29/04/08

La conversione di Magdi Allam.


Vorrei tornare per un attimo sulla questione della conversione di Magdi Allam, battezzato durante la veglia Pasquale da Papa Benedetto XVI, una notizia che come sappiamo ha fatto il giro del mondo, anche se il personaggio non è così universalmente conosciuto, ma proprio per il valore simbolico di tale gesto, come si legge in questo articolo del Corriere della Sera.


Bene, in un articolo apparso sul Sole 24 Ore Domenicale, Roberta De Monticelli analizza i contenuti e la motivazione di questa 'conversione' e la mette a confronto con quella di Angelus Silesius, (1642-1677) poeta e mistico, autore de Il Pellegrino Cherubico, uno dei testi di riflessione mistica più famoso di tutti i tempi.

Silesius si convertì dal Protestantesimo al Cattolicesimo. Ma le motivazioni, dice la De Monticelli, non furono dettate dall'attribuire - come nel caso di Allam - agli 'altri' (in quel caso protestanti, oggi mussulmani) - una più intrinseca predisposizione alla violenza e all'odio.

Da qui, la De Monticelli, parte per definire cosa è - o meglio, cosa dovrebbe essere - una reale 'conversione'.

" La conversione cristiana - scrive - in greco si chiama metanoia, cioè renovatio mentis, e va sempre insieme con una certa poenitentia: sarebbe cioè la nascita di un uomo nuovo e di una vita nuova, sulle ceneri di quella vecchia e dell'uomo vecchio, il quale - lui, e non gli altri - è fatto oggetto di riprovazione.

L'uomo nuovo - continua la De Monticelli - è capace anche di perdono, non solo rispetto alle pagliuzze ma perfino alle travi: perchè vede quello che l'uomo vecchio non vedeva, perchè l'orizzonte del valore si è allargato.

Se non è bastato il Cristo, con le sue parole e con la sua croce, a impedire gli incendi di biblioteche, le distruzioni di templi, le crociate, gli stermini, le conversioni forzate, i roghi di eretici e di streghe, un cristiano non ha forse in quanto tale il diritto di imputare ad altre religioni cose che forse non c'entrano con le fedi, ma solo con le istituzioni che le ospitano."

Penso che forse su queste parole varrebbe la pena di meditare parecchio, quando, con molta semplicità, che assomiglia a faciloneria, oggi sentiamo parlare spesso, a ogni piè sospinto, di 'conversioni' più o meno improvvise, ma non sulla via di Damasco.

22/04/08

Mi diverto ergo Sono - Il senso del sacro oggi.


Mi sorprende a volte che non si ragioni abbastanza sul fatto di come la mutazione antropologica avvenuta negli uomini - nella razza umana - negli ultimi 100 anni, abbia radicalmente cambiato l'approccio e la relazione con il Sacro, prima che con Dio.

Gli uomini e le donne di oggi, almeno in Occidente, hanno altre cose da fare, piuttosto che pensare a Dio.

La parola d'ordine oggi è: divertire - e divertirsi. O più semplicemente distrarsi.

Una vita noiosa è la cosa più da aborrire. L'importante è intrattenersi. E la civiltà moderna non fa altro che offrirci nuove diavolerie - tante nuove al giorno - per intrattenerci piacevolmente.

E' divertente guardare la TV (almeno per molti). Ma anche guardare la propria mail elettronica o la chat, o il proprio account Facebook tutto il giorno, è divertente.

E poi anche telefonare con il cellulare è divertente. Anche mandare sms. Anche allenarsi con le macchine e fare fitness è divertente.

L'obiettivo finale è divertirsi sempre, anche lavorando: e infatti i lavori più ambiti sono quelli nei quali ci si diverte (lo show business, la televisione, ecc...)

Riflettiamo che divertimento deriva etimologicamente dal latino devèrtere il cui participio passato è diversus o deversus che indica 'allontanamento', o volgere, cioè far prendere altra direzione, quindi distogliere, ricreare, distrarre l'animo da pensieri molesti (dizionario Etimologico Ottorino Pianigiani).

