24/11/08

Il Vangelo della Domenica - I fratelli più piccoli.


VANGELO
Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.

Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.

Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.


Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna".


Anche in questo caso sono molte le considerazioni che si potrebbero trarre dalle parole di Gesù, che parla in parabole - forse mai così chiaramente come qui - per farsi intendere meglio. E' infatti quasi "didascalico" questo Gesù che spiega cosa "vuole il Re", cosa sembra pretendere da noi.

L'aspetto che vorrei mettere in luce è questa definizione che Egli usa sia nel paragone 'buono' che in quello 'cattivo', ovvero " ogni volta che non avete fatto ( o avete fatto) queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli. " Quello che spesso ci sfugge è che il Re considera "suoi fratelli" - testualmente - gli uomini. E gli uomini più deboli: vediamo le categorie: gli affamati, gli assetati, i forestieri, i nudi, i malati, quelli che sono in carcere.

Davvero in questa semplice lista, fatta di cinque aggettivi e una definizione (quelli che sono in carcere, cioè i carcerati) c'è tutta la gamma completa delle possibili difficoltà umane su questo mondo, che in diversa misura, possono riguardare chiunque.

Dunque in questo panorama "ecumenico" di sofferenze, e di doglianze, Gesù ci eleva al rango di "fratelli più piccoli" del Re. Il che appare come una conferma che il filo che lega il Creatore a noi è molto, molto stretto. Siamo cioè - tutti - suoi fratelli (più piccoli), e come ogni fratello è da supporre che noi abbiamo in comune qualcosa - molto più di qualcosa - con Lui.

E' per questo - e sulla base di questo - che Lui sembra avere questa reazione così netta, così decisa, così - diciamolo chiaramente - severa. Se noi facciamo o non facciamo qualcosa non è qualcosa di neutro, che a Lui potrebbe anche - tutto sommato - non interessare.

No: è qualcosa che facciamo o non facciamo a suoi fratelli (più piccoli): come reagiremmo noi se qualcuno facesse o non facesse qualcosa a dei nostri fratelli di sangue ? La cosa ci toccherebbe, oppure no ?

Ecco perchè - credo - la nostra responsabilità nei Suoi confronti è grande. Ecco perchè - ricollegandoci al Vangelo di Domenica scorsa - non possiamo semplicemente "assistere a tutta la faccenda, senza far danni, restandocene tranquilli tranquilli. "

No. Lui ci chiede di fare, di operare, di dimostrare, di muoverci, di uscire, di metterci in gioco, di rischiare, di andare, camminare, muovere la polvere dai nostri sandali.




4 commenti:

  1. ..è bello questo brano e come scrivi dovrebbe inquietarci nel senso di non lasciarci tranquilli perché ognuno di noi si deve domandare in quale delle due posizioni si colloca se siamo tra quelli che si curvano sulle ferite di coloro che incontriamo o tra coloro che dicono ci sono quelli preposti ad occuparsi di loro, pago le tasse per questo, lo facciano e, mi raccomando, lo facciano bene. Ed è bello quello che dici sul saperci tutti piccoli, grazie a Dio non abbiamo le medesime ferite per cui se io posso lenire quelle di un fratello so di avere le mie che altri possono lenire. Non sono nella torre d'avorio del curatore, del salvatore, del guaritore, ma nella medesima polvere di chi incontro percorrendo assieme un tratto di strada.

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  2. Questa poesia di Umberto Saba esprime bene questi sentimenti di vicinanza
    nella comune sorte umana

    Città vecchia

    (da Trieste e una donna, 1910-12)

    Spesso, per ritornare alla mia casa
    prendo un'oscura via di città vecchia.
    Giallo in qualche pozzanghera si specchia
    qualche fanale, e affollata è la strada.

    Qui tra la gente che viene che va
    dall'osteria alla casa o al lupanare,
    dove son merci ed uomini il detrito
    di un gran porto di mare,
    io ritrovo, passando, l'infinito
    nell'umiltà.

    Qui prostituta e marinaio, il vecchio
    che bestemmia, la femmina che bega,
    il dragone che siede alla bottega
    del friggitore,
    la tumultuante giovane impazzita
    d'amore,
    sono tutte creature della vita
    e del dolore;
    s'agita in esse, come in me, il Signore.

    Qui degli umili sento in compagnia
    il mio pensiero farsi
    più puro dove più turpe è la via.

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  3. Grazie Magda !
    Grande Saba, lo adoro

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