipo, Cassandra, Kronos, Anima, Ombra, ma se qualcuno ci chiedesse di descrivere ciò che contengono sapremmo solo elencare dei processi.Ben poco di più si fa coi sogni. Tutta la nostra conoscenza sulla psiche non è altro che la descrizione di quanto riusciamo a vedere. Ogni volta illuminiamo un pezzettino in più e descriviamo un altro pezzo ma sul come nulla. Siamo dei pittori cognitivi null'altro. Detto questo concordo con te sul fatto che Jung è quello che più si è allontanato dalla riva del noto per avventurarsi nell'ignoto nell'indicibile e indescrivibile e ha percepito la dimensione dello spirito il nous che abita l'uomo e il mondo, in fondo qui sta il cuore vitale delle religioni non rivelate, il concetto di infinito e di divino cui l'uomo è in grado di arrivare perché in lui vi è la spinta verso l'infinito e il divino. Budda, Confucio hanno cercato e in qualche modo trovato questa armonia tra l'uomo e l'universo percepibile.Io vivo nella diocesi Ambrosiana qua i preti sono santi e pragmatici, qualche tempo fa confessandomi il sacerdote mi disse, io sento che c'è il male ma ho qualche difficoltà a pensare che vi sia il diavolo, che sia una persona, addirittura un angelo che ha come scopo allontanare gli uomini da Dio.In fondo mi dava un rappresentazione del male come di qualcosa prodotto dalla volontà dell'uomo segnata dal peccato e dalla paura della morte.Niente di diverso da chi rappresenta un divino prodotto dall'uomo.Io credo che il diavolo ci sia, abbia lo scopo di farci credere che le promesse di Dio sono fasulle, usi le nostre fragilità e paure per farci attaccare a tutte le cose precarie di questa realtà spacciandole per stabili e sicure, usi la nostra libertà per farci soddisfare ogni piccola esigenza e necessità istillando il dubbio che oltre questa vita non ci sia proprio niente e al centro di questo scontro che attraversa l'universo e il nostro cuore c'è ognuno di noi, piccoli uomini e donne se guardiamo alla immensità dell'amore di Dio e alla potenza del male ma giganti se guardiamo a ciò che possiamo fare con l'uso della nostra libertà nel bene o nel male dentro questo mondo.

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  16. Alessandro, c'è poco da aggiungere a questo tuo commento, che è da tenere preziosamente da conto.

    L'unica cosa: mi fa sorridere questo sacerdote che ha difficoltà a credere alla presenza incarnata del Diavolo. Eppure, nei testi del Vangelo, che predicherà la Domenica, ci sono scritte parole ben chiare, sull'argomento. Del male non si parla mai di termini astratti. Nè semplicemente riferiti alla natura umana. Che colpa hanno il posseduto, l'indemoniato, quello che ha 'sette demoni' in corpo, ecc... Sono stati loro a procurarsi il male ??
    E quanto male vediamo anche oggi, dappertutto, che non è 'causa diretta' di un operare umano ?

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  17. Grazie, Faber e Alessandro.
    Commenti densi di idee e spunti di riflessione.

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  18. 'Io credo che il diavolo ci sia, abbia lo scopo di farci credere che le promesse di Dio sono fasulle, usi le nostre fragilità e paure per farci attaccare a tutte le cose precarie di questa realtà spacciandole per stabili e sicure, usi la nostra libertà per farci soddisfare ogni piccola esigenza e necessità istillando il dubbio che oltre questa vita non ci sia proprio niente'

    VERO!
    Quando infatti si riesce a concepire che la morte non è la fine di tutto, di noi, dei nostri sforzi, dei nostri affetti, che non c'è soluzione di continuità per la nostra vita ma solo il continuarla in un altrove sconosciuto, come un ponte slanciato verso l'infinito... ecco allora ci si sente liberi, sollevati, non più oppressi. I nostri progetti non si concludono qui, sulla terra, ma vanno a combaciare/baciarsi con quello del Padre. La morte non è una sconfitta.

    E se la morte, dopo questo meraviglioso e misterioso della vita, fosse un altro dono di Dio?

    Buona giornata
    Magda

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