Allora divertirsi e distrarsi sono - lo ripetiamo - le nuove parole d'ordine.

E' appena il caso di notare come per un uomo o una donna che vivevano 100 anni fa, in una qualsiasi parte del mondo occidentale, distrarsi o divertirsi erano attività assai più difficili di oggi.

L'esistenza era ben più pesante. Il lavoro, era pesante. E i divertimenti o le distrazioni, assai poche, e circostanziate.

E' allora ovvio che "non potendo distrarsi", cioè non potendo distrarre l'attenzione con mezzi tecnologicamente sofisticati, le generazioni precedenti erano 'costrette' a mantenere l'attenzione sui temi dell'esistenza: la vita, la morte, il senso della vita, l'esistenza (o la non esistenza) di Dio.

Erano queste le questioni importanti.

Anche oggi lo sono, soltanto che oggi c'è tutto il tempo per 'distrarsi'. E' come se il modello imperante dicesse: "distraiti, tanto per pensare a quello ci sarà tempo."

E difatti io non faccio altro che incontrare persone che vivono semplicemente come se il 'sacro', o le questioni ultime ad esse legate, semplicemente non esistessero.

Vivono totalmente immersi nel loro hic et nunc: qui ed ora.

C'è questa cosa da fare. Questo lavoro, questa compagnia, questa conquista, questo giochino, questo messaggio, questa mail. Al resto ci si penserà dopo.

E difatti assistiamo quasi sempre - in questo modo schizofrenico di vivere - a improvvise scoperte del sacro da parte di persone insospettabili, che hanno sempre vissuto di-vertendosi, quando le cose si mettono male. Quando arriva un lutto grave, quando arriva una malattia. Quando sta per giungere la morte.

Allora si va disperatamente alla ricerca di qualcosa dalla quale abbiamo fatto di tutto per distrarre la nostra attenzione.

Insomma, una parola, qualsiasi parola, e tantopiù la parola divina (se esiste) non può che essere ascoltata nel silenzio, nell'attenzione.

Nella confusione e nella distrazione non si ascolta nulla.

Se un Dio c'è e se Lui è in relazione con noi, noi dobbiamo fargli un minimo di posto, come esige ogni relazione.

Scriveva Angelus Silesius, nel Seicento:

Mistero insondabile ! Dio ha perduto se stesso:
Per questo vuole essere in me rigenerato.

Ma come fa a rigenerarsi in noi, se noi siamo distratti, eternamente occupati a fare altro ?
( Foto in testa all'articolo di Barbara Renzi )

18/04/08

Beethoven - Una esperienza mistica.


Qualche sera fa ho vissuto una esperienza mistica.

Ma non l'ho vissuta mentre visitavo in una chiesa, o mentre pregavo.

L'ho vissuta durante un concerto, meraviglioso, al quale ho assistito. Ero andato appositamente per quello: per ascoltare la Sonata per pianoforte n.32 opera 111 di Ludwig Van Beethoven, nella esecuzione di uno dei più grandi pianisti viventi: Krystian Zimerman, premio Chopin nel 1975.

Ascoltare la Sonata 111 - come quasi tutte le opere di Beethoven - è una esperienza mistica. Ma, secondo me, questa lo è ancor di più.

Non so spiegare razionalmente perchè questa Sonata - in particolare il 2.Movimento (Arietta - Adagio molto semplice e cantabile) - mi sconvolga letteralmente, toccando, facendo vibrare ogni corda della mia anima.

Forse perchè è l'ultima Sonata per pianoforte composta da Beethoven - quando era ormai praticamente sordo - o forse perchè come è stra-noto c'è un grande mistero intorno a questa Sonata, visto che è l'unica scritta dal Maestro a essere composta di due soli movimenti (e Thomas Mann ha dedicato addirittura un suo romanzo, il Doktor Faustus, a questo enigma e alle possibili motivazioni che indussero Beethoven a fermarsi qui).

Il Secondo Movimento dura in tutto una quindicina di minuti. Ha inizio con un tema semplicissimo, essenziale, che viene poi progressivamente modificato su variazioni sempre più complesse.

Ascoltando questi quindici minuti di musica, è come se io sentissi - o meglio, vedessi - il senso ultimo dell'esistenza.

Ovvero: la vita con tutte le sue componenti (bellezza, tremore, paura, estasi, poesia, purezza, malinconia, fato, desiderio di Dio, inquietudine, calma, pienezza). La vita come appare a un uomo che sta per lasciarla, ma che sa di averla vissuta in pieno, fino in fondo, con tutti i suoi nodi dolorosi, e con tutta la sua struggente bellezza.

Ogni volta, questa Sonata, parla all'Uomo, al suo cuore.

E anche l'altra sera il pubblico, alla fine, era quasi tramortito, felice e grato.

Purtroppo, per quanto si cerchi, non esistono versioni video della Sonata nella versione di Zimerman - che è molto geloso giustamente delle sue esecuzioni dal vivo e che pretende che la musica la si ascolti soprattutto dal vivo.

Ma a beneficio di tutti, qua sotto troverete il Secondo Movimento della Sonata n.32 op.111 nella esecuzione di uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi Claudio Arrau.
Purtroppo il movimento è stato diviso in due diversi video quindi cliccate prima sul primo e poi sul secondo.
E buon ascolto !





15/04/08

La Chiesa ha rinunciato alla sua anima mistica ?


Che fine hanno fatto i cristiani, in questo paese ?

Guardate questa immagine. Come faceva Bellini a dipingere in questo modo ? Cosa metteva nei suoi quadri per rendere le sue Madonne così sublimi ?

Da vero mistico, Giovanni Bellini sapeva - anche senza averlo studiato sui libri di Teologia - che Maria è l'Umanità e l'interprete della condizione umana.

Ogni volto di donna - in Bellini - si fa volto di Maria e nelle espressioni della nuova Eva ciascuno ritrova la madre, la propria origine umana dal concepimento, al destino finale.

Questo Bellini riusciva a rappresentare, forse anche perchè ai suoi tempi la Chiesa sapeva ancora farsi mistica, essere mistica.

Oggi è come se la Chiesa avesse rinunciato alla sua componente mistica - che è l'essenza.

E i Cristiani, quasi senza volerlo, sono diventati anche loro refrattari alla mistica, cioè alla vera anima del Cristianesimo.

Vanno in Chiesa, si genuflettono (in pochi), pregano stancamente, seguono stancamente la liturgia, ma nelle loro vite, una volta usciti da lì, cambia poco o niente.

Ed è chiaro che cambi poco o niente. Perchè se si partecipa ad un rito senza viverlo profondamente, intensamente, senza capirlo, senza esserne parte, nella propria vita cambia poco o niente.

E quand'è che sentiamo la nostra Chiesa parlare un linguaggio mistico ? Quand'è che sentiamo i nostri sacerdoti, i nostri vescovi, il nostro clero parlare un linguaggio veramente mistico ?

Eppure basterebbe guardare una immagine come questa, guardarla veramente, con attenzione, con emozione, con abbandono, per capire profondamente, che tutto potrebbe cambiare, veramente. E che tutto, ancora una volta e sempre, è solo nelle nostre mani.

12/04/08

L'istinto morale è innato - Uno studio dell'Università di Yale.


Per molte persone è difficile pensare all'esistenza dell'anima. Concepiscono l'essere umano come un intreccio di componenti biologiche che interagiscono tra di loro, fini a se stesso, governati da reazioni meccaniche o meccanicistiche, a base fisio-chimica.

A me invece sembra del tutto evidente che oltre la pura biologia, esiste un quid di inafferrabile nell'essere umano, che non è solo biologia, un qualcosa di più che non sappiamo cos'è e che non sappiamo definire, ma che esiste e ci è data.

Mi è sembrato sempre evidente. E mi sembra tuttora evidente.

L'idea è poi confortata quando arrivano notizie come queste: un recente studio americano, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature compiuto da ricercatori dell'Università di Yale, ha dimostrato che i bambini, già a pochi mesi, sono in grado di riconoscere e apprezzare l'altruismo nei protagonisti di una semplice storia illustrata.

Lo studio documenta come bimbi di sei e dieci mesi, spettatori di una storiella interpretata da pupazzi, sono in grado di scegliere tra diversi tipi: l'altruista, il neutrale, il cattivo.

Inoltre la maggioranza dei bambini, senza alcun condizionamento esterno, preferisce il modello del "buon samaritano".

"Questo studio" spiegano i ricercatori, " confermerebbe l'ipotesi secondo cui le capacità di valutare le persone è un adattamento biologico universale e non appreso. L'abilità di riconoscere le persone da cui possiamo ricevere aiuto è essenziale."

E quindi, conclude lo studio, anche l'istinto morale sarebbe innato. In qualche modo pre-scritto nel nostro essere, e dato come assunto precostituito.

Se la capacità di identificare e scegliere il bene è innata, per quale motivo al mondo dovremmo negare di possedere un'anima ?

09/04/08

La Sua predilezione per i Peccatori.


In tempi come questi, dove sembra che vi sia una caccia grossa a trovare il moscerino nell'occhio altrui, e tramutarlo in trave. E, anche in ambito di gerarchie e di dottrine, in ambito cattolico, vi sia sempre l'esigenza di dare addosso a 'chi sbaglia', a 'chi pretende di affermare verità', a 'chi va contro i dogmi', a chi osa mettersi di traverso - come se non ci si accorgesse per niente di cosa accade nel mondo - è forse utile per tutti riflettere ancora e sempre sull'atteggiamento di Gesù Cristo nei confronti dei peccatori.


Che si manifestò con ancora maggiore nettezza nelle sue ultime settimane tra noi, su questa terra.

Riprendo quello che scrive il dimenticato (purtroppo) Francois Mauriac in un libro per me memorabile: Vita di Gesù, scritto nel 1937.

Leggiamo:

Ma ora che è prossimo a lasciarli, l'Amore vivente li rassicura. Il suo desiderio è che i suoi fedeli lo temino con fiducia illimitata, che riposino su di lui con un cuore appassionato, ma tremando. "E io aspiro tremando". E' questo che il Figlio dell'Uomo ci chiede: diffidenza delle nostre forze, abbandono a occhi chiusi a una infinita misericordia.

Sappiano dunque ciò che già aveva loro lasciato intravedere: che il peccatore non è soltanto amato, ma sì anche
preferito.

E' per lui, ch'era perduto, che il Verbo si è fatto carne. Tutti i suoi ragionamenti, durante le ultime settimane di vita, tradiscono questa predilizione per i cuori semplici, capaci di eccessi.

Lui così duro coi dottori e coi Farisei, si addolcisce con i piccoli. Non è per umiltà nè per spirito di sacrificio, che rimane in mezzo a loro. E' perchè li preferisce, o meglio odia il mondo e si dà a quelli che del mondo non sono.

Erode che egli chiama "quella volpe" è il solo essere di cui parli con sprezzo. Per lui è un gioco battere i sapienti sul loro stesso terreno: ma di ridurre al silenzio dei dialettici imbecilli, non gliene importa nulla. La sua vera gioia è di rivelarsi a dei poveri uomini schiacciati da colpe abituali, e d'aprire sotto i loro passi un abisso di misericordia e di perdono.

E perciò si paragona al padrone delle pecore che ne abbandona novantanove per correre dietro alla centesima smarrita; e la riporta nelle sue braccia.

Ascoltandolo, ognuno doveva pensare: "E' per me che parla..."

Perchè chi di loro non aveva pesato con tutto il suo peso su quelle sacre spalle ? Sono stati raccolti, custoditi, e sporchi di fango, stretti a quel petto.

"Vi è più allegrezza in cielo per un solo peccatore pentito, che per novantanove giusti... "

Bisognerebbe pensarci: quando siamo convinti, con le nostre "certezze" cattoliche, quando siamo sicuri di essere dalla parte del giusto, e di saper - e dover - condannare chi lo "merita".

La nostra giustizia non è la sua giustizia.

07/04/08

Il Sacro Fuoco di Olimpia e le contestazioni.


Fa una gran tristezza assistere in questi giorni a quel che avviene al passaggio della sacra fiaccola olimpica, in viaggio verso Pechino: contestazioni ovunque, a Londra tentativi di spegnimento con l'estintore, da ultimo a Parigi le autorità costrette a caricare la fiaccola a bordo di un pullmino, per oltrepassare i gruppi di protesta.

Protesta sacrosanta, sia bene inteso.

Come sarebbe possibile non indignarsi per quello che sta accadendo in Tibet in questi giorni ?

Ma la tristezza assale ugualmente, pensando a quel che dovrebbero essere i Giochi Olimpici, a quel che rappresentano simbolicamente, all'ideale perduto di uguaglianza, fraternità tra i popoli, amicizia, pace.

Che è rimasto di questi ideali, nel mondo ?

Stiamo vivendo, mi sembra, tempi sempre più difficili, contrassegnati da una evidente schizofrenia degli uomini, specie in Occidente:

un Occidente che pensa da pessimista e vive da ottimista. Crede che la vita sia brutta e che tutto finisca con la morte, che nulla abbia senso, che siamo solo un insieme di molecole in movimento e materia in disgregazione; ma pretende di vivere allegramente circondandosi di benessere economico, salutismo, diavolerie tecnologiche, divertimenti, distrazioni.

Come è possibile non diventare schizofrenici, vivendo e pensando in questo modo ?

E' chiaro che anche il simbolo Olimpico sia vissuto - allo stesso modo, oggi.

Da una parte si pensa tutto il peggio possibile di questa fiamma Olimpica che potrebbe rappresentare e rappresenta, la legittimazione del potere di Pechino. Dall'altra vorremmo tutti goderci lo spettacolo sano dei Giochi, vissuti come momento di competizione, di svago e anche - in Italia soprattutto - di vanto nazionale.

Come se ne esce ? Non se ne esce.

06/04/08

Martin Luther King - Voler bene all'Umanità.




E' così difficile voler bene all'Umanità.
Perchè è così difficile voler bene alle persone che abbiamo intorno, figuriamoci all'Umanità. Eppure, quella promessa smisurata - vita eterna - di Gesù è direttamente proporzionata ad una richiesta smisurata - amare gli altri, amare tutti, amare anche i nemici.

Ma come si fa ?

Martin Luther King (1929 - 1968) una volta, intervistato da Ruggero Orlando, disse: "quando morirò mi piacerebbe che fosse scritto sul mio epitaffio: un uomo che ha amato l'Umanità."
Non v'è dubbio che nella vita di King vi sia un profilo di santità molto forte, che lo portò a realizzare veramente quel che ha sostenuto in quell'intervista.

Ma come si fa ad amare tutti, ad amare l'Umanità intera ?? Qualche volta ci riusciamo, quando siamo ben disposti, quando tutto appare girare al meglio, e siamo felici per qualcosa, in quel momento ci sentiamo di poter abbracciare il mondo intero.
Ma il più delle volte è un sentimento effimero, che mai o quasi mai si traduce in atti concreti.

Ci penso e ci ripenso in questi giorni in cui vedo i muri delle mie città tappezzati di facce che mi ispirano sentimenti opposti all'amore.

Non amo questa umanità, no non la amo proprio. Non amo queste persone che mi chiedono fiducia per poter avere potere, riconoscibilità, successo, vanità, denaro.
Non amo loro, non amo le loro facce.
Eppure, Gesù ci chiederebbe questo. Amare tutti, amare gli estranei.

Nel Vangelo di questa domenica apprendiamo che le prime persone con cui Gesù Risorto spezza il pane non sono i suoi Discepoli - quelli che lo hanno amato sempre - ma due estranei incontrati in cammino. Due povere anime che non sanno niente di Lui, se no qualche piccola cosa per sentito dire.
Dovremmo spezzare il pane con gli estranei. E poi anche con i nemici.

Chiediamo alla grande anima di Martin Luther King di insegnarci come si fa, comprendendo pienamente la natura di cui siamo pienamente parte :

La luce è venuta nel mondo. Una voce che grida attraverso la prospettiva del tempo invita gli uomini a camminare nella luce. La vita terrestre dell'uomo diventerà una tragica elegia cosmica, se egli non ascol­terà quest'invito. «Questa è la condanna” - dice Giovanni - « che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre piú della luce ».
Gesú aveva ragione riguardo agli uomini che lo cro­cifissero: essi non sapevano quello che facevano: erano afflitti da una terribile cecità.
Ogni volta che guardo la croce, io mi ricordo della grandezza di Dio e della potenza redentrice di Gesú Cristo; mi ricordo della bellezza dell'amore di immola­zione e della maestà dell'incrollabile devozione alla verità. E questo mi fa dire con John Bowring: « Della croce di Cristo io mi glorio ( torreggiante sulle rovine del tempo; i Tutta la luce della storia sacra i Si raccoglie intorno alla sua vetta sublime ».
Sarebbe meraviglioso se io, guardando la croce, pro­vassi solo una cosí sublime reazione; ma, in un modo o in un altro, non posso mai distogliere gli occhi dalla croce senza rendermi conto anche che essa simboleggia una strana mescolanza di grandezza e di meschinità, di bene e di male. Contemplando quella croce innalzata, io mi ricordo non solo dell'illimitato potere di Dio, ma anche della vile debolezza dell'uomo; penso non solo allo splendore del divino, ma anche al tanfo dell'umano; mi ricordo non solo di Cristo nel suo momento piú alto, ma dell'uomo in ciò che ha di peggio.
Noi dobbiamo vedere la croce come il meraviglioso simbolo dell'amore che vince l'odio e della luce che vince le tenebre. Ma, in mezzo a quest'ardente affer­mazione, non dimentichiamo mai che il nostro Signore e Maestro fu inchiodato a quella croce a causa dell'u­mana cecità. Quelli che lo crocifissero non sapevano quello che facevano.

03/04/08

La porta - Simone Weil


Aprite la porta, dunque, e vedremo i verzieri,
Berremo la loro acqua fredda che la luna ha traversato.
Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.
Erriamo senza sapere e non troviamo luogo.

Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete ci sovrasta.
Sofferenti, in attesa, eccoci davanti alla porta.
Se occorre l'abbatteremo con i nostri colpi.
Incalziamo e spingiamo, ma la barriera è troppo forte.

Bisogna attendere, sfiniti, guardare invano.
Guardiamo la porta; è chiusa, intransitabile.
Vi fissiamo lo sguardo; nel tormento piangiamo;
Noi la vediamo sempre, gravati dal peso del tempo.

La porta è davanti a noi; a che serve desiderare ?
Meglio sarebbe andare senza più speranza.
Non entreremo mai. Siamo stanchi di vederla.
La porta aprendosi liberò tanto silenzio

che nessun fiore apparve, nè i verzieri;
Solo lo spazio immenso nel vuoto e nella luce
Apparve d'improvviso da parte a parte, colmò il cuore,
Lavò gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.

Simone Weil, una delle ultime poesie, scritta tra il 1941 e il 1942